sabato 29 settembre 2018

Mia madre, facile preda

di ogni pervertito della società.

(in foto: Ava Addams, PureMature.com)


[postato da Rocco]

   Mia madre si accorse di noi e si avvicinò al nostro tavolo, e allora mi alzai per salutarla e lei mi strinse in uno dei suoi caldi abbracci. Sentivo le sue enormi tette premermi contro il petto; le erano uscite un’altra volta fuori dalla giacca che indossava. L’aiutai a rimettergliele dentro, e lei sbuffò dicendomi che non le davano tregua. Uscivano continuamente fuori. E allora io le dissi che vestita in quel modo era più che normale che il seno cercasse di sfilare fuori al minimo movimento.
   “Cosa vuoi che ti dica? È la divisa per lavorare in sala che tuo padre mi ha chiesto di indossare. Dice che così i clienti sono più felici”.
   “Certo che sono felici” risposi divertito. “Hanno l’occasione di vederti mezza nuda, chi non sarebbe felice?”.
   “Tesoro mio” mi disse accarezzandomi il viso, “quanto sei dolce”.
   “E poi papà pur di sfoggiarti come un trofeo farebbe qualsiasi cosa”.
   “Questo è vero”.
   A quel punto Arianna si alzò in piedi e salutò mia madre dicendole che non era cambiata per niente. Era sempre la stessa di vent’anni fa. Allora lei rimase senza parole, e si limitò a fissarla quasi come se stesse cercando di fare mente locale e quindi di capire per quale motivo Arianna  le aveva detto quella cosa.
   “Scusami, ci conosciamo?” le chiese.
   “Proprio non ti ricordi di me, vero? Sono Arianna. Abbiamo fatto le superiori insieme”.
   Dopo qualche attimo di esitazione mia madre riuscì a ricordare.
   “Ma certo!” esultò e poi le baciò le guance. “Perdonami. Come ho fatto a non riconoscerti subito?”.
   Non finirò mai di stupirmi di quanto possa essere piccola la nostra città, che era una città solo sulla carta, ma poi alla fine era un paesone dove tutti conoscevano tutti. Il discorso è che il nostro municipio, se si vuole essere obiettivi, aveva un centro molto piccolo, e poi si estendeva tutto in periferia. La periferia infatti era sterminata, però per quanto riguarda il centro, potrei dire senza troppi fronzoli che era una specie di buco di culo. E quindi non c’era da stupirsi più di tanto del fatto che Arianna conoscesse mia madre, e che addirittura avessero frequentato la stessa scuola. D’altronde erano coetanee.
   Quindi, essendosi ritrovate, colsero l’occasione per rinvangare il passato, e quindi per chiedersi a vicenda dell’evoluzione delle proprie vite. Fino a quando poi mia madre arrivò al punto della questione, ovvero chiese ad Arianna il motivo per cui era in mia compagnia.
   “Ti sembrerà strano, ma io sono stata l’insegnante di inglese di tuo figlio. Tu forse non lo sai, perché alle riunioni con i professori non ci venivi mai. Ricordo però che ci veniva tuo marito”.
   “Sì, in effetti ammetto di non esserci mai venuta, perché ero troppo impegnata col mio negozio”.
   “Che strano” disse Arianna. “Il tuo Rocco è stato un mio allievo per ben cinque anni, e io neppure lo sapevo”. 
   “Sì, è assurdo. Ma continuo a non capire il motivo per cui sei in sua compagnia”.
   Mia madre iniziò a farsi insolitamente sospettosa, e forse anche un po' gelosa. Forse perché voleva molto bene alla mia fidanzata; considerava Beatrice come una figlia, per cui l’idea che io potessi tradirla probabilmente la infastidiva. E allora Arianna le spiegò che dopo che io avevo terminato la scuola, tra me e lei era rimasto un rapporto di stima e di amicizia. Per cui ogni tanto era nostra abitudine vederci e passare qualche ora insieme.
   “E cosa fate di solito quando vi vedete?” le chiese.
   “Sabri, lo so che potrà sembrarti strano, ma io voglio bene a tuo figlio quasi come se fosse il mio”.
   “Sì, ma non lo è” l’atteggiamento di mia madre sembrava essere cambiato da un momento all’altro. Adesso sembrava quasi in posizione d’attacco. C’erano tutti i presupposti per una poderosa lite.
   “Sabri, tu non puoi comprendere quanto può legarsi un insegnante ad uno dei suoi allievi più meritevoli”.
   “No, in effetti non lo so. Ma parliamo d’altro. Cosa vi porto da mangiare?”.
   “Fai tu mamma, per noi va bene qualsiasi cosa”.
   Mia madre ritornò in cucina, dove probabilmente mio padre era sommerso dal lavoro. Quella sera il ristorante era particolarmente pieno. Arianna era un po' tesa per quello che era appena successo. Le dissi che non avrei mai immaginato che lei e mia madre fossero state compagne di scuola. E lei mi rispose che non erano mai state particolarmente legate, perché a lei non piacevano le persone di cui mia madre era solita circondarsi. Avevano sempre frequentato comitive diverse, anche se in un paio di occasioni avevano avuto modo di trascorrere del tempo insieme.
   “Perché non ti piacevano gli amici di mia madre?” le chiesi.
   “Perché non avevano alcun rispetto per lei, e per le ragazze in generale. Ma soprattutto per tua madre. Non so se dovrei parlarne con te, perché sono cose che in qualche modo potrebbero ferirti”.
   “Non ti preoccupare. Ho già sentito abbastanza storie davvero poco edificanti sul conto di mia madre, per cui sono pronto a tutto”.
   E allora mi raccontò che mia madre era solita frequentare una comitiva tutta al maschile, i quali la trattavano come un vero e proprio giocattolo con cui divertirsi. Al centro di questa comitiva c’era Giuliano, il papà biologico di mia sorella Moana, di cui mia madre era follemente innamorata. E lui consapevole di quanto lei fosse innamorata di lui, ne faceva ciò che voleva. Spesso la cedeva o comunque la condivideva con gli altri, e per lei andava bene, perché lei avrebbe fatto qualunque cosa lui le avesse chiesto di fare.
   In quel periodo mia madre si era conquistata il soprannome che conoscono tutti, ovvero Sabrina Bocca e Culo, perché appunto dava il culo e la bocca a chiunque. Ormai era entrata in un vortice che l’avrebbe segnata per sempre. Aveva cominciato ad avere rapporti anche al di fuori della comitiva. Spesso andava a letto con uomini conosciuti per caso, uomini che la abbordavano per strada, spesso erano uomini adulti e anche sposati. E si dava via senza ritegno, perché ormai era senza freni. Giuliano l’aveva trasformata in una bambola del sesso, e per lei fare l’amore anale e orale era diventata una cosa naturale, e allora aveva cominciato a farlo con chiunque, senza pensare alle eventuali conseguenze morali e soprattutto sanitarie.
   “Forse non dovrei dirtelo, ma tua madre mi faceva un po' pena. Era facile preda per ogni pervertito della società. Tua madre si era trasformata in un oggetto”.

martedì 25 settembre 2018

sabato 22 settembre 2018

giovedì 20 settembre 2018

L'odore

del sesso. 

