giovedì 28 febbraio 2019

Passeggiate notturne

e squirt esplosivi.

(in foto: Blanche Bradburry, NubileFilms.com)


[postato da Moana]
  
   Il giorno dopo mi svegliai alle otto. Era sabato, e il negozio di Emily era aperto soltanto la mattina, e io sarei andata con lei a farle compagnia durante il lavoro. Il tempo non passava mai, perché i clienti si contavano sulle dita delle mani. Mi domandavo come facesse a tirare avanti. Poi però mi accorsi che quando veniva qualcuno e comprava un libro Emily incassava un pacco di soldi. Perché erano libri rari, ragion per cui erano anche molto costosi.
   “Ho notato che la notte ti fai delle gran belle passeggiate” le dissi ad un certo punto.
   “Eh sì, sono sonnambula” rispose lei mentre armeggiava con un delicatissimo libro dell’ottocento.
   “Fai dei sogni frequenti quando lo fai?”.
   “Niente di speciale” disse guardandomi con la coda dell’occhio. Era evidente che non me lo voleva dire. Doveva essere qualcosa di molto porco, altrimenti me l’avrebbe detto. E il sesso per Emily non era un argomento che affrontava volentieri. Era troppo timida per farlo. Eppure io volevo saperlo. Ero curiosa di sapere quali erano le sue fantasie. Perché tutti abbiamo delle fantasie, e quindi era impossibile che lei non ce le aveva.
   “Dai, racconta. Non tenerti tutto dentro” cercai di spronarla, ma non ci fu nulla da fare. Mi disse che i suoi sogni erano sempre molto vaghi, e che poi quando si svegliava ricordava poco e niente. Ma io non ci credevo. Semplicemente non aveva il coraggio di dirmelo.
   Poi quella notte successe di nuovo.
   Ero nel letto quando ad un certo punto mi squillò il telefono; era Berni il quale mi chiese il motivo per cui me ne ero andata senza dire nulla. Infatti non gli avevo detto niente. Lo avevo detto soltanto a mia madre.
   “Avevo bisogno di riflettere” gli dissi.
   “Su cosa?”.
   “Sul fatto che probabilmente ti vedi con un’altra”.
   “Ma cosa ti stai inventando? Moana, perché dovrei farlo? Tu mi dai tutto, sei la donna che chiunque vorrebbe avere accanto”.
   “Sì ma voi maschi non vi accontentate mai. Senti, forse hai ragione. Forse mi sono inventata tutto. Infatti non ho nessuna prova per dimostrarlo. Sono solo molto confusa, vedrai che mi passerà”.
   Ad un certo punto vidi nella sala da pranzo un’ombra aggirarsi in modo silenzioso. Era Emily. Stava dormendo, ma allo stesso tempo era lì che vagava nell’appartamento come un fantasma.
   “Adesso devo andare. C’è mia cugina che sta dando di matto”.
   Dopo un po' la vidi entrare nella mia camera. Era nuda, e bofonchiava frasi sconnesse, diceva che io ero una vacca, poi salì sul letto e iniziò a strofinarsi su di me. Mi infilò una mano nei pantaloni del pigiama, e sotto non avevo niente, per cui non ci mise niente a raggiungere la mia patata. Iniziò a sgrillettarmi di brutto e nel frattempo con la bocca iniziò a tempestarmi di baci sul collo, e poi mi diceva delle cose, diceva che ero una porca e che avevo bisogno di una punizione. Provai a chiamarla in modo delicato, ma avevo paura di svegliarla. Ma sfilò i pantaloni con violenza quasi strappandomeli via, e mi aprì le gambe con entrambe le mani e iniziò a leccarmi, prima il buco davanti e poi quello del condotto anale. E io stavo ferma e la lasciai fare, pensando che prima o poi avrebbe smesso, ma invece si mise a cavalcioni sul mio viso piantandomi la figa in bocca. Emily era molto bagnata, e soprattutto molto pelosa, e il suo fitto boschetto mi stava quasi soffocando. Cominciai a leccarla e il suo caldo succo iniziò a colarmi dappertutto. Nel frattempo lei mi sgrillettava pesantemente, e allora mi bagnai anche io, e allora lei si abbassò e iniziò a leccarla. Non avrei mai immaginato che un giorno avrei fatto un sessantanove con mia cugina, eppure era proprio quello che stava accadendo. E lei lo stava facendo così bene che ad un certo punto mi fece squirtare in modo furioso, e un getto considerevole schizzò fuori dal mio corpo, come un esplosione, e io avevo voglia di urlare, di gridare per il piacere che stavo provando, ma non potevo farlo perché Emily continuava a tenermi la sua figa pelosa piantata in bocca. Era così bello che ebbi la sensazione di perdere i sensi, e allora roteai le pupille quasi fino a farle sparire, come facevo di solito quando avevo un orgasmo. Era una cosa che facevo automaticamente, senza pensarci; venivo e facevo quella cosa, e poi di solito mi ci volevano un paio di minuti per riprendermi. 
   Poi ad un certo punto se ne andò, lasciandomi sul letto priva di forze, e in preda agli spasmi involontari dei muscoli del corpo, che erano come delle piccole scosse che ogni tanto avevo subito dopo aver fatto l’amore.
   Ovviamente il giorno dopo Emily non ricordava niente di quanto era successo. Provai a dirglielo ma lei mi disse che non era vero, che mi ero inventata tutto, o che probabilmente lo avevo soltanto sognato. E poi volle subito cambiare discorso. Una cosa era certa, e cioè che mia cugina era bravissima a leccare la patata, ma non poteva saperlo.
   Comunque quello che era successo quella notte rimase un segreto. Emily negava che fosse accaduto davvero, io invece ne ero certa ma feci finta di credere alla sua versione, e cioè che avevo soltanto sognato.
   In ogni modo per me era arrivata l’ora di ritornare a casa; non potevo stare via per troppo tempo, avevo pur sempre una figlia da accudire e un negozio da mandare avanti. Mi sarebbe mancata Emily, soprattutto la sua bocca, ma non potevo fare altrimenti. Le promisi che sarei ritornata presto. Ma lungo tutto il tragitto verso casa non riuscii a pensare ad altro. Era stato strano perché in fin dei conti Emily era mia cugina, però non vi nascondo che era stata una delle esperienze più appaganti della mia vita. Non era la prima volta che avevo un rapporto con una ragazza, e ogni volta che era accaduto era sempre stato molto gratificante. E ogni volta mi chiedevo sempre la stessa cosa: possibile che mi piacciono di più le donne che gli uomini?
  

