venerdì 29 settembre 2017

Una notte indimenticabile. 


   Moana mi telefonò e mi disse che aveva urgentemente bisogno del mio aiuto, e che mi avrebbe spiegato tutto quanto quando saremo ritornati a casa. Mi chiese di andarla a prenderla, e ci tenne a precisare che aveva bisogno di vestiti. Era nuda e stava vagando per la città. Mi venne un attacco di panico che quasi stavo per svenire; il fatto di sapere che Moana era completamente nuda in giro per le strade, preda di qualsiasi pervertito senza scrupoli, mi terrorizzò. E allora saltai in macchina e corsi come un matto bruciando una decina di semafori e rischiando più volte di scontrarmi con gli sporadici automobilisti che percorrevano a quell’ora le vie del centro. Perché mai Moana era nuda in giro per la città? Cosa le era capitato? Pensai subito al peggio: pensai che Joe aveva tentato di violentarla, e allora le aveva strappato il vestito, ma in qualche modo lei era riuscita a fuggire. E allora mi salì il sangue al cervello, e cominciai a covare dentro di me un sentimento di vendetta.
   L’indomani, mi dissi, sarei andato a cercare Joe e lo avrei riempito di botte. È quello che si meritava per aver fatto una cosa del genere alla mia Moana. Era quello che pensavo. Ero accecato dall’ira e mi sentivo pronto a fare una follia pur di ottenere vendetta. Ma come ben sapete mi sbagliavo. Joe non aveva fatto niente di male.
   In ogni modo riuscii a raggiungere il posto indicatomi da Moana in tempi record. Era una strada un po' fuori mano piena di villette a schiera, e lei era lì nel cortile di una di queste che mi aspettava. Non appena mi vide fece una corsa verso di me e si fiondò in auto senza neppure dirmi ciao, mi ordinò soltanto di partire a razzo. Le diedi un vestito che avevo preso dal suo cassetto e lei lo infilò in un istante. Mi tranquillizzai solo dopo essermi appurato che stava bene. Obiettivamente, nonostante quello che le era accaduto, nessuno le aveva torto un capello. Non vedevo lividi né ferite sulla sua pelle, quindi non le era stato fatto alcun male. Questa cosa mi fece tirare un sospiro di sollievo.
   Rientrammo a casa che erano le cinque del mattino. Ci mettemmo a sedere sul sofà e lei mi raccontò tutto quello che era accaduto. Prima di cominciare a spiegarmi come erano andate le cose volli subito sapere se Joe le aveva fatto del male.
   “Joe? Ma no, che dici!” rispose lei stizzita da quella domanda. “Come ti salta in mente una cosa del genere? Il motivo per cui ero nuda è perché mi sono lasciata guardare da lui così come mamma mi ha fatta. Era un suo desiderio. Joe è sempre stato innamorato di me, anche se non me l’aveva mai detto. Gli ho spiegato che non poteva avermi dal momento che sono impegnata con te, però gli ho concesso di potermi vedere nuda. E a quel punto mi sono spogliata. Però è arrivata una volante della polizia e io sono scappata, perché ho avuto paura di essere accusata di atti osceni”.
   Mi raccontò tutto quello che era successo dopo essere scappata, e io quasi facevo fatica a crederci. Però di una cosa ero certo, e cioè che Moana non diceva mai le bugie. Non si era inventata nulla. Tutto quello che mi aveva raccontato era successo per davvero. Insomma, era stata una serata che avrebbe ricordato per sempre. E adesso era molto stanca, perché finalmente era ritornata a casa e gli si erano distesi i nervi. Il sonno aveva cominciato a manifestarsi nelle sue forme più evidenti; gli occhi cominciarono a chiudersi e le parole le uscivano a stento dalla bocca. Si addormentò sul sofà e io la presi in braccio e la portai in camera da letto. Le diedi un bacio sulla fronte e le accarezzai il viso. Guai a chi toccava la mia Moana. Come si poteva fare del male ad una creatura così bella? Joe si sbagliava di grosso se pensava di potermela portare via.
   E proprio in quel momento qualcuno suonò al citofono. Erano le cinque e mezza del mattino, chi poteva essere se non lui? Ero quasi certo che era venuto a riportarle la borsetta che aveva lasciato in macchina, e probabilmente a fare il ruffiano con lei, nella speranza che si lasciasse montare. Lo feci salire da noi perché avevo proprio voglia di sentire quello che aveva da dire. Salì la rampa di scale facendosi i gradini a due alla volta e quando mi vide subito mi chiese di lei:
   “Moana è qui?”.
   “Sì, è qui” risposi freddamente. “Sta dormendo”.
   “Oh, grazie a dio! Tu devi essere il suo fidanzato. Piacere, io sono Joe” allungò la sua mano verso di me e io gliela strinsi. Aveva il fiatone, era terrorizzato proprio come me quando avevo ricevuto la telefonata di Moana. “Sono qui per restituirle la borsetta” disse, e ce l’aveva nell’altra mano e me la fece vedere alzandola a mezz’aria.
   “La prendo io” dissi. “Gliela darò non appena si sveglia”.
   “Ascolta, non so che idea ti sei fatto su ciò che è accaduto, ma vorrei soltanto dirti che non abbiamo fatto nulla di male”. 
   “Lo so cosa è successo. Mi ha raccontato tutto” non avevo molta voglia di chiacchierare, così stavo facendo di tutto per liquidarlo e mandarlo via, ma lui era fermo sulla porta e guardava dentro casa, nella speranza di poterla vedere. Ma lei non c’era e lui sembrava soffrirci molto. Così a quel punto gli domandai se voleva vederla.
   “Posso? Davvero?” non poteva crederci che gli avessi proposto una cosa del genere. Ma d’altronde che male c’era. Se il suo desiderio era vederla di nuovo, chi ero io per negarglielo? Allora lo feci entrare, e insieme percorremmo il corridoio che portava alla camera da letto. La porta era aperta e la stanza era illuminata dalle lampade che stavano sui comodini. La luce illuminava le pareti di un arancione molto intenso, e allo stesso tempo faceva brillare il corpo di Moana, tutto tempestato di goccioline di sudore. Lei era a pancia in giù, con le braccia e le gambe spalancate, e il vestitino era salito sui fianchi, quindi era nuda dalla vita fino ai piedi. Aveva un culo spettacolare come ben sapete, e Joe non potette fare a meno di contemplarlo come si fa con una scultura di grande valore artistico. Moana dormiva dolcemente, con il viso rivolto verso di noi, gli occhi chiusi e la bocca leggermente aperta, quella bocca tanto dolce che aveva accolto tanti uomini al suo interno, donando loro momenti di intenso piacere. E aveva accolto anche me, più e più volte, e spesso era stata inondata dal mio seme. L’unico forse che ancora non era stato accolto in quel caldo antro dell’amore era proprio Joe. Ed ero certo che era smanioso di farlo, glielo leggevo in faccia, da come la guardava, era chiaro che avrebbe voluto infilarglielo in bocca, e non solo lì, ma ovunque, ma forse sopratutto nella vagina che avrebbe voluto inondare con il suo sperma, per ingravidarla e renderla madre. Questo leggevo nel suo modo di guardarla, ovvero un amore davvero senza limiti.
   “Che angelo!” disse con un filo di voce.
   “Già” risposi. “Adesso però è meglio se la lasciamo riposare”.
   “Sei davvero l’uomo più fortunato del mondo”.
   “Lo so”.

