martedì 26 dicembre 2017

Uno strappo al regolamento. 

(in foto: Eva Notty, Her Knockers Are A Knockout, DDFNetwork.com)


   Il giorno dopo io e Cinzia ci rimettemmo alla ricerca della videocassetta che mi immortalava mentre facevo una gangbang all’età di diciotto anni. I protagonisti di quella triplice monta, e cioè Giuliano e i suoi amici Slotty e Marpione, non ce l’avevano. Slotty mi aveva detto che se l’era fatta sequestrare dal preside della sua scuola qualche giorno dopo la ripresa della scopata, e quindi da quel momento il nastro era andato perduto. Io e Cinzia scoprimmo che l’allora preside della scuola di Slotty era passato a miglior vita, d’altronde era già anzianotto al tempo dei fatti. Però a questo punto decidemmo di giocarci l’ultima carta e di fare l’ultimo disperato tentativo, e quindi di metterci in contatto con gli eredi del defunto preside, il quale aveva soltanto un figlio maschio che aveva all’incirca la nostra età.
   Ricevere queste informazioni che vi ho appena detto fu piuttosto facile; ci bastò andare nella segreteria della scuola di Slotty e parlare con l’ufficio amministrativo, dove c’era un impiegato morto di figa che però ci disse che erano informazioni riservate e che quindi non poteva aiutarci. A quel punto Cinzia ha chiuso la porta dell’ufficio a chiave e abbiamo iniziato a fare un po' le zoccole con lui, il quale sembrava terrorizzato dalla nostra intraprendenza e dalla nostra porcaggine. Cinzia gli accarezzò il cazzo da sopra ai pantaloni, io mi sbottonai la camicetta e gli feci ballare le tette a pochi centimetri dalla faccia, poi gli avvicinai un capezzolo alla bocca offrendoglielo, e lui ci si avventò sopra leccandomelo avidamente. Cinzia intanto gli aveva tirato giù la lampo dei pantaloni e gli aveva tirato fuori il cazzo duro da morire, e iniziammo a menarglielo, un po' io e un po' lei, nel frattempo anche Cinzia si era sbottonata la camicetta e aveva messo fuori anche lei le tette, piazzandole in faccia all’impiegato come avevo fatto io.
   “Dai, fai il bravo” sussurrò lei. “Dacci le informazioni che ti abbiamo chiesto. Cosa ti costa?”.
   “È contro il regolamento” rispose mentre mi succhiava un capezzolo.
   “Ci riesci a fare uno strappo al regolamento se ti facciamo un bel pompino?” guardai Cinzia negli occhi sorridendogli, eravamo proprio una bella squadra. Insieme avremmo potuto superare qualsiasi ostacolo, soltanto utilizzando le nostre bocche e le nostre tette.
   A quel punto ci inginocchiammo e avvicinammo le labbra alla trave dura dell’impiegato e iniziammo a tempestarlo di baci sull’asta, poi Cinzia lo infilò in bocca e iniziò a succhiargli il glande, con risucchi e indecenti schioppetii di labbra. Dopo qualche minuto lo fece uscire e tenendolo fermo con le dita alla base me lo offrì mettendomelo davanti alla bocca, facendomi capire che toccava a me, e allora lo feci entrare tra le labbra e lo sbocchinai a dovere. Proseguimmo in quel modo per un bel po', passandocelo di bocca in bocca, e spesso le nostre labbra si incontravano per un fugace ma caldo bacio saffico. Poi ad un certo punto l’impiegato iniziò a sborrare copiosamente; sia io che Cinzia ce ne accorgemmo subito, perché il glande iniziò a gonfiarsi come un palloncino rosso, quindi era chiaro che stava per iniziare ad eruttare come un vulcano, quindi allontanammo le bocche e lo lasciammo eiaculare, con Cinzia che lo masturbava con decisione e io che mi ero rimessa in piedi e gli avevo piazzato di nuovo in bocca uno dei miei capezzoli.   
   Morale della favola: l’impiegato ci diede tutte le informazioni di cui avevamo bisogno. Tutta la roba che aveva sequestrato nei vari anni di servizio l’aveva presa suo figlio, quindi probabilmente la videocassetta ce l’aveva lui. L’impiegato ci diede anche il suo indirizzo, e così ci andammo subito.
   Abitava al centro, per cui raggiungere casa sua non fu difficile. Quando ci venne ad aprire la porta mi accorsi che era come se mi conoscesse da una vita. Prima che potessimo dirgli qual’era il motivo della nostra visita lui mi disse: “sei davvero tu?”. Il fatto è che io non mi ricordavo affatto di lui. È vero che le persone cambiano, ma lui davvero non lo avevo mai visto prima. Ma lui aveva visto me, questo era il punto.
