martedì 4 settembre 2018

Travolti da un insolito destino...

...XXX Parody, Quarta Parte. 


[postato da Moana]

   Gli ultimi giorni sull’isola li passammo in questo modo, a leccarci i buchi a vicenda e a fare del nostro meglio per procurarci da mangiare. E devo dire che in questo Barbara era bravissima; era una cacciatrice esperta. Quindi il pranzo e la cena non mancavano mai. E proprio per questo motivo io continuavo ad essere in una posizione di inferiorità rispetto a lei. E questa condizione mi faceva sentire attratta da Barbara, forse perché non ero mai stata in tale posizione prima d’ora. Gli uomini con cui ero andata a letto non ci erano mai riusciti. Barbara invece sì, e forse per questo motivo mi sentivo il cuore sempre in subbuglio, e quindi avevo sempre voglia di fare l’amore con lei. E anche Barbara non perdeva mai l’occasione di godere col mio corpo. Certe volte mi prendeva con la prepotenza, mi afferrava i capelli e avvicinava la sua bocca alla mia, e mi infilava la lingua in bocca e poi mi faceva sua, e io la lasciavo fare, perché non chiedevo altro.
   Ogni tanto ci provavo a ristabilire l’ordine, e a rimettermi sopra, al comando, ma lei puntualmente mi dava uno schiaffo su una guancia, e se io reagivo cominciavamo a darcene di santa ragione, ma lei ne usciva sempre a testa alta, perché era agile e scattante come un felino, e poi facevamo l’amore un’altra volta e tutto tornava alla normalità. Barbara mi apriva le gambe e si metteva in mezzo e iniziava a strofinare la sua patatina moicana contro la mia patatina brasiliana, e questo sfregamento mi mandava al manicomio, e in qualche secondo il miele che usciva dalle mie labbra di sotto, in quantità considerevoli, si mischiava al suo, e quindi sentivo le nostre fighette che scivolavano l’una sull’altra, sempre con minor attrito. E non so cos’era, forse il calore che emanavano le nostre calde aperture, o forse le porcate che mi diceva mentre era sopra di me, ma io riuscivo sempre a raggiungere degli orgasmi sensazionali, che mi facevano perdere i sensi.
   Una sera, dopo cena, davanti al fuoco che Barbara aveva acceso per arrostire il pesce che aveva pescato, parlammo del nostro futuro. Lei mi disse che quando saremmo tornate a casa le cose sarebbero notevolmente cambiate, e il nostro amore sarebbe terminato, e io sarei ritornata ad essere la padrona esigente e severa di sempre. Ma io le risposi che il nostro rapporto non sarebbe cambiato, e che io avrei continuato ad amarla, e che magari potevamo continuare a vederci di nascosto.
   “Vedrai, non andrà così” mi disse. “Tu ritornerai dal tuo fidanzato, e io dal mio. E io ritornerò ad essere la commessa che deve sopportare l’arroganza di una padrona ricca e viziata”.
   “Quindi è così che mi vedi? Come una padrona arrogante e viziata?”.
   “È questo che sei” disse alzandosi in piedi, e si parò davanti a me in modo minaccioso, mettendomi la sua patatina davanti alla bocca, e poi con una mano mi afferrò i capelli e mi spinse il viso contro il suo sesso succoso, e quindi le mie labbra incontrarono nuovamente l’apertura dove il suo fidanzato entrava spesso col suo membro, e dove probabilmente scaricava il suo seme ad ogni fine rapporto. Ed ebbi quasi la sensazione di sentirlo, il suo uomo, il suo attrezzo, che era scivolato lì dentro chissà quante volte. Ma ormai aveva anche il mio di sapore, per tutte le volte che lei aveva strofinato il suo sesso contro il mio, per tutte le volte che la mia saliva era entrata in contatto con quelle labbra carnose. E una volta le avevo anche morsicate, e lei mi aveva dato uno schiaffo perché le avevo fatto male. Ma non era mia intenzione farlo, piuttosto avevo risposto ad un istinto naturale, perché era appunto questo che le labbra di Barbara di facevano venir voglia: succhiare e mordere.
   Quella sera, davanti al fuoco, la baciai e la leccai lì sotto fino a farla venire, e lei iniziò a squirtarmi in faccia con un getto violento e caldo, come un esplosione, accompagnata da un suo grido liberatorio. Infatti ad un certo punto si allontanò qualche centimetro da me e si aprì la patatina con due dita, e mi spruzzò il suo liquido con un getto che quasi mi tagliò la faccia. E io rimasi lì in ginocchio davanti a lei con la bocca aperta a prendermi tutto, e in qualche attimo ne fui letteralmente ricoperta, mi grondava dappertutto, sulle tette, sulle braccia, e poi giù fino all’ombelico, e poi ancora più giù, sulla fighetta e sulle gambe. Era come una specie di cascata bollente, e io ci ero sotto. Quando ebbe finito mi ci attaccai di nuovo con la bocca per succhiarle le ultime gocce. Poi lei con una mano mi allontanò e aprì di nuovo le sue labbra di sotto puntandomele in faccia.
   “Aspetta, voglio togliermi uno sfizio” mi disse. “Ti voglio pisciare addosso. E quando mi ricapita un’occasione così?”.
   A quel punto si lasciò andare, e il suo getto di urina calda mi investì in piena faccia, e anche in questo caso lasciai la bocca aperta e glielo lasciai fare. Potevo certamente immaginare la sua soddisfazione in ciò che stava facendo; fare pipì addosso alla sua datrice di lavoro. Lei che era sempre stata una dipendente sottomessa ai miei capricci ora mi stava svuotando la vescica sul viso, senza alcuna opposizione da parte mia. Era il riscatto della classe subalterna. Aveva dovuto subire centinaia di soprusi e ingiustizie da parte della classe dominante (cioè io) e adesso finalmente era arrivata l’occasione della rivincita. E non riuscivo ad oppormi, perché sentivo uno strano piacere che mi faceva rimanere lì immobile sotto a quello spruzzo intenso e bollente che si infrangeva contro la pelle del mio viso.
   “Guardati, sei una cloaca” disse lei divertita, mentre continuava a spruzzare fuori il suo rigagnolo rigoglioso.
   Cercai di non ingoiare, ma fui comunque costretta a mandarne un po' giù. E non potete nemmeno immaginare quanto mi eccitava questa cosa, tutta questa esperienza, e infatti avevo la figa in fiamme e per fortuna che poi alla fine Barbara, dopo aver orinato, si dedicò ad appagare sessualmente anche me. E quindi si abbassò verso di me e avvicinò le dita alla mia vagina, e iniziò a sgrillettarmi fino a farmi venire. Dovette aver pensato che sarebbe stato molto crudele lasciarmi così, con tutto quel desiderio inappagato che avevo.
   Poi ci addormentammo davanti al fuoco, accucciate l’una vicino all’altra. Lei mi stava dietro, con la patatina col taglio alla moicana premuta contro le mie natiche, tenendosi ancorata al mio corpo con braccia e gambe, e la bocca a pochi centimetri dalla mia spalla, e io sentivo il suo respiro caldo sulla mia pelle, e ogni tanto le accarezzavo la mano, la mano che poco prima mi aveva fatto godere.

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