Berni.    

mercoledì 27 settembre 2017

lunedì 25 settembre 2017

Atti osceni in luogo pubblico.

(in foto: Jenni, Bamboo, JennisSecrets.com)

   A fine serata Joe mi riaccompagnò a casa. Lungo la strada parlammo un po' del passato, degli amici che se ne erano andati all’estero per colpa del fatto che il nostro paese non offre alcuna opportunità, altri invece che si erano arruolati nella celere, altri invece che si erano dati alla politica e così via. Alla fine della conta eravamo rimasti in pochi ad essere ancora in città.
   Non me ne ero accorta, ma sedendomi in auto il vestitino mi si era alzato fino ai fianchi, quindi praticamente avevo il perizoma a vista. E ad un certo punto ci fermammo sul belvedere della città. Non c’era nessuno, era un incanto. Per due innamorati che hanno voglia di coccolarsi un po' era il luogo ideale, lontano da occhi indiscreti. E uscendo dalla macchina non mi ero nemmeno premurata di riabbassarmi il vestitino, le natiche erano praticamente nude, coperte esclusivamente dal leggero filo di stoffa del perizoma che stava tra una chiappa e l’altra. Non lo avevo fatto per stuzzicare la fantasia di Joe, ma soltanto perché non me ne ero accorta. Lui invece sì, e non mi disse nulla, preferì fare in modo che non me ne accorgessi, così da avere la possibilità di potermi guardare meglio il culo.
   Andammo verso il parapetto del belvedere e guardammo la città lontana, tutta illuminata d’arancione delle luci delle strade, e con i fari delle auto che percorrevano le vie centrali, che sembravano così piccole viste da quell’altezza da sembrare dei giocattoli. Restammo a guardare il panorama per qualche minuto senza dirci nulla, poi mi accorsi di avere il vestitino alzato sui fianchi con tutto il culo di fuori e allora me lo tirai giù in fretta e furia.
   “Oddio, guarda in che condizioni sto! Praticamente sono mezza nuda” mi risistemai il vestito stirandolo con entrambe le mani. “Ti chiedo scusa”.
   “Di cosa? Forse non lo sai ma è sempre stato il mio sogno poterti vedere nuda. Ero pazzo di te, Moana. Sapessi quante seghe mi sono fatto pensando a te in situazioni molto porche. Una volta l’ho fatto mentre pensavo a te che mi facevi un pompino e poi io ti sborravo sul viso”.
   “Ma se mi desideravi così tanto perché non c’hai mai provato con me?” praticamente mi stavo sciogliendo come un ghiacciolo sotto il sole di ferragosto. Lo sapete che basta poco per farmi andare la figa in fiamme, poi soprattutto quando uno si dichiara in quel modo. Poi se qualcuno mi dice addirittura che sono stata la sua principale fonte di ispirazione per le proprie seghe, allora lì tra le mie cosce si crea un vero e proprio fiume e inizio ad eccitarmi come una cagna.
   “Ma perché avevo paura di un tuo rifiuto. Insomma, parliamoci chiaro Moana, tu eri la ragazza più desiderata della città. Eri la gnocca per eccellenza. Avevi tutti i nostri coetanei che ti venivano dietro, e di solito ti concedevi esclusivamente a quelli più aitanti. Che speranze potevo avere io?”.
   “E io invece sarei stata pronta in ogni momento a concederti il mio corpo. Aspettavo soltanto un tuo segnale. Purtroppo Joe ormai è troppo tardi. A breve diventerò la moglie di un altro uomo, e non potrò che essere soltanto sua”.
   Continuammo a fissare ancora un po' quel panorama incantevole. Se non fossi stata impegnata con Berni mi sarei già messa in ginocchio davanti a Joe e gli avrei tirato fuori il cazzo per farlo godere con la bocca. Sarebbe stato un pompino epocale, in una location davvero speciale, e sarebbe stata una delle eiaculazioni più intense della mia onorata carriera di pompinara. Purtroppo non potevo farlo. Avrei avuto un rimorso terribile. Però allo stesso tempo non volevo lasciare Joe a bocca asciutta. Avrei potuto fare qualcosa per accontentare la sua storica passione che aveva nei miei confronti.
   “E quindi è sempre stato un tuo sogno potermi vedere nuda” dissi guardandolo con aria di sfida. “Ok, ti accontento. Ti faccio vedere come sono fatta sotto questo vestitino da puttana che indosso. Aspettami qui e non ti muovere”.