   “Ci conosciamo?” gli chiesi.
   “Diciamo che è come se ti conoscessi da una vita”.
   “Possiamo entrare? Siamo qui per chiederti delle informazioni in merito a tuo padre”.
   Il figlio del preside si chiamava Luca. Ci fece entrare in casa, un appartamento molto disordinato, con pile e pile di libri accatastati lungo il corridoio che portava alla cucina, un altro ambiente che avrebbe avuto bisogno di una sistemata. Però nel complesso c’era una discreta pulizia. Tutto faceva pensare che Luca fosse scapolo. Se ci fosse stata una donna lì con lui non ci sarebbe stata tutta quella confusione.
   Ci fece accomodare nel soggiorno e ci offrì del caffè. Se dovessi farvi una descrizione di Luca non saprei che dirvi; in effetti non aveva nulla di particolare, era un uomo comune come tanti altri, soltanto che aveva l’occhietto porco. Voi vi domanderete: cos’è l’occhietto porco? È una cosa che hanno alcuni uomini, che all’apparenza sembrano uomini normali, ma che poi sono dei maiali di prima categoria. Dei veri e propri malati di sesso. Certo, a chi è che non piace il sesso? Ma per alcuni uomini il sesso è una vera e propria malattia, un ossessione che non riescono a controllare. Ci sono alcuni uomini che hanno veramente bisogno di essere curati. E io mi accorgevo quando un uomo era malato di sesso fino al punto di diventare schiavo del proprio cazzo. Me ne accorgevo dai loro occhi. E avevo dato un nome all’elemento che mi serviva a smascherarli, lo chiamavo: l’occhietto porco. Luca aveva l’occhietto porco. Luca era un evidente malato di sesso.
   In ogni modo mi diede una spiegazione per quello che aveva detto prima quando eravamo sulla porta, cioè che era come se mi conoscesse da una vita. Ebbene, ci spiegò che un giorno suo padre, quando era ancora preside della scuola, era ritornato a casa con una videocassetta che disse di aver sequestrato a scuola a dei nullafacenti, e disse che l’avrebbe riconsegnata al suo legittimo proprietario soltanto alla fine dell’anno scolastico. Luca aveva diciotto anni al tempo dei fatti, e ovviamente la curiosità di vedere cosa ci fosse sopra quel nastro era tanta. E così la prese e la mise nel videoregistratore, e quello che vide fu uno dei spettacoli mozzafiato più belli che avesse mai visto. Il film porno amatoriale più speciale che gli fosse mai capitato tra le mani.
   “Cosa aveva di così speciale?” gli chiesi. “Era solo un porno amatoriale”.
   “Di speciale c’eri tu, Sabrina” mi rispose. “Forse ti sembrerà assurdo, ma io mi innamorai follemente di te, di come lo prendevi in culo, di come davi piacere ai tuoi tre partner, facendogli cose che altre ragazze avrebbero rifiutato categoricamente. E invece tu lo facevi con piacere, perché si vedeva che ti piaceva farlo. Sabrina, non immagini neppure quante seghe mi sono fatto guardandoti fare quella gangbang. La cosa che mi ossessionava era che non riuscivo a capire chi eri. Mi sarebbe piaciuto incontrarti, e dirti quanto ti amavo, ma non potevo farlo, perché di te conoscevo soltanto il tuo nome, perché sentivo i tuoi partner ripeterlo spesso mentre ti inculavano”.
   “Ebbene, noi siamo qui proprio per quella videocassetta” dissi. “Ci puoi dire dov’è andata a finire?”.
   “La custodisco gelosamente da quando mio padre l’ha portata a casa. Per evitare che la restituisse al suo legittimo proprietario, perché queste erano le sue intenzioni, simulai un furto in casa. Feci finta che dei ladri si erano intrufolati nell’appartamento e misi tutto sotto sopra, e poi feci sparire qualche oggetto di poco valore e quella videocassetta”.
   “Luca, ti dispiacerebbe darmi quel nastro?”.
   “Te lo do volentieri, d’altronde è un oggetto che in qualche modo appartiene a te. Io l’ho soltanto custodito per tutti questi anni. Ma in cambio vorrei chiederti una cosa che ho sempre desiderato più di ogni altra cosa al mondo”.
   “E sarebbe?”.
   “Il tuo buco del culo”.

Sabrina. 
    

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