(in foto: Rayveness, AuntJudys.com)


[postato da Rocco]

   Il matrimonio con Bea era prossimo, ma nonostante questo non ero stato molto sincero con lei. Sapevo bene che Beatrice mi tradiva in continuazione. Lo faceva per lavoro, e lei era sempre stata molto onesta in questo senso. Mi diceva tutto senza nascondermi nulla. E io invece qualcosa gliela nascondevo. Un paio di anni fa scrissi un post in cui parlai della mia professoressa di inglese delle scuole superiori; una donna bellissima, autorevole, elegante e raffinata che era sempre stata l’idolo del sesso di noi maschietti della scuola. Ogni volta che passeggiava nei corridoi, con i tacchi a spillo e con il corpo avvolto nei suoi tubini scuri, per noi era una festa, era un fiorire di erezioni e di commenti osceni, e tutti si giravano a guardare, perché lei, si chiamava Arianna, era la quintessenza dell’erotismo. Aveva un corpo stupendo, snello e atletico, dei lunghi capelli neri e lisci che emanavano un profumo che si sentiva per tutto l’istituto. Quando lei arrivava te ne accorgevi dal suo odore. Era inconfondibile. Per me era l’odore del sesso. Se il sesso avesse avuto un odore, sarebbe stato certamente come quello della nostra insegnante di inglese.
   Però non bisognava scherzare con lei; lei era capace di fulminarci con uno sguardo al minimo segnale di irrequietezza. Certe volte mi dava l’impressione di una mistress, perché si faceva rispettare, e ci comandava a bacchetta. Però no, non era una mistress, perché era così soltanto in classe, poi nella vita privata era una donna dolcissima e affettuosa. Quando poi ritornava a scuola subiva una trasformazione, e diventava di nuovo mistress.
   Come vi dicevo in precedenza, qualche anno fa ho scritto un post in cui vi ho parlato di lei, perché dopo aver terminato la scuola la incontrai per strada mentre lei stava ritornando a casa, con un bustone di abiti che aveva appena ritirato dalla lavanderia. Rivederla mi fece lo stesso effetto che provavo a scuola, ero agitato e insofferente, perché il desiderio di possederla mi faceva stare male, perché dentro di me pensavo che una donna così la potevo avere soltanto nei sogni. D’altronde lei era sposata, e poi poteva essere mia madre, perché infatti aveva la stessa età di mia madre, ragion per cui godere col suo corpo sembrava un desiderio irrealizzabile. E poi pur volendo in sua presenza diventavo goffo e imbranato, proprio perché per me lei era il non plus ultra dell’erotismo, quindi pensare di avere un approccio di natura sessuale con lei era una cosa del tutto fuori discussione.
   Quando la rividi ormai aveva finito la scuola già da un paio di anni. Fu lei a chiamarmi; io ero sovrappensiero e non mi ero accorta di lei. Mi girai e la vidi, con il bustone di panni freschi di lavanderia. Mi chiese di me, di cosa stavo facendo, di quali progetti avevo per il mio futuro. E io le risposi in monosillabi, perché ero troppo teso a causa del suo incredibile corpo da pornomamma. Poi alla fine ci salutammo, e io mi accorsi che qualcosa era scivolato fuori dal suo bustone di panni. Era un perizoma, il suo, nero e con i bordi merlettati. Uno spettacolo divino, soprattutto perché era stato sul suo corpo, aveva protetto la sua calda vagina, il suo orifizio anale. E allora me lo portai a casa e lo usai per trarne piacere; lo avvolsi intorno alla mia erezione e sborrai copiosamente, e il mio seme impregnò il tessuto, quello stesso tessuto che era stato a contatto con le labbra della sua vagina.
   Qualche giorno dopo decisi di restituirglielo (ovviamente dopo averlo lavato accuratamente). Glielo portai a casa, perché sapevo dove abitava. Una volta ero stato a casa sua, perché non avevo capito una lezione e allora lei mi aveva dato il suo indirizzo e mi aveva offerto una lezione privata tra le mura del suo appartamento. Figuratevi, per me era un sogno, andare a casa sua per una lezione privata. Non potevo crederci.
   Ma in quell’occasione non successe nulla, perché lei era la mia insegnante e io il suo allievo, e lei si limitò a spiegarmi la lezione che non avevo capito, e io invece la fissai con desiderio per tutto il tempo, con quel tubino che metteva in risalto il suo corpo perfetto, quelle cosce accavallate, lisce come la seta e snelle come quelle di una modella.
   Quando invece, alcuni anni dopo, andai da lei per portarle il perizoma che si era perso per strada (e che io avevo utilizzato per sborrare), successe qualcosa. Si instaurò una specie di intesa. Io ormai non ero più un suo allievo. Quando mi vide alla porta di casa sua rimase piacevolmente sorpresa, e mi chiese il motivo della mia visita. E allora a quel punto le feci vedere il perizoma, e lei si mise le mani davanti alla bocca per nascondere il suo disagio.
   “Accidenti” disse, “questo sì che è imbarazzante”.
   “Non si preoccupi professoressa, sono cose che possono succedere”.
   A quel punto mi invitò a entrare in casa, e mi offrì un succo di frutta all’ananas. Mi fece sedere sul divano del soggiorno, e lei si mise accanto a me. Aveva un vestito color panna piuttosto corto che metteva in mostra le sue gambe lucenti, quasi come se fossero ricoperte di uno strato d’olio per la pelle, e invece non era così, le sue gambe avevano proprio quell’aspetto, e ti invitavano ad accarezzargliele e a godere del calore che emanavano. Arianna mi raccontò un po' di quello che stava facendo; aveva iniziato un corso di fotografia per passare il tempo, perché di tempo ne aveva tanto, perché il marito a casa non c’era mai. E fu a quel punto che iniziò a sfogarsi raccontandomi che ultimamente con suo marito non andava benissimo. Era sempre preso dal lavoro, per cui tempo da passare con lei non ne aveva.
   “Certe volte mi sento così sola...” mi disse, e si accarezzò una gamba, e io guardai la sua mano che la percorreva, dalla caviglia fino a sopra il ginocchio, e poi la guardai negli occhi, perché lei mi stava fissando senza dire nulla, e notai sul suo viso un’espressione di accesa passione. Ma non andammo oltre. Lei mi accompagnò alla porta e mi chiese di andarla a trovare spesso.
   Nei giorni successivi ci mandammo alcuni sms, dapprima innocenti, poi man mano sempre più ambigui. Ad un certo punto lei mi scrisse: “sai, oggi ho indossato il perizoma che mi ero persa e che tu mi hai riportato, e ho pensato a te”. Era evidente che cominciava ad esserci qualcosa di diverso da una semplice amicizia. E i nostri messaggi diventarono sempre più provocatori, fino a quando lei mi confessò che erano almeno due mesi che il marito non la toccava nemmeno con un dito, e che aveva proprio bisogno di un po' di calore umano. “Ti andrebbe di venire a farmi un po' di compagnia?”. Dopo quel messaggio andai subito da lei, e non mi diede nemmeno il tempo di entrare in casa, volle subito la mia bocca, lì nell’ingresso dell’appartamento. Poi si tirò su il vestitino che aveva addosso, sotto non aveva niente, e mi fece inginocchiare piantandomi davanti alla bocca la sua figa depilata alla moicana, e io tirai fuori la lingua e mi diedi da fare per soddisfarla.

martedì 18 settembre 2018

sabato 15 settembre 2018

L'altalena

dell'amore.