   Avevo voglia di farmi vedere nuda però volevo farlo in modo teatrale, quindi volevo creare un po' di suspence, e allora raggiunsi una serie di alberi che stavano a ridosso della salita che portava al belvedere. Qui mi sarei tolta il vestito e il perizoma e poi sarei riapparsa agli occhi di Joe così mamma mi ha fatta. Quindi tolsi tutto e lasciai i miei indumenti alla base di un albero, e quando sarebbe finito tutto sarei ritornata a riprenderli. Ero pronta, guardai che non ci fosse nessuno in giro e poi mi feci avanti. Era notte inoltrata, avevo seri dubbi riguardo al fatto che qualcuno potesse vedermi. Eravamo soltanto io e lui. E così andai verso Joe con un passo leggero e sicura di me, come se fossi su una passerella, ancheggiando e guardandolo con occhi accesi di passione. Lui mi vide arrivare, completamente nuda, soltanto con i tacchi a spillo ai piedi e nient’altro. Era visibilmente nervoso, forse il fatto che ero nuda in un luogo pubblico lo terrorizzava. Forse pensava che in quel modo sarei potuta essere facile preda di malintenzionati. Ma io ero sicura che nessuno ci avrebbe disturbati.
   Dopo aver percorso quei cinquanta metri che ci dividevano mi fermai davanti a lui con i pugni contro i fianchi, poi girai su me stessa per fargli vedere com’ero fatta dietro. Con una mano mi schiaffeggiai una natica e il rumore della palma della mia mano sulla pelle del mio culetto echeggiò per tutto il belvedere.
   “E allora” dissi. “Ti piace?”.
   “Moana, sei…” Joe era così eccitato che le parole gli uscivano a stento dalla bocca, “sei da erezione”.
   “Lo vedo” infatti notai da subito un notevole rigonfiamento sotto i pantaloni, e allora mi ci avvicinai e iniziai a strofinare il culo contro il suo sesso. A quel punto lui mi prese per i fianchi accarezzandomi amorevolmente e spinse il suo cazzo duro tra le mie natiche. Poi mi girai e iniziai a strofinare la figa contro la sua erezione, e lui mi avvolse le sue braccia intorno al corpo e tentò di baciarmi la bocca, ma io spostai il viso e non glielo permisi, e allora lui iniziò a tempestarmi il collo di baci, e nel mentre con le mani aveva raggiunto le mie natiche, palpandole energicamente e aprendole per scoprire il mio “fiorellino del peccato”, come amava definirlo il mio Berni. Lo iniziò a punzecchiare con il dito medio e poi lo fece entrare dentro, ma io mi divincolai dal suo abbraccio e mi allontanai da lui, e sorridendogli gli feci di no con la testa, insomma gli feci capire che non poteva farlo. Ma proprio in quel momento accadde ciò che non mi sarei mai immaginata che accadesse, ovvero una macchina della polizia apparve dal nulla a sirene spiegate. Cazzo, se m’avessero beccata in quello stato m’avrebbero incriminata per atti osceni in luogo pubblico. Ero terrorizzata, e la prima cosa che mi venne in mente di fare fu quella di scappare. Non pensai ad altro, cominciai a correre. D’altronde, pensai, non ero molto lontana da casa. C’era circa un chilometro da percorrere. Poi però mentre correvo pensai al fatto che ero completamente nuda. Per fortuna le persone a quell’ora dormivano. Comunque sempre meglio percorrere un chilometro in quelle condizioni che essere incriminata per atti osceni.
   Comunque potete ben immaginare che la strada sembrava non finire mai. Dovetti fermarmi più volte per riprendere fiato. In una sosta feci anche la pipì nascondendomi dietro un cassonetto della spazzatura. Forse era la tensione del momento, ma c’avevo la vescica che mi stava per esplodere. Allora mi abbassai e aprii le labbra di sotto con due dita e iniziai a liberarmi. Il fiumiciattolo di pipì attirò l’attenzione di un tizio che stava portando il suo chiwawa a spasso, mi vide dietro i cassonetti e iniziò a imprecare dicendo che noi puttane dovevamo smetterla di insozzare le strade orinando dappertutto.
   “Ehi!” risposi piuttosto risentita. “Non sono una puttana!”.
   “Da come vai in giro sembrerebbe proprio di sì” rispose lui. “E comunque qui nel quartiere non vi vogliamo. Vai a vendere i tuoi buchi da un’altra parte. Questo è un quartiere per bene!”.
   “Senta, le torno a ripetere che io non sono una di quelle donne che vendono i loro buchi. Sono una rispettabilissima commerciante, quindi la smetta di offendermi avanzando certe insinuazioni nei miei confronti”.
   “Certo, una rispettabilissima commerciante… vendi la bocca, la figa e il culo. Un commercio davvero rispettabile”.
   A quel punto il fiumiciattolo di pipì terminò e mi rialzai e poi ripresi a correre in direzione casa. E il vecchio che mi urlava dietro: “brava, scappa! Vai a vendere le tue belle chiappette da un’altra parte!”.

Moana. 

sabato 23 settembre 2017

A cena con Joe.


