giovedì 6 dicembre 2018

Conoscersi un po'

prima della monta. 


[postato da Rocco]

   Dopo quel primo approccio cercai di conoscere meglio Miriam. Sapevo così poco di lei, e anche del suo Marco. Era stato tutto così rapido che a nessuno era venuta la curiosità di sapere qualcosa l’uno dell’altro. E allora mi feci avanti io, anche se in realtà le risposte che mi diede furono piuttosto evasive. Erano pur sempre una coppia scambista, per cui credo che ci tenessero a preservare una certa riservatezza. Non ne capivo, perché io e Beatrice non avevamo mai fatto uno scambio di coppia, però forse si usava così. Cominciai a chiederle delle sue spalle, mi chiedevo perché fossero così larghe… stavo per dire “mascoline”, ma poi mi sono fermato, perché avrei potuto apparire ridicolo, d’altronde Miriam era pur sempre una transgender, quindi era naturale se il suo corpo conservava ancora alcune caratteristiche fisiche di quando era un uomo.
   “Ho praticato nuoto per molti anni” fu la sua risposta. Stavo per chiederle se lo aveva fatto prima o dopo del suo cambiamento, ma poi mi trattenni per paura di essere invadente. E allora le chiesi quale fosse la sua occupazione. Non c’era niente di male nel chiederle questa cosa, d’altronde io lo avevo detto cosa facevo di mestiere. E lei mi rispose che faceva la cantante lirica, ma non so per quale motivo subito pensai che fosse una bugia. Mi sembrava un mestiere troppo importante, e lei mi vide molto perplesso e allora me ne diede una prova, e cantò un’aria tratta da non so che, e aveva una voce meravigliosa, per cui probabilmente mi aveva detto la verità. L’aria durò quasi cinque minuti, in cui io rimasi imbambolato di fronte a quello spettacolo a cui stavo assistendo. E la sua voce era così roboante che arrivò perfino in giardino, e dopo aver eseguito il canto Beatrice e Marco applaudirono e fecero un po' di schiamazzi da stadio. Era stata clamorosa, quindi non c’erano dubbi sul fatto che aveva detto la verità.
   “E Marco? Di cosa si occupa?” le chiesi.
   “Marco è un liutaio. Ci siamo conosciuti un giorno che sono andata da lui perché volevo comprare un pianoforte. Ci siamo innamorati subito e poi abbiamo fatto l’amore la sera stessa. Marco è un dio a letto. Vedrai che tua moglie non resterà delusa”.
   “Ne sono certo”.
   “E tu invece? Come sei a letto?”.
   “Una frana” Miriam rise per la mia inaspettata risposta. Forse si aspettava che le dicessi che me la cavavo, e invece no, lo riconosco, sono un po' impacciato. Lo sono sempre stato.
   “Beh, questo lascialo giudicare a me” mi rispose, e a quel punto mi si avvicinò un’altra volta e si abbassò davanti a me, con la bocca all’altezza del mio cavallo che subito iniziò ad accarezzare da sopra i jeans, e in qualche attimo raggiunse forme considerevoli. E allora a quel punto mi tirò giù la lampo e me lo fece uscire fuori, imponente e maestoso, piantato davanti alla sua faccia, che reclamava la sua bocca, e lei a breve me l’avrebbe data. Lo prese con due dita alla base e lo esaminò in modo quasi scientifico, quasi come se mi stesse facendo una visita andrologica.
   “Però! Per essere una frana sei messo piuttosto bene. È enorme!”.
   “Sì ma è tutta scena. Non riesco a controllarlo, ecco qual’è il punto”.
   “Perché?” mi chiese.
   “Perché la durata di ogni mio amplesso è piuttosto modesta”.
   “E chi l’ha deciso quanto deve durare un amplesso? Se hai voglia di sborrare, fallo. Poi dopo si può sempre ricominciare daccapo. Non credi?”.
   “Sì certo, questo è vero. Però tu non consideri l’orgoglio maschile”.
   “L’orgoglio maschile, che parola vuota. Quando fai l’amore con una donna che ami te ne devi fregare di questa parola”.
   A quel punto mi diede qualche bacio sul glande e poi lungo tutta l’asta prima di prenderlo in bocca e farmi un pompino, che però non portò a conclusione. Ad un certo punto me lo rimise nei pantaloni perché disse che voleva conservare il mio sperma per il “dopocena”. Così, come potete ben immaginare, fui costretto a starmene con il cazzo dritto per tutto il tempo. Miriam mi aveva lasciato con una voglia di sborrare pazzesca. Non so se avete mai provato una sensazione del genere; questa cosa mi rese nervoso e taciturno per tutto il tempo, perché non pensavo ad altro che al mio appagamento. E Miriam ogni tanto, durante la cena, mi guardava e mi sorrideva, oppure mi faceva l’occhiolino, perché sapeva che stavo sbroccando, proprio per colpa sua, e sembrava che questa cosa la divertiva.
   Poi ad un certo punto non riuscii più a resistere. Dovevo farmela subito. E allora colsi l’occasione quando Miriam si alzò dal suo posto perché doveva andare a fare la pipì, e allora mi alzai anche io e inventai una scusa, e dissi che dovevo andare a controllare se avevo spento il forno. E così andai dietro di lei, e una volta entrati nel corridoio di casa che portava alle varie camere, lontano dagli occhi di Marco e di Beatrice, le presi i fianchi con entrambe le mani e lei ebbe un sussulto, la feci girare spingendola con il busto contro il muro. Le alzai il vestitino da sera e le abbassai il perizoma, dopodiché tirai fuori il mio attrezzo che era rimasto in tiro per tutto il tempo e glielo ficcai in culo. E lei si lasciò chiavare senza dire nulla, concedendomi il suo corpo in modo passivo, e io me ne appropriai. La posizione era piuttosto scomoda, ma ormai il mio cazzo era dentro, e non ne voleva sapere di uscire fuori dal suo condotto anale. E poi non avevo voglia di portarla in camera da letto. Dovevo averla, subito.
   Nel frattempo le baciavo il collo, e lei alzò la testa per lasciarmelo fare, e chiuse gli occhi perché quello che stavo facendo le piaceva. Poi ad un certo punto sentii quel brivido che preannuncia l’eiaculazione e iniziai ad inondarle il retto col mio seme e mi accasciai su di lei, affondando il mio viso nei suoi capelli profumati. La mia incredibile eccitazione si era placata, ma adesso mi sentivo in colpa, perché non ero riuscito ad aspettare. Lo dissi a Miriam e lei mi rispose di stare tranquillo, perché anche Marco e Beatrice non erano riusciti ad aspettare. Infatti aveva ragione; stavano facendo l’amore anche loro, in giardino, sul tavolo su cui avevamo appena consumato la nostra cena.

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