sabato 7 ottobre 2017

Addetto alla sicurezza cercasi.


   Come ho già detto in precedenza, era venuto il momento di assumere al negozio di intimo un addetto alla sicurezza. Erano infatti troppi i pazzoidi che spesso venivano attirati dai corpetti in lattice e dai perizomi esposti in vetrina. Una volta per esempio era entrato un tizio sulla cinquantina che aveva cominciato a bighellonare tra gli scaffali, poi senza dare nell’occhio si era spostato nella zona dei camerini e si era messo a spiare alcune ragazze che si stavano provando dei bodystocking. Io mi ero accorta di quello che stava succedendo e allora sono andata dal tizio e l’ho preso per il colletto della camicia e l’ho portato fuori dal negozio in malo modo. E lui che nel frattempo protestava, diceva di essere un cliente come tutti gli altri e che non stava facendo niente di male.
   “Niente di male? Ma se stavi spiando nei camerini! Vergognati, quelle ragazze avranno sì e no vent’anni, potrebbero esserti figlie”.
   Insomma, me la cavavo bene anche da sola, ma l’idea di avere un addetto per queste cose mi avrebbe tranquillizzata molto. E allora inserii un annuncio sul giornale: addetto alla sicurezza cercasi. Risposero all’annuncio in tanti, e quindi bisognava organizzare delle selezioni. Non è che potevo assumere il primo che capitava. E allora mi feci dare una mano dalle mie commesse. Lo avremmo scelto insieme. E infatti allestimmo il magazzino che avevamo alle spalle del negozio come una stanza per i colloqui con i candidati. Era un po' squallido, perché era pieno di scatoloni e merce invenduta, e poi c’era un divano e di fronte una scrivania, sopra la quale avevo montato una videocamera, con la quale avremo registrato tutto per poi alla fine valutare chi era il candidato più meritevole.
   A dirla tutta sembrava un po' uno di quei retrobottega inquietanti in cui vengono organizzati dei fantomatici casting per modelle, con aspiranti attricette e vallette prese alla sprovvista a cui si chiede di spogliarsi, di inginocchiarsi, di aprire la bocca e di iniziare a succhiare il cazzo del produttore di turno.
   Iniziammo a fare le selezioni il giorno stesso in cui l’annuncio era stato pubblicato. La sera, dopo aver chiuso il negozio, ci riunimmo tutte quante nel megazzino insieme al primo aspirante addetto alla sicurezza. Purtroppo non aveva alcuna speranza, ma nessuna di noi glielo disse, anche se eravamo all’unanimità concorde sul fatto che una possibilità gli andava data. Ma tutte sapevamo benissimo che era soltanto una perdita di tempo, perché  il tizio che si presentò era un fruscello alto alto ma secco che a momenti si spaccava in due. Cioè, bastava dargli una spinta che sicuramente quello sarebbe volato via dall’altra parte del centro commerciale. Non aveva il fisico adatto, per noi ci voleva uno cazzuto, uno che appena lo vedevi ti passavano via tutte le cattive intenzioni che ti eri messo in testa. Uno stallone da monta di razza, per intenderci. Ma comunque, anche il fruscello aveva il diritto di partecipare alle nostre selezioni. Quindi lo facemmo entrare in magazzino. Le mie commesse in tutto erano sei, e si erano disposte ai lati della scrivania, e io ero al centro, e guardavo verso il tipo mingherlino che stava seduto sul divano, in evidente stato di agitazione. Forse non si era mai trovato in una stanza chiusa insieme a sette maiale come noi. Chissà quali idee porche gli stavano passando per la testa; e ci guardava con la sua aria da stupido, con la sua sconcertante bruttezza, i suoi denti da sorcio. Attivai la videocamera e cominciammo a tartassarlo di domande. In principio erano domande di rito: nome, età, nazionalità, impieghi precedenti e così via. Poi man mano, aiutata anche dalle mie commesse, iniziavo a formulare domande sempre più particolari.
   “Sei fidanzato?”.
   E lui fece di sì con la testa.
   “L’hai mai tradita?”.
   E lui fece di nuovo di sì con la testa, ma questa volta facendo un sorriso beffardo, da uomo vissuto, da chi la sa lunga. E questo atteggiamento non piacque né a me né alle ragazze. Alcune di loro si fecero una risata, io invece continuavo a guardarlo in modo negativo. Avevo l’impressione che stessimo perdendo tempo, però poi pensai che tanto valeva continuare e divertirci un po' ai danni del sorcio.