   Dopo il caffè Joe mi propose di andare a cena fuori. Non ci trovai niente di male, e anzi mi faceva molto piacere. Di certo Berni non correva nessun rischio. Non ci aveva provato con me cinque anni fa e quindi non lo avrebbe fatto neanche quella sera. Insomma, ero quasi certa che non vi erano i presupposti per un eventuale cornificazione del mio futuro marito. E allora gli dissi di sì; mi sarebbe passato a prendere alle otto a casa con la sua auto e saremmo andati insieme.
   Così verso le sei me ne andai dal negozio e ritornai a casa per prepararmi. Indossai un vestito porchissimo rosso, così corto che dovevo continuamente tirarmelo giù altrimenti rischiavo di rimanere col culo di fuori. E sia davanti che dietro il vestito aveva due aperture veramente terribili; davanti il vestito era aperto fino all’ombelico, e sotto non portavo il reggiseno (in verità non lo portavo mai, proprio come mia madre), quindi ogni tanto i capezzoli delle tette facevano capolino fuori. Dietro l’apertura era altrettanto generosa, e arrivava fino al fondoschiena, e da cui chiunque poteva vedere i bordini del perizoma nero che indossavo sotto.
   Quando mi vide Berni a momenti si sborrava nelle mutande.
   “Accidenti quanto sei gnocca” mi disse.
   “Grazie tesoro” gli risposi mentre cercavo di infilarmi gli orecchini a goccia che mi aveva regalato mia madre per il mio diciottesimo compleanno.
   “Dove stai andando?”.
   “A cena con un fornitore” gli risposi. Non ero sicura che Berni conoscesse Joe. Forse soltanto di fama. In effetti non li avevo mai visti insieme, perché frequentavano comitive differenti. “Tu te lo ricordi Joe?”.
   “Mmh… no. Questo nome non mi dice niente”.
   “Quel ragazzo che quando avevamo diciassette anni era riuscito a farsi pubblicare un romanzo da una grossa casa editrice” cercai di fargli ricordare.
   “Mmh… forse ho capito, ma non l’ho mai conosciuto personalmente”.
   “Ebbene, è lui il fornitore di cui ti parlavo”.
   “Non capisco. È un fornitore oppure un romanziere?”.
   “Credo che faccia entrambe le cose. Si sa che in Italia non si campa scrivendo romanzi, a meno che tu non sia un pezzo grosso”.
   E così alle otto in punto Joe venne a prendermi. Quando mi vide uscire dal portone (devo dire che sembravo proprio una pornodiva) uscì dalla macchina e in modo galante venne a baciarmi le guance e ad aprirmi la portiera per farmi salire in auto. Mentre entravo mi sussurrò che ero bellissima. Lo ringraziai. Lui era vestito in modo molto elegante, quasi da cerimonia. Segno che mi stava portando sicuramente in un ristorante molto esclusivo.
   Lungo il tragitto non sapevamo bene da dove cominciare a parlare. E così lui mi chiese della mia attività, e io gli spiegai che il negozio nominalmente era di mia madre, ma che in pratica lo gestivo io. Ma non mi soffermai molto a parlargli del negozio di intimo, perché obiettivamente non c’era molto da dire. Piuttosto mi sarebbe piaciuto sentire parlare di lui. E allora gli feci a bruciapelo quella domanda che mi ronzava nella testa da tutto il pomeriggio, ovvero: “come va con i tuoi romanzi? Ricordo che quando avevamo diciassette anni eri già molto popolare, immagino che adesso sarai una specie di celebrità”.
   “Non proprio” rispose lui, e sembrava molto demoralizzato e forse avrei fatto bene a farmi i fatti miei. Ma chi poteva saperlo che in realtà Joe era stato una stella cadente? Avete presente le stelle cadenti, che lasciano quella scia luminosa, e che per qualche istante brillano come matte, e che poi all’improvviso si spengono? Ebbene, la carriera letteraria di Joe aveva subito la stessa sorte. “Purtroppo nell’ambiente delle case editrici ci devi sapere fare, devi avere la faccia tosta e devi fare il ruffiano se vuoi rimanere sulla cresta dell’onda. Tutte cose che io non so fare. Sai, è un po' come la politica, vince chi c’ha di più la faccia come il culo. E io ho perso. Hanno sfruttato il caso letterario del momento, il ragazzino di diciassette anni che ha sfornato un romanzo, e poi mi hanno abbandonato quando non gli sono più servito”.
   “Eppure io credevo che saresti diventato uno scrittore di fama internazionale” dissi.
   “Lo credevo anch’io. E infatti è stata una grandissima delusione quando ho scoperto che non era niente vero. Ricordo ancora quando l’editore mi diceva che io ero per loro come un figlio, che mi avrebbero allevato e cresciuto. Non era niente vero. Mi stavano mentendo. Alla prima occasione mi hanno abbandonato come un cane. A loro non gliene frega niente se un autore è valido, per loro l’importante è solo vendere. Quindi magari pubblicano il libro di un calciatore piuttosto che il libro di un giovane autore promettente, perché il calciatore vende di più. Loro non erano interessati al mio libro perché lo ritenevano un romanzo valido, a loro interessava soltanto che fosse stato un ragazzino a scriverlo, e quindi questo avrebbe attirato le masse incuriosite a comprarlo. Perchè per loro la cosa fondamentale è vendere. Punto. Il mondo dell’editoria fa schifo”.
   Intanto eravamo arrivati al ristorante. In effetti aveva scelto per la nostra reunion un posto veramente elegante, con la musica jazz in sottofondo, le luci soffuse e una romantica candela che si interponeva tra me e lui. Le persone presenti, tutti ricconi benestanti, non facevano che guardarmi. Alcuni mi guardavano in modo sdegnoso, perché probabilmente ero vestita in modo troppo volgare per il loro target. Altri, chiaramente gli uomini, mi guardavano con i loro occhi accesi di desiderio. Morivano dalla voglia di portarmi a letto con loro e farmi le peggio schifezze che la mente di un maschio poteva immaginare.
   Ci portarono delle pietanze davvero ridicole; odiavo i ristoranti in cui si mangiava in quel modo, cioè con un piatto gigante con una cacatina in mezzo che sembrava il patè che si da ai gatti, e poi alla fine avevi più fame di prima. Io presi i ravioli con ripieno di formaggio e pera, e non esagero se vi dico che nel piatto ce n’erano quattro. Ragazzi, quattro! Quattro stupidissimi ravioli, che a casa mia servivano soltanto ad assaggiare per poi stabilire se andavano bene di sale. Preferivo di gran lunga le osterie, dove ti portavano un piatto traboccante di bucatini alla amatriciana. Quello è mangiare.
   “E quindi, per ritornare al discorso di prima, hai smesso di scrivere e ti sei dedicato al mondo della distribuzione” dissi cercando di riassumere la vita di Joe in poche parole.
   “No, chi ti ha detto che ho smesso di scrivere? Scrivo ancora, ma lo faccio gratis. Pubblico i miei romanzi su Internet. Sono lì, alla portata di tutti, e soprattutto li pubblico senza l’insopportabile supervisione di un editor che ti dice cosa va e cosa non va bene. Sono l’editor di me stesso, e scrivo quello che mi pare”.
   “E cosa scrivi?”.
   “Racconti erotici” mi rispose sicuro di se.
   Per poco non scoppiai a ridere. Credevo che mi stesse prendendo in giro. E invece stava dicendo la verità. Scriveva racconti erotici perché gli piaceva farlo, e perché essendo l’editore di se stesso si sentiva libero di scrivere quello che voleva, senza freni, senza censure.