(in foto: AJ Applegate, HardX.com)


[postato da Moana]

   Avere gli occhi bendati e un erezione che ti balla davanti alla bocca e che ti schiaffeggia le guance ti da l’impressione di essere indifesa e sottomessa, e ti annienta, ti fa regredire ad uno stadio animale, perché devi fare a meno di uno dei sensi più importanti, a cui siamo abituati ad affidarci, ovvero la vista. Quindi fui costretta a fare affidamento sugli altri sensi; l’olfatto e il tatto principalmente. Sentivo infatti l’odore del sesso maschile davanti al mio viso, e sentivo la potenza della punta battermi sulle guance. Era come quando da bambini si gioca alla pentolaccia, e ti bendano, e devi picchiare con un bastone su un pupazzo pieno di caramelle, con l’obiettivo di romperlo e di mettere le mani sui tanto agognati dolcetti. E per tutto il tempo ti trovi in uno stato di agitazione terribile, perché non vedi niente, eppure il tuo obiettivo, la tua ricompensa, è proprio lì davanti a te. E tu non sai con precisione dove battere, sai soltanto una cosa, e cioè che desideri ardentemente centrare il bersaglio.
   In quel momento, con lo stesso grado di agitazione, io cercavo con la bocca la trave che mi stava picchiettando sul viso. E il fatto che non riuscivo a prenderla mi stava mandando al manicomio. Ero praticamente incapace di intendere e di volere. In realtà una cosa la volevo: volevo lui. E allora lo cercavo in modo ossessivo, con la bocca spalancata, e agitandomi come in preda ad una crisi isterica. E lui me lo negava. Cercai più volte di afferrarlo con le mani, di bloccarlo, ma lui puntualmente me le allontanava facendomi capire che dovevo stare buona e lasciare che il gioco lo conducesse lui.
   “Ti prego, dammelo” lo implorai. “Mettimelo in bocca. Che stai aspettando?” ma lui non mi rispose. Non mi sembrava neppure Berni. Avevo l’impressione che non era il suo il membro che mi stava ballando davanti alla bocca, perché ogni volta che mi batteva su una guancia sentivo la sua grandezza, e avrei giurato che non era delle stesse dimensioni di quello del mio fidanzato. Ma probabilmente era una mia impressione, perché bendata tutto mi sembrava diverso. Perché quando non vedi le cose tutto ti sembra più grande.
   E poi Berni non mi avrebbe mai presa a schiaffi col suo batocchio, perché conoscendolo avrebbe certamente pensato che era una cosa irrispettosa da fare. Lui mi aveva sempre rispettata. Ero sempre stata io a chiedergli di farmi certe cose; per esempio prima di farmi una cumshot ci era voluto del tempo. Ero stata io a chiederglielo per la prima volta, i primi tempi che stavamo insieme, e lui in principio mi rispondeva che non gli andava di farlo, perché gli sembrava una cosa irrispettosa. Poi però ero riuscita a convincerlo che se ero io a chiederglielo non c’era niente di irrispettoso. E anche per quanto riguarda il sesso anale, ero stata io a convincerlo a penetrarmi il buco di dietro, altrimenti di sua iniziativa non lo avrebbe mai fatto.
   E adesso mi stava facendo quella cosa, di sua iniziativa. Era molto strano. Per questo dico che non mi sembrava lui. Ma forse il fatto che fossi bendata lo faceva sentire autorizzato a farmi qualsiasi porcata. Poi ad un certo punto finalmente mi afferrò per i capelli e mi ficcò il membro in bocca fino in gola e iniziò a chiavarmi oralmente fino quasi a impedirmi di respirare. Sentivo le spinte del suo bacino contro di me, le sue palle che sbattevano sotto il mio mento, e gli occhi sotto la benda iniziarono a lacrimarmi. Dopo un bel po' di stantuffate mi lasciò andare, così fa darmi l’occasione di poter riprendere fiato. Ero affannata come se fossi stata troppo tempo sott’acqua.
   Mi fece alzare, sempre tenendomi per i capelli. Non ci capivo nulla, il fatto di non vedere niente mi rendeva incapace di prendere qualsiasi iniziativa, e anche la mancanza di ossigeno a cui ero stata sottoposta per una manciata di secondi mi aveva resa inservibile. Però ero sua, praticamente un buco da fottere a suo piacimento, e mi diede una sculacciata, e il rumore del palmo della sua mano che si infrangeva sulla mia natica riecheggiò sulle pareti del soggiorno come uno sparo. Poi fece una cosa che mi fece dubitare ancora una volta di trovarmi di fronte a Berni; mi sollevò con le braccia e mi infilò la sua erezione nella patatina, e iniziò a scoparmi in quel modo, a mezz’aria, come se fossi una bambola di pezza. Dove caspita aveva preso tutte quelle forze per fare una cosa del genere? Insomma, era una posizione che si vedeva soltanto nei film hard, e lui la stava praticando come se niente fosse, e io ormai ero cotta, sbrodolavo tutta, e non riuscivo a dire una parola, soltanto rantoli di piacere, come quelli di un’animale agonizzante. Era proprio una dolce agonia. E dopo avermi pompato la fighetta per un paio di minuti decise di cambiare buco e di passare al condotto anale, così lo tirò fuori e lo indirizzò contro quello che io avevo ribattezzato “il buchetto del peccato”. Entrò dentro senza troppe difficoltà, ma ormai ero quasi sicura che non era lui. Era troppo grosso per essere Berni. Sentivo il suo diametro mentre saliva su per il mio buco del culo, e non poteva essere lui. Non è che Berni ce l’aveva piccolo, era nella norma, ma ciò che avevo nel retto era di dimensioni considerevoli. Per cui c’era qualcosa che non andava.
   “Amore mio, ma cosa ti succede? Hai fatto un trapianto di cazzo per caso?” gli chiesi divertita, ma lui non mi rispose. “Berni, perché non mi rispondi? Ti ho fatto una domanda”.
   A quel punto mi tolsi la benda dagli occhi e fui investita da un forte senso di smarrimento. Chi era l’uomo che mi stava tenendo a mezz’aria e che mi stava chiavando il condotto anale? Ero così sorpresa che non riuscivo nemmeno a dare un senso a quello che stava accadendo. Mi limitavo a guardare con gli occhi spalancati l’adone che mi stava possedendo, e lui mi sorrideva, e allo stesso tempo mi penetrava, tenendomi le braccia sotto le cosce e facendomi dondolare come se fossi su un’altalena. L’altalena dell’amore.
   Lui era bello, bello come un colosso di marmo, con i pettorali scolpiti, le braccia muscolose e la carnagione olivastra. Berni era lì accanto a noi, anche lui era nudo e aveva un erezione, e ci guardava, e ci stava scattando delle fotografie. E si limitò soltanto a dire: “sorpresa!”. Dopodiché venne a mettersi dietro di me e mi penetrò anche lui, anche lui nel buco del culo, e provai per la prima volta nella mia vita una doppia penetrazione anale. E sentivo che stavo quasi per svenire. Due cazzi in culo era davvero una notevole sfida per il mio corpo.

giovedì 13 settembre 2018

Il maiale

che è in me.