martedì 26 febbraio 2019

Devi andare a caccia

se vuoi prendere un uccello.


[postato da Moana]

   Mentre stavo pranzando con mia cugina Emily le chiesi se in quel periodo usciva con qualcuno, e lei con un po' di imbarazzo mi disse di no. Non “usciva” con un uomo da almeno un paio d’anni, per cui voleva dire che nessuno le “entrava” dentro da tutto quel tempo. Mi chiedevo come fosse possibile che ancora non aveva dato di matto. Forse perché aveva usato i libri come strumento per non pensare a quella mancanza.
   “Ma non senti il bisogno di andare a letto con qualcuno?” le chiesi.
   “Ogni tanto sì” era evidente che Emily era in difficoltà, non si sentiva a suo agio a discutere di quell’argomento, perché quando parlavo di uomini lei abbassava lo sguardo e il tono della voce diventava quasi impercettibile. “Però cosa vuoi farci? Bisogna anche avere la fortuna di incontrare l’uomo giusto”.
   “Se fai affidamento sulla fortuna, stai fresca. Devi andare a caccia se vuoi prendere un uccello”.
   “Sshhhh!” Emily si guardò intorno per assicurarsi che nessuno mi avesse sentita. Ma invece mi avevano sentita eccome, ma la maggior parte fecero finta di niente. “Moana ti prego, abbassa la voce”.
   “Che ho detto di male?”.
   Emily era un caso disperato. Di questo passo non avrebbe scopato per tutto il resto della sua vita.
   Quella sera andammo a cena a casa dei suoi genitori, perché le avevo detto che avevo voglia di salutarli. Era da parecchio che non vedevo gli zii. La sorella di mio padre si chiamava Andrea; da ragazza si era data tanto da fare in fatto di cazzi. Ne aveva presi proprio tanti. Strano che poi Emily era venuta fuori in quel modo, così pudica.
   Mia zia aveva preso cazzi di tutti i tipi: bianchi, neri, enormi, piccoli, e non era certo un segreto, anzi se ne vantava, lo diceva con un certo orgoglio. Poi aveva incontrato mio zio, che era un bel po' avanti con gli anni rispetto a lei. Infatti mia zia aveva quarantacinque anni, e lui ne aveva più di sessanta. Avevo sempre sospettato che fossero stati i soldi a farla innamorare di lui, perché infatti ne aveva un bel po'. Aveva così tanto denaro che vivevano in una villa in periferia con un giardino gigantesco, e avevano anche dei domestici che si occupavano di tutto.
   Durante la cena mia zia mi chiese di mia madre.
   “Come sta quella gran vacca di Sabrina?”.
   “Mamma!” sbottò Emily. “Smettila di parlare in questo modo”.
   “Ma io lo dico con affetto” continuò lei.
   “Beh, mia madre sta molto bene” risposi. “Condivide il suo letto con due uomini, per cui credo che non abbia nulla di cui lamentarsi”.
   “Certo, uno davanti e uno dietro immagino” disse mia zia divertita. “Anzi no, dimenticavo che mio fratello si accontenta soltanto di guardare, quel porco”.
   “In effetti non c’è cosa più divina che guardare la propria donna a letto con un altro uomo” intervenne mio zio.
   “E tu ne sai qualcosa, vero? Quanto sei maiale, anche tu”.
   Emily era molto imbarazzata per il tono della discussione, io invece no, io ero abituata a questi dialoghi così sboccati, perché anche a casa dei miei spesso era così. E poi lo sapete, io non mi vergogno di nulla. Per me il sesso non era una fonte di imbarazzo. È imbarazzante semmai fare le cose di nascosto e quindi reprimere tutto. Perché provare vergogna per una cosa così naturale come il sesso?
   Ma la cosa che maggiormente metteva a disagio Emily era il fatto che sua madre non faceva che ripeterle in continuazione che doveva trovarsi un fidanzato, e che non poteva passare tutta la vita sui libri senza mai provare il piacere di avere un cazzo dentro.
   “Cosa ne sai tu della mia vita?” le rispose Emily. “Ho avuto molte storie, io. È solo che di certo non lo vengo a raccontare a te”.
   “Ah sì? E allora dimmi alcuni nomi degli uomini che ultimamente sono venuti a letto con te”.
   “Charles, Luigi… Abelardo”.
   “Abelardo?” mia zia scoppiò a ridere. “Stai elencando i nomi di scrittori morti e sepolti”.
   “Saranno pure morti e sepolti, ma continuano a farmi provare delle emozioni molto intense”.
   “Tu sei malata, Emily! Devi farti curare”.
   Dopo la cena io ed Emily ci trasferimmo a casa sua, dove avrei dormito per qualche giorno. E lei non fece che parlarmi male di mia zia, disse che avrebbe dovuto imparare a farsi gli affaracci suoi. Io non sapevo chi aveva ragione, però ero dell’idea che Emily doveva fare quello che voleva, senza badare a sua madre. Se con gli uomini non voleva averci niente a che fare non doveva dare spiegazioni a nessuno.
   “Non lasciare che gli altri ti dicano cosa devi fare”.
   Come era prevedibile, la casa di Emily era piena di libri. C’erano libri dappertutto. Libri di ogni forma e genere, di autori che io non avevo mai sentito nominare. Era un’accumulatrice seriale. Mi disse che c’era tanta roba che avrebbe buttato volentieri, ma che poi non ce la faceva. Buttare via i libri era una cosa che la faceva star male. E allora li conservava. Molti di quei libri comunque non li aveva neppure aperti. Mi disse che molto spesso gli venivano regalati, e quindi lei li portava a casa e li metteva insieme agli altri, senza sapere neppure di cosa parlavano.
   Durante la notte mi accorsi che Emily soffriva di qualche strano disturbo del sonno. Ad un certo punto infatti la vidi passeggiare nella sala da pranzo, faceva piccoli passi leggeri senza un apparente meta, e ogni tanto si lamentava e diceva cose senza senso. Era sonnambula, senza dubbio.