Moana.
  

giovedì 21 settembre 2017

martedì 19 settembre 2017

Roba mia.

(in foto: AwesomeHandjobs.com, Woman With Heavenly Body Gives Amazing Head XXX)


   Era un classico; quando Moana litigava con Berni per fargliela pagare si faceva scopare dal primo che capitava. Era già successo tante volte. Comunque lui prese i suoi vestiti in fretta e furia e sgattaiolò fuori di casa lasciandoci da sole, libere di poter discutere di ciò che era appena successo.
   “Ma dico io, proprio dal garzone del forno dovevi farti montare?” ero piuttosto amareggiata, perché quel giovane e aitante stallone era roba mia. Era me che voleva. Ero io il suo sogno erotico.
   “È stato il primo che mi è capitato. Ma perché? Che problema c’è?”.
   “Nessun problema” dissi, ma senza alcuna convinzione.
   “Non dirmi che tu e lui...”.
   “Perchè? Credi che sia impossibile che io e lui...”.
   “Mamma, cosa stai cercando di dirmi? Che tu e il garzone della panetteria andate a letto insieme?”.
   “Ci siamo fatti una scopata, tutto qui”.
   “Ma mamma! Ha solo diciannove anni! Potrebbe essere tuo figlio!”.
   “E allora? Che male c’è?”.
   “E comunque adesso si è scopata sia te che me. Praticamente si è scopato tutte le donne di casa”.
   “Ok, lasciamo stare. Non ci voglio pensare a questa cosa. Piuttosto parliamo di te e di Berni. Prima l’ho sentito al telefono. Ha chiamato lui. Era distrutto”.
   Moana fece un sorriso diabolico, era felice che il suo piano aveva funzionato. Ma mi disse che non c’era niente di cui discutere su quella faccenda. Avevano litigato. Punto. Forse mia figlia doveva soltanto sbollentare. Forse le aveva fatto bene quella scopata col garzone del forno. Infatti adesso sembrava più rilassata.
   Dal momento che non voleva parlarne me ne andai a fare una doccia e poi subito a letto. Ma non riuscivo a prendere sonno. Non facevo che pensare alla mia situazione. Alle tre del mattino rientrò Stefano. Vidi la porta della camera che si apriva e la sua ombra che veniva verso di me. Iniziò a spogliarsi e poi mi si mise accanto. Io ero messa su un fianco e lui si mise accucciato dietro di me, con il cazzo puntato in mezzo alle mie natiche e iniziò a baciarmi la schiena. Sentii la sua trave gonfiarsi a dismisura fino a raggiungere la massima erezione, e il glande che fremeva per entrarmi in culo. A quel punto accesi l’abat-jour sul mio comodino; volevo vederlo, volevo vedere il suo grosso cazzo in erezione per me, volevo vedere quanto mi amava. Era bellissimo, con quel glande turgido, fieramente gonfio, luccicante per via di una gocciolina di liquido pre-eiaculatorio che si era formata in cima e aveva cominciato a scendere molto lentamente giù per il frenulo.
   “Amore mio, quanto sei bello!” sussurrai, e poi mi avventai con la bocca sul suo cazzo e iniziai a percorrerlo con la lingua, dalle palle fino al frenulo, raccogliendo la gocciolina di liquido che stava scendendo e la ingoiai con gusto. Lo tempestai tutto di baci, poi scesi giù e iniziai a leccarlo sotto le palle, tra i testicoli e il buco del culo. Impazziva quando lo facevo. Con la mano gli afferrai saldamente il cazzo e iniziai a masturbarlo in modo deciso; ritornai su e presi il glande in bocca mulinando con la lingua e risucchiando oscenamente, poi lo facevo uscire facendo schioppettare le labbra e poi ritornavo all’attacco.
   “Sabri, calmati!” disse Stefano divertito. “Così mi farai sborrare subito”.
   “E sborra tesoro, sborra quanto ti pare! Riempimi la bocca con il tuo seme” e intanto non ne volevo sapere di lasciarglielo. La mia intenzione era proprio quella di farlo godere con la bocca. Volevo donargli un pompino colossale, perché era mio marito e io lo amavo alla follia. O forse stavo cercando di auto convincermi di questo, e cioè che non c’era altro uomo all’infuori di lui che amavo così tanto. Ma nel frattempo non facevo che pensare a Giuliano. Credo di non essere mai stata così confusa.
   Mio marito iniziò a sborrare copiosamente e gli schizzi mi riempirono il viso in pochi istanti. In quello stesso momento qualcuno suonò alla porta.
   “Chi può essere a quest’ora?” chiese Stefano.
   “Credo di saperlo. Aspetta, vado io”.
   Scesi dal letto e uscii nel corridoio e lo percorsi fino ad arrivare alla porta d’ingresso. Senza premurarmi di togliermi la sborra dal viso aprii la porta e fuori c’era Berni. Ne ero certa. Lui mi guardò un po' sorpreso, non solo perché avevo gli schizzi di Stefano in faccia, ma anche perché indossavo una camicia da notte trasparente e sotto non avevo niente, quindi praticamente ero nuda. Poteva tranquillamente vedermi le tette e la figa.
   “Sabrina… è tutto ok?” mi chiese ingenuamente.
   “Sì, ero a letto con mio marito e lui mi ha…” con una mano mi tolsi un po' del seme di Stefano dal viso, poi feci segno a Berni di entrare dentro.
   Era molto nervoso, mi disse che aveva cercato Moana ovunque. A momenti si metteva a piangere. A quel punto gli dissi di calmarsi e lo guidai verso la cameretta di mia figlia. Aprii la porta e gli feci vedere che lei era dentro che dormiva.
   “Tornatene a casa Berni, vedrai che domani tornerà da te, e farete l’amore e tutto ritornerà come prima. È stupido rovinare una cosa così bella come il vostro amore per un litigio. Di anima gemella ne esiste soltanto una, ricordatelo”.
   Tranquillizzato del fatto che Moana era al sicuro, Berni se ne ritornò a casa, e io me ne ritornai in camera da letto. Stefano si era appena addormentato, e così decisi di fare un tuffo nel passato. Forse non tutti ricordano che una ventina d’anni fa avevo una rubrica su una rivista porno. La rivista si chiamava Mondo Sborra, e la mia rubrica era La Posta di Sabrina Bocca e Culo, dove rispondevo alle lettere che mi inviavano i lettori. Le loro domande erano davvero scatenate; mi chiedevano di tutto, se avessi mai fatto una gangbang, se mi ero mai fatta scopare per denaro, e una volta ricordo che qualcuno mi aveva fatto una domanda davvero particolare: hai mai amato due uomini contemporaneamente? Conservavo ancora tutti i numeri della rivista in un armadio della camera da letto; li avevo riposti in una scatola. Trovai il numero che mi interessava e lessi la risposta che avevo dato a quella domanda: “sì, ho amato e amo tutt’ora due uomini contemporaneamente, ma in modo diverso. Uno è mio marito, per il quale provo un amore davvero senza limiti, e l’altro è un mio ex (mi riferivo a Giuliano) di cui amo il suo grosso cazzo e il suo modo di scoparmi. Del mio ex non ho mai amato il lato umano, perché mi ha sempre trattata come un buco da riempire, mentre io provavo per lui un’attrazione davvero incredibile. D’altronde come tutte le ragazze della città. Mio marito invece è stato l’unico a trattarmi con rispetto, e non come una zoccola. Ma nonostante questo continuo ad amare il mio ex in maniera incondizionata”.
   Rileggere quanto avevo scritto mi schiarì le idee. Avevo sempre amato entrambi, sia Stefano che Giuliano. D’altronde, se non fosse stato così, non mi sarei mai lasciata ingravidare da Giuliano.