[postato da Berni]

   Ultimamente Moana era molto fredda quando faceva l’amore con me. Non era più la stessa, perché prima quando lo facevamo lei era una vera esplosione di passione; ci metteva anima e corpo, e invece da un po' di tempo ci metteva soltanto il corpo, ed era quasi come fare l’amore con una prostituta. Percepivo che c’era qualcosa che non andava, che lei lo faceva solo per accontentarmi. Così decisi di parlarne con sua madre.
   A qualcuno sembrerà strano, ma con Sabrina ho sempre avuto un rapporto speciale. Con lei potevo parlare liberamente, anche per quanto riguarda la vita intima che avevo con sua figlia. Lei mi ascoltava con molta attenzione, e poi alla fine mi diceva sempre la sua opinione, che nella maggior parte dei casi era quella giusta. In quel periodo era ancora in vacanza con i due papà di Moana, per cui dovetti telefonarla. E parlai con lei molto a lungo, esponendogli i miei dubbi e le mie perplessità. Alla fine mi disse che era tutta questione di stimoli.
   “Stimoli?” le chiesi.
   “Sì, stimoli. Moana ha bisogno di essere stuzzicata. Non puoi proporle sempre il solito piatto di minestra, sennò prima o poi si annoierà e andrà a mangiare in un altro ristorante. Sono stata chiara?”.
   “Beh, più chiara di così… ma cosa dovrei fare?”.
   “Libera la tua fantasia. Rendila felice. Tira fuori il maiale che è in te”.
   Dopo quella telefonata cercai di capire cosa potevo inventarmi. Andai alla ricerca del maiale che era in me, come mi aveva detto Sabrina. E alla fine mi venne un’idea. Certo che avrei avuto bisogno di una buona dose di coraggio per farlo. E chi mi assicurava che avrebbe funzionato? L’unica cosa era provarci. E così organizzai la serata; parlai con la babysitter e le chiesi di tenersi nostra figlia per un paio d’ore. Comprai delle candele profumate, del vino buono e misi della musica jazz in sottofondo, quella dei Weather Report. Ultimamente il jazz era diventata la mia passione, una passione che Moana non capiva.
   Quando rientrò a casa io ero così teso che non riuscivo nemmeno a respirare. Forse il maiale che era in me aveva preso il sopravvento, e davvero non riuscivo nemmeno a immaginare qualche sarebbe stata la reazione di Moana. E il fatto di non saperlo mi rendeva irrequieto. E lei poi sembrava proprio non averci voglia di fare una porcata; era stanca, o perlomeno era quello che voleva farmi credere. E mi disse che non era il caso di continuare quella cosa che volevo fare, anche se in realtà non sapeva neppure di cosa si trattava.
   Stavo per tirarmi indietro e lasciar perdere, quando poi ad un certo punto ebbi l’impressione di sentire la voce di sua madre che mi diceva di tirare fuori il maiale che era in me. E allora mi alzai dal divano e tirai fuori una benda che avevo comprato in un sexy shop, una benda nera che avrei messo sul viso di Moana. Le dissi di rilassarsi, e lei mi diede l’impressione di essere un po' perplessa, e anche un po' infastidita. A quel punto iniziai a spogliarla, ma con delicatezza, senza fretta; le sbottonai gli hot pants di jeans, che avevano quattro bottoni a vista, li feci uscire dalle asole, e una volta aperti glieli feci scendere alle caviglie, e lei se ne liberò alzando prima un piede e poi l’altro. Moana sotto agli hot pants aveva un perizoma mozzafiato, verde acqua, con un esile filo che passava in mezzo alle natiche, e che si nascondeva in mezzo alla carne fino quasi a non vedersi più. Infilai due dita nei bordi e lo feci scendere alle caviglie come avevo fatto con i pantaloncini. Adesso era nuda dalla vita in giù, quindi toccava alla parte di sopra, dove c’era una camicetta bianca i cui orli arrivavano un po' più sotto dell’ombelico. Iniziai a sbottonargliela standole dietro; avevo già un erezione, che in quel momento era premuta contro il suo culo divino. Ma nonostante questo lei non mi diede alcun segnale di eccitazione. Mi stava lasciando fare tutto con una freddezza davvero inusuale.
   Arrivai all’ultimo bottone e la camicia si aprì mettendo a nudo le sue tette. Gliela tolsi e a quel punto mi allontanai da lei, lasciandola lì in piedi al centro del soggiorno, completamente nuda e con gli occhi bendati. E lei rimase ferma ad aspettare quello che sarebbe successo, con un’indifferenza che certamente non avevo preventivato.
   “E adesso cosa vuoi fare?” mi chiese.
   “Voglio fare l’amore” le risposi.
   “E allora perché ti sei allontanato?” Moana alzò le braccia invitandomi ad andare da lei. “Vieni qui”.
   “Tieni le braccia giù. Adesso arrivo”.
   “Ok”.
   Moana era indifesa, si era lasciata completamente andare e praticamente potevo farle ciò che volevo. Ma era veramente così? Potevo veramente osare tanto? Ero molto nervoso per quello che stavo facendo, perché mi chiedevo se fosse la cosa giusta. A breve un altro uomo si sarebbe impossessato di lei, facendogli credere che in realtà ero io, e lei non si sarebbe accorta di niente, perché un cazzo è un cazzo, quindi quando lo avrebbe preso in bocca e poi nei buchi non avrebbe notato la differenza. E infatti non se ne accorse. Lui le andò dietro, era nudo e aveva già un erezione considerevole, e gliela mise in mezzo alle natiche, e con le mani gli prese le tette e gliele strinse una contro l’altra, e nel frattempo con la bocca iniziò a tempestarle il collo di baci. E lei cominciò a mugolare di piacere e a strofinare il culo contro la sua erezione.
   Vidi lui afferrargli i capelli e tirargli la testa leggermente indietro e lei ebbe un sussulto. Non si aspettava di essere presa in quel modo, ma doveva essere di suo gradimento perché non cercò in nessun modo di ribellarsi. Poi la fece inginocchiare e le mise il cazzo davanti alla bocca, prima schiaffeggiandola sulle guance, e lei a quel punto sembrava aver perso completamente ogni freno, perché vedevo che con la bocca spalancata lo cercava, cercava il membro che stava battendo sul suo viso, cercò di afferrarlo con le labbra, ma gli sfuggiva in continuazione. Lo stava facendo apposta. Moana doveva guadagnarselo. Doveva dimostrargli di volerlo, più di ogni altra cosa al mondo, e allora lei lo cercò in modo famelico, quasi come un animale affamato che sente l’odore della preda. Muoveva la testa con la bocca spalancata in cerca del suo pezzo di carne che l’avrebbe saziata, ma senza trovarlo, e questa attesa non faceva che aumentarle l’appetito e l’insofferenza. Iniziò a volerlo così tanto che per lei diventò una specie di ossessione. Lo sentiva sbattere sulla faccia con tutta la sua potenza, ma non riusciva ad afferrarlo. Doveva averlo a tutti i costi, altrimenti sarebbe sicuramente impazzita. 
    

martedì 11 settembre 2018

Una moglie col

batocchio.

