giovedì 14 giugno 2018

Tu sei come me...

...schiava di un solo padrone.


   Il giorno dopo mi svegliai a mezzogiorno, stanca e insoddisfatta. Indubbiamente Enrique era stato bravissimo e mi aveva fatto venire un sacco di volte, ma poi mi era rimasta una terribile sensazione di vuoto. Pagare per andare a letto con lui era stata una stupida perdita di denaro, perché poi alla fine non avevo ottenuto ciò che volevo. Ma cosa volevo esattamente? Non riuscivo a capirlo, però certamente non era il sesso fine a se stesso a interessarmi. Di solito quando si fa l’amore ci si sveglia di buon umore, io invece ero quasi incazzata nera, proprio perché quell’esperienza non mi aveva lasciato niente, anzi ci avevo pure un quarto del mio stipendio.
   Quando entrai in cucina trovai Antonella con in braccio la mia Cleopatra; la radio era accesa e stava trasmettendo una canzonaccia rap dal ritmo ossessivo e di dubbio gusto. Io indossavo una vestaglia da notte nera semitrasparente che avercela o no era la stessa cosa, perché praticamente mi si vedeva tutto.
   “Spegni quella maledetta radio” le ordinai, “non voglio che mia figlia ascolti questa musica di merda”.
   Antonella tolse quella stupida musica e si mise a guardarmi senza dire niente. Misi su una cialda nella macchina dell’espresso e aspettai che il caffè fosse pronto. A quel punto iniziai a berlo a piccoli sorsi e poi andai verso lei e presi la mia Cleopatra dalle sue braccia.
   “Grazie Antonella. Adesso puoi andare. Ho messo i soldi nell’ingresso, accanto alla tua borsetta. Sia quelli per il tuo lavoro da babysitter sia quelli per la notte che ho passato insieme al tuo fidanzato”.
   Enrique era già da un bel po' che era andato via. Infatti quando mi ero svegliato lui non c’era più nel letto. Ed era stato meglio così, perché non ho mai sopportato l’idea di dovermi svegliare accanto ad un uomo che non amo neppure un po', o comunque per il quale non provo neppure un briciolo di affetto.
   “E non mi dici niente? Com’è andata?” mi chiese lei con un tono di complicità per niente sincero. Era piuttosto un tentativo buffo di capire se quella notte d’amore con il suo fidanzato avrebbe avuto un seguito.
   “Non è stato granché” risposi. “Mi sono divertita, ma niente di più. Puoi tenertelo il tuo Enrique. Scopa da dio, ma questo è tutto”.
   Antonella sembrava più tranquilla, anche se probabilmente da quel momento in poi mi avrebbe vista sotto un altro aspetto, e cioè mi avrebbe considerata come una stronza che col denaro crede di poter comprare tutto, anche i fidanzati delle altre. Ma comunque io mi sentivo a posto con la coscienza, nel senso che non è che le avevo fatto un ricatto (del tipo: o mi fai andare a letto col tuo fidanzato o ti licenzio), semplicemente le avevo fatto un’offerta, denaro in cambio di una notte con Enrique. E lei aveva accettato, per cui non riuscivo a vedere dove fosse il problema.  
   Forse l’unica cosa che mi si poteva rimproverare era il fatto di aver sputato sul piatto dove avevo mangiato, nel senso che avevo detto ad Antonella che il suo fidanzato non era stato granché. In effetti questa cosa avrei potuto anche risparmiarmela. Sì, era vero che andare a letto con Enrique non mi aveva lasciato niente, ma potevo anche evitare di dire quella cosa. Magari alla sua domanda avrei potuto rispondere semplicemente: è andata bene, grazie. E invece no, avevo risposto in quel modo davvero inappropriato.
   Forse avevano ragione le mie commesse del negozio di intimo, le quali mi consideravano arrogante e presuntuosa, e anche un po' stronza.
   Verso ora di pranzo mi telefonò mia madre. Anche lei voleva sapere com’era andata.
   “E allora, maiala che non sei altro” mi disse. “Com’è andata la monta?”.
   “Tutto sommato bene, ma ho avuto esperienze migliori. Non mi sento pienamente soddisfatta”.
   “Lo credo bene, solo Berni riusciva a soddisfarti”.
   “In verità Berni non è mai stato un fenomeno a letto”.
   “Può essere, però almeno era il tuo uomo. Anche se le sue prestazioni, come dici tu, non erano eccelse, quantomeno ti amava. Molto spesso il piacere di una scopata dipende anche da questo. Rassegnati Moana, tu sei come me, non sei fatta per la poligamia. Va bene divertirsi ogni tanto, farsi qualche scappatella, fare delle nuove esperienze, però poi alla fine quello di cui abbiamo bisogno è di un partner con cui condividere nel bene e nel male il percorso della nostra vita”.
   Cazzo, mia madre aveva ragione. Ero proprio come lei, nonostante facessi fatica ad ammetterlo. Avevo bisogno di qualcuno accanto, e probabilmente era questo il motivo della mia insofferenza. Lei in realtà ne aveva due di uomini, come ben sapete, il mio papà biologico e il papà che mi aveva cresciuta, e lei non aveva mai potuto farne a meno, né dell’uno né dell’altro. E spesso l’avevo criticata per questo, accusandola di essere succube di loro, soprattutto del mio papà biologico, per il quale era arrivata anche a tatuarsi l’iniziale del suo nome dietro il collo, quasi come se quella lettera fosse una dimostrazione del fatto che lei apparteneva a lui, come un oggetto, un giocattolo del piacere.
   Ebbene, a questo punto non potevo fare altro che ammettere che anche io appartenevo a qualcuno, anche io come mia madre ero una donna oggetto. Ero una bambolina del sesso come lei e dovevo rassegnarmi a questo. Era solo una parvenza la mia, da super donna che non ha bisogno di niente e di nessuno. E invece non era vero. Altrimenti non si spiegherebbe il motivo per cui nonostante la rottura con Berni io gli abbia permesso di continuare a condividere l’appartamento con me. Lo avevo fatto perché inconsciamente avevo bisogno di lui. Ecco perché sentivo quel senso di vuoto e di insoddisfazione dentro.

Moana.

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