Sabrina.

domenica 17 settembre 2017

venerdì 15 settembre 2017

Come quando ero una diciottenne.

(in foto: Eva Notty, Cock Therapy, DigitalPlayground.com)


   Ero lì nella camera da letto di Giuliano e mi stavo facendo montare di brutto. Sì, proprio così. Da qualche settimana mi vedevo con Giuliano di nascosto. Non so che dirvi, era nato tutto per caso. Una sera mi aveva telefonata e mi aveva chiesto se mi andava di andare a cena da lui. Io gli avevo detto di sì. Stefano non poteva venire perché si stava dedicando al suo nuovo lavoro anima e corpo, e praticamente usciva la mattina e ritornava a notte inoltrata.
   Sono andata a cena da lui e ci siamo fatti una scopata colossale, come quando eravamo ragazzi, quando ancora non conoscevo Stefano. Ricordo che a quel tempo mi lasciavo penetrare da Giuliano solo analmente, perché volevo conservare il davanti per un uomo speciale. Poi ho incontrato Stefano e ho subito capito che era lui l’uomo che aspettavo, e mi sono lasciata penetrare anche vaginalmente.
   Poi le cose sono cambiate. Cominciai a farmi penetrare da Giuliano anche davanti. E infatti quella sera mi lasciai possedere completamente.
   Come vi dicevo era da un paio di settimane che mi vedevo con Giuliano. Stefano non sapeva niente, e questo un po' mi faceva sentire in colpa. Di solito gli raccontavo tutto delle mie scappatelle extraconiugali, ma non so per quale motivo queste scappatelle le tenni nascoste. Forse perché Giuliano non era uno qualunque. Giuliano era stata la mia prima cotta; quando avevo diciotto anni ero stata innamorata fradicia di lui. Qualsiasi cosa mi chiedesse di fare io lo accontentavo. Ero praticamente la sua schiava del sesso.
   E forse era per questo motivo che non avevo saputo dire di no quando mi aveva chiesto di andare a cena da lui, perché infondo ero ancora innamorata. Sentivo ancora una fortissima attrazione. Mi bastava sentire la sua voce per farmi bagnare in modo osceno. E poi lui sapeva come farmi sentire speciale, come scoparmi e farmi godere.
   Quindi anche quella sera, quando Moana era ritornata a casa dopo una furiosa lite con Berni, io non avevo saputo rinunciare all’appuntamento con Giuliano. Non avrei mai rinunciato a concedermi completamente a lui. E mentre mi stava facendo il culo mi sussurrò: “ti amo”, e allora io mi sciolsi completamente. Era quello che volevo sentirmi dire. Poi fece uscire il suo enorme cazzo dal mio condotto anale e iniziò a schizzarmi sulla schiena. A quel punto ci acquietammo sul letto a riprendere fiato.
   “Lo sai che tua figlia ieri ha avuto la sua prima esperienza cuckold?” gli chiesi.
   “Moana?”.
   “Sì certo, Moana. Ricordi? Sei stato tu a ingravidarmi, quindi è anche tua figlia”.
   “E tu che ne sai che ha avuto un’esperienza cuckold?”.
   “Me l’ha detto lei. Lei mi dice tutto della sua vita intima”.
   Tra noi ci fu qualche minuto di silenzio, quasi come se in lui stesse montando una gelosia terribile. Indubbiamente per un padre sentirsi dire una cosa del genere sul conto della propria figlia femmina dev’essere un duro colpo, ma era giusto che lo sapesse anche lui. D’altronde lo ritenevo abbastanza ragionevole da capire che anche la sua Moana era fatta di carne, e che quindi anche lei aveva le sue fantasie nascoste.
   “Che c’è? Perchè non parli più?” gli domandai. “Che c’è di male nel fare un’esperienza cuckold? Anche io ne ho avute tante di esperienze di questo tipo. Ricordi? Sei stato tu a iniziarmi a questa pratica. E Stefano era lì a guardarci mentre noi due facevamo l’amore”.
   “È diverso Sabri” rispose. “Eravamo io, tu e Stefano. E io ti penetravo con amore. Invece non sappiamo se il bull che ha penetrato Moana l’abbia trattata con amore e rispetto”.
   “Smettila di fare il padre geloso. Moana è una donna, e ha le sue esigenze, proprio come me. Io non ci trovo niente di male. L’unico problema è che lei e Berni hanno litigato”.
   “Per quale motivo?”.
   “Perchè lui lo ha raccontato ad un amico, e a quanto pare adesso lo sa tutta la città”.
   “Che stronzo! Se lo becco gli rompo la faccia”.
   “Sì, in effetti è stato un po' incosciente. Però tutto sommato è perdonabile. Non è una cosa terribile”.
   “Non è terribile?! Adesso per colpa sua mia figlia sarà agli occhi di tutti una zoccola”.
    “Quello che pensa la gente non conta, lo sai bene. Quante ne hanno dette su di me?”.
   L’orologio digitale sul comodino della camera da letto segnava la mezzanotte. Dovevo assolutamente rientrare, anche perché gliel’avevo promesso a Moana. Le avevo detto che al mio rientro avremmo parlato di quello che era successo. Quindi ripresi i miei vestiti e mi preparai a ritornare a casa, quando ad un certo punto il mio cellulare iniziò a suonare. Era Berni che forse voleva qualche informazione sul conto di mia figlia.
   “Sabrina ascolta, non voglio allarmarti ma è da oggi pomeriggio che cerco di chiamare Moana, ma lei ha sempre il telefono staccato”.
   “Beh, che problema c’è? Magari lo ha spento. Succede”.
   “No è che oggi abbiamo avuto una discussione, e lei ha detto che avrebbe fatto qualcosa di veramente terribile. Ho paura che potrebbe essere in pericolo, capisci?”.
   “Perchè? Che ti ha detto?” sapevo che Moana non era in pericolo, ma cercai di reggere il gioco di mia figlia.
   “Voleva darmi una lezione, e allora ha detto che sarebbe andata in via Nazionale a prostituirsi. Ho paura che possa avere incontrato qualche malintenzionato, capisci?”.
   “Berni, questa cosa è gravissima” dissi con un tono molto severo. “Sappi che se è successo qualcosa alla mia bambina ti riterrò personalmente responsabile. Tu prega soltanto che non le sia capitato niente”.
   A quel punto attaccai il telefono e Giuliano mi guardò con un espressione preoccupata. Io gli feci un mezzo sorriso per fargli capire che era tutto sotto controllo.
   “Che succede?”.
   “Niente. Come ti dicevo poco fa Moana e Berni hanno discusso, e allora Moana ha fatto credere a Berni che per fargliela pagare si sarebbe andata a prostituire in via Nazionale.
   “Ma è terribile!”.
   “Non ti scaldare troppo” risposi ridendo. “Moana è al sicuro a casa nostra”.
   “E perché non gliel’hai detto a Berni?”
   “Così la prossima volta ci pensa due volte prima di fare arrabbiare la nostra piccolina”.

Sabrina.   

mercoledì 13 settembre 2017

lunedì 11 settembre 2017

Qualcuno a cui raccontarlo. 

(in foto: Jana Cova, Cum With Me, ClubJanaCova.com)


