venerdì 27 ottobre 2017

Seghe e videogames.

(in foto: Gogo, CosplayErotica.com)


   L’impegno che avevo preso con mia sorella Margherita avrebbe colmato le mie giornate vuote. Suo figlio sarebbe venuto a stare con noi con la speranza che la lontananza da casa lo avrebbe fatto crescere. Sì perché Erri era un eterno bambino nonostante i suoi diciotto anni, e la causa di questa sua mancata maturazione era proprio sua madre che lo aveva cresciuto preservandolo da ogni possibile rischio. Per esempio non lo aveva mai mandato a giocare in strada insieme agli altri ragazzini, perché aveva sempre avuto paura che potesse essere preda di ragazzini violenti.
   Io invece avevo lasciato sia Rocco che Moana liberi di scorrazzare nelle strade insieme agli altri coetanei, fregandomene che potessero avere delle brutte esperienze, perché ero dell’idea che le brutte esperienze servano a formare il carattere di tutte le persone. Ovviamente parlo di “brutte esperienze”, non di “esperienze tragiche”. È ovvio che quando i miei figli erano in strada sentivo un po' di ansia per la paura che potessero finire sotto ad una macchina o chissà che altra sciagura. Però erano rischi che bisognava correre, altrimenti sarebbero diventati come Erri, cioè dei perfetti imbranati. Il mondo è infame, ed è quindi giusto che i bambini imparino a difendersi dalle angherie e dalle ingiustizie che la vita gli preserva.
   Quindi mia sorella Margherita mise suo figlio su un treno e lo spedì da me. Lo andai a prendere alla stazione in macchina; non vedevo Erri da parecchi anni, ma non mi sembrava molto diverso dall’ultima volta. Aveva sempre la solita aria da stupido. Aveva sul viso degli occhiali con la montatura nera, con al centro una striscia di nastro adesivo bianco; probabilmente qualche bulletto glieli aveva rotti. Vogliamo parlare di come era vestito? Davvero imbarazzante. Aveva una camicia a quadri tipo quelle dei boscaioli, pantaloni felpati marroni e mocassini color panna ai piedi. Era un vero pasticcio. Pensai che tanto per cominciare sarebbe stata una cosa buona e giusta accompagnarlo a comprare dei vestiti più decenti.
   Comunque mi comportai da buona zia e andai verso di lui ad abbracciarlo, e lui sembrava un pezzo di legno. Io lo baciai dappertutto e lui niente, impassibile.
   “Tesoro mio!” dissi mentre gli riempivo il viso di baci. “Come stai?”.
   “Bene”.
   “Hai fame?” gli chiesi, e lui fece di sì con la testa. “E allora andiamo a casa che ho preparato una teglia di pasta al forno veramente speciale”.
   Erri si era portato con se tutto l’occorrente per sopravvivere, ovvero la sua console per i videogiochi e il suo computer portatile con cui collegarsi a Internet e farsi la sua dose giornaliera di porno, come ogni ragazzino della sua età. Dovevo soltanto sperare che fosse un ragazzo pulito, perché comprendevo bene le sue esigenze “fisiologiche”, ma non mi andava di raccogliere la sua sborra dal pavimento o da chissà quale altra superficie. Comunque avevo pensato anche a questo, e allora nella stanza che gli avevo allestito gli avevo lasciato una confezione di clinex. così non avrebbe avuto problemi a pulirsi dopo aver esplicato le sue “faccende maschili”, e io non avrei trovato i suoi schizzi dappertutto.
   Non appena entrammo in casa Lex, il mio nuovo fedelissimo amico a quattro zampe, venne verso di noi scondinzolando e subito si mise a odorare i pantaloni di Erri, probabilmente per capire se poteva fidarsi di lui. Dopo aver appurato che non era una minaccia allora venne da me e prendendosi la sua dose di carezze. A quel punto portai Erri a vedere la stanza in cui sarebbe stato per qualche tempo, e la prima cosa che fece fu collegare la sua consolle allo schermo al plasma. Si accertò che tutto funzionasse correttamente e poi mi chiese la password per il wi-fi.
   Era un caso clinico. Erri mangiò la pasta al forno che avevo preparato in fretta e furia e poi si barricò nella sua stanzetta e non lo vidi più per tutto il pomeriggio. Ogni tanto mi accostavo alla porta per controllare cosa stesse facendo, e allora sentivo rumori di spari e esplosioni (quando stava giocando con la consolle) oppure sentivo donne che simulavano orgasmi incredibili (quando era lì a farsi la sua dose quotidiana di porno).
   Quella sera in via del tutto eccezionale venne Giuliano a casa. Di solito ero io che andavo da lui, però quella sera Stefano mi aveva detto che avrebbe tardato più del solito, perché al ristorante aveva organizzato una cena con i suoi dipendenti che probabilmente sarebbe andata avanti fino a notte inoltrata. E così Giuliano aveva deciso di colmare il suo posto nel letto con la sua presenza, premurandosi di andare via prima del suo rientro.
   Giuliano ancora non sapeva nulla di Lex, il mio nuovo fedele amico a quattro zampe, e infatti quando entrò in casa ci fu una scena tipo mezzogiorno di fuoco. Lex guardò il papà di Moana con diffidenza e gli mostrò o denti, quasi come se provasse una forte gelosia nei suoi confronti, come se sapesse che Giuliano era venuto per me, per farmi sua, e a Lex sembrava non andare a genio questa cosa. Insomma, Lex si era autoeletto la mia guardia del corpo, e non avrebbe permesso a nessuno di farmi del male. E Giuliano sembrava terrorizzato, come se stesse pensando che Lex avrebbe potuto riversare tutta la sua ferocia su di lui da un momento all’altro. E vista la sua stazza spaventosa lo avrebbe certamente fatto a pezzi.
   Lex abbassò la guardia soltanto quando gli feci una carezza e gli dissi di stare buono, perché Giuliano era un amico di cui poteva fidarsi. E allora a quel punto andò verso di lui scondinzolando e girandogli intorno in attesa di un gesto che potesse fargli capire che poteva fidarsi per davvero, e ma Giuliano era troppo spaventato e quindi non aveva il coraggio di muovere un dito.
   “Ti conviene accarezzargli la testa se vuoi fargli capire che non sei una minaccia” gli dissi.
   A quel punto Giuliano si fece coraggio e accarezzò la testa di Lex, il quale assicuratosi che poteva fidarsi di lui se ne andò via in modo spavaldo e uscì sul terrazzo.
   Giuliano mi chiese come mai avevo preso proprio un alano come animale di compagnia e non un innocuo barboncino. Io gli risposi che non ero stata io a scegliere lui, bensì era stato lui a scegliere me. In effetti era stato lui che al canile mi era venuto incontro e mi aveva conquistato con il suo affetto leccandomi una guancia.
   “Affetto?” mi chiese lui. “Ma come fai a parlare di affetto? Lex è una macchina da guerra, e le macchine da guerra non provano affetto”.
   “Quanto ti sbagli tesoro. Lex cerca solo di difendere il suo territorio… e la sua nuova mamma”.
   “Tu non sei la sua mamma” obiettò lui.
   “Sì che lo sono. Sono la sua mamma adottiva” dissi divertita.

Sabrina.

1 commento:

  1. non vedo l'ora che sabrina aiuti il nipotino a lasciarsi andare con le sue tettone meravigliose!! già mi immagino la scena da sega colossale!

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