   “E lei ti ha mai tradito?” gli chiesi.
   E lui fece di no con la testa. Non parlava molto, il sorcio, però faceva delle espressioni molto eloquenti, si esprimeva con i movimenti dei muscoli del viso. E in quel momento sembrava che stesse dicendo: “lei tradire me? Non lo farebbe mai. Come si può tradire uno stallone da monta come me?”.
   “Sembri molto sicuro di te, nonostante il tuo aspetto sgraziato” dissi e le mie commesse scoppiarono a ridere. “Ma come fai ad essere certo che lei non si sia mai fatta montare da un altro uomo? Eppure ce n’è tanti di cazzi in giro, perché lei dovrebbe accontentarsi solo del tuo? Cosa le puoi offrire in più rispetto a quello che potrebbero offrirgli gli altri uomini?”.
   “Ho molte qualità nascoste” rispose lui facendomi l’occhiolino e di conseguenza provocando una certa dose di ilarità tra tutte noi.
   “Benissimo” dissi, “e allora mostrale. Mostraci quali sono queste tue qualità. Spogliati. Non vediamo l’ora di scoprire lo stallone da monta nascosto sotto quei vestiti”.
   Le ragazze proruppero in una risata irrefrenabile, e il sorcio iniziò a spogliarsi davanti ai nostri occhi fino a quando si tolse pure le mutande e ci fermammo tutte a guardare con le bocche aperte e gli occhi spalancati. Nessuna di noi aveva mai visto un’anaconda del genere. Era un attrezzo davvero fuori misura, che andava contro tutti i principi della natura e della fisica. Una terza gamba a tutti gli effetti, un mostro addormentato di cui non riuscivamo neppure a immaginare le dimensioni che poteva raggiungere una volta raggiunta la massima erezione. Eravamo senza parole e lentamente ci avvicinammo in modo solenne al toro spinte da una curiosità puramente scientifica, anche se a dirla tutte un po' di acquolina in bocca ce l’avevamo tutte.
   “Cazzo, sembra un filone di suino” sussurrai.
   Il filone di suino era appunto un filone di carne di maiale che una volta avevo visto al ristorante di mio padre, che lui tagliava a fette per farci l’arista di maiale. La prima volta che l’avevo visto avevo pensato che sembrava un cazzo enorme. Gliel’avevo detto a mio padre e lui si era messo a ridere. Ma qui invece c’era poco da ridere, perché il sorcio (come lo avevamo impropriamente chiamato) il filone di maiale ce lo aveva per davvero. E il glande era grosso come il mio pugno. E allora iniziammo a toccarlo e ad accarezzarlo, quasi con venerazione. Lo afferrai da sotto, all’altezza del frenulo e lo tenni con decisione alzato in alto per guardarlo in tutta la sua magnificenza, mentre le ragazze accarezzavano l’asta e le palle.
   “Magari il mio fidanzato ce ne avesse uno così!” disse una delle mie commesse.
   “E che te ne faresti?” domandò un’altra. “Secondo me non riusciresti neppure a fartelo entrare dentro”.
   “Secondo me dovresti valutare l’idea di darti al porno” dissi.
   “O al mondo del circo” disse un’altra scoppiando a ridere.
   Continuammo a toccarlo e ad accarezzarlo, perché probabilmente non ci sarebbe capitata mai più un’occasione del genere. Era come trovarsi di fronte ad un qualcosa di straordinario, di sublime, e quindi di spaventoso e affascinante allo stesso tempo. E senza rendercene conto le nostre carezze lo fecero indurire come il marmo. Poi ad un certo punto iniziò a sborrare, e allora il nostro stupore raggiunse livelli davvero improbabili; sembrava una fontana, nessuna di noi pensava che un uomo potesse schizzare così tanto, e in qualche secondo per terra si fece un vero e proprio laghetto di sperma. Uno schizzo, molto più intenso degli altri mi raggiunse in piena faccia. C’era sperma dappertutto, era una scena così surreale che quando smise di eiaculare eravamo tutte disorientate e incapaci di esprimere un qualsiasi tipo di giudizio.
   “Molto bene” dissi togliendomi la sborra dal viso con le mani. “Devo dire che è stato un colloquio molto istruttivo. Direi che per il momento è tutto. Ti faremo sapere l’esito delle nostre valutazioni”.

Moana. 
   

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