martedì 3 ottobre 2017

Calci nelle palle. 

(in foto: Russian-Mistress.com)

 
   Certo che avevo sentito quello che si erano detti Berni e Joe, ma non ne capivo il senso. Sembrava a tutti gli effetti una sfida, e io ero il trofeo da vincere. Non riuscivo proprio a immaginare cosa sarebbe successo nei prossimi giorni. Non facevo che pensare a quello che avevo sentito, anche a lavoro, cercavo di dare un senso a quella faccenda ma non ci riuscivo.
   Ero lì che stavo facendo l’ordine per il fornitore quando ad un certo punto qualcuno entrò in negozio con un grosso mazzo di fiori per me. Non era la prima volta che lo faceva. Era un commerciante d’arte che si era preso una bella cotta per me, e molto spesso veniva ad omaggiarmi con dei fiori o delle scatole di cioccolatini. Era un essere rivoltante, non perché fosse brutto, perché poi la bruttezza e la bellezza sono cose soggettive, ma perché era viscido. Da uno come lui non mi sarei fatta toccare nemmeno con un dito. E gliel’avevo detto già centinaia di volte, e nonostante questo lui continuava a venirmi dietro.
   Era sempre ben vestito, indossava sempre la giacca e la cravatta, ed era  fastidiosamente pedante e logorroico. Ripeteva sempre le stesse cose, e cioè che avevo dei piedi stupendi. Era ossessionato dai miei piedi, e non capivo perché. Insomma, non per vantarmi, ma avevo un culo che era un capolavoro e invece lui non me lo guardava neppure, lui era pazzo dei miei piedi. I feticisti non li capirò mai.
   E poi ogni volta per farmi dei complimenti mi paragonava a delle madonne che stavano nei quadri di Raffaello o di chissà quale altro pittore morto più di seicento anni fa, e mi descriveva quei quadri nei minimi particolari per poi arrivare alla conclusione che io ero come loro, come quelle madonne lì. E ogni volta io gli dicevo che ero troppo indaffarata per dargli ascolto, e quindi lo mandavo via. Ma poi magari lui il giorno dopo si ripresentava e riattaccava la pippa, che io ad esempio ero come la Maddalena nella pala Baglioni di Raffaello. Era ossessionato con questa Maddalena della pala Baglioni, e diceva che le somigliavo tantissimo. Tant’è che una sera me la andai a cercare su Internet questa Maddalena di Raffaello, ma devo dire che non ci somigliavo neppure un po'.
   Insomma lui era uno dei miei ammiratori più noiosi. Si chiamava Romolo e aveva trentotto anni. Ho sempre odiato i saccenti, quelli che mettono in mostra il loro sapere. Ho sempre pensato che in realtà non sapessero un cazzo, e che conoscevano soltanto quattro stronzate e allora si pavoneggiavano di quel piccolissimo bagaglio culturale di cui erano in possesso. Romolo era uno di questi.
   Come vi stavo dicendo, anche quel giorno venne in negozio donandomi l’ennesimo mazzo di fiori. Non ne potevo più di ricevere fiori, non sapevo più dove metterli. Ne avevo la casa piena. Poi tempo un paio di giorni e morivano e quindi dovevo buttarli al secchio della spazzatura.
   “Ancora fiori!” esclamai non appena vidi Romolo. “Quante volte ve lo devo dire? Smettetela di regalarmi fiori. Sono stanca di vederli morire”.
   “Come sei bella oggi Moana” mi disse con quel suo sorriso da demente. “Assomigli alla Madonna della Serpe di Caravaggio, che con il suo piede angelico schiaccia il serpente simbolo del peccato originale. Allo stesso modo io vorrei che i tuoi dolci piedi schiacciassero il peccato che alberga dentro di me”.
   “Ma falla finita!” risposi bruscamente. “Non vedi che sono impegnata? Credi davvero che non ho nulla di meglio da fare che starti a sentire?”.
   “Oggi i tuoi piedi sono più radiosi del solito”.
   Mi guardai i piedi, indossavo delle scarpe nere col tacco dodici, e in effetti non erano niente male, ma ancora non capivo del perché i miei piedi fossero per lui così importanti.
   “Ascolta Romolo, ma me lo dici una volta per tutte cosa vuoi da me?” stavo incominciando a perdere la pazienza, e pensai che fosse giunto il momento di assumere un addetto alla sicurezza per mandare via questi pazzoidi. Magari uno stallone da monta nero alto tre metri.
   “Da quando ti ho vista, e soprattutto da quando ho visto i tuoi piedi, non faccio che pensare a te. Dentro sento un desiderio, una passione incontrollabile, un furore erotico che mi riconduce sempre allo stesso pensiero. Io vorrei...”.
   “Vorresti scoparmi” conclusi.
   “No, vorrei che mi prendessi a calci nelle palle”.
   “COSA!?” non potevo credere a quello che avevo appena sentito e scoppiai a ridere piegandomi in due. Non riuscivo a smettere, stavo per perdere i sensi, era la cosa più divertente che avessi mai sentito. Ma lui invece sembrava serio, e non si scompose di fronte a quella mia reazione, e mi guardava con un sorriso stupido sul viso in attesa di una mia risposta. Ma ridevo così tanto che non riuscivo a dire nemmeno una parola. Avevo le lacrime agli occhi e cercai di darmi una controllata, perché Romolo non stava scherzando. Quella era la conferma definitiva che era un pazzoide.
   “Ma dici davvero?” chiesi.
   “Sì, è tutto quello che ti chiedo, di prendermi a calci nelle palle”.
   “Guarda che se io comincio a darti i calci nelle palle va a finire che i coglioni te li faccio arrivare in bocca. Io quando picchio non scherzo, picchio forte”.
   “Devi picchiare forte”.
   Stava facendo sul serio. Devo ammettere che l’idea di prendere a calci nelle palle un uomo mi allettava parecchio. E quando mi ricapitava un occasione del genere? Poteva essere un’esperienza esilarante, la cosa più divertente che mi fosse mai capitata, per non parlare del fatto che era una buona occasione per sfogarmi un po'. Certe donne per sfogarsi vanno a fare palestra, e io invece potevo distruggere le palle di Romolo a pedate.
   C’era un problema però, ovvero come facevo a sapere che Romolo non fosse una persona con dei disturbi psichici? Non era una cosa giusta da fare approfittarsi di una persona debole. E poi rischiavo davvero di fargli male. Insomma, si trattava pur sempre di prendere a calci nelle palle un uomo. Ero molto dubbiosa sul da farsi.
   “Ma sei proprio sicuro? Non è che finisci in ospedale e mi denunci?”.
   “L’ho già fatto altre volte con delle puttane”.
   “Ok, se è quello che vuoi ti accontenterò volentieri. Vedrai, ti disintegrerò le palle a pedate”.
   Certo non potevamo farlo lì in negozio, davanti agli occhi di tutti, così lui mi propose di andare in albergo. E allora dissi alle mie commesse che mi sarei assentata per qualche oretta, e Romolo mi portò in un albergo che stava sulla via centrale della città, l’Hotel Roma, un albergo esclusivo dove ci andava la gente facoltosa. Ma d’altronde Romolo di soldi ne aveva, e pure tanti. E poi non era sposato e non aveva famiglia, quindi non sapeva neppure che farsene di tutto il suo denaro.
   Ero eccitatissima all’idea di quello che stavo per fare. Lo sapete, io sono una persona molto curiosa, e quindi mi imbatto in ogni tipo di esperienza. E questa batteva di gran lunga tutte le esperienze più strane che mi erano capitate.

Moana. 

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