(in foto: Chanel Santini, Here Cums The Bride, TransAngels.com)


[postato da Moana]

   Accompagnai Beatrice nel miglior negozio di abiti da sposa della città. L’aiutai a cercare quello giusto, ma non era così semplice. Il vestito per il matrimonio per una donna che sta per sposarsi non è mai quello giusto, perché non dev’essere semplicemente giusto, dev’essere perfetto sotto ogni punto di vista. E praticamente passai il pomeriggio nell’atelier, e lei provò un’infinità di vestiti diversi, e gli calzavano tutti alla perfezione. Era stupenda, una bambola, semplicemente divina. Difficile da credere che sotto quegli strati d’organza ci fosse un batocchio che poteva raggiungere dimensioni considerevoli. Eppure c’era, e io lo vedevo ogni volta che entravo nel camerino con lei per aiutarla ad indossare i vestiti che aveva scelto. Ogni volta che le tiravo su il vestito spuntava il suo pisellone, perché era senza slip, e io non potevo fare a meno di guardarglielo.
   “Toglimi una curiosità” le dissi. “Ma con mio fratello sei passiva oppure…?” gli lasciai intendere il resto della domanda.
   “Passiva? Attiva?” mi chiese lei divertita. “Ma che domanda è? Quando si fa l’amore non esiste questo concetto. Si è attivi entrambi, altrimenti vuol dire che uno dei due sta facendo l’amore con un essere inanimato”.
   “Hai ragione. Ma quello che volevo sapere io era...”.
   “… se durante l’amore penetro tuo fratello Rocco” concluse. “Sì, qualche volta sono io a penetrarlo. Ma soltanto quando è lui a chiedermelo, perché io preferisco essere penetrata.”
   “E te lo chiede spesso?” con una mano le feci una carezza al pistolino, morivo dalla voglia di sentire com’era al tatto, ma provocai una reazione inaspettata perché iniziò ad alzarsi fino a raggiungere la massima erezione. A quel punto mi misi una mano davanti alla bocca e spalancai gli occhi dallo stupore. “Accidenti quanto è grosso!”.
   “È stata la tua carezza” mi rispose lei. “Hai delle mani molto delicate e calde. È molto fortunato Berni ad averti”.
   “Anche Rocco è fortunato ad avere te. Sono sicura che sarai una moglie perfetta, nonostante il batocchio” le dissi dandogli un colpetto sul glande con un dito.  
   Alla fine scelse un abito bellissimo, che le lasciava le spalle scoperte, e che metteva in luce le sue belle tette. Ok, erano di plastica, ma erano comunque belle, e quindi era bene metterle in mostra. Certo che non avrei mai immaginato che Rocco avrebbe fatto prima di me a sposarsi. Io che avevo una relazione stabile (anche se certe volte un po' traballante) ancora non avevo nessuna fede al dito, e invece lui che aveva avuto non poche difficoltà a trovare la sua anima gemella, a breve sarebbe convolato a nozze.
   E comunque, a proposito di relazione traballante, ultimamente con Berni non andava granché bene. Forse era anche questo il motivo per cui mi ero gettata tra le braccia di Barbara, perché ero in cerca di emozioni forti che Berni non riusciva a darmi. Infatti quando facevo l’amore con lui ero sempre molto fredda, non riuscivo ad eccitarmi abbastanza. Lui si metteva semplicemente sopra di me, mi infilava il suo membro nella patatina e pompava fino a sborrare. E io lo facevo più per farlo contento che per altro. Infatti era sempre lui a prendere l’iniziativa, mentre prima ero sempre io. Ero sempre stata io a provocarlo e a fargli capire che doveva chiavarmi perché c’avevo tanta voglia. Invece adesso mi mettevo a letto e aspettavo che fosse lui a chiedermi i buchi. Se non me li chiedevano tanto meglio, perché a me ormai non faceva più né caldo né freddo.
   Riuscivo a godere soltanto con Barbara. Ma soltanto perché con lei facevo delle porcate che ormai con Berni non facevo più. E l’amore in una coppia è anche questo, e cioè il concedersi qualche porcata di tanto in tanto. E purtroppo con il mio fidanzato, nonché padre di mia figlia, ormai ne facevo poche di porcate. Neanche più il culo mi penetrava, soltanto la patatina, e nel modo classico, come dicevo poco fa: io sotto e lui sopra.
   Poi però, dopo la giornata passata insieme a Beatrice a scegliere l’abito per il matrimonio, al mio rientro Berni mi fece trovare una bella sorpresa.   Mi stava aspettando nel soggiorno di casa, vestito con un completo così elegante che non sembrava neppure lui. Le luci erano soffuse e c’erano un sacco di candele profumate accese e sparpagliate tutt’intorno. Musica jazz in sottofondo (ultimamente gli era presa la passione per il jazz, che io non riuscivo proprio a sopportare) e una bottiglia di vino rosso appena stappata.
   “Cosa vuol dire tutto questo?” gli domandai.
   “Sai, mi sono accorto che ultimamente non hai tanta voglia di fare l’amore. E ho interpretato questa cosa come una specie di mancanza di stimoli. Ecco di cosa hai bisogno: di stimoli”.
   Finalmente lo aveva capito. Avevo bisogno di essere stimolata. Non ci voleva tanto. Ma doveva escogitare qualcosa di molto porco se voleva davvero svegliare la mia patatina, la quale ormai aveva perso ogni speranza. In ogni modo cercai di capire cosa aveva in mente e mi guardai intorno. Perché se era semplicemente l’accensione di una manciata di candele e una bottiglia di vino rosso da scolare insieme, allora aveva capito proprio male. Quello che cercavo era un qualcosa di intensamente peccaminoso, e non certo queste romanticherie da romanzetto rosa.
   “Dov’è la nostra piccola?” gli chiesi.
   “Stai tranquilla” mi rispose. “Ho chiesto alla babysitter di tenerla per un paio d’ore. La riporterà a casa quando avremo finito”.
   “Finito di fare cosa?” iniziavo ad essere nervosa e stavo per inventarmi  una balla per filarmela a letto. Non ero in vena di candele profumate e smancerie da innamorati di primo pelo. “Ascolta, è stata una giornata piuttosto pesante, forse sarebbe meglio rimandare ad un altro giorno”.
   Ma Berni si alzò dal divano e venne verso di me, e cacciò qualcosa dalla tasca dei pantaloni. Sembrava una benda, una maschera, non so. E mi venne dietro e me la mise sugli occhi. Era una benda, perché non aveva i buchi. Quindi le fece un nodo dietro la mia nuca e a quel punto non vedevo più nulla, ero praticamente cieca come una talpa.
   “Ma cosa…?” non sapevo cosa dire, l’idea di fare l’amore bendata non mi piaceva. Io volevo vedere mentre lo facevo. Volevo guardare il mio uomo negli occhi, volevo poter ammirare il suo attrezzo in erezione, il suo corpo in tensione, la sua pelle bagnata dal sudore. E invece così non vedevo proprio niente.
   “Lasciati andare Moana” mi sussurrò. “Vedrai, sarà bellissimo”.

sabato 8 settembre 2018

Guardare non è

reato. 