sabato 23 febbraio 2019

Emily,

molti libri, poco sesso.


[postato da Moana]

   Non avevo alcuna prova per dimostrare che Berni andava a letto con un’altra. Sapevo soltanto che qualche volta non si era presentato a lavoro, ma non ne conoscevo il motivo. E non so perché, ma in qualche modo mi ero convinta che c’entrasse un’altra donna.
   Era un periodo che mi sentivo spossata, e questo pensiero non aveva fatto che peggiorare le cose. Dovevo andarmene da qualche parte, lasciare tutto e divertirmi, era questo che pensavo, e infatti andai da mia madre e le chiesi se poteva tenersi la mia piccola Cleopatra per qualche giorno. E comunque non doveva preoccuparsi più di tanto, perché Antonella, la babysitter che si occupava di mia figlia, le avrebbe dato una mano.
   Era tutto sotto controllo, quindi potevo andare. E allora presi la macchina e imboccai l’autostrada. Trecento chilometri mi dividevano dalla mia meta. Avevo deciso di fare una sorpresa a mia cugina Emily, che non vedevo da molto tempo, ma che da qualche anno aveva avviato una discreta attività e si era messa a vendere libri rari. Per essere chiari Emily era la figlia della sorella di mio padre. Non avevamo chissà che rapporto, però lei mi telefonava durante le feste comandate, lo faceva sempre, io invece no. E l’ultima volta che ci eravamo sentite mi aveva invitato ad andare da lei a vedere il suo negozio di libri usati. E io le avevo detto di sì, ma senza crederci troppo. Però con la faccenda delle presunte corna che mi aveva messo Berni, decisi che allontanarmi da casa per un po' mi avrebbe fatto bene, e andare da Emily mi avrebbe sicuramente fatto bene.
   Emily era sempre stata una secchiona. A scuola era la migliore. Poi si era laureata con il massimo dei voti e aveva fatto un sacco di master e corsi di formazione che l’avevano portata ad essere ciò che era adesso, e cioè una ragazza la cui vita ruotava tutta intorno ai libri, senza mai provare l’emozione di una scopata. Quando parlavo di uomini con Emily lei mi diceva sempre che non aveva tempo.
   Emily non era bellissima, però ero sicura che non avrebbe avuto problemi a trovare qualcuno con cui farsi una bella chiavata. È solo che non ne aveva voglia. La cosa più importante per lei erano i libri. Purtroppo andava un giro vestita sempre in modo troppo castigato, e quando glielo dicevo lei mi rispondeva che non aveva il fisico adatto per indossare abiti succinti. Ma questo era il suo parere; Emily infatti aveva un culo spettacolare, e non faceva niente per metterlo in risalto.
   Comunque dopo trecento chilometri di auto arrivai da lei. Il suo negozio era in centro, in una strada secondaria. L’insegna diceva semplicemente “libri rari”. Sembrava uno di quei negozi di antiquariato in cui il tempo si era improvvisamente fermato. Appena entrai venni assalita dall’odore di legno tarlato e polvere, e naturalmente di libri, tutti ben allineati e disposti in un ordine molto preciso.
   In negozio non c’era nessuno, a parte Emily che era seduta dietro ad una scrivania e stava tentando di riparare un libro con la copertina danneggiata. Poi si accorse di me e venne a baciarmi le guance. Mi fece fare un giro della sua libreria, facendomi vedere dei libri rari che costavano un pacco di soldi, ma io non ci capivo niente, per me erano soltanto libri e non capivo il motivo per cui dovessero costare così tanto. L’unica cosa che riuscii a realizzare era che lì dentro c’era un patrimonio, e che Emily avrebbe fatto bene a ingaggiare un addetto alla sicurezza.
   “Stai tranquilla, qui non viene a rubare nessuno”.
   Il negozio era su due livelli; al piano superiore si accedeva tramite un elegante scala di legno, e poi c’era un ballatoio su cui erano disseminate altre librerie zeppe di volumi di ogni genere. E lei mi fece vedere alcuni dei pezzi forti, roba di altissimo livello.
   “Dai, scegli un libro” mi disse. “Te lo regalo”.
   “Non saprei, ci sono così tanti libri”.
   “A te cosa ti piace?”.
   “Non so, non hai qualche libro erotico?”.
   “Lo sapevo che mi avresti chiesto qualcosa del genere” mi rispose divertita. “Ebbene, ho proprio ciò che fa per te” Emily prese un volume da uno scaffale e me lo diede, un libro rilegato con una copertina di pelle, doveva essere molto raro, non so per quale motivo ma avevo la sensazione che mi stesse regalando un pezzo davvero unico. “È l’Ars Amatoria di Ovidio. Sono sicura che lo apprezzerai”.
   “Ovidio?” le chiesi un po' delusa. “Ma non hai qualcosa di più recente?”. 
   “Non lo sottovalutare questo libro. Ci sono argomenti molto interessanti. In quest’opera Ovidio esorta le persone a vivere l’amore come un gioco, arrivando perfino ad ammettere il tradimento all’interno di una coppia”.
   “Beh, allora tutto sommato forse mi interessa” risposi, e pensai subito alla mia situazione, e alla mia convinzione che Berni mi metteva le corna con un’altra.
   Mia cugina Emily mi aveva appena regalato un libro che costava mezzo stipendio.
   Era ora di pranzo, così lei mi invitò ad andare a mangiare in un ristorante in cui andava spesso, un posto economico ma veramente buono. Lo frequentava così tanto che conosceva tutti; non solo quelli che ci lavoravano, ma anche le persone che erano solite andarci a mangiare. E prima di metterci a sedere si fermò a parlare con un tizio sulla sessantina, un uomo distinto, ma la cosa che mi stupì fu soprattutto il fatto che parlavano in francese. Mia cugina Emily parlava un francese perfetto, e quando lo faceva era davvero molto eccitante, perché poi aveva una voce molto delicata, molto suadente, da centralinista erotica. Se la libreria andava male aveva un futuro assicurato nel mondo dell’intrattenimento telefonico per adulti, questo era certo.
   “Conosco uomini che ti salterebbero addosso soltanto per il modo in cui parli francese” le dissi.
   “Che se ne importano gli uomini del mio francese?”.
   “Ha fatto eccitare me, figurati l’effetto che può fare ad un uomo”.
   “Che scema” rispose divertita. “Pensi sempre al sesso”.
   “E tu invece non ci pensi mai”. 

