sabato 1 settembre 2018

Travolti da un insolito destino...

...XXX Parody, Terza Parte.


[postato da Moana]

   E così ero costretta a lavare il costume di Barbara, perché lei questa volta aveva il coltello dalla parte del manico, lei era la predatrice in grado di procurarsi da mangiare, io invece no, e quindi dovevo sottostare alle sue richieste. In principio andava tutto bene, nel senso che io ubbidivo ai suoi ordini e lei mi dava da mangiare. Ma poi un giorno cominciò a diventare terribilmente aggressiva.
   Ero al fiume a lavare il pezzo di sotto del suo costume quando ad un certo punto lei mi venne dietro e mi appoggiò un piede su una natica e mi diede una spinta facendomi cadere nell’acqua. Quando le chiesi spiegazioni sul motivo per cui mi aveva fatto quella cosa lei mi rispose che lo aveva fatto perché aveva notato che io, nonostante fossi in una posizione di inferiorità, la guardavo con un’insopportabile insofferenza.
   “Io esigo rispetto da parte tua” mi disse, “altrimenti puoi scordarti il cibo che ti procuro”.
   “Ma io ho molto rispetto per te, Barbara” le risposi, ma ero così piena di rabbia che la voce mi uscì attraverso i denti che stavo digrignando in modo minaccioso.
   “Beh, dimostramelo” a quel punto Barbara piegò una gamba verso di me, aveva le gambe molto lunghe e lisce come la seta, e i piedi con le dita ben curate. E me ne mise uno davanti alla faccia e mi disse di baciarglielo. A quella richiesta spalancai gli occhi dallo stupore. Non potevo credere che mi stesse chiedendo di farlo. Ma non avevo scampo; se volevo continuare a sfruttare le sue sorprendenti capacità nel procurarsi da mangiare allora dovevo baciarle il piede che mi stava puntando davanti alla bocca.
   “Non puoi chiedermi questo, Barbara” piagnucolai. “Sei una mia dipendente, è ridicolo”.
   “Tu sei ridicola” rispose. “E adesso baciami il piede senza fare troppe storie”.
   A quel punto avvicinai le labbra e le diedi un bacio a timbro, ma a lei non andava bene. Lei lo voleva con la lingua; e allora la tirai fuori e iniziai a percorrere tutte le dita, e poi me ne presi uno alla volta in bocca succhiandoli come se fossero piccoli cazzi da far godere. E lei allora mi disse che ero una vera cagna, nata per succhiare cazzi. E io continuai imperterrita nella mia operazione, fino a quando lei mi mise la pianta del piede sul viso e mi allontanò bruscamente facendomi capire che poteva bastare.
   Il giorno dopo pretese un’altra leccatina, ma non ai piedi, bensì ad un’altra parte del corpo. Io ero come al solito al fiumiciattolo a lavarle il pezzo di sotto del costume e lei si parò dietro di me, proprio come il giorno prima, ma questa volta non mi spinse nell’acqua, piuttosto iniziò a guardarmi in modo minaccioso, con i pugni premuti contro i fianchi.
   “Sai cosa mi fa incazzare di te?” mi chiese. “È il fatto che al negozio pretendi da noi che ti si lecchi pure il culo. E sai cosa ti dico? Che adesso me lo lecchi tu, il culo”.
   “Cosa?! Stai scherzando, vero?”.
   “Niente affatto” a quel punto si girò e mi diede le spalle e mi trovai il suo morbido culo da modella davanti alla faccia. “Avanti, comincia pure” e si piegò leggermente in avanti, cosicché le natiche si aprirono mostrandomi il suo buchetto stretto del condotto anale. Ero quasi certa che fosse ancora vergine, perché era ben chiuso. E io adesso dovevo leccarlo senza fare storie, perché era quello che mi stava ordinando di fare. E allora chiusi gli occhi, tirai un sospiro e cacciai fuori la lingua, e con la punta mi avvicinai lì in mezzo, lì dove nessuno uomo era mai penetrato (o almeno era una mia impressione, poi chissà, magari il suo fidanzato ci era entrato, ma io non potevo saperlo).
