martedì 29 gennaio 2019

Nessuno

ci potrà separare. 


[postato da Rocco]

   Quella notte non riuscii a dormire, e mi rigiravo nel letto in continuazione, e ogni tanto guardavo mia madre, che lei invece dormiva beatamente, nuda come suo solito, a pancia in giù. Continuavo a pensare al mio insolito attacco di gelosia. Mi infastidiva anche pensarla a letto con mio padre, peggio ancora se la pensavo a letto col papà di mia sorella Moana. Se poi pensavo a quello che era successo quella sera, e cioè alla sua esibizione davanti al fattore del casale, mi veniva una rabbia incontrollabile. Perché lei era bella, aveva un corpo divino, e non volevo che gli altri la utilizzassero per il solo scopo di godere. Non volevo che gli uomini insomma avessero di lei una considerazione pari a quella di un oggetto, un buco da riempire e in cui riversare il proprio sperma.
   Lei doveva essere mia e di nessun altro. Ecco cosa pensavo mentre ero sul letto accanto a lei. E forse è per questo che feci la cosa che sto per raccontarvi. Ad un certo punto iniziai ad accarezzarle il suo meraviglioso culo burroso, poi con un dito percorsi il solco che c’era tra le due natiche fino a giungere al buco del condotto anale, e quando glielo toccai lei ebbe un sussulto nel sonno e emise un rantolo di piacere. Il buco si dischiuse, quasi sembrava che mi stesse offrendo di entrare, e io aveva una gran voglia di farlo, ma ovviamente non potevo. Era una cosa folle soltanto il fatto di pensare di volerlo fare.
   Notai il tatuaggio che aveva dietro il collo, la G stilizzata di Giuliano, il papà di mia sorella Moana. Quel marchio indelebile sulla sua pelle parlava chiaro, e diceva: proprietà privata di Giuliano. Lui la possedeva, ancor più di mio padre, il quale ne era il marito ma a quanto pare quella lettera sul collo di mia madre testimoniava il fatto che il padrone effettivo di mia madre era Giuliano. Lo so che parlare di “padrone” è davvero assurdo, però non so come altro definire il rapporto che c’era tra mia madre e il padre biologico di mia sorella. Lui faceva di lei ciò che voleva. Lei era insomma felicemente sottomessa.
   Comunque vedere quella lettera mi fece proprio perdere la ragione. E allora mi tolsi le mutande e mi misi a cavalcioni su di lei, con l’erezione a pochi centimetri dal suo buco del culo e mi feci una sega fino a farle una cumshot addosso. Il mio sperma, decisamente copioso, schizzò sulle sue natiche, e un fiotto si posò con una precisione straordinaria sull’orifizio anale, e io lo spinsi dentro con un dito. Lo feci con rabbia, con la precisa volontà di riappropriarmi di mia madre, perché quella G sul collo mi stava dicendo chiaramente che lei apparteneva soltanto ad un uomo, e questa cosa non potevo accettarla. Ma ora che avevo ottenuto ciò che volevo venni assalito da un terribile senso di colpa.
   Cosa mi era saltato in mente? Sborrare sul culo della donna che mi aveva messo al mondo. Mi sentivo un vero bastardo. E allora andai in bagno e rovistai nella sua borsa alla ricerca delle salviette che mia madre portava sempre con se, quelle umidificate. Le trovai e poi ritornai sul letto e iniziai a pulirla. Ma cazzo, avevo combinato un casino, la sborra era davvero tanta, e mi ci volle mezzo pacco di salvietta per toglierla tutta. Poi a operazione conclusa mi accasciai su di lei e la strinsi tra le mie braccia con tutta l’energia che avevo, tanto da farla svegliare.
   “Cosa c’è, tesoro mio?” mi chiese. “Hai fatto un brutto sogno?”.
   “Sì. Ho sognato di perderti”.
   “Amore… questo non succederà mai. La tua mamma resterà sempre al tuo fianco. Nessuno ci potrà separare”.
   A questo punto mia madre mi mise una mano dietro la nuca e mi spinse il viso contro le sue enormi tette, strofinandomi un capezzolo sulla bocca quasi come se volesse allattarmi, e allora io mi attaccai con la bocca e iniziai a baciarlo e leccarlo fino ad addormentarmi.
   Il giorno dopo lasciammo il casale, con il sincero dispiacere del fattore, il quale aveva potuto godere delle provocazioni di mia madre. Ma il nostro viaggio doveva continuare, e allora ritornammo in autostrada lasciandoci la campagna incontaminata alle spalle. Non avevamo ancora una meta ben definita, però ad un certo punto ci trovammo a San Giovanni senza rendercene conto. I traghetti che partivano per la Sicilia erano davanti ai nostri occhi, e a quel punto uscimmo dalla macchina per guardare l’altro lato dello stretto.
   “Che facciamo?” mi chiese lei. “Vuoi proseguire o ritornare indietro?”.
   “Per me vanno bene entrambe le opzioni” risposi. “Decidi tu”.
   Mia madre decise di proseguire, per cui guidò fino a immettersi nella fila di auto che a breve avrebbero fatto salire a bordo della prossima nave. Lei aveva un legame molto stretto con l’isola su cui presto saremo sbarcati. C’era infatti una persona, molto speciale, con cui mia madre aveva avuto un rapporto piuttosto ambiguo. Ed ero quasi certo che poi alla fine quel viaggio che avevamo deciso di intraprendere avrebbe portato proprio a lui. Non sapevo se mia madre avesse pianificato tutto fin dal principio, ma questa ipotesi non sembrava affatto inverosimile.
   Una volta saliti sul traghetto ce ne andammo sopra, ovvero sul ponte, e con noi c’era anche Lex, che se ne stette buono per tutta la traversata. Io mi misi in fila al bar per comprare un arancino e quando poi uscii fuori vidi mia madre affacciata al parapetto che guardava verso la costa messinese. Era bellissima, indossava un provocante vestito bianco, incredibilmente corto e stretto, che metteva in risalto le sue cosce tornite e il suo culo morbido. Era così stretto che si vedevano i bordi del perizoma che indossava sotto. E in quel momento passarono due ragazzotti che dopo aver accuratamente visionato le sue sensazionali curve esclamarono qualcosa in dialetto: “che pezzo di sticchio, gli facissi il danno”. Mia madre aveva sentito, ma non sembrò infastidita da quel commento, piuttosto sembrava divertita. E quando mi avvicinai le chiesi cosa avevano detto quei due, e lei me lo disse, ma io non ne capii il significato, e allora lei cercò di spiegarmelo.
   “Sticchio viene da osticulum, ovvero buco. Quindi la prima parte della frase voleva dire: che gran bel buco. E poi con la seconda parte dell’esclamazione, gli facissi il danno, forse quel ragazzo intendeva dire che avrebbe voluto mettermi incinta, o forse penetrarmi analmente”.
   “Che bastardi” dissi.
   “Non te la prendere. Era soltanto un commento un po' volgarotto”.
   “Sì, però ti hanno definita un buco”.
   “Che importanza ha? Siamo in vacanza, cerca di rilassarti”.

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