   Moana si era chiusa in camera e decisi di lasciarla sbollentare un po' prima di andarle a chiederle scusa per quello che avevo insinuato. Sì, forse avevo sbagliato un po', nel senso che l’avevo definita senza accorgermene una bambolina passiva con cui divertirsi. Erano, come già vi dicevo nel post precedente, i miei maledetti sensi di colpa. Proprio come quello che diceva lei riguardo al primo rapporto anale che ho avuto con Moana; dopo aver sborrato nel suo condotto anale sono stato invaso dai sensi di colpa. È giusto quello che ho fatto? È giusto penetrare analmente la ragazza che si ama? E se lo fai, è una dimostrazione del fatto che hai di lei una considerazione simile a quella che hai per una puttana? E anche in quel caso, quando le dissi queste mie perplessità, lei sbottò dicendomi che non avevo capito un cazzo di lei, e che se mi aveva dato il culo non era certo per soddisfare un mio capriccio, ma perché le andava di farlo.
   Poi col tempo lo avevo capito, e quindi quando la penetravo analmente non venivo più assalito dal rimorso, perché sapevo che era una cosa che le dava piacere, e allora glielo riempivo volentieri il suo “fiorellino del peccato”. Questo nomignolo gliel’avevo dato io, e a lei era piaciuto molto, e quindi ogni volta che facevamo l’amore lei ad un certo punto mi diceva: “che fai, non vuoi fare una visitina al mio fiorellino del peccato?”. E allora a quel punto ci facevamo una risata e poi la penetravo anche lì, e lei era contenta, soprattutto se poi le davo anche qualche sculacciata.
   Quella delle sculacciate pure è un’altra storia che mi ha dato del filo da torcere. Una volta, mentre stavamo facendo l’amore, lei all’improvviso mi disse: “sculacciami”.
   E io: “Cosa?! Ma no dai, non mi sembra una cosa carina da fare”.
   “Dai ti prego, sculacciami. Fammi sentire troia”.
   E allora io per accontentarla le diedi uno schiaffetto, ma molto timido e direi quasi ridicolo. E infatti lei rise della mia ingenuità.
   “No, non così. Più forte. Mettici più passione. Fammi capire che apprezzi il mio culo. Dammi una bella sculacciata”.
   E allora a quel punto le diedi una bella sculacciata come voleva lei, e lei ebbe un sussulto e emise un rantolo che mi fece capire che quella cosa doveva piacerle proprio tanto. Da quel giorno me lo chiese anche altre volte, e io cercai sempre di accontentarla, anche se in verità cercavo di non farlo troppo spesso, per due motivi: il primo è che avevo paura di stizzirla (una paura del tutto irrazionale dal momento che a lei piaceva da impazzire essere sculacciata) e due perché sculacciarla mi eccitava così tanto che quando lo facevo sentivo subito quel brivido che preannuncia l’eiaculazione, e quindi siccome volevo durare quanto più è possibile quando facevo l’amore con Moana allora evitavo quelle cose che di solito mi facevano venire subito.
   Certo che quell’esperienza che avevamo vissuto quella notte insieme a Fabio aveva dell’incredibile. Non potevo credere di aver assistito ad una cosa del genere. E mi chiedevo cosa sarebbe cambiato da quel momento. Saremmo diventati una coppia cuckold? La mia futura moglie sarebbe stata preda di altri uomini vogliosi di godere delle sue cavità? E io? Cosa sarei stato io? Il classico marito cuck che assiste mentre altri uomini si montano la propria moglie? Sentivo dentro che avevo bisogno di parlare con qualcuno, di confidarmi. Ma con chi potevo farlo? Se raccontavo quella storia ai miei amici sarei passato come un uomo di poco onore, che cede la sua donna per un capriccio personale, e Moana probabilmente sarebbe stata considerata come una ragazza facile da chiavare. Di certo non volevo che si dicesse questo di noi.
   Comunque prima di tutto dovevo andare da lei e farmi perdonare. Come ho già detto la lasciai un po' sola, il tempo di farla calmare, e poi andai da lei in camera da letto. Stava sul letto ancora nuda e a pancia in giù, con le gambe e le braccia aperte e il viso sprofondato tra i cuscini.
   “Tesoro, posso?” chiesi.
   “Sì, entra” mi rispose con una voce stanca e afflitta.
   “Amore vorrei chiederti scusa per quello che ho detto. Ho sbagliato, lo so, e mi dispiace davvero tanto. Tu non sei una bambolina per far godere gli uomini”.
   “Scuse accettate. E comunque ti chiedo scusa anche io. Mi sono proprio rivolta male nei tuoi confronti. Certe volte quando sono arrabbiata ti dico certe cose davvero terribili, che davvero dovresti prendermi a schiaffi”.
   “Prenderti a schiaffi? Ma che dici?” a quel punto mi misi a sedere accanto a lei, e con una mano le accarezzai delicatamente il sedere.
   “Sì, certe volte me lo merito. Riesco ad essere davvero antipatica e insopportabile. Ma come fai a stare ancora con una come me?”.
   “Perchè hai un culo divino” risposi, e le diedi una bella sculacciata, di quelle come piacciono a lei, belle rumorose, che poi ci rimane l’impronta della mano per ore e ore. E allora lei finalmente mi guardò e mi sorrise, quel suo sorriso tipico di quando le viene voglia di fare l’amore.
   E allora mi avvicinai con la bocca alle sue natiche e con le mani gliele aprii e mi feci strada con la lingua verso il suo orifizio anale. Iniziai a leccarglielo appassionatamente. Ecco questa era una cosa per cui non avevo mai avuto problemi; mi era sempre piaciuto leccarle il “fiorellino del peccato”, perché forse associavo questa pratica ad una cosa che in nessun modo poteva degradarla o sottometterla, anzi ero io che mi sottomettevo a lei leccandole il buco del culo, quindi per me era tutto a posto, mi sentivo in pace con la coscienza. Leccarle l’ingresso del condotto anale era sempre stata una cosa che mi aveva sempre fatto impazzire; sentivo un odore molto particolare, di sudore e “altro”, d’altronde parliamoci chiaro, Moana era come tutte le altre ragazze, anche lei andava al bagno, quindi anche lei espelleva feci quotidianamente, proprio da quel buco che io amavo tanto leccare, e che avevo ribattezzato “fiorellino del peccato”. Avrebbe dovuto farmi orrore una cosa del genere, e invece mi faceva perdere la testa. Se poi pensavo che era anche una delle porte d’ingresso da cui erano entrati molti uomini allora perdevo proprio la ragione.
   Non saprei dirvi se a lei piaceva quando le leccavo l’orifizio anale, perché certe volte la sentivo ridere, e mi diceva che gli facevo il solletico, però poi mi lasciava fare. Una volta gliel’avevo chiesto, e lei mi aveva risposto che se me lo lasciava fare voleva dire che le piaceva. In effetti non faceva una piega, e rientrava anche nel discorso che riguardava il sesso anale; Moana mi permetteva di penetrarla analmente perché la pratica del sesso anale le piaceva da impazzire.
   Ad un certo punto mi afferrò i capelli e mi tirò su la testa per guardarmi negli occhi, e mi sorrise amorevolmente.
   “Certo che tu sai sempre come farti perdonare” disse. “Porco che non sei altro. Dai, dacci dentro con quella lingua” e sempre tenendomi per i capelli mi spinse il viso di nuovo tra le sue natiche e io ripresi a leccarle  l’ingresso del condotto anale.

Berni.  

sabato 9 settembre 2017