   In fin dei conti non era proprio un dramma; mi piaceva quello che stavo facendo, e lo facevo volentieri. D’altronde non era la prima volta che lo facevo. Lo avevo fatto anche a Berni, più di una volta, e anche ad altri uomini. E devo ammettere che farlo ad una donna era ancora più piacevole, perché la lingua batteva su una superficie più delicata, quasi liscia come la seta. Provate a farlo ad un uomo, e vi assicuro che la sensazione è completamente diversa. Ma il fatto che non mi andava giù era il ricatto che Barbara mi stava facendo. E io dovevo accettare per forza. Era questa posizione di inferiorità che avevo rispetto a lei a mandarmi al manicomio. Se ne approfittava perché avevo bisogno di lei, altrimenti col cavolo che le avrei fatto una cosa del genere.
   Comunque ad un certo punto mi disse che poteva bastare, e per non so quale motivo ne avevo ancora voglia, e allora rimasi appiccicata con la bocca al suo orifizio anale, e con le mani mi ancorai ai suoi fianchi e iniziai ad accanirmi maggiormente, succhiando e infilandole la lingua fin dentro, e lei con una mano mi allontanò con la forza.
   “Eh no, mia cara” mi disse. “Decido io quando è ora di smettere. Lo so che ne vorresti ancora, perché sei una troia. Però decido io quando potrai averne un altro po'”.
   Così mi allontanai da lei e restai immobile, seduta in riva al fiumiciattolo dove poco prima stavo lavando il suo pezzo di sotto del costume. Mi sentivo sconfitta, per la prima volta nella mia vita. E il bello è che sentivo che mi stava bene così. Sentivo una forma di piacevole sottomissione. Barbara era riuscita a domarmi. Nessun uomo ci era mai riuscito, e invece lei sì. Cosa ero diventata? Il suo giocattolo, con cui poteva fare tutto ciò che voleva. Io sapevo che non avrei reagito.
   In realtà il giorno dopo provai a reagire. Ebbi uno scatto di ira, e quando mi chiese di lavarle il costume per l’ennesima volta le dissi che non lo avrei fatto, e che quando saremmo tornate al negozio le avrei fatto pagare ogni cosa. E allora lei a quel punto mi colpì con uno schiaffo su una guancia, e io risposi alla stessa maniera, e lei mi saltò letteralmente addosso facendomi cadere per terra. Eravamo sulla spiaggia, in riva al mare, e il peso del suo corpo mi fece cadere con la schiena sul bagnasciuga, e lei si mise sopra di me a cavalcioni e iniziò a tempestarmi il viso di schiaffi, e io provai a ribaltarla, ma non ce la facevo perché lei era agile e scattante. Non riuscivo neppure a rendermi conto da dove venivano gli sganassoni, sapevo soltanto che me ne stava dando parecchi. Provai anche io a dargliene qualcuno, ma non ci riuscivo, perché avevo gli occhi chiusi e quindi colpivo a vuoto. Poi lei ad un certo punto mi afferrò i polsi e mi tenne ferma, e con il suo corpo nudo si accasciò su di me. Sentivo la sua figa calda contro la mia, i suoi seni contro i miei, e i suoi occhi a pochi centimetri dai miei. Iniziò a strofinare il suo inguine contro il mio, e quindi sentivo la sua peluria tagliata alla moicana sfregare contro la mia. A quel punto avvicinò la bocca alla mia e cominciò a baciarmi, infilandomi la lingua in bocca, ed era tutto così bello che smisi di ribellarmi e accettai con piacere di diventare sua, e di fare l’amore con lei, mentre le onde fresche del mare si infrangevano contro i nostri corpi nudi avvinghiati l’uno all’altro.

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