sabato 28 luglio 2018

Ecco a lei

la mia fidanzata shemale.

(in foto: Itzel, Stunning Itzel, Shemale.xxx)


[postato da Rocco]

   Era tutto pronto. Beatrice aveva indossato un vestito da sera porchissimo, con uno scollo osceno da cui le tette sembravano voler uscire fuori da un momento all’altro, e poi era così corto che era costretta a tirarselo continuamente giù, per evitare che le si vedesse il batocchio. Un vestito che certamente metteva in risalto le sue eccitanti forme, e che valorizzava soprattutto le sue splendide cosce, che avrebbero fatto invidia a qualsiasi donna.
   L’accompagnai in macchina dove mi aveva detto lui, un hotel di lusso che stava al centro. Lui era nella hall che stava aspettando, e non appena ci vide venne verso di noi e in modo galante baciò una mano della mia Beatrice. Praticamente gliela stavo consegnando e lui ne avrebbe fatto quello che voleva. Prima però avrebbero cenato insieme, nel ristorante del hotel, e poi dopo cena l’avrebbe portata su, nella camera che aveva prenotato e dove avrebbe trascorso tutta la notte insieme alla mia fidanzata. Avevo pensato bene di mettere nella borsetta di Beatrice una confezione di preservativi, nel caso in cui lui ne fosse sprovvisto. Sapevo che lei nella fase dei preliminari lo faceva senza, quindi praticava il sesso orale senza la protezione, però poi prima di fare entrare il partner di turno  nel suo buco del culo si premurava di fargli indossare il profilattico.
   Io restai fuori all’albergo ad aspettare che tutto fosse finito. Ad un certo punto mi accorsi che da fuori si poteva vedere tramite una parete a vetro l’interno del ristorante, e quindi riuscii a vederli mentre cenavano. Erano seduti l’uno di fronte all’altro, e vedevo che lui parlava in continuazione, e lei invece ascoltava, con un atteggiamento direi quasi di sottomissione. Poi lui si accorse del tatuaggio che Beatrice aveva nella parte inferiore del braccio, era il suo nome scritto in lungo con caratteri stilizzati: Beatrice La Vacca, c’era scritto. E allora lui mi sembrò sorpreso, e lessi tramite il labiale quello che le stava dicendo: “cosa vuol dire?”.
   “È il mio nome” rispose lei.
   “Che coincidenza! Io invece mi chiamo Vito Montalavacca. Quindi sono quasi obbligato a montarti, non credi?” le domandò divertito.
   “Sì” rispose lei sfoggiando uno dei suoi incantevoli sorrisi. “L’importante è che tu dopo conceda al mio fidanzato quella cosa”.
   “Ma certo che lo farò. Puoi stare tranquilla”.
   Come avrei voluto essere lì dentro per ascoltare tutto quello che si stavano dicendo. Perché ovviamente con la lettura del labiale non riuscivo a capire proprio tutto. Certe cose mi sfuggivano. Però devo dire che Beatrice stava facendo proprio un ottimo lavoro; stava fingendo proprio bene nel mostrarsi compiaciuta della presenza di lui, come del resto faceva con tutti i clienti dello strip bar. Aveva un’abilità degna di un’attrice di Hollywood nel fare gli occhietti dolci e nel far intendere agli uomini che aveva davanti di aver perso la testa per loro. Beatrice era una bugiarda patentata, e questa cosa le permetteva di avere tutti gli uomini ai suoi piedi. Aveva un modo di guardarti che ti faceva perdere la ragione. E in quel momento quello sguardo magico e incredibilmente erotico stava ipnotizzando Vito Montalavacca. Ormai lo aveva catturato. Era suo.
   Ad un tratto lui disse che aveva un pensierino per lei, e tirò fuori dalla tasca della giacca un astuccio nero.
   “Cos’è?” chiese Beatrice.
   E lui: “è solo una sciocchezza che mi piacerebbe che tu indossassi”.
   Così vidi la mia fidanzata aprire l’astuccio e dentro c’era un collarino, che lui prontamente l’aiuto ad indossare allacciandoglielo intorno al collo. E c’era una scritta sopra con i caratteri in rilievo, probabilmente le lettere erano d’argento, e c’era scritto: sex toy, cioè giocattolo del sesso. La mia Beatrice era questo che rappresentava per lui, un giocattolo per far godere gli uomini. Ma probabilmente rappresentava un giocattolo per godere anche per la maggior parte degli uomini con cui era andata a letto. Questo era il suo destino. “Questa è l’unica cosa che so fare” mi aveva detto una volta. Ovviamente era una frase che le era stata dettata dalla scarsa fiducia che aveva in se stessa, ma era probabilmente anche quello che le avevano fatto credere gli uomini con cui aveva fatto l’amore, che l’avevano utilizzata a scopo ricreativo e basta. D’altronde Beatrice è una transgender, e si sa che le persone associano alle ragazze come lei esclusivamente il sesso. Come se il pensiero comune fosse che se se una shemale il tuo unico scopo è quello. Ma ovviamente non è così. Spesso il pensiero comune è superficiale o addirittura completamente sbagliato.
   Dopo cena, come era ovvio, decisero di salire su in camera. Quindi vidi lui alzarsi e prendere per mano la mia fidanzata, e insieme andarono verso l’ascensore che li avrebbe condotti verso l’alcova dell’amore. A quel punto non mi sarebbe stato più possibile spiarli. Avrei dovuto attendere fuori dall’hotel, e quindi per il nervosismo iniziai a fumare una sigaretta dopo l’altra. Però ovviamente non facevo che pensare a loro, a quello che stavano facendo, e soprattutto a quello che lui le stava chiedendo di fare. Potevo immaginarlo. Immaginavo lei inginocchiata davanti a lui, mentre praticava il sesso orale, e lui che le teneva una mano tra i capelli aiutandola nei movimenti e affondandole di tanto in tanto il suo attrezzo fino in gola quasi fino a soffocarla. E poi quando sarebbe stato il momento di penetrarla lo avrebbe fatto senza ritegno, facendola mettere sul letto col culo rivolto verso l’alto e le natiche oscenamente aperte, e lui sopra di lei con il suo palo di carne che man mano si faceva strada nel condotto anale.
   Riuscivo quasi a sentire le sculacciate che le avrebbe riservato durante la penetrazione, gli epiteti offensivi che le avrebbe rivolto per tutto il tempo e lei che come suo solito gli sussurrava di essersi innamorata di lui. Lo faceva sempre, anche con i clienti dello strip bar, era il suo modo per farli sborrare in tempi record. Ma era soprattutto un sistema per fargli sborrare il cervello. Lei chiamava questa tecnica “Girlfriend Experience”, praticamente si comportava con loro come una specie di fidanzata. Capirete da soli che questo aveva fatto di lei una delle ragazze più desiderate dello strip bar in cui lavorava. Ecco da dove aveva preso tutti quei soldi che teneva nascosti in casa, nell’incavo sotto la mattonella, e che mi aveva offerto affinché io potessi realizzare il mio progetto. Anche se in realtà io non li avevo presi; o perlomeno non ancora. Sapevo che erano lì, e che lei si era offerta di darmeli. Ma erano soldi che avevano l’odore di tutta la sborra che centinaia di uomini avevano riversato su di lei e dentro di lei. Erano frutto, è proprio il caso di dirlo, del sudore del suo culo. Non me la sentivo di prenderli. Già era tanto quello che stava facendo per me quella sera, dando via il suo corpo in cambio di una concessione che mi avrebbe permesso di avviare la mia attività. 
   

martedì 24 luglio 2018

Il tesoro

di Beatrice. 

(in foto: Jenna Tales, Cumshot Friday, Shemale.xxx)


[postato da Rocco]

   Per la questione del ristorante chiesi il parere di Beatrice. Era la mia fidanzata, per cui era giusto sapere lei cosa ne pensasse. Quindi andai a casa sua ma lei era impegnata con un cliente. Sì, qualche volta si portava i clienti dello strip bar a casa. Mi disse di aspettare nel soggiorno. La casa di Beatrice non era molto grande; praticamente era composta da un un piccolo bagno e una cucina, e poi c’era un soggiorno con un divano e una tivù e una portafinestra che dava su un balconcino, e infine c’era una camera da letto con una tenda di seta verde al posto della porta. La tenda serviva a dare una parvenza di privacy, che però in realtà era solo apparenza, perché era pur sempre un pezzo di stoffa che certamente delimitava il campo visivo, ma poi a conti fatti ti sentiva tutto quello che succedeva dentro.
   Al momento quella casa rappresentava tutto ciò che Beatrice poteva permettersi. E infatti anche per questo mi stava a cuore il progetto di avviare un’attività tutta mia, perché così avrei potuto avere dei profitti e dare a Beatrice la casa dei suoi sogni. Lei diceva sempre che il suo sogno era vivere in una villa di lusso, e io era proprio ciò che volevo darle, il lusso e il benessere che sognava.
   Comunque aspettai nel soggiorno come mi aveva chiesto. In camera da letto c’era un cliente dello strip bar con cui probabilmente a breve avrebbe fatto l’amore. Sentivo le loro voci ma non li vedevo per via della tenda. C’era lei che gli stava mandando il cervello in estasi con le parole; era il suo modo di far perdere la testa agli uomini prima di cominciare con il sesso vero e proprio. Era il suo antipasto, diciamo.
   “Mi fai perdere la testa” gli disse. “Sono pazza di te”.
   “Se mia moglie sapesse cosa sto facendo...”.
   “Non ci pensare a tua moglie. Pensa soltanto a noi due” a quel punto seguirono rumori di due bocche che si baciano e gli schioppettì delle labbra inumidite che si incontrano. Poi ad un certo punto questi suoni terminarono e lei gli domandò: “c’è qualcosa che non va, tesoro?”.
   “È che ci conosciamo così poco, e già ci stiamo baciando”.
   “Di cosa hai paura?”.
   “Beh girano così tante malattie...”.
   “Io sono sanissima, amore mio. Uso sempre tutte le precauzioni quando faccio l’amore. Però se vuoi possiamo anche fermarci qui”.
   “Non lo so, è che tu sei così bella… e mi piacerebbe molto fare l’amore con te”.
   “Allora facciamo così, ti lascio cinque minuti da solo per pensarci bene.  Intanto vado a prendere i preservativi e il lubrificante”.
   A quel punto vidi Beatrice scostare la tenda che separava la camera da letto e uscire; a parte un perizoma nero non indossava altro. Venne verso di me e mi baciò e si mise a sedere accanto a me sul divano. Mise le sue splendide cosce sulle mie ginocchia e io cominciai ad accarezzargliele.
   “Come va con il tuo cliente?”.
   “Non è un cliente, è un ammiratore” mi rispose.
   Lei ci teneva a precisare questa cosa, che quelli con cui andava nel privè dello strip bar o che qualche volta portava a casa non erano clienti, ma ammiratori. I clienti ce li hanno le puttane, diceva, lei invece era qualcosa in più, ragion per cui i suoi erano ammiratori. Lei non offriva il suo corpo, lei offriva “un’esperienza”. Insomma erano tutte cose che diceva forse per giustificare quello che faceva. O forse lo diceva soltanto per fare dell’ironia, chi lo sa. Beatrice aveva un senso dello humour tutto suo, che certe volte non riuscivi a capire se faceva sul serio oppure stesse soltanto scherzando.
   “Comunque non va per niente bene” continuò. “È uno di quegli ammiratori che vogliono venire a letto con me, e poi all’ultimo si tirano indietro perché hanno troppa fifa di prendersi una malattia. Gli ho detto che sarei ritornata da lui tra cinque minuti, così da dargli il tempo di decidere cosa fare. Nel frattempo possiamo parlare. Cosa volevi dirmi?”.
   Le spiegai il mio progetto di rilevare il ristorante abbandonato che c’era sulla spiaggia nudista che eravamo soliti frequentare, e che per farlo avevo bisogno di fondi e soprattutto della concessione. Lei si mostrò incredibilmente interessata alla faccenda e alla fine disse sì, che mi avrebbe appoggiato in tutto e per tutto. Poi ad un certo punto si alzò dal divano e fece qualche passo in avanti fino a raggiungere il centro esatto della stanza, e a quel punto si piegò in avanti, donandomi lo spettacolo del suo culo burroso, e in quella posizione le natiche si aprirono e vidi il suo delizioso ingresso del condotto anale, in cui erano penetrati centinaia di uomini, e ancora tanti altri lo avrebbero percorso nella sua interezza. Il buchetto della passione, come lei lo aveva ribattezzato. Anche mia sorella Moana aveva dato un nome al suo buchetto, e lo aveva chiamato il buchetto del peccato. Moana e Beatrice avevano due concezioni diverse dei propri orifizi anali, ma entrambe lo usavano meravigliosamente per dare e ricevere piacere.
   Vidi Beatrice sollevare una mattonella. Era una cosa che avevo visto fare soltanto in certi film. Sotto la mattonella c’era un buco, e dentro c’erano delle mazzette di soldi ben ordinate, che sembravano quasi fresche di stampa. Me le fece vedere. Era tantissimo denaro, non ne avevo mai visto tanto. Era tutto frutto del suo lavoro, dei suoi pompini, delle sue penetrazioni anali, era tutto racchiuso sotto quella mattonella. E devo dire che fui spaventato da quante banconote c’erano. Avrebbe dovuto tenerle in banca, e invece mi disse che erano più al sicuro lì, sotto la mattonella. Io non ero d’accordo. E se qualcuno avesse scoperto quel nascondiglio? Beatrice rischiava di rimanere senza neppure un centesimo.
   “Prendili” mi disse. “Puoi prenderli tutti”.
   “No no, non se ne parla” le risposi. “Quelli sono i tuoi soldi, che hai guadagnato con il tuo duro lavoro”.
   “Ma non te li sto mica regalando, te li sto soltanto prestando. Poi me li ridarai quando la tua attività comincerà a fruttare”.
   Le dissi di rimetterli a posto, e che se ne avessi avuto bisogno glieli avrei chiesti. Allora lei rimise il denaro nel buco e ci mise la mattonella sopra. Era incredibile quanti soldi aveva accumulato. Ma per quale ragione? Forse per esaudire tutti i suoi desideri.
   Il cliente (anzi, l’ammiratore) che era nella camera da letto uscì fuori spostando la tenda di lato e mi vide. Aveva un’erezione niente male, ma era messo maluccio, era anzianotto, il classico uomo sposato in cerca di avventure piccanti extraconiugali.
   “Salve” mi disse, e io risposi al suo saluto, poi si rivolse alla mia fidanzata: “Beatrice, io come puoi vedere sono pronto. Possiamo cominciare”.
   “Sono subito da te, amore mio”.
   A quel punto salutai la mia fidanzata e andai via, lasciandola lavorare in pace. Ma prima di andarmene la vidi rientrare in camera da letto spostando la tenda, e sentii la voce di lui che diceva: “chi è quel giovanotto?”.
   “È il mio fidanzato” rispose lei.
   “Sei fidanzata?” domandò lui sorpreso. “E gli va bene quello che stiamo per fare?”.
   “Sì, non preoccuparti. Sta andando via. E comunque lui mi rispetta e rispetta le mie scelte. Per questo ho deciso di essere la sua fidanzata”.
   “Contento lui… beh, adesso cominciamo. Mettiti alla pecorina e lasciami entrare dentro”.
   “Mmh… sì! Accomodati pure”.
  

sabato 21 luglio 2018

Una moglie

transgender. 

(in foto: Chanel Santini, Control Her, TransAngel.com)


[postato da Rocco]

   Mentre mia sorella Moana cercava di ristabilire l’ordine, ricostruendo la relazione con Berni e facendogli capire che in ogni caso sarebbe stata sempre lei a comandare, io invece stavo cercando di dare una svolta alla mia vita su tutti i fronti. La mia relazione con Beatrice (la mia fidanzata transgender) andava alla grande, e la nostra vita di letto era sempre piena di sorprese. Ormai era diventata quasi una consuetudine far entrare altri uomini sotto le nostre lenzuola. Potrei star qui giorni e giorni a raccontarvi delle innumerevoli esperienze che abbiamo avuto, ma non è di questo che vi voglio parlare oggi.
   Come vi dicevo poco fa volevo dare una svolta alla mia vita, o forse dovrei dire alla “nostra vita”, perché i cambiamenti che volevo apportare riguardavano anche Beatrice. Ma andiamo per ordine. Prima di tutto il mio lavoro non lo sopportavo più. Ormai da parecchi anni lavoravo come cuoco nella cucina di un ospedale, ma non riuscivo ad essere soddisfatto né a livello economico né a livello professionale. Volevo qualcosa di più. E per farlo non avevo altra possibilità che mettermi in proprio. E infatti già avevo cominciato a guardarmi intorno, e in effetti avevo trovato qualcosa di interessante di cui vi parlerò dopo.
   Il secondo cambio di rotta a cui miravo riguardava l’appartamento in cui abitavo; volevo lasciarlo per andare a vivere insieme a Beatrice. Magari in un appartamento lussuoso, come piaceva a lei, perché lei mirava proprio a questo, al benessere, e io volevo darglielo. Beatrice abitava in un tugurio che stava nei pressi della stazione; un appartamento molto piccolo, che non aveva proprio niente a che vedere con quello che lei aveva sempre sognato. E nonostante adesso avesse uno stipendio fisso (era già da un anno che lavorava nello strip bar di mio zio Giuliano) anche lei non si sentiva sufficientemente realizzata. Lei sognava il lusso, sognava una villa faraonica, sognava di essere ricoperta di gioielli e vestiti molto costosi. E spesso devo dire che i clienti dello strip bar le facevano certi regali davvero incredibili; collier di diamanti, orologi d’oro e molto altro, e lei per ringraziarli li portava nel privè e faceva delle cose con loro. Non mi aveva mai detto con esattezza cosa faceva, era sempre rimasta sul vago, ma potevo intuirlo. Ma a me non dispiaceva, perché in fin dei conti era il suo lavoro.
   Io abitavo in un appartamento insieme ad un collega di lavoro di cui vi ho parlato parecchio tempo fa. Lui si chiamava Rocki, ed era una vera macchina del sesso che non faceva prigionieri. Ogni sera si scopava una ragazza diversa. E si era scopato anche la mia Beatrice, più volte, e io non avevo detto niente, in parte perché mi era piaciuto guardarli mentre lo facevano, e poi perché sapevo che lei lo trovava irresistibile, ma in fin dei conti non lo amava. Lei amava soltanto me.
   Beatrice era spesso a casa nostra, e dormiva da noi. Una volta aveva dormito anche nel letto di Rocki, perché avevano fatto l’amore e poi lei era collassata tra le sue lenzuola per l’intenso orgasmo che aveva avuto, e quindi era rimasta con lui. Comunque bisogna dire che lei non faceva che provocarlo, perché quando era da noi spesso girava per casa in costume, oppure completamente nuda, e quindi Rocki appena vedeva quel suo corpo divino gli veniva subito duro, e allora andava da lei e la prendeva da dietro con le braccia e le iniziava a tempestare il collo di baci, e con le mani gli prendeva le tette e iniziava a smanacciargliele, e lei glielo lasciava fare senza opporsi, perché gli piaceva da morire. E poi a quel punto lei si inginocchiava davanti a lui e gli tirava il cazzo fuori dai pantaloni e iniziava a sbocchinarlo. E poi dopo un po' facevano l’amore.
   Una volta ero ritornato a casa dal lavoro e li trovai mentre lo stavano facendo. Lei era venuta a trovarmi, e invece aveva trovato lui, e quindi avevano dapprima fatto un po' di petting sul divano, e poi quando finalmente rientrai dal lavoro loro erano già arrivati quasi alla conclusione del rapporto. C’era Beatrice piegata sul tavolo della sala da pranzo e Rocki che la inculava senza sosta, quasi come se il suo intento fosse quello di rompergli il culo, e le teneva una mano premuta sulla schiena per non permetterle alcun movimento.
   Poi ad un certo punto lui sfilò il suo attrezzo dal condotto anale della mia fidanzata e iniziò a sborrare poderosamente sulla sua schiena. C’era così tanta sborra che alla fine Beatrice decise di andare a fare una doccia.
   Anche per questo motivo avevo deciso di cambiare appartamento e prenderne uno tutto nostro, perché in casa con Rocki praticamente la nostra relazione era continuamente compromessa, dal momento che lui non poteva fare a meno di fare l’amore con la mia fidanzata. Ripeto, non mi dava fastidio quando lo facevano, però mi sarebbe piaciuto ritornare a casa e trovare la mia fidanzata ad aspettarmi, da sola, senza Rocki che consumava tutte le energie di Beatrice. Praticamente avevo un po' di pace soltanto quando ero io ad andare a casa della mia fidanzata, perché lì eravamo soltanto noi due, e quindi potevamo coccolarci tutto il tempo che volevamo.
   Ma la questione della casa sarebbe rimasta in sospeso per altro tempo ancora. Perché prima dovevo pensare ad un altro affare. E cioè, come dicevo prima, avevo pensato di lasciare il lavoro e di mettermi in proprio. E avevo avuto un’idea che se fossi riuscito a portare avanti mi sarebbe fruttata parecchio denaro. Certamente ne avrei speso parecchio per realizzare questo sogno, ma poi avrei anche incassato altrettanto. Si trattava di comprare e rimettere a nuovo un vecchio ristorante che stava sulla spiaggia nudista che io e Beatrice eravamo soliti frequentare, ovvero la spiaggia dell’Ultimo Scoglio.
   Una volta infatti c’era un ristorante, che poi era andato distrutto a causa di un incendio, e quindi era stato chiuso per più di vent’anni. La mia idea era di comprarlo e rimetterlo a nuovo. Ma avevo bisogno di molto denaro per farlo. E soprattutto avevo bisogno delle conoscenze giuste. Ci voleva la licenza per farlo, e le licenze si sa che non è facile averle.
   Se la cosa riusciva ad andare avanti poi avrei comprato la villa faraonica che Beatrice sognava da sempre, e le avrei chiesto di sposarmi,  e saremmo stati felici per tutta la vita, anche se lei indubbiamente avrebbe avuto rapporti con altri uomini, perché non ne poteva fare a meno. La mia fidanzata era innamorata dell’amore, e poi era bellissima, per cui era normale se altri uomini avrebbero cercato di portarsela a letto. E lei non era mai stata molto brava a resistere alle tentazioni. Però l’importante per me era sapere che nonostante tutto lei sarebbe stata in ogni caso mia moglie.

giovedì 19 luglio 2018

Moana, una bambola

guerriera. 

(in foto: Carter Cruise, Fantasies, NewSensation.com)


[postato da Berni]

   Alle sei e mezza un rumore tremendo mi fece svegliare. Sembrava qualcosa che si infrangeva, ma subito mi rimisi a dormire, perché ero convinto che qualsiasi cosa fosse di certo non riguardava me. Chissà, magari avevo soltanto sognato.
   Quando poi mi svegliai definitivamente alle otto mi accorsi che non era stato un sogno, era davvero successo qualcosa. E purtroppo era qualcosa che mi riguardava. Moana dormiva beatamente, ma mi accorsi di un fatto anomalo, e cioè che ai piedi del suo lato del letto giaceva la sua mazza da softball, la sua Morgana, con la quale aveva vinto non poche partite, e con la quale aveva anche permesso alla sua squadra di vincere un campionato. Di solito Moana la custodiva in una panca nell’ingresso, per cui mi chiesi come ci fosse finita lì per terra. Possibile che c’erano stati i ladri? E se sì, come mai non avevano portato via niente? Infatti era tutto al suo posto, tranne quella mazza da softball.
   Comunque feci colazione e mi preparai ad uscire, e quando arrivai alla macchina mi resi conto che quel rumore che avevo sentito non me l’ero sognato per niente. Qualcuno mi aveva sfondato un finestrino, esattamente quello del lato del guidatore. La prima cosa che mi venne da pensare fu che qualcuno aveva tentato di rubarmela. Ma allora perché non l’avevano fatto? Cioè, perché non avevano portato avanti il piano? Forse perché, pensai, non era un tentativo di furto ma un intimidazione. Ma chi era che voleva intimidirmi? Cosa avevo fatto di male per ricevere un tale avvertimento?
   Pensai subito ai casting che stavo facendo in quel periodo per cercare nuovi attori e nuove attrici per il mio nuovo film. Casting che non mi avevano portato a niente. Però chissà, magari quello che mi avevano fatto era l’azione di un fidanzato geloso di una delle ragazze che si era presentata alle selezioni. Ma perché? I miei casting erano puliti; facevo soltanto delle domande alle candidate e ai candidati, per esempio mi facevo raccontare il motivo del perché avevano deciso di intraprendere quella strada. Quindi niente di compromettente. Nell’immaginario collettivo durante i casting andava a finire sempre che i registi o i produttori si montavano le aspiranti attrici per metterle alla prova, ma in verità non era proprio così. O perlomeno per me non lo era. A me bastavano delle domande per capire se potevo fare affidamento su di loro. E fino ad adesso non avevo trovato nulla di buono.
   Ma insomma, chi era stato a spaccarmi il finestrino della macchina?
   Poi all’improvviso ebbi l’illuminazione. Nella mia mente rividi la mazza da softball che giaceva ai piedi del nostro letto. Alzai gli occhi verso il nostro appartamento, che era al secondo piano, cioè l’ultimo. Nel nostro quartiere gli edifici erano tutti di due piani. Non si vedevano quei mostri di cemento che di solito ci sono al centro. Questo dava alla zona una dimensione più umana.
   Ebbene, alzai gli occhi verso l’alto e vidi Moana sul nostro balcone, mi guardava, indossava la sua vestaglia da notte nera, quella trasparente che praticamente si vedeva tutto. Aveva le braccia incrociate e un’espressione sul viso fiera e al tempo stesso divertita. Il sole illuminava i suoi capelli dorati delicatamente mossi da un vento debole, e da qualche parte c’era una musica, anche se non riuscivo a comprendere da dove proveniva, era la famosa marcia del film di Arancia Meccanica, ovvero il monumentale Inno alla Gioia di Ludwig van Beethoven interpretato elettronicamente da Wendy Carlos. Forse era soltanto nella mia testa, o forse no, rimane il fatto che Moana era lì che mi fissava con gli occhi carichi di odio e orgoglio, e un brivido mi percorse lungo tutto il corpo. Era naturale che avrebbe cercato di vendicarsi di quello che avevo fatto. Lei non era una ragazza che si faceva mettere le mani addosso. E quando succedeva state sicuri che presto sarebbe arrivato un contrattacco distruttivo. Moana non faceva sconti a nessuno. Moana non era succube di nessuno, e il vetro spaccato della macchina ne era la prova. E se avessi tentato di rifare quello che avevo fatto quella sera, probabilmente la sua Morgana, ovvero la sua mazza da softball, invece di prendersela con la mia auto, probabilmente mi avrebbe aperto la testa in due parti. Questo ci leggevo nei suoi occhi, ed era proprio questo che stava cercando di farmi capire: stai attento a quello che fai, perché la prossima volta non sarò così clemente, perché questa volta ci sono andata leggera.
   In un certo senso era rassicurante sapere che Moana non era cambiata. Era sempre la stessa ragazza che avevo conosciuto sei anni prima, un po' bambola e un po' amazzone, che di certo non avrebbe mai e poi mai tollerato un gesto come quello che avevo fatto io. Nonostante le apparenze, Moana non era una bambolina con la quale ci si può fare qualsiasi cosa. Puoi farci qualsiasi cosa soltanto se è anche lei a volerlo, ma se provi a sottometterla diventa un problema (tuo). Per farvi capire meglio vi dirò soltanto che quando qualcuno praticava una cumshot sul suo viso in realtà era lei che si stava facendo fare una cumshot sul viso. Era lei che decideva di concederti questo lusso. Senza la sua autorizzazione avresti scatenato soltanto la sua terribile ira, e probabilmente ti saresti ritrovato al pronto soccorso con un testicolo in meno.
   “Sei stata tu?” le chiesi dalla strada.
   “Io? No. È stata Morgana” mi rispose dal balcone.
   “E adesso come faccio ad andare a lavoro?”.
   “Tra dieci minuti dovrebbe passare l’autobus”.   
   Qualche anno fa il fratello di Moana ha scritto un post su questo blog in cui ha detto che per lui sua sorella era stata una specie di supergirl, e che quando erano piccoli ogni volta che si era trovato in difficoltà, che magari c’era un bulletto che lo aveva preso di mira, compariva sua sorella e rimetteva le cose a posto, e gonfiava di botte il bullo. Non aveva mai avuto paura di niente e di nessuno, aveva sempre avuto un coraggio e una forza fuori dal comune. Non si era mai lasciata mettere sotto da nessuno. Nonostante questo Moana era sempre stata l’idolo di tutti i maschietti del quartiere, perché come dicevo poco fa, lei era un po' amazzone e un po' bambola. Insomma, Moana poteva farti godere come nessun altra donna al mondo, ma poteva anche farti soffrire le pene dell’inferno. Tutto dipendeva da come ti ponevi nei suoi confronti. E quel giorno, spaccandomi il finestrino della macchina, me ne aveva dato la prova. Già lo sapevo di cosa era capace di fare quando si sentiva offesa e ferita, ma lei ci aveva comunque tenuto a rinfrescarmi la memoria nel caso in cui me lo fossi dimenticato. Nessuno sarebbe mai riuscito a sottometterla. Moana nascondeva dentro di se un’anima da guerriera, e sottovalutare questa cosa poteva essere un terribile errore.
  

martedì 17 luglio 2018

La punizione.

La punizione. 

(in foto: Kate Upton)


[postato da Moana]

   Dopo quel brutto gesto che aveva fatto Berni ce n’eravamo andati in camera da letto a fare l’amore. Ma lo abbiamo fatto nel modo classico, lui sopra e io sotto, e solo davanti. E poi io lo avevo fatto senza averne realmente voglia, soltanto per dare piacere a lui. E infatti dopo avermi sborrato dentro ci siamo messi a dormire. Ma poi mi sono svegliata alle tre del mattino e ho trovato Berni seduto sui bordi del letto con la testa tra le mani, come se gli fosse capitato qualcosa di terribile. E allora mi sono messa dietro di lui e con le mani gli ho iniziato ad accarezzare la schiena.
   “Tesoro, stai bene?”.
   “Non proprio. Il pensiero di quello che ti ho fatto non mi da pace. Sto attraversando un periodo molto difficile. Con il lavoro sono fermo e non so dove sbattere la testa. L’unica cosa positiva al momento sei tu, e io che faccio? A momenti ti soffoco. Non dovresti più rivolgermi la parola per quello che ho fatto”.
   “Devi soltanto promettermi che non lo farai più” gli risposi con decisione. “Ho avuto molta paura”.
   “Te lo prometto. Ma voglio essere punito per quello che ho fatto. Devi colpirmi”.
   “Che?! E con cosa dovrei colpirti?”.
   “Con una sedia, una padella, con qualsiasi cosa. Tu devi punirmi”.
   “Stai delirando Berni, rimettiamoci a dormire e non ci pensiamo più”.
   “Se non lo fai non ci riuscirò mai a mettermi l’animo in pace”.
   Perché ci stavo mettendo così tanto tempo? La Moana di una volta non avrebbe esitato a farlo; avrebbe serrato il pugno e si sarebbe fatta giustizia in pochi istanti. E invece adesso non riuscivo a fare niente.   
   Ad un certo punto mi decisi, tirai un lungo respiro e mi feci coraggio, chiusi il pugno e cercai di fare quello che mi aveva chiesto, e cioè vendicarmi. Caricai il braccio e a breve lo avrei colpito sul suo viso con tutta la forza che avevo. Ma non riuscivo a farlo, non ero abbastanza convinta. Quasi come se non ne avessi voglia, perché non lo ritenevo giusto. Quanto ero cambiata. Ma perché? Forse perché avevo paura di restare sola, ecco perché. Perché avevo bisogno di Berni, e soprattutto perché la mia piccola Cleopatra aveva bisogno di un papà. Possibile che ero diventata così succube di lui a tal punto da passare sopra a quello che mi aveva fatto quella sera? Insomma, mi aveva quasi strozzata e io non riuscivo a fare quello che sarebbe stato più giusto, e cioè rompergli il naso. D’altronde me lo stava chiedendo lui, e io non avevo neppure il coraggio di farlo. Così abbassai il braccio e gli dissi che non mi andava di farlo.
   “E allora promettimi che dimenticherai ciò che ho detto” mi disse. “E cioè che voglio che diventi la mia schiava del sesso e che voglio che tu faccia un altro film insieme a me”.
   “Ok, farò finta che tu non l’abbia mai detto”.
   “È orribile che ti abbia detto quelle cose. Mi vergogno da morire”.
   “Non sei stato tu a dirle. Non eri tu quello lì ieri sera, ma era un altro Berni. E non voglio più averci niente a che fare con lui. Io voglio solo te, il Berni che ho conosciuto sei anni fa in quel caldo pomeriggio d’agosto”.
   Sì, perché per chi non lo ricordasse io e Berni ci siamo conosciuti appunto in un caldo pomeriggio d’agosto; la città era un deserto in cui rombava l’assordante canto delle cicale. Ci siamo conosciuti grazie ad un’amica in comune, che quel giorno dovevo vedere per un saluto prima delle vacanze estive. Lei aveva deciso di venire all’appuntamento insieme a Berni. Me ne accorsi subito che gli piacevo molto, e che mi voleva, che gli sarebbe piaciuto godere col mio corpo, lo vedevo da come mi guardava, da come abbassava lo sguardo ogni volta che i nostri occhi si incrociavano, e poi quando gli facevo qualche domanda lui sembrava andare nel panico e quindi non riusciva a mettere due parole insieme. Mi fece una gran tenerezza, e così alla fine gli scrissi il mio numero di telefono sul palmo di una mano, e gli dissi di richiamarmi. E lui ovviamente lo fece. E quindi lo rividi il giorno prima di partire per le vacanze, e non lo feci aspettare, gli diedi subito quello che aveva desiderato fin dal primo momento che mi aveva vista, o perlomeno solo una parte: la bocca. Poi il resto glielo avrei dato quando sarei ritornata. E infatti al mio rientro gli diedi anche gli altri buchi. E poi il seguito della storia lo conoscete.
   In quel caldo pomeriggio d’estate mai mi sarei aspettata che io e Berni saremmo arrivati fino a questo punto, e cioè fino ad avere una figlia e ad avere una casa tutta nostra. E non avrei mai immaginato neppure che un giorno mi avrebbe messo le mani addosso, come aveva fatto quella sera. Eppure non sentivo la necessità di volermi vendicare, perché appunto, come avevo detto a lui, avevo avuto l’impressione che non fosse stato lui a farmi quella cosa, piuttosto un altro Berni, un Berni che avrei sacrificato volentieri, che avrei volentieri gettato giù da un ponte. Ma non mi andava di rinunciare anche al vero Berni, quello che appunto avevo conosciuto in quel caldo pomeriggio. Quello che mi aveva reso mamma.
   Dopo aver chiarito quella storia ritornammo a dormire. Ma alle sei del mattino mi svegliai; avevo una strana sensazione, quasi come se sentissi il bisogno di fare qualcosa, e finché non l’avessi fatta non sarei riuscita a darmi pace. E allora raggiunsi l’ingresso di casa, dove c’era una cassapanca con dentro una mazza da softball. Non tutti lo sanno, perché non è una cosa che racconto spesso, ma quando ero ragazzina facevo parte della squadra di softball della città. Ero anche molto brava, e lo avevo fatto fino a diciassette anni, poi la squadra era fallita e quindi avevo lasciato perdere. Il presidente era scappato all’estero con i soldi della società e quindi era andato tutto in malora. Ero anche stata eletta caposquadra. Ho molti bei ricordi legati a quel periodo, per esempio le trasferte che facevamo, quando dovevamo incontrarci con le squadre delle altre città, oppure le partite che facevamo in casa, la domenica; i miei genitori venivano sempre a fare il tifo per me. E io li guardavo dal campo, vedevo mia madre sbracciarsi, era fiera di me, mi gridava: “falli a pezzi!”. Si riferiva agli avversari di turno. E io allora l’accontentavo; li facevo a pezzi. E lo facevo grazie alla mia mazza, che io avevo ribattezzato Morgana, come la maga dei romanzi di re Artù che mio padre spesso mi leggeva per farmi addormentare.
   Ogni tanto aprivo la cassapanca e la tiravo fuori, me la rigiravo tra le mani, la osservavo, la tastavo e… sì, lo ammetto, qualche volta ci avevo fatto anche qualche porcata. Morgana era da sempre la mia fedele amica. Ormai era da parecchio che non le facevo prendere aria, ma quella sera l’avrei utilizzata non per vincere una partita, né per farmi passare qualche sfizio di natura erotica, piuttosto mi sarei servita di lei per ottenere giustizia. Anche se avevo perdonato Berni, dentro di me sentivo che in qualche modo dovevo fargliela pagare.

martedì 10 luglio 2018

Lei non capiva...

... che lui voleva farsela. 

(in foto: Tiffany Tatum, Fashion and Anal, Tushy.com)


[postato da Berni]

   Moana non capiva, o meglio faceva finta di non capire che Mattia in verità voleva solo chiavarsela. Forse perché lei vedeva in lui soltanto un amico con cui confidarsi e divertirsi, ma senza alcuna implicazione sessuale. Ma io lo capivo benissimo che lui aspirava ad altro. Anche perché lei mi raccontava le cose che accadevano, e mi faceva incazzare da morire quando io le dicevo che lui ci stava provando con lei, e lei mi rispondeva che non era vero, e che a parlare era soltanto la mia immotivata gelosia.
   Per esempio mi aveva raccontato l’episodio della vespa, e cioè lo scampato incidente che aveva dato l’occasione a Mattia di piantare la sua erezione tra le natiche della mia fidanzata. E quando me l’aveva detto io avevo fatto il diavolo a quattro, perché mi infastidiva il fatto che in quell’episodio lei non riusciva a vederci niente di anomalo. Insisteva dicendo che ero soltanto geloso, e che tra loro due non c’era nulla. Probabilmente era vero, anzi ero quasi certo che non ci fosse nulla, perché ogni volta che Moana mi aveva tradito poi mi aveva sempre confessato tutto. E invece con Mattia non faceva che ripetermi che non c’era niente. E quindi io le credevo. Però mi indispettiva il fatto che lui continuasse a corteggiarla in modo indisturbato, fregandosene del fatto che lei era la mia fidanzata. Perché mi chiedevo: quanto avrebbe resistito Moana ai suoi continui tentativi di portarsela a letto? Prima o poi, a furia di insistere, Mattia sarebbe riuscito nel suo intento, e cioè riempirle i buchi. E questa cosa mi mandava in bestia, perché lei continuava a ripetermi che non c’era niente di male in quello che facevano.
   Può darsi che non c’era niente di male in quello che faceva lei, ma non si può dire lo stesso di quello che faceva lui.
   Inoltre lui mi odiava, perché appunto io ero un ostacolo che si frapponeva tra lui e Moana. Ma anche io odiavo lui. E spesso ero costretto a uscire con loro due, perché praticamente in quel periodo Moana e Mattia erano indivisibili; passavano intere giornate insieme, e io non avevo più un attimo per stare da solo con lei. E quando mi capitava di uscire con lei, e quindi c’era anche lui, lo sentivo subito il suo odio nei miei confronti. Neppure mi salutava. Io ero soltanto un peso. Ma essenzialmente io sono sempre stato un tipo pacifico, per cui dal momento che la mia fidanzata non poteva fare a meno di uscire con lui allora io avevo cercato di instaurare con Mattia un rapporto di amicizia migliore. Ma non c’era stato niente da fare. Lui non ne voleva sapere. Io ero il suo nemico, e il suo obiettivo era portarmi via Moana. E lei proprio non voleva capirlo.
   Mattia fu anche la causa di un litigio molto serio che ebbi con la mia fidanzata. Perché un giorno le chiese di accompagnarlo a Formia, dove aveva conosciuto una ragazza in rete che voleva scoparsi, però Moana (e in questo devo riconoscere la sua onestà) gli rispose che ci sarebbe venuta soltanto se ci venivo anche io. E quindi, contro voglia, dissi di sì e partimmo.
   Passammo qualche giorno a casa di questa ragazza, di cui non ricordo neppure il nome, ricordo soltanto che era molto carina, anche se aveva un corpo un po' rotondo. In teoria Mattia sarebbe stato impegnato tutto il tempo con lei, per cui finalmente io avrei avuto l’occasione di passare un po' di tempo con la mia fidanzata. E invece le cose non andarono così. Nonostante la presenza di quella ragazza che aveva conosciuto in chat, Mattia non faceva che ronzare intorno a Moana. Tanto che ad un certo punto sembrava che ci dovessi andare io a letto con quella ragazza conosciuta in rete, e non lui. E infatti ad un certo punto mi venne proprio questa tentazione, non perché mi piaceva. Cioè, ripeto, era molto carina, aveva belle forme, però Moana era cento volte meglio. Ma mi venne la tentazione di farci l’amore per dare una lezione alla mia fidanzata. Anzi, mi venne addirittura voglia di lasciarla e fidanzarmi con lei, che aveva l’aspetto di una ragazza acqua e sapone, che non avrebbe mai e poi mai tradito il proprio fidanzato. Però ovviamente non feci niente di tutto questo.
   Questa ragazza che Mattia aveva conosciuto in chat abitava coi suoi genitori in una villa faraonica. Però i suoi non c’erano mai, per cui aveva sempre casa libera per fare quello che voleva. E aveva anche una piscina sul terrazzo davvero spettacolare. Durante il nostro soggiorno da lei Mattia ebbe un’idea un po' particolare: “che ne direste di fare il bagno nudi?”. Ovviamente io non ero d’accordo, perché giudicavo quella proposta un modo per Mattia di vedere Moana nuda (che era certamente uno dei suoi obiettivi, oltre al fatto di potersela chiavare). Anche la ragazza della chat non era poi tanto d’accordo, perché si vergognava delle sue forme, e quindi decise di rimanere in costume. E io feci lo stesso. Per cui alla fine soltanto Mattia e Moana si tolsero tutto, e si misero all’altro capo della piscina a punzecchiarsi e a flirtare per tutto il tempo, e io e la ragazza della chat dall’altra parte che non sapevamo precisamente come comportarci. Fu in quel momento che mi venne voglia di saltarle addosso e farmela, proprio davanti a Moana, per farle un torto. Ma non ne ebbi il coraggio, anche perché chi mi diceva che lei ci sarebbe stata?
   Ad un certo punto si misero in piedi e iniziarono a giocare a farsi il solletico, e quindi cominciarono ad inseguirsi sul bordo piscina, e lui aveva un erezione spaventosa che mostrava con un certo orgoglio a Moana, ma direi soprattutto a me, perché era come se volesse farmi capire che era lui il maschio dominante, per cui la mia fidanzata era sua di diritto. Attenzione, non successe nulla, non ci furono penetrazioni o altro, però quell’erezione era un’ulteriore prova di quello che dicevo io, e cioè che Mattia vedeva la mia fidanzata non come un’amica, ma come un buco da fottere. E quando poi lo feci notare a Moana lei mi rispose che non era niente vero, e che gli era venuta un erezione solo perché non era abituato a stare nudo di fronte ad altri.
   Questa sua ostinazione a negare l’evidenza mi stava mandando al manicomio. E quindi quel giorno litigammo tutta la notte, senza risolvere nulla, perché alla fine lei continuava a dire che non c’era niente di male in quello che faceva, e io continuavo a dire che Mattia ci stava provando con lei e lei faceva finta di non accorgersene.
  