giovedì 14 febbraio 2019

Ventimila...

il valore dei suoi buchi.

(in foto: Helena Price, Atkingdom.com)


[postato da Moana]

   Eros mi portò nella sala di cui parlava, una stanza ancora più grande di quella in cui mi trovavo poco prima, ed era piena di pannelli di cartongesso su cui c’erano delle gigantografie di foto in cui erano immortalate parti del corpo che di solito si trovano nelle mutande. Patate giganti aperte e apparentemente calde, erezioni gigantesche contornate da possenti vene cariche di sangue, orifizi anali in attesa di essere penetrati e poi tette di tutte le forme. 
   La sala era piuttosto buia e c’erano delle luci soffuse che illuminavano le immagini, e io mi soffermavo a guardarle e Eros era dietro di me che mi seguiva in silenzio, aspettandosi da me un commento di qualsiasi genere, ma io non avevo parole. Non avevo mai visto una cosa del genere, cioè una collezione fotografica tutta dedicata agli organi sessuali delle persone. E poi alla fine giunsi ai ritratti che interessavano me, e per cui avevo deciso di fare un salto alla galleria di Eros, ovvero i ritratti di mia madre. Erano due, ed erano messi uno sopra l’altro, sopra c’era il primo piano della sua bocca, con le labbra cariche di rossetto rosso, ed erano appena dischiuse e quindi si vedevano anche i denti. Erano labbra affamate, labbra che sembrava che stessero per aprirsi di fronte al membro di un uomo, per accoglierlo dentro e farlo godere. Avrei riconosciuto quella bocca tra centinaia di altre bocche, era proprio lei.
   Sotto questa fotografia invece c’era il primo piano del suo culo burroso, con le natiche aperte e il buco del condotto anale ben in mostra, leggermente aperto come se fosse stato appena penetrato. Caldo e accogliente, pronto per essere usato. Ero affascinata da quel primo piano così dettagliato, così vivo, quasi come se lei fosse lì di fronte a me.
   “Vedo che sei riuscita a riconoscere tua madre senza il mio aiuto” mi disse Eros. E in effetti era così. Come potevo non riconoscerla? Quelle parti di corpo appartenevano alla donna che mi aveva messa al mondo, per cui non potevo sbagliarmi. Era proprio lei, con la sua accesa passione e la sua irresistibile voglia d’amore. E sotto quelle fotografie c’era una targhetta con tutte le informazioni relative all’opera. Il suo nome era “Sabrina Bocca e Culo, i buchi della passione”. C’era anche il prezzo; costavano ventimila euro. I pezzi non potevano essere venduti separatamente.
   “Ventimila euro!” esclamai. “Chi è che pagherebbe una somma del genere per dei buchi?”.
   “Ci sono soltanto dieci copie di quest’opera, ne ho già vendute nove. Questa è l’ultima” mi rispose con un certo orgoglio, sicuro del fatto che questo dettaglio mi avrebbe sorpresa non poco. E infatti non riuscivo neppure a crederci che qualcuno potesse spendere una somma simile per entrare in possesso delle gigantografie fotografiche della bocca e del buco del culo di mia madre.
   “Quindi, fammi capire bene, i buchi di mia madre ti hanno fatto guadagnare ben centottanta mila euro?”.
   “Esattamente. Le ultime due copie le ho vendute ad uno sceicco del Qatar e ad un imprenditore di New York. Questa è la mia opera di maggior successo, e ultimamente stavo pensando di realizzarne un’altra che abbia una funzione di completamento. Il giorno della festa a casa dei tuoi ho pensato che quest’opera ha bisogno di una specie di appendice, ha bisogno diciamo di essere perfezionata”.
   “Quindi farai a mia madre altre fotografie” conclusi. “E cosa fotograferai questa volta? La sua patata pelosa?”.
   “No no” rispose divertito. “Non era questa la mia idea. Questa volta stavo pensando ad un’opera dal titolo Generazioni, per cui sfrutterò di nuovo la fotografia del suo orifizio anale, però l’immagine sarà sovrapposta ad un altro buco”.
   “Quale?”.
   “Il tuo, Moana”.
   “Ah!” sbottai. “E cosa ti fa pensare che te lo lascerò fotografare?”.
   “Non devi darmi una risposta subito. Pensaci e poi mi farai sapere”.
   “Ma vai al diavolo! Non mi lascerò fotografare il buco del culo. Ho cose ben più importanti a cui pensare, io”.
   E così me ne andai senza neppure salutarlo. Ma perché me l’ero presa così tanto? Forse perché accostare il mio culo a quello di mia madre era un po' come dire che adesso Sabrina Bocca e Culo ero io. Era questo che Eros intendeva, e cioè che lo scettro di reginetta del sesso anale e orale, un tempo appartenuto a mia madre, adesso apparteneva a me. Io ero l’erede legittima di una stirpe di vacche da monta, ecco cosa voleva dire accostare il mio culo a quello di mia madre. E no, non ci stavo. Io non ero soltanto un buco. Probabilmente se mi avesse chiesto di posare per un servizio fotografico di nudo integrale non me la sarei presa così tanto. Ma fotografare soltanto l’ingresso del mio condotto anale, questo sì che era offensivo. Possibile che Eros non riuscisse a vedere altro in me e in mia madre?
   Ero così arrabbiata che quella sera me la presi con Berni, il quale non c’entrava niente però sentivo il bisogno di farlo. E quindi eravamo in camera da letto a fare l’amore, e io ero a quattro zampe e lui mi stava dietro e mi stava penetrando la patatina, e ogni tanto mi sculacciava, perché sapeva che era una cosa che mi piaceva da morire. Eppure quella sera non mi stava piacendo, anzi, lo trovavo insopportabile. Ogni sganassone non faceva che aumentare la mia insofferenza, e avrei voluto dirgli di smetterla, ma non lo feci. Era una cosa che non capivo; mi aveva sempre fatto perdere la testa quando lo faceva, e invece adesso mi stava dando un fastidio terribile.
   Ma la cosa che mi fece perdere la ragione fu quando sfilò il cazzo dalla mia vagina per mettermelo in culo. Il sesso anale era una cosa che facevamo spesso, ma quella sera mi fece andare su tutte le furie. Riuscì a farmi entrare soltanto il glande, dopodiché mi ribellai.
   “Ma che cazzo fai!? Tiralo immediatamente fuori!”.
   “Ma tesoro, lo abbiamo sempre fatto” si giustificò lui.
   “Lo so, ma questa sera non ne ho voglia. Ma è possibile che voi uomini non riuscite a pensare che a questo?”.
   Povero Berni. Me la stavo prendendo con lui che non c’entrava niente. Ma d’altronde non ero mai stata molto brava a contenere la collera.