(in foto: Bianka Nascimento, Doin It For The Deed, TransAngels.com)


[postato da Moana]

   Qualche giorno dopo l’esperienza sull’isola, ebbi una telefonata inaspettata. Era Beatrice, la fidanzata transgender di mio fratello, nonché sua futura moglie. Mi chiese di aiutarla a scegliere il vestito per il matrimonio. Una richiesta piuttosto particolare, e non riuscivo a comprendere il motivo per cui avesse scelto me per questo compito. Io onestamente avrei chiesto a mia madre. Chi meglio di una madre può aiutare la propria figlia a scegliere il vestito adatto per il giorno più importante della sua vita? E infatti glielo dissi, e lei mi rispose che ormai non aveva più alcun rapporto con la sua famiglia, eccetto che col fratello.
   Poi mi disse una cosa che mi fece davvero commuovere, e mi fece provare per lei un incredibile affetto che non avevo mai avuto fino a quel momento. Disse: “ormai la mia famiglia siete voi”. E questa cosa mi fece aprire gli occhi su quanto ormai lei fosse diventata una di noi. L’avevo sempre considerata un buco in cui mio fratello era solito sborrare, e invece dovetti ricredermi. Oltre ad essere un buco per far godere gli uomini Beatrice ormai era a tutti gli effetti un nuovo membro della nostra famiglia sui generis. E presto sarebbe diventata la moglie di mio fratello Rocco. Una bella moglie munita di batocchio.
   Per cui non potevo tirarmi indietro. Lei aveva scelto me, e io mi sentivo lusingata per questa decisione, per cui andai da lei. Citofonai e Bea mi aprì senza rispondere. Sapeva che ero io. E quando entrai in casa iniziai a sentire degli inequivocabili gemiti di piacere; era lei, ma c’era anche un uomo, e non era Rocco. Avrei riconosciuto la voce di mio fratello. Era qualcuno che non conoscevo.
   Andai verso la camera da letto, che non aveva una porta, era piuttosto nascosta da una tenda beige, per cui si sentiva tutto quello che accadeva dentro. E c’era Beatrice che stava facendo l’amore con qualcuno. Ma lei lo stava facendo attivamente. Era lei che penetrava. Mi affacciai ed ebbi modo di vedere ogni cosa. Era la prima volta che vedevo una cosa del genere; c’era Beatrice messa su un fianco, e davanti a lui un uomo di mezza età con una gamba alzata che stava ricevendo una penetrazione anale. E Bea se lo stava facendo con un’energia considerevole; lo teneva per i fianchi e spingeva il bacino avanti e indietro con un ritmo strepitoso, tanto che il letto ballava tutto e cigolava in modo considerevole, e la testiera batteva contro il muro producendo dei colpi secchi, quasi come delle martellate.
   “Bea, io sono qui” le dissi, e lei mi sorrise e mi disse di aspettarla nell’attigua sala da pranzo. Lei avrebbe finito a breve.
   “Finisco di far godere questo maiale e arrivo”.
   Non credevo che Beatrice fosse anche “attiva” a livello sessuale, e infatti per me fu una rivoluzione. Iniziai a domandarmi se lo faceva anche con mio fratello. Comunque mi misi ad aspettarla buona buona nel soggiorno fino alla conclusione della penetrazione. A quel punto vidi lui uscire dalla camera da letto, già rivestito, con un completo elegante da cravattaro, e poi uscì anche Beatrice che però era ancora nuda e col membro in erezione. Era la prima volta che lo vedevo, e devo dire che era un gran bel cazzo.
   Lui le diede del denaro e lei lo accompagnò alla porta; si baciarono le guance e poi tolse il disturbo. Mi disse che era un cliente dello strip bar, un facoltoso manager aziendale con moglie e figli, che di tanto in tanto andava da lei per appagare la sua passione segreta per le transgender. Comunque io ero molto dispiaciuta di averla beccata mentre lo stava facendo, mi sembrava di aver violato la sua privacy, ma lei mi rispose di non preoccuparmi, perché per lei non era mai stato un problema lasciarsi guardare mentre faceva l’amore. In effetti neppure a me dava nessun problema, anzi come ben sapete sono sempre stata un po' esibizionista, per cui se c’è qualcuno che mi guarda quando faccio l’amore non posso che esserne felice.
   “Non devi essere dispiaciuta” mi disse Beatrice, “sono cose che capitano… sei entrata in casa e mi hai trovata a letto con un cliente. Tutto qui”.
   “Beh sai, c’è a chi non piace essere guardati mentre si fa l’amore. Ricordo che una volta mi hanno raccontato un episodio di voyeurismo finito male. Me lo ha raccontato un tizio che c’ha un negozio vicino al mio. Con lui ho stretto un ottimo rapporto di amicizia, nonostante una notevole differenza di età. Mi incuriosisce, perché è un guardone senza freni, e mi piace quando mi racconta delle sue avventure da voyeur”.
   “Interessante” rispose Beatrice, e si mise a sedere accanto a me sul divano ad ascoltare il mio racconto. “E cosa ti ha raccontato?”.
   “Mi ha raccontato che una volta era andato alla spiaggia nudista. Ci andava spesso, con la speranza di beccare qualche coppietta intenta a fare l’amore. E in effetti era riuscito a trovarne una, lei bionda e un corpo stupendo, lui muscoloso e ben curato. Avevano costruito una tenda con un telo e delle canne di bambù e si erano messi sotto a fare l’amore. Il mio amico si è avvicinato in modo discreto, cercando di sondare il territorio. I guardoni fanno così, non si avvicinano subito, girano attorno alla coppia e cercano una specie di intesa, se la coppia accetta di lasciarsi guardare allora il guardone si avvicina”.
   “Sì, lo so. Ne ho visti tanti che fanno così” mi rispose facendomi capire che sapeva di cosa stavo parlando.
   “Però nel caso del mio amico la coppia non fu così generosa da lasciarlo guardare. E infatti il lui della coppia gli ha detto di lasciarli in pace, e a momenti gli menava. E così il mio amico è stato costretto a tornarsene a casa amareggiato e a mani vuote. Quando mi ha raccontato questa cosa era ancora fuori di sé dalla rabbia. Mi ha detto: cazzo, ma perché non posso guardare? Lo state facendo in spiaggia e non vi sta bene che qualcuno vi guarda. Ma a questo punto andatevene in un motel se volete un po' di privacy. E in un certo senso non aveva tutti i torti”.
   “Beh, se vuoi fare l’amore in spiaggia non ti puoi lamentare dei guardoni che ti spiano” disse Beatrice dando ragione al mio amico. “Io lo avrei lasciato guardare. Infondo che male c’è? Non c’è niente di più bello che guardare due innamorati che fanno l’amore. E privare un guardone  di uno spettacolo così meraviglioso è una cosa crudele”.
   Era evidente; Beatrice era una di noi, un nuovo membro della nostra famiglia sui generis. E lo si intuiva dalle cose che diceva e dal suo modo di concepire il sesso. Una concezione uguale alla nostra.
   

giovedì 6 settembre 2018

Le emozioni

continuano.

(in foto: Zafira & Cherry Kiss, DDFNetwork.com)


[postato da Moana]

   Io fui la prima a vedere l’imbarcazione della guardia costiera che ci era venuta a riprendere. Ma in principio non feci nulla per segnalare la nostra presenza sull’isola, perché pensai che se lo avessi fatto sarebbe finito tutto, e quindi non avrei più avuto modo di fare l’amore con Barbara, e non sarei più stata la sua schiava del sesso. Tutto sarebbe ritornato alla normalità, io sarei ritornata dal mio fidanzato e lei dal suo, e tutto questo sarebbe stato soltanto un ricordo. E io ne volevo ancora.
   Andai a dirlo a Barbara, che quando le raccontai della barca della guardia costiera e del fatto che non avevo fatto nulla per farmi vedere, lei mi diede uno schiaffone su una guancia che mi fece tremare tutta dall’eccitazione. Ormai me ne aveva dati così tanti che iniziavano a piacermi. E ogni volta che me ne dava uno, dopo un breve istante di dolore, le sorridevo e la guardavo con gli occhi a cuoricino, perché ero cotta di lei.
   “Perché non ti sei fatta vedere?” mi chiese. Era molto arrabbiata.
   “Perché avevo paura che tutto questo potesse finire”.
   “Razza di stupida!” urlò.
   A quel punto Barbara si mise a correre verso la spiaggia, dove appunto avevo visto i soccorsi, e iniziò a sbracciarsi per attirare l’attenzione. E io la raggiunsi e la saltai addosso per farla smettere, e a quel punto iniziammo a darcene di santa ragione. Io ovviamente le presi in gran quantità, perché lei era agile e scattante, e mi riempì di schiaffi, ma anche io riuscii a dargliene qualcuno. Alla fine la guardia costiera ci vide e vennero a prenderci. Era finita. Il sogno erotico si interrompeva, e tutto quello che c’era stato tra di noi sarebbe rimasto soltanto un piacevole ricordo.
   Però nei giorni che seguirono il pensiero di quello che avevo passato con Barbara iniziò a ossessionarmi. Mi svegliavo nel cuore della notte con la sensazione di sentire la sua mano infrangersi contro la mia guancia. E poi a lavoro il nostro rapporto si era completamente stravolto; adesso la stuzzicavo maggiormente, la riprendevo su tutto ciò che faceva, perché il mio intento era provocare una sua brusca reazione, che infatti non si fece attendere. Un giorno la ripresi perché il suo modo di sistemare gli scaffali non mi piaceva affatto, e lei allora mi guardò con gli stessi occhi che aveva sull’isola ogni volta che stava per colpirmi con uno schiaffo. Però non andò oltre; non poteva farlo davanti alle altre commesse. E allora mi chiese gentilmente se poteva parlarmi in privato, e io le dissi di sì. E così ce ne andammo nei locali caldaie del centro commerciale, e dopo esserci appurate di essere sole mi chiese in malo modo se c’era qualche problema.
   “Certo che c’è. Il problema sei tu”.
   A quel punto Barbara mi diede uno schiaffo terribile su una guancia, e io sentii un’altra volta quel brivido che avevo sentito sull’isola, quel calore che proveniva dalle labbra di sotto e che si estendeva fino al cuore, e dopo il dolore iniziale ero praticamente in estasi e lei avrebbe potuto fare di me ciò che voleva. E infatti mi afferrò per i capelli e avvicinò la sua bocca alla mia, e ci baciammo, come avevamo fatto lì, in quel nostro angolo di paradiso. E la mia lingua incontrò di nuovo la sua ed ebbi quella piacevole sensazione che mi dava la sua saliva. La sua bocca mi inebriava, mi dava emozioni che non avevo mai provato con Berni. Forse perché era una novità, non saprei dirvi. Era una bocca nuova, era una bocca di una femmina come me e io volevo restarci attaccata per tutta la vita. 
   Iniziai a vedermi con Barbara anche fuori dall’orario di lavoro. Spesso passavo la notte con lei, in una camera d’albergo vicino alla stazione. D’altronde a casa sua non potevamo farlo, perché c’era il suo fidanzato. A casa mia neppure, perché c’era Berni. Quindi l’unica soluzione era quella lì. Vederci un paio di volte a settimana per la nostra dose d’amore. Inutile dirvi che spesso mi riempiva di schiaffi e insulti, però poi alla fine facevamo l’amore e tutto si sistemava.
   Quella relazione era diventata il nostro piccolo segreto. Però per quanto riguarda il resto tutto rimase invariato; al negozio ero io a comandare, sotto le lenzuola invece era lei. Però poi quando facevo l’amore con Berni ritornavo ad essere io, nel senso che a letto avevo sempre avuto la tendenza a dominare. Insomma, era come se avessi una doppia identità, però la parte di me succube e remissiva veniva fuori soltanto in presenza di Barbara.
   In passato avevo già avuto altre esperienze con delle ragazze, ma più che altro per curiosità, o forse per semplice divertimento, per trasgredire e provare cose nuove. Però questa volta non era semplicemente una trasgressione. Questa volta con Barbara c’era qualcosa che non avevo mai provato prima.
   Una volta venne a trovarla in negozio il suo fidanzato. In verità ci era già venuto altre volte, prima della nostra avventura sull’isola, ma questa volta lei decise di presentarmelo. E io gli strinsi la mano e gli baciai le guance amichevolmente, ma dentro sentii una gelosia irrazionale, perché  volevo Barbara tutta per me. Se solo pensavo a tutte le volte che le leccavo la patatina, la stessa patatina che lui penetrava con il suo cazzo enorme (Barbara mi diceva spesso che il suo fidanzato ce l’aveva molto grosso), e quindi era un po' come leccare anche lui, ma lui non poteva nemmeno sospettarlo. Chissà quante volte le aveva sborrato nella vagina che io baciavo e succhiavo in modo famelico. Eppure io per lui ero soltanto la proprietaria del negozio in cui lavorava la sua fidanzata.
   E allora siccome lei mi aveva presentato il suo fidanzato, io le presentai il mio. Un giorno infatti Berni venne in negozio e gli feci conoscere Barbara. E anche lui ovviamente, non poteva nemmeno sospettare che andavo a letto con lei.
   “Sei molto fortunato” gli disse Barbara, “hai una fidanzata davvero speciale, anche se a volte per come si comporta con noi commesse si meriterebbe due schiaffi”.
   La guardai e mi morsicai il labbro inferiore; soltanto l’idea mi fece eccitare tremendamente.
   “È impossibile” rispose Berni, “perché Moana non è una ragazza che si fa prendere a schiaffi molto facilmente”.
   “Certo” continuò lei facendomi l’occhiolino, e poi mi diede una pacca sul sedere, ma discreta, in modo da non farsi scoprire da lui.
     

martedì 4 settembre 2018

Travolti da un insolito destino...

...XXX Parody, Quarta Parte. 


[postato da Moana]

   Gli ultimi giorni sull’isola li passammo in questo modo, a leccarci i buchi a vicenda e a fare del nostro meglio per procurarci da mangiare. E devo dire che in questo Barbara era bravissima; era una cacciatrice esperta. Quindi il pranzo e la cena non mancavano mai. E proprio per questo motivo io continuavo ad essere in una posizione di inferiorità rispetto a lei. E questa condizione mi faceva sentire attratta da Barbara, forse perché non ero mai stata in tale posizione prima d’ora. Gli uomini con cui ero andata a letto non ci erano mai riusciti. Barbara invece sì, e forse per questo motivo mi sentivo il cuore sempre in subbuglio, e quindi avevo sempre voglia di fare l’amore con lei. E anche Barbara non perdeva mai l’occasione di godere col mio corpo. Certe volte mi prendeva con la prepotenza, mi afferrava i capelli e avvicinava la sua bocca alla mia, e mi infilava la lingua in bocca e poi mi faceva sua, e io la lasciavo fare, perché non chiedevo altro.
   Ogni tanto ci provavo a ristabilire l’ordine, e a rimettermi sopra, al comando, ma lei puntualmente mi dava uno schiaffo su una guancia, e se io reagivo cominciavamo a darcene di santa ragione, ma lei ne usciva sempre a testa alta, perché era agile e scattante come un felino, e poi facevamo l’amore un’altra volta e tutto tornava alla normalità. Barbara mi apriva le gambe e si metteva in mezzo e iniziava a strofinare la sua patatina moicana contro la mia patatina brasiliana, e questo sfregamento mi mandava al manicomio, e in qualche secondo il miele che usciva dalle mie labbra di sotto, in quantità considerevoli, si mischiava al suo, e quindi sentivo le nostre fighette che scivolavano l’una sull’altra, sempre con minor attrito. E non so cos’era, forse il calore che emanavano le nostre calde aperture, o forse le porcate che mi diceva mentre era sopra di me, ma io riuscivo sempre a raggiungere degli orgasmi sensazionali, che mi facevano perdere i sensi.
   Una sera, dopo cena, davanti al fuoco che Barbara aveva acceso per arrostire il pesce che aveva pescato, parlammo del nostro futuro. Lei mi disse che quando saremmo tornate a casa le cose sarebbero notevolmente cambiate, e il nostro amore sarebbe terminato, e io sarei ritornata ad essere la padrona esigente e severa di sempre. Ma io le risposi che il nostro rapporto non sarebbe cambiato, e che io avrei continuato ad amarla, e che magari potevamo continuare a vederci di nascosto.
   “Vedrai, non andrà così” mi disse. “Tu ritornerai dal tuo fidanzato, e io dal mio. E io ritornerò ad essere la commessa che deve sopportare l’arroganza di una padrona ricca e viziata”.
   “Quindi è così che mi vedi? Come una padrona arrogante e viziata?”.
   “È questo che sei” disse alzandosi in piedi, e si parò davanti a me in modo minaccioso, mettendomi la sua patatina davanti alla bocca, e poi con una mano mi afferrò i capelli e mi spinse il viso contro il suo sesso succoso, e quindi le mie labbra incontrarono nuovamente l’apertura dove il suo fidanzato entrava spesso col suo membro, e dove probabilmente scaricava il suo seme ad ogni fine rapporto. Ed ebbi quasi la sensazione di sentirlo, il suo uomo, il suo attrezzo, che era scivolato lì dentro chissà quante volte. Ma ormai aveva anche il mio di sapore, per tutte le volte che lei aveva strofinato il suo sesso contro il mio, per tutte le volte che la mia saliva era entrata in contatto con quelle labbra carnose. E una volta le avevo anche morsicate, e lei mi aveva dato uno schiaffo perché le avevo fatto male. Ma non era mia intenzione farlo, piuttosto avevo risposto ad un istinto naturale, perché era appunto questo che le labbra di Barbara di facevano venir voglia: succhiare e mordere.
   Quella sera, davanti al fuoco, la baciai e la leccai lì sotto fino a farla venire, e lei iniziò a squirtarmi in faccia con un getto violento e caldo, come un esplosione, accompagnata da un suo grido liberatorio. Infatti ad un certo punto si allontanò qualche centimetro da me e si aprì la patatina con due dita, e mi spruzzò il suo liquido con un getto che quasi mi tagliò la faccia. E io rimasi lì in ginocchio davanti a lei con la bocca aperta a prendermi tutto, e in qualche attimo ne fui letteralmente ricoperta, mi grondava dappertutto, sulle tette, sulle braccia, e poi giù fino all’ombelico, e poi ancora più giù, sulla fighetta e sulle gambe. Era come una specie di cascata bollente, e io ci ero sotto. Quando ebbe finito mi ci attaccai di nuovo con la bocca per succhiarle le ultime gocce. Poi lei con una mano mi allontanò e aprì di nuovo le sue labbra di sotto puntandomele in faccia.
   “Aspetta, voglio togliermi uno sfizio” mi disse. “Ti voglio pisciare addosso. E quando mi ricapita un’occasione così?”.
   A quel punto si lasciò andare, e il suo getto di urina calda mi investì in piena faccia, e anche in questo caso lasciai la bocca aperta e glielo lasciai fare. Potevo certamente immaginare la sua soddisfazione in ciò che stava facendo; fare pipì addosso alla sua datrice di lavoro. Lei che era sempre stata una dipendente sottomessa ai miei capricci ora mi stava svuotando la vescica sul viso, senza alcuna opposizione da parte mia. Era il riscatto della classe subalterna. Aveva dovuto subire centinaia di soprusi e ingiustizie da parte della classe dominante (cioè io) e adesso finalmente era arrivata l’occasione della rivincita. E non riuscivo ad oppormi, perché sentivo uno strano piacere che mi faceva rimanere lì immobile sotto a quello spruzzo intenso e bollente che si infrangeva contro la pelle del mio viso.
   “Guardati, sei una cloaca” disse lei divertita, mentre continuava a spruzzare fuori il suo rigagnolo rigoglioso.
   Cercai di non ingoiare, ma fui comunque costretta a mandarne un po' giù. E non potete nemmeno immaginare quanto mi eccitava questa cosa, tutta questa esperienza, e infatti avevo la figa in fiamme e per fortuna che poi alla fine Barbara, dopo aver orinato, si dedicò ad appagare sessualmente anche me. E quindi si abbassò verso di me e avvicinò le dita alla mia vagina, e iniziò a sgrillettarmi fino a farmi venire. Dovette aver pensato che sarebbe stato molto crudele lasciarmi così, con tutto quel desiderio inappagato che avevo.
   Poi ci addormentammo davanti al fuoco, accucciate l’una vicino all’altra. Lei mi stava dietro, con la patatina col taglio alla moicana premuta contro le mie natiche, tenendosi ancorata al mio corpo con braccia e gambe, e la bocca a pochi centimetri dalla mia spalla, e io sentivo il suo respiro caldo sulla mia pelle, e ogni tanto le accarezzavo la mano, la mano che poco prima mi aveva fatto godere.