giovedì 5 ottobre 2017

La mistress che è in me. 


   Devo ammettere che non volendo quel giorno ero vestita un po' da mistress, nel senso che senza farlo apposta avevo indossato i leggings neri di pelle e un corpetto che mi stringeva in vita e mi strizzava le tette. Ma era stato un puro caso, chi avrebbe mai immaginato di dover fare la mistress per davvero. Di solito non mi vestivo in quel modo; di solito (e credo che ormai lo sapete tutti) preferivo andare in giro con abiti succinti, ma mai con quel tono aggressivo che avevo deciso di adottare quel giorno. Però ogni tanto è bene anche cambiare look, e infatti avevo deciso di provare qualcosa di nuovo, ignara di quello che sarebbe accaduto nel corso della giornata.
   Nell’ascensore dell’albergo chiesi ancora una volta a Romolo se fosse sicuro di quello che mi aveva chiesto.
   “Certo, non desidero altro”.
   “Non è che adesso mi porti in camera e cerchi di violentarmi? No perché in tal caso ti avverto che ti do talmente di quei calci nel culo che ti faccio vomitare merda fino all’anno prossimo”.
   “Non mi permetterei mai di farti del male, mia madonna”.
   “Ah bene, anche perché non ti conviene. Te l’ho già detto, io picchio duro, picchio per fare male davvero”.
   Romolo era innocuo, lo sapevo benissimo. Era quel tipo d’uomo che non avrebbe fatto del male a nessuno. Era quel genere d’uomo, per intenderci, che più che montare preferiva guardare. Un passivo patologico. Però era giusto mettere le carte in tavola. Se avesse provato a farmi qualcosa, tipo a toccarmi, gli avrei dato talmente di quei calci in faccia da cambiargli i connotati.
   E così arrivammo in camera, una stanza lussuosa con tutti i comfort che però a noi non servivano. A noi serviva soltanto uno spazio dove eseguire la pratica del ballbusting, come la chiamano gli addetti ai lavori. Ma io non sapevo precisamente cosa fare, e allora restai in piedi con i pugni contro i fianchi a guardare Romolo, in attesa di delucidazioni.
   “Adesso cosa dovrei fare?” chiesi. “Spogliarmi?”.
   “No, tu no. Io invece sì”.
   “E allora che aspetti? Spogliati”.
   Il fatto che volesse che io rimanessi vestita era un chiaro segnale che Romolo adorava essere sottomesso. Il fatto che la donna sia vestita e l’uomo no denota chiaramente che c’è una posizione di superiorità di lei sul maschio. E Romolo voleva proprio questo, voleva rendersi inferiore rispetto a me, e allora si tolse la giacca, poi la cravatta e tutto il resto, fino a restare in mutande. Aveva un fisico orribile, tozzo e sgraziato, e praticamente non c’aveva culo. Insomma aveva il fisico di uno scaldabagno.
   Ebbi l’impressione che per togliersi le mutande aspettasse un mio comando. Però dovevo farlo in modo sgarbato, dovevo insomma calarmi nei panni di una vera mistress. Lo guardai, aveva un espressione da ebete, insomma ti veniva proprio voglia di prenderlo a calci nelle palle. Ma in verità non ero abbastanza arrabbiata per farlo. Infondo che male mi aveva fatto per meritarsi una cosa del genere?
   “Le vuoi tirare giù quelle mutande o no? Sennò facciamo notte” gli urlai.
   A quel punto Romolo se le tolse e vidi il suo cazzetto innocuo penzolare verso il basso.
   “Tutto qui? Certo che sei messo proprio male. Sembra un lombrico in agonia. Però hai delle belle palle grosse” dicevo la verità, sotto al suo cazzetto moscio c’erano due palle enormi. Probabilmente si erano gonfiate come zampogne a forza di calci. “Ma davvero l’hai già fatto prima?”.
   “Sì, tranquilla. Con delle puttane”.
   “Ah sì? Quindi hai pagato. È assurdo. Come può un uomo pagare una donna per farsi dare i calci nelle palle? Non riesco proprio a capire. Cioè, voglio dire, potresti avere tutto questo” dissi sfiorandomi il corpo con le mani, dalle tette fino al sedere. “E dico potresti avere, perché non è detto che io sia disposta a dartelo, e invece tu vuoi da me soltanto dei calci nei coglioni. Secondo me dovresti farti curare da uno psicologo molto bravo. Comunque se è quello che vuoi… cominciamo”.
   Iniziai a sciogliermi i muscoli come fanno i pugili prima di un incontro, quindi saltellando e facendo roteare il collo. Quella situazione mi divertiva fino all’inverosimile. Non provavo alcuna compassione per lui, semmai ero soltanto un po' preoccupata per la sua salute. Avevo paura di mandarlo in ospedale. Però per quanto mi riguarda era un gioco che assolutamente volevo provare; non c’era nulla di eccitante, insomma la mia fighetta era asciutta come il deserto, perché quello che stavo per apprestarmi a fare non faceva neppure il solletico alla mia libido. Era qualcosa che non mi eccitava neanche un po'; non sentivo per esempio quel ribollire che avvertivo ogni volta che mi apprestavo a fare un pompino, o ogni volta che un uomo mi leccava il buco del culo. Non riuscivo ad eccitarmi neanche un po', però ero divertita, quasi come una bambina che viene portata alle giostre. Ecco, mi sentivo come sulle macchinette dell’autoscontro, sentivo quell’eccitazione che preannunciava un emozione devastante, come quando punti un’altra macchinetta e allora gli vai addosso per fargli più male possibile, e allora ti sale quell’eccitazione irrazionale, che è un misto tra la paura di farti male e il desiderio di infliggere dolore.
   E allora sferrai il primo calcio, diretto, sotto i testicoli, le sue palle morbide contro i miei piedi duri come la roccia. Romolo si piegò in due dal dolore e si lasciò cadere con le ginocchia a terra e lanciò un urlo terribile e straziante, tanto che mi salì il cuore in gola per la paura di avergli fatto davvero male. Forse avevo fatto troppo forte. E se gli avevo procurato qualche danno permanente? Pensai. Andai nel panico. Quella faccenda sarebbe finita sui giornali, e già vedevo i titoli in prima pagina: “puttana prende a calci nelle palle un suo cliente e lo castra”. 
   “Oh mio dio, scusa!” mi chinai su di lui per vedere in che condizioni era, gli presi le palle in mano e gliele massaggiai. “Non volevo colpire così forte. Scusa”.
   “È tutto ok” rispose con un filo di voce. “È bellissimo. Continua”.
   “Ma sei sicuro?” gli chiesi. “Va a finire che te le rompo”.
   “Continua, ti prego” disse, e poi si rimise lentamente in piedi, rimettendosi nella stessa posizione di prima, cioè con le gambe aperte e le mani allacciate dietro il sedere, in attesa del mio prossimo attacco.
   Mi accorsi con un certo stupore che gli era venuta un erezione pazzesca. Ce l’aveva fieramente dritto, con il glande gonfio e rosso che puntava verso di me. Fieramente eretto e duro come una spada, quasi come se mi sfidasse, quasi come se mi stesse dicendo: “non mi hai fatto nulla troia, anzi mi stai facendo arrapare”. Ma come cavolo era possibile, mi chiedevo, che un uomo potesse avere un erezione dopo che una donna gli aveva appena martoriato i coglioni con un calcio? Eppure era possibile eccome, e la prova ce l’avevo davanti agli occhi. Il membro di Romolo era lì, orgogliosamente eretto, con una gocciolina di liquido pre-eiaculatorio in cima che scintillava sotto la luce del lampadario della stanza.
   A quel punto accettai la sfida del membro di Romolo, e allora mi preparai al secondo calcio e mi misi in posizione da pugile, facendo ballare i pugni in aria e poi sferrai l’attacco. E ancora una volta il mio piede incontrò le sue palle percuotendole senza ritegno, e anche questa volta Romolo si piegò in due dal dolore, e si lasciò cadere a terra completamente, con le gambe e le braccia aperte. Questa volta non fui presa dal panico come era stato per il primo calcio, nonostante avessi colpito con ancora più decisione e violenza.
   Mi avvicinai al suo corpo e lo punzecchiai col piede sperando in una sua reazione, ma invece lui rimase lì a contorcersi sul pavimento. E allora iniziai a pensare che questa volta l’avevo fatta proprio grossa. Forse era meglio se chiamavo un’ambulanza.
   “Romolo, sei vivo?” gli chiesi. “Di’ qualcosa”.
   “È meraviglioso” sibilò. “Non ho mai goduto così tanto”.
   “Vuoi sborrare?” gli domandai guardando la sua erezione, così gonfia che era evidente che a breve avrebbe cominciato a schizzare. Romolo mi fece di sì con la testa, e allora gli appoggiai il tacco della scarpa sul frenulo e feci una leggera pressione, e tenni premuto per qualche secondo, e non vedendo alcuna reazione schiaccia maggiormente, quasi fino a fargli entrare il tacco dodici nella carne. A quel punto uno schizzo di sborra fuoriuscì con un getto violento e si posò sulla pancia, in prossimità dell’ombelico, poi subito dopo ne uscì un’altro, e poi un altro ancora, in tutto erano cinque schizzi di un’intensità stupefacente. Non appena mi fui appurata di avergli fatto cacciare tutto fuori allora tolsi il tacco dal suo frenulo. Andai verso la mia borsetta e presi dei clinex che portavo sempre con me. In tutto questo lui era ancora lì sul pavimento, quasi agonizzante, privo di conoscenza, con gli occhi spalancati nel vuoto, come un tonno dopo la mattanza. Presi un clinex e glielo buttai sul petto con sdegno.
   “Tieni, datti una pulita, verme” misi la borsetta sotto braccio e raggiunsi la porta. Iniziavo a prenderci gusto a fare la mistress. Avevo appena scoperto un lato della mia personalità che ignoravo completamente. “Io devo ritornare a lavoro. Non sono mica come te che non fai un cazzo dalla mattina alla sera”.
   E così me ne andai, lasciando Romolo sul pavimento, tramortito dal trattamento che gli avevo riservato.

Moana.

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