martedì 12 febbraio 2019

Il fotografo

del piacere. 

(in foto: Helena Price, FTVMILFs.com)



[postato da Moana]

   Verso mezzanotte iniziarono ad andare tutti via, però il tizio che mi fissava in continuazione era rimasto. Berni era in soggiorno insieme ai miei genitori, i quali avevano tirato fuori da un armadio un vecchio scatolone pieno di fotografie di quando io e mio fratello eravamo bambini, e avevano cominciato una specie di viaggio a ritroso nel tempo. Avrei potuto unirmi anche io, così mi sarei risparmiata un’ulteriore incursione da parte di Eros, l’amico marpione dei miei che ci stava provando con me. Eppure non lo feci proprio per questo motivo, perché in qualche modo le sue attenzioni non mi dispiacevano. E allora restai in terrazzo proprio per questo motivo, perché ero più che certa che Eros avrebbe tentato un altro approccio. Il primo era fallito miseramente, infatti lo avevo snobbato e gli aveva fatto capire che non gli avrei dato proprio niente di quello che voleva lui. Perché era evidente ciò che voleva da me. Ma lui era un duro, era uno che non mollava mai, e allora ritornò alla carica.
   “Scommetto che non indovineresti mai la mia professione” mi disse.
   “Secondo me sei un pornodivo, però di quelli che si vedono nei film amatoriali, quei film di qualità scarsissima realizzati con budget ridicoli”.
   “No no, niente di tutto questo” rispose divertito. “Però! Hai proprio la lingua lunga tu. Chissà se sei altrettanto brava a utilizzarla in un altro modo...”.
   “Oh sì, non immagini neanche quanto!” lo guardai con aria di sfida, come per fargli capire che non ci sarebbe mai riuscito a chiudermi in un angolo.
   “Mi piaci” continuò, “sei sveglia. Proprio come tuo padre. Intendo dire il tuo vero padre, non Stefano”.
   “So chi è il mio vero papà, non c’è bisogno che me lo dici tu. Insomma, si può sapere che cazzo di lavoro fai?”.
   Eros faceva il fotografo. Ma non era un fotografo qualsiasi. Lui amava definirsi il “fotografo del piacere”. I suoi scatti erano famosi in tutto il mondo, e spesso allestiva delle mostre fotografiche in cui le sue opere venivano vendute a cifre esorbitanti. E mi disse che aveva lavorato anche con mia madre. Potevo facilmente immaginare il genere di foto che le aveva scattato. Era scontato che quella gran vacca si era lasciata fotografare nuda, o magari con un bel cazzo piantato in culo. Quando glielo dissi lui scoppiò a ridere, ma non mi rispose, non mi disse né sì né no. Mi invitò soltanto nella sua galleria, quando volevo, e lui mi avrebbe fatto vedere “i ritratti” di mia madre.
   “Ritratti? Ma non avevi detto di essere un fotografo?” devo dire che la mia fu una domanda piuttosto stupida, e lui rise di nuovo, questa volta della mia ignoranza. Ma in effetti ne sapevo così poco di fotografia che quella parola mi era sembrata fuori contesto, ma invece non lo era affatto.
   “Il ritratto è un modo di realizzare le fotografie in cui vengono messi in risalto sia i caratteri fisici che morali della persona che viene fotografata”.