sabato 7 luglio 2018

Un tradimento

imperdonabile. 

(in foto: Carter Cruise, BSKow.com)


[postato da Moana]

   Dopo la visita di mia madre ritornai in camera da letto da Berni per concedermi qualche altro minuto di zuccheroso amore prima di andare a lavoro. Berni era ancora nudo ed era sdraiato sul letto con le mani annodate dietro la nuca. Il suo cazzo aveva perso l’energia e il vigore che aveva avuto poco prima, ma d’altronde lo avevo già fatto sborrare due volte, quindi cosa pretendevo?
   “Mia madre è molto contenta che siamo ritornati insieme” gli dissi. “E tu? Sei contento?”.
   “E me lo chiedi? Moana, forse non te lo dico abbastanza spesso, ma io sono pazzo di te. Tu sei tutto ciò che un uomo potrebbe desiderare. Sei la fidanzata perfetta, nonostante la sorprendente quantità di scappatelle che ti sei fatta alle mie spalle”.
   “Beh, ma che c’entra? Io poi ti ho sempre confessato tutto. E poi tu mi hai sempre perdonata”.
   “Sì, quasi sempre”.
   “Quasi?” gli domandai divertita.
   “Sì, quasi. C’è un episodio che probabilmente non riuscirò mai a perdonarti”.
   “Quale?”.
   “Quando mi hai tradito con Mattia”.
   “Mattia?!” ero molto perplessa, perché in verità non ero mai stata a letto con Mattia, quindi non capivo del perché avesse tirato fuori quella storia. “Ma io non ti ho mai tradito con Mattia”.
   “Diciamo le cose come stanno, e cioè che con Mattia mi hai tradito con la testa, e non con il corpo come si fa di solito, e forse è anche peggio”.
   Non riuscivo a credere che Berni considerasse la mia amicizia con Matteo un vero e proprio tradimento, quando poi era stato un semplice rapporto senza alcun tipo di approccio fisico. E poi era riuscito a perdonarmi i tradimenti veri, cioè quelli dove c’era stata penetrazione sia anale che vaginale. Che senso aveva quella cosa? Me lo domandai per tutto il giorno, anche a lavoro, dove con un braccio reggevo la nostra piccola Cleopatra e con l’altro sbrigavo il lavoro di ogni giorno. Ormai Cleopatra era sempre con me al negozio, o perlomeno era con me tutte le volte che la babysitter che avevo assunto non poteva venire. Antonella, la babysitter appunto, era una studentessa universitaria, per cui spesso doveva seguire i corsi e dare gli esami, e quindi Cleopatra la tenevo io.
   E quindi, come vi dicevo, non facevo che pensare a quello che mi aveva detto Berni. Come poteva essere arrabbiato per un’amicizia che avevo avuto tanto tempo fa? Avevamo diciotto anni quando iniziai a frequentare Mattia, e io e Berni eravamo già fidanzati. Mattia mi piaceva, ma come amico, non come possibile uomo con cui farmi una scappatella. Anche perché Mattia non era sto granché. Era simpatico, e poi avevamo gli stessi interessi, ma essenzialmente era brutto da morire. Però mi ci trovavo bene con lui.
   Sì, devo ammettere che aveva un qualcosa di attraente, e forse era il fatto che ci sapeva fare con le ragazze. Infatti nonostante la bruttezza aveva avuto un sacco di storie, ma mai con me. E devo dire che qualche volta ce l’avevo fatto un pensiero di andarci a letto insieme, però poi mi ero tirata indietro, un po' perché non mi piaceva (Berni era cento volte più bello), e poi perché appunto mi dispiaceva cornificare il mio fidanzato con qualcuno che in fin dei conti non ne valeva la pena. Di solito cornificavo Berni soltanto con stalloni da monta di razza, quindi soltanto quando ne valeva la pena di farlo. Con Mattia no, non ne valeva la pena. Lui mi interessava soltanto come amico. Anche se devo ammettere che lui ogni tanto ci provava con me, ma io interpretavo questi suoi tentativi come una forma di gioco. Non ci vedevo mai nulla di malizioso.
   Per farvi un esempio una volta ricordo che eravamo andati in discoteca insieme, senza Berni. Uscivo spesso con Mattia senza il mio fidanzato, e forse proprio questa cosa aveva alimentato in lui una collera che io neppure riuscivo a immaginare. Ma io lo facevo lo stesso, perché appunto non ci vedevo nulla di male. Per me Mattia era un semplice amico. Punto. A quanto pare Berni invece lo vedeva come uno dei tanti che ci provava con me, e a cui io davo corda.
   Quindi, come vi dicevo poco fa, ero uscita con Mattia ed eravamo andati in discoteca. Avevamo ballato tutta la notte; io come mio solito ero vestita come una troia da strada. Quando vado a ballare mi piace vestire in questo modo. Una volta mia madre vedendomi uscire così mi chiese: stai andando a ballare o stai andando a vendere i tuoi buchi sulla statale? Quella stronza di mia madre adorava provocarmi, perché lo sapeva che io mi incazzavo da morire quando lo faceva. 
   Quando si fece ora di ritornare a casa Mattia ovviamente si offrì di riaccompagnarmi. Lo faceva sempre, perché lui aveva la vespa, io invece no, e quindi sarei dovuta ritornare a casa a piedi. E vestita in quel modo certamente non era il caso. Però quella sera mi chiese se potevo guidare io, perché lui aveva bevuto più del solito e quindi aveva la testa un po' annebbiata. Io gli risposi che non c’erano problemi, quindi saltammo in sella e partimmo. Ad un certo punto ad un incrocio un deficiente ci ha tagliato la strada, ma io sono stata abbastanza brava da frenare in tempo, ma la frenata brusca fece sobbalzare in avanti Mattia e quindi sentii la sua erezione premere contro le mie natiche. Sì, Mattia aveva un erezione, piantata direttamente contro il mio culo. Feci finta di niente, perché in qualche modo pensai che era del tutto normale, perché sì sa che i ragazzi a diciotto anni praticamente sono perennemente in erezione. Quello che non immaginavo (o che forse non volevo immaginare) era che quell’erezione era dovuta proprio a me. Era l’effetto che gli facevo io. Quando Mattia era con me era sempre in tiro, e io facevo sempre finta di non accorgermene, perché appunto io in lui ci vedevo un amico, invece lui in me ci vedeva un buco da riempire, più e più volte.
   “Ehi!” esclamai. “Perché sei così duro?”.
   “Sono sempre duro quando sto con te” mi rispose lui.
   “Ma falla finita!” sbottai. “Sei proprio un cretino”.
   Mattia non era un cretino, era semplicemente un rivale di Berni, uno dei tanti, che io stavo assecondando senza rendermene conto. Perché non volevo vedere, perché ero semplicemente cieca di fronte al suo modo di corteggiarmi. Perché quando non vuoi vedere una cosa, pure se te la sbattono in faccia, tu fai finta di non vederla. E forse era questo che Berni non sarebbe mai riuscito a perdonarmi, e cioè il fatto che io stavo dando corda ad un suo potenziale rivale d’amore.

giovedì 5 luglio 2018

Le regine

del sesso anale.

