martedì 18 dicembre 2018

È lecito ogni tanto

commettere qualche peccato.

(in foto: Emily Kae, FTVGirls.com)


[postato da Moana]

   Al negozio dissi che mi sarei assentata per tutto il giorno, e le mie commesse pur senza dimostrarmelo apertamente, non potettero che esserne felici. Quando non c’era “la cagna”, così mi chiamavano, erano libere di fare quello che volevano, tipo smanettare ininterrottamente con l’i-phone. Mi ero concessa un giorno per passarlo insieme a Pisellino, un amico di quando ero bambina, e che dopo tantissimi anni mi aveva contattato e mi aveva proposto di vederci. Lui veniva da Milano, con il treno ad alta velocità delle undici. Andai a prenderlo alla stazione, e mi chiedevo come avrei fatto a riconoscerlo, dal momento che l’ultima volta che lo avevo visto eravamo dei ragazzini.
   Sentivo che stavo facendo una cosa che non avrei dovuto fare. Ma perché? Che c’era di male in quello che stavo facendo? Non ero stata molto corretta nei confronti di Berni, perché non gli avevo raccontato nulla della visita di Pisellino. Per qualche oscuro motivo sentivo che lui non doveva saperlo. Ma a farmi sentire in colpa non era soltanto questo. Infatti il giorno prima, quando mi ero sentita per telefono con Pisellino, durante la nostra conversazione lui mi aveva chiesto: “ricordo che da bambina era bellissima, e scommetto che lo sei tutt’ora. Immagino che tu abbia un fidanzato”. E allora io gli ho risposto: “no, sono single”.
   Perché gli avevo risposto così, dal momento che non era vero? Non ne capivo il motivo. Avrei dovuto dirgli la verità, e cioè che avevo un fidanzato da cui avevo avuto una figlia stupenda. E invece avevo detto che ero single. Ecco perché mi sentivo in colpa, perché avevo detto una bugia, e mi ero comportata da cagna. Forse avevano ragione le mie commesse a chiamarmi in quel modo. Forse lo ero davvero.
   Ma un’altra cosa che non mi faceva sentire a posto con la coscienza era il modo in cui mi ero conciata per incontrare Pisellino; sembravo una puttana da marciapiede. Avevo una minigonna nera di pelle, ma così corta che dovevo spesso tirarmi giù per non rimanere con il sedere di fuori. Avevo i tacchi a spillo e un top bianco scollato in modo osceno, e siccome non portavo il reggiseno (non lo portavo mai, proprio come mia madre) ogni tanto le mie tette facevano capolino fuori. Ero conciata così tanto da troia che in stazione ad un certo punto mi si avvicinò un vigile urbano con un’aria inquisitoria e mi chiese cosa stavo facendo.
   “Cosa vuole che stia facendo?” gli risposi irritata. “Sto aspettando un amico”.
   “Conciata in quel modo?” continuò.
   “Perché? Cosa ho che non va?” allargai le braccia e guardai in basso, verso le mie cosce obiettivamente nude fino all’inverosimile.
   “Lei è a conoscenza del nuovo regolamento comunale che vieta di circolare con un abbigliamento indecoroso?”.
   “Ma indecoroso sarà il suo di abbigliamento, scusi” sbottai. “Ma come si permette? Ma chi si crede di essere per arrogarsi il diritto di giudicare il mio modo di vestire?”.
   In effetti avevo sentito parlare di quel nuovo regolamento comunale, che era stato concepito per contrastare il fenomeno della prostituzione, ma in verità credevo che non sarebbe mai stato applicato, perché secondo quale principio si può multare una persona in base al proprio abbigliamento? Chi è che stabilisce cosa è e cosa non è indecoroso?
   “Signorina, posso vedere i suoi documenti?” mi chiese ad un certo punto.
   “I miei documenti?!” ero nera dalla rabbia, avrei voluto mettermi a urlare e dirgli quanto inutile era quello che stava facendo nei miei confronti. Però poi pensai che se mi fossi messa a fare storie quello non se ne sarebbe più andato, e avrei peggiorato la situazione. E poi già ci guardavano tutti, e quindi volevo evitare di mettermi a fare una piazzata imbarazzante. “Ma tu guarda che…” non sapevo cosa dire, mi mancavano le parole, e nel frattempo mi misi a rovistare nella borsa alla ricerca dei miei documenti. “È assurdo. Ma per chi mi ha preso, per una puttana? Guardi che io sono una commerciante molto stimata”.
   Finalmente trovai i documenti e glieli mostrai. Lui prese nota delle mie generalità e nel frattempo io iniziai a sbuffare come una vaporiera. Ero nervosa e insofferente. Intanto intorno a me si era fatta una certa folla di curiosi. Un anziano mi chiese cosa stesse succedendo.
   “Succede che i vigili mi hanno scambiata per una puttana”.
   “Beh signorina, però anche lei…” rispose l’anziano, “se va in giro conciata in questo modo è più che normale”.
   “Ma come sarebbe a dire? Adesso non siamo neppure liberi di vestirci come ci pare? Il crimine dilaga e le forze dell’ordine pensano a perdere tempo con le ragazze che secondo il loro parere sono vestite in modo indecoroso. Ditemi voi se questa non è una follia”.
   Poi ad un certo punto il vigile mi presentò il conto da pagare: trecento euro per atti osceni in luogo pubblico. “COSA?!” esclamai. “Ma io non ho fatto niente! E se mi sgrillettavo davanti a tutti quanto dovevo pagare? Novecento euro?”.
   “Il reato di atti osceni è un reato di pericolo” precisò lui. “Non è necessario che l’offesa al pudore pubblico si verifichi, è sufficiente la possibilità che accada”.
   “Ok, ok. Non ho bisogno delle sue lezioncine di giurisprudenza spicciola” mi ficcai la multa nella borsa e continuai a borbottare mentre lui si allontanava. “Che mondo marcio! Trecento euro soltanto perché stamattina ho deciso di indossare la minigonna”.
   Ovviamente la multa l’avrei contestata, perché non mi andava di pagarla dal momento che ero quasi certa di non aver commesso alcun reato. E mentre la folla di curiosi che si era radunata intorno a me si disperdeva io continuavo a imprecare pesantemente, fino a quando sentii qualcuno alle mie spalle che mi chiamava. Mi girai. Era lui, Pisellino, e mi mancò il respiro per quanto era bello; un adone, uno stallone da monta pronto a soddisfare qualsiasi donna, anche la più esigente. E mi dimenticai della multa, perché adesso l’unica cosa che volevo era essere sua.
 

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