   “Ok, grazie per la lezioncina, ma adesso devo andare. Ho una figlia di un anno che devo mettere a letto, quindi se non ti dispiace” stavo per rientrare in casa ma lui mi propose nuovamente di fare un salto alla sua galleria. Mi disse l’indirizzo, ma io non avevo voglia di farlo, e soprattutto non avevo voglia di vedere delle fotografie di mia madre con la patata di fuori. Perché di certo era di questo che si trattava.
   Eppure nei giorni successivi non feci che pensare ad altro; ero troppo curiosa di vedere quelle fotografie, anche se non ne capivo il motivo. In fondo la galleria era in centro storico, e non mi costava niente farci un salto. Avrei visto le foto e poi me ne sarei andata, tutto qui. E così mi sarei tolta quello sfizio. E allora decisi di farlo, e ci andai a ora di pranzo. Parcheggiai la macchina poco distante dallo studio di Eros e poi feci un piccolo pezzettino di strada. La galleria era in un vicolo buio e stretto, accanto ad una macelleria. Pensai che questo accostamento era molto appropriato; pezzi di carne da una parte e fette di culo dall’altra.
   La galleria di Eros non aveva nessuna insegna, ti accorgevi della sua esistenza soltanto da una porta a vetri dalla quale si riuscivano a vedere delle gigantografie di volti e parti indistinte di corpi. A dire il vero non vidi niente di porco, per cui iniziai a chiedermi il motivo per cui si definiva “il fotografo del piacere”.
   Dalla porta a vetri vidi anche lui, che era seduto dietro ad una scrivania e stava con gli occhi incollati ad un computer portatile. Aveva gli occhiali; alla festa di mia madre non li portava. Probabilmente li usava soltanto per leggere. Comunque spinsi la porta per aprirla ma mi accorsi che era chiusa a chiave, così bussai e lui mi guardò, e quando si accorse che ero io venne subito ad aprirmi. Mi fece entrare e mi diede il benvenuto.
   “Lo sapevo che saresti venuta”.
   “Sì ma ho soltanto un paio di minuti, poi devo rientrare a lavoro”.
   Iniziai a girarmi intorno, e sentivo i suoi occhi incollati al mio corpo, e soprattutto al mio sedere. Quel giorno indossavo dei leggings di pelle che  lo mettevano mirabilmente in risalto, resistergli quindi era impossibile, e infatti lui lo aveva preso di mira e non lo mollava, proprio come un affamato avrebbe fissato un bel pezzo di carne nella macelleria accanto. E poi avevo degli stivali con i tacchi alti, e ad ogni passo facevano un rumore assordate che rimbombava sulle pareti della galleria in cui dominava un silenzio assordante. Sembrava di essere in una caverna, in cui il tempo veniva scandito appunto dal suono dei miei piedi. Clop-clop,  un suono secco che ero certa che Eros trovava molto eccitante.
   Guardando le fotografie esposte non vidi alcuna immagine di mia madre, e nemmeno niente di scabroso o di peccaminoso, come invece avevo immaginato, ma la semplice normalità.
   “Tutto qui?” gli chiesi. “Sono molto delusa. Sono soltanto delle foto, cosa c’è di tanto speciale?”.
   “Questa è soltanto una parte della mia galleria” mi rispose. “Le opere per cui sono davvero famoso sono in un’altra sala”.
   La sala a cui si riferiva si trovava dietro ad una tenda rossa. Oltrepassata quella soglia c’erano i famosi ritratti di mia madre.

giovedì 7 febbraio 2019

Una famiglia decisamente

sui generis. 

(in foto: Kalliny Nomura, Let's Play, Trans500.com)


[postato da Rocco]

   Trascorrere quella vacanza in compagnia di mia madre fu una delle esperienze più belle della mia vita, anche se in certi momenti ero stato letteralmente accecato dalla gelosia, per esempio quando era andata a letto con Franco. Ma mia madre era fatta così, le piaceva proprio tanto fare l’amore. Mi preoccupava il fatto che potesse capitare nelle mani di qualche uomo sbagliato. C’erano tanti maiali infatti che avrebbero potuto approfittare di lei e della sua tendenza a concedersi facilmente. Ma in fin dei conti non era anche mio padre un maiale, che godeva nel vederla fare l’amore con altri uomini? A questo punto avrei dovuto proteggerla anche da lui, ma capirete che era una cosa impensabile. Anche perché non aveva senso proteggerla, dal momento che era anche lei a volerlo.
   Anche se facevo fatica ad ammetterlo, mia madre era una donna come tutte le altre, e anche lei aveva le sue fantasie erotiche, e non potevo pensare di impedirle di realizzarle.
   L’ultimo giorno di vacanza lei decise di dedicarlo soltanto a me; mi disse che gli uomini non li avrebbe guardati neanche da lontano, perché la sua attenzione era rivolta soltanto a me. E in effetti fu di parola. Non si fece indurre in tentazione da nessuno, e quindi ci dedicammo a visitare alcune delle città del sud più interessanti a livello artistico, fino poi a risalire verso casa, perché ormai il tempo era scaduto, e io dovevo ritornare a lavoro. E mia madre mi accompagnò a casa di Beatrice, la mia bellissima moglie transgender, di cui nonostante tutto avevo sentito una grande mancanza in quei giorni che ero stato via. E quindi scesi dalla macchina e presi la mia roba dal bagagliaio, e mia madre mi venne a salutare stringendomi in un lunghissimo abbraccio, e poi si mise a piangere perché mi disse che accompagnandola in quel viaggio l’avevo resa una donna felice.
   E poi mi chiese scusa, e io le domandai il motivo, e lei mi rispose che lo stava facendo perché aveva fatto un po' la puttana, ed era ovvio che questo mi aveva fatto un po' soffrire. Ma io avevo riflettuto a lungo su quello che era successo, ed ero arrivato ad una sola conclusione, e cioè che la cosa più importante era sapere che mia madre era felice.
   “Tu sei felice?” le chiesi.
   “Moltissimo, perché ho te, ho tua sorella Moana, i vostri due papà, insomma ho una famiglia bellissima che farebbe invidia a chiunque”.
   “Sì, hai ragione. Anche se bisogna dire che è una famiglia decisamente sui generis”.
   E con questa mia osservazione, che fece molto divertire mia madre, ci salutammo e io andai su da Beatrice. Da quando ci eravamo sposati mi ero trasferito da lei, nel suo appartamento vicino alla stazione ferroviaria.  Ma era una cosa momentanea, perché le nostre intenzioni erano di comprare una casa più grande, e certamente non nella zona della stazione, che era una delle zone più brutte e malfamate della città.
   Entrai nell’appartamento e lei era sdraiata sul divano del soggiorno e stava leggendo una rivista; indossava soltanto il perizoma. A lei a casa le piaceva stare così. Spesso non aveva neanche il perizoma. E vederla mi fece pensare al fatto che mi era mancata tanto, e glielo dissi, e poi iniziai a baciarla dappertutto, e lei mi tirò giù la lampo dei jeans e mi tirò fuori la mia erezione e mi fece un pompino fino a farmi sborrare. Ma io non ne avevo ancora abbastanza, volevo il suo condotto anale, e lei non esitò a darmelo, e quindi si mise a cavalcioni su di me e si fece scivolare il mio cazzo nel buco del culo e iniziò a cavalcarmi.
   Il nostro vicino, un vecchio rompiscatole, iniziò a dare pugni contro la parete. Lo faceva ogni volta che facevamo l’amore, perché diceva che si sentiva tutto e lui non riusciva a sentire la tivù. Una volta mi aveva anche beccato nell’androne del palazzo, dicendomi che quando ero via mia moglie si faceva scopare anche da altri uomini, e io gli avevo risposto che lo sapevo. Poi un’altra volta, sempre nell’androne, mi aveva detto che aveva capito tutto, e cioè aveva capito che lavoro faceva mia moglie, e cioè la prostituta. E allora io gli spiegai che si sbagliava, e che Beatrice in realtà faceva la spogliarellista. E lui a quel punto mi disse: “farà anche la spogliarellista, ma resta il fatto che si fa chiavare da chiunque”.
   E io: “lo so, le piace proprio tanto chiavare”.
   E lui: “io vi denuncio! Siete disgustosi!”.
   E comunque più lui batteva contro il muro e più Bea si scatenava a fare l’amore, gridando e dicendo cose porchissime. Ovviamente glielo faceva apposta, anche se non lo diceva apertamente.
   Dopo essere venuti tutti e due andammo a fare una doccia e poi ce ne andammo a fare una passeggiata al centro a vedere i negozi. Beatrice adorava andare a vedere le vetrine; fosse stato per lei avrebbe comprato tutto quello che vedeva. Soprattutto le scarpe. Aveva una vera e propria passione per le scarpe, infatti ne aveva tantissime, tutte con i tacchi rigorosamente alti. E il fatto era che ci camminava con una padronanza sorprendente. “Io ci sono nata con i tacchi alti” diceva. E aveva ragione.
   Quando andavo in giro con Beatrice non potevo fare a meno di notare che tutti gli uomini si giravano a guardarla; perché obiettivamente era divina, anche se sotto non era fatta come le altre donne, ma aveva un batocchio considerevole. Un batocchio che lei non disdegnava di mettere in mostra; infatti spesso indossava i leggings, per cui la forma del pacco era molto evidente, e c’era chi apprezzava e guardava con desiderio, e poi c’era chi si prendeva gioco di lei, indicandola e facendo battutine stupide. Ma lei ci era abituata. Diceva che chi disprezza vuol comprare. Però qualche volta reagiva, come quel giorno, che un tizio fece un commento omofobo davvero imbarazzante, e allora Bea si girò verso di lui e si afferrò il pacco con decisione.
   “Lo vorresti in bocca, vero? Per questo hai detto quella cosa”.
   A quel punto decisi di farla calmare, non volevo che quell’episodio degenerasse in qualcosa di peggiore di un odioso scontro verbale, e le dissi di non pensarci.
   Il mondo era pieno di persone infelici.
  

martedì 5 febbraio 2019

Ne voglio ancora.

Creampie mattutino.

(in foto: Eva Notty, This Is That It Sounds Like, Brazzers.com)


[postato da Sabri]

   Alle sette del mattino mi svegliai. Franco dormiva accanto a me. Eravamo entrambi nudi, e non potetti fare a meno di ammirare il suo corpo da maschio dominante. La sua potenza mi aveva sempre fatto perdere la testa, e questo era un fatto che non avevo mai nascosto a Stefano. Mio marito sapeva benissimo che non sapevo dire di no a Franco, che soltanto pensare a lui mi bastava per farmi eccitare.
   Iniziai ad accarezzarlo, dapprima i muscoli delle braccia e poi il petto e quindi iniziai a scendere giù verso l’inguine fino a trovare la sua verga gigante, a cui bastò un mio leggero sfregamento delle dita per indurirsi. Diventò di pietra in pochi istanti, ma lui ancora dormiva. E allora lo presi  in mano con decisione e avvicinai il viso per contemplarlo come si fa per un’opera d’arte. Perché era questo che rappresentava per me: un’opera di inestimabile valore. Anche il cazzo del papà della mia Moana era fantastico, ma quello potevo averlo tutti i giorni. Franco invece lo vedevo raramente, e quindi era questo a renderlo speciale.
   Non me ne voglia mio marito Stefano, ma il suo era sì molto bello, ma non era niente in confronto a quello di Giuliano e a quello di Franco. Chiedo perdono per la mia schiettezza, ma era proprio quello che stavo pensando in quel momento, mentre reggevo quell’enorme pezzo di carne  che si trovava tra le gambe di Franco. E ad un certo punto avvicinai la lingua alle palle e iniziai a percorrerlo in tutta la sua interezza, fin sopra al glande che accolsi nella bocca. Iniziai a succhiarlo e a fare dei mulinelli con la lingua e a quel punto lui si svegliò e mi sorrise.
   “Che c’è? Ne vuoi ancora?”.
   “Sì” risposi.
   “Che ingorda che sei”.
   Così Franco mi ingroppò un’altra volta, facendomi mettere a quattro zampe sul letto, e lui si mise dietro, con le gambe ricurve sopra di me e piantandomi di nuovo il cazzo prima in figa e poi in culo, tenendomi per i fianchi e affondando dentro con dei colpi secchi, facendolo entrare fino alle palle. E ogni tanto mi chiedeva cosa ero, e allora io gli dicevo quello che lui voleva sentirmi dire: “sono la tua vacca”. E lui insisteva, mi chiedeva cosa intendessi dire, e allora io dovevo completare la mia affermazione: “sono la tua vacca da monta”. E a quel punto mi dava una bella sculacciata d’approvazione, perché lo avevo reso felice nel dire quella cosa.
   Alla fine Franco concluse quest’ingroppata mattutina con una copiosa creampie anale, e io mi accasciai sul letto. Ero esausta e sentivo il suo sperma fuoriuscirmi lentamente dal buco del culo. Lui mi disse che sarebbe andato a fare la doccia, e mi invitò ad andare con lui. Ma io gli dissi che non ne avevo la forza. Perché chiaramente quell’invito nascondeva ben altro; voleva scoparmi anche sotto la doccia. Ma al momento ero stremata per potergli dire di sì. Avevo il condotto anale in fiamme, se fossi andata con lui me l’avrebbe polverizzato a forza di penetrarmelo. Così lo lasciai andare da solo, e io rimasi a pancia in giù sul letto, con le gambe e le braccia aperte e il fiatone come se avessi corso per chilometri e chilometri senza mai riposarmi. Poi ad un certo punto sentii la voce di mio figlio Rocco che mi chiamava, e allora tirai il lenzuolo del letto e cercai di coprirmi. Non lo so perché lo feci, forse perché non volevo che mi vedesse in quello stato, e cioè col culo grondante dello sperma di Franco. Se fossi stata soltanto nuda e basta non avrei cercato di nascondermi; d’altronde mio figlio mi aveva vista nuda centinaia di volte. Però quella mattina, il fatto di avere il condotto anale fradicio di sborra, mi fece sentire in dovere di farlo.
   “Dimmi tesoro, hai bisogno di qualcosa?” gli chiesi. Lui era sulla porta e mi guardava, anche se la penombra della camera da letto non gli permetteva di vedermi chiaramente. Comunque percepivo un certo imbarazzo da parte sua, anche se a dirla tutta anche io non mi sentivo molto a mio agio. Era evidente che lui sapeva cosa avevo fatto con Franco, e forse era questo che lo imbarazzava.
   “Mamma, non credi che dovremmo rimetterci in viaggio?” mi chiese.
   Rocco aveva ragione. Da quando ero entrata in casa di Franco avevo perso del tutto l’orientamento. Non riuscivo più a rendermi conto il motivo per cui eravamo lì. E pensai al fatto che avevo calcolato tutto fin dal principio, prima ancora di cominciare la nostra vacanza, quando per scegliere la direzione avevamo deciso di fare testa o croce con la monetina, e quindi stabilire se andare al sud o andare al nord. E quando era uscito il sud mi era venuto una specie di brivido di eccitazione, e subito avevo pensato a Franco. Avevo pensato egoisticamente che andare al sud mi avrebbe dato l’occasione di incontrarlo, e farci l’amore, e godere del suo enorme cazzo. E quindi, in gran segreto, avevo cominciato a messaggiarmi con lui, per stabilire l’ora e il luogo in cui sarebbe avvenuto il nostro incontro, anche se Rocco non sapeva nulla. Ma dentro di me avevo già pianificato tutto.
   “Hai ragione amore mio, sono stata molto egoista. Fin’ora non ho pensato che a soddisfare soltanto me stessa. Questa doveva essere la nostra vacanza e io invece l’ho fatta diventare una cosa tutta mia. Potrai mai perdonarmi?”.
   “Se questa sosta a casa di Franco ti ha reso felice, allora è tutto ok”.
   “Oh sì, mi ha reso davvero molto felice. Però adesso è meglio rimettersi in viaggio. Soltanto io e te e nessun altro, amore mio”.
   Così salutai Franco, il quale mi scongiurò quasi in ginocchio di fermarmi almeno un’altra notte. Soltanto una e basta. Ma io, anche se ne avrei avuta molta voglia, gli dissi che non era il caso. Non era questo il motivo per cui ero lì. La ragione di quella vacanza era perché volevo passare del tempo con mio figlio, e non per farmi polverizzare il buco del culo.