(in foto: Cherry Kiss, Anal Starlet, 21Naturals.com)


[postato da Sabrina]

   Erano le nove del mattino e io ero appena entrata in casa di Moana senza neppure avvisarla. Avevo una copia delle chiavi, per cui potevo andarci ogni volta che volevo. Ma a conti fatti avrei fatto bene a telefonare prima. Ma cosa ne potevo sapere io che avrei beccato Moana e Berni a fare l’amore anale?
   In un primo momento non trovai nessuno, soltanto la mia piccola nipotina che dormiva come un angioletto nella sua culla. Per cui se lei era lì ovviamente da qualche parte doveva esserci anche mia figlia. E allora guardai dappertutto senza però trovarla. E alla fine decisi di dare un’occhiata nella sua camera da letto, e fu a quel punto che li vidi. C’era Moana a quattro zampe sul letto, e Berni sopra di lei con il cazzo piantato nel suo buco del culo, e con le mani la teneva per i fianchi e la pompava senza ritegno, e lei quasi sembrava che stesse per svenire per il piacere che stava provando. E dalla sua bocca uscivano dei rantoli di piacere che quasi sembrava un’animale in agonia.
   “Inculami, rompimelo quel culo da troia che mi ritrovo” disse a Berni, e poi proseguì col suo solito linguaggio scurrile che era solito utilizzare quando faceva l’amore, e lui nel frattempo le dava dei gran sganassoni sulle natiche che facevano quasi tremare le pareti della camera.
   “Berni, non è per metterti fretta, ma quando hai finito di incularti mia figlia avrei bisogno di parlare con lei, se non ti dispiace” dissi, e quindi a quel punto si accorsero della mia presenza e cercarono goffamente di coprirsi in fretta e furia con le lenzuola.
   “Mamma!” urlò Moana. “Ma che cavolo ci fai qui?”.
   “Te lo spiego dopo. Vedo che al momento sei impegnata a farti rompere quel culo da troia che ti ritrovi” risposi utilizzando le stesse parole che aveva usato lei poco prima, con l’evidente intenzione di prenderla un po' in giro.
   “Se ho il culo da troia è soltanto colpa tua” urlò, “perché tu sei la regina indiscussa delle troie, e essendo tua figlia a quanto pare sono un po' troia anch’io. E adesso lasciaci finire se non ti dispiace”.
   “Ok ok, non ti scaldare” le risposi divertita. “Vi lascio in pace. Ma cercate di sbrigarvi perché devo parlarti”.
   Mi piaceva da morire stuzzicare mia figlia, e quindi lo facevo spesso. Era divertente perché ogni volta sembrava volermi prendere a schiaffi, ma poi però non lo faceva perché in ogni caso ero sua madre. E questa cosa, cioè il fatto di non poter reagire di fronte alle mie provocazioni, la mandava in bestia, e quasi gli usciva il fumo dal naso per la rabbia.
   Cinque minuti dopo uscì dalla camera da letto con una vestaglia da notte nera trasparente, che praticamente era come se non ce l’avesse perché si vedeva tutto. Ma d’altronde cosa aveva da nascondermi? Era pur sempre mia figlia, l’avevo vista nuda centinaia di volte, e spesso (come prima) anche in situazione piuttosto imbarazzanti.
   “E allora” mi disse, “cosa ci sei venuta a fare qui? Cosa devi dirmi di così importante?”.
   “E tu? Non hai nulla da raccontarmi? Cos’era quella cosa che ho appena visto?”.
   “Si chiama sesso anale, mamma. Dovresti saperlo bene dal momento che da ragazza eri la maggiore esperta in fatto di penetrazioni rettali”.
   “Eh sì, lo ero. Poi sei arrivata tu e mi hai rubato la scena. Purtroppo ad un certo punto della vita arriva sempre qualcuna che ha il culo più sfondato del tuo, e a cui devi cedere lo scettro di reginetta del sesso anale”.
   “Mamma, come tuo solito sei venuta qui per provocarmi” disse premendosi i pugni contro i fianchi e guardandomi con gli occhi di fuori dalla rabbia. “Ma io non ci sto. Dimmi quello che devi dirmi e facciamola finita”.
   “Di’ un po', tu e Berni siete tornati insieme?” le chiesi.
   “Ebbene sì, se vuoi saperlo siamo tornati insieme”.
   “Tesoro mio, sono così contenta per te che quasi mi viene da piangere”.
   Andai verso di lei e la strinsi in un tenero abbraccio, e Moana sembrava  così spaesata che non riusciva neppure a capire cosa doveva fare, se stringermi a sua volta o restare lì ferma a prendersi quel mio gesto di affetto. D’altronde ce n’eravamo dette di tutti i colori fino a qualche secondo prima, e adesso invece eravamo strette in un caloroso abbraccio. Ma ero davvero così felice che Moana fosse ritornata insieme a Berni, perché lui mi era sempre piaciuto. Lo consideravo davvero il fidanzato che ogni mamma vorrebbe per la propria figlia. Pulito, senza tatuaggi strani sparsi sulla pelle, molto rispettoso e intraprendente. Era quello di cui aveva bisogno Moana, un bravo ragazzo accanto che fosse in grado di amarla. Circondarsi di uomini che la consideravano soltanto un buco da riempire l’avrebbe resa soltanto infelice.
   “Ok, grazie mamma” mi rispose lei accarezzandomi la schiena. “Ora mi dici cosa devi dirmi di così importante?”.
   “Oh sì, quasi lo avevo dimenticato. Io e i tuoi due papà partiamo per qualche settimana per festeggiare il nostro anniversario”.
   “Che anniversario?”.
   “Di matrimonio, naturalmente. Che per una strana coincidenza combacia con la data in cui il tuo papà biologico mi ha inseminata”.
   In realtà non era stata una coincidenza. Lo avevamo fatto apposta. Giuliano mi aveva messa incinta proprio il giorno dell’anniversario del mio matrimonio con Stefano. Ricordo che quando io e Stefano avevamo deciso di avere Moana, avevamo scelto di farlo nel giorno del nostro anniversario di nozze. Ci era sembrata una cosa molto romantica, e quindi dopo aver parlato a Giuliano di questa nostra decisione siamo andati da lui e sono stata inseminata. 
   “Beh, cosa dirti? Buon divertimento” mi rispose. “E non li strapazzare troppo i miei due papà. Iniziano ad avere una certa età”.