martedì 30 ottobre 2018

Il boss delle

cerimonie. 


[postato da Moana]

   Il pranzo al ristorante fu veramente imbarazzante, sul livello di quelli del boss delle cerimonie. Insomma, very trash. Basti pensare che c’era un cantante napoletano che cantava tutte le canzoni neomelodiche preferite di Beatrice. Sì perché non tutti lo sanno, ma Bea era appassionata di canzoni napoletane. A casa aveva una collezione sterminata di cd di canzoni strappalacrime, storie di amori non corrisposti, di latitanti e guappi di quartiere dal cuore tenero. I testi ovviamente lasciavano molto a desiderare, arricchiti da doppi sensi non proprio velati e da banalità imbarazzanti.
   E quindi il tizio cantava e Beatrice gli andava dietro, insieme alle sue amiche transgender che erano riunite tutte insieme a battere le mani e a cantare in coro. Conoscevano tutte le parole, tutte le virgole, ogni maledetta nota. Le mie orecchie non ne potevano più. Cercavo di non pensarci bevendo, e ogni tanto guardavo Berni che anche lui era esausto.
   Guardai verso i miei genitori; c’era mia madre in mezzo ai miei due papà che si stava divertendo da morire, e probabilmente la musica non la disturbava affatto. Anche in quell’occasione, e cioè il matrimonio di mio fratello, mia madre non aveva potuto fare a meno di presentarsi con un vestito oscenamente scollato e così stretto che mi chiedevo come facesse a contenere le sue forme così generose. E c’era il mio papà biologico che la punzecchiava in continuazione palpandole energicamente il sedere. Ad un certo punto vidi mia madre alzarsi dal suo posto per raggiungere il bagno, e dopo qualche attimo mio padre le andò dietro. Era evidente che stavano per farsi una sveltina. Infatti uscirono dieci minuti dopo; mia madre aveva il vestito tutto stropicciato e i capelli in disordine, ma un espressione sul viso che denotava un evidente appagamento. Poi uscì anche mio padre; anche lui sembrava decisamente contento. Si vede che mia madre era stata molto brava.
   La giornata comunque fu piuttosto lunga, perché si sa come vanno questi eventi: le portate non finiscono mai. E quando pensi di aver finito ecco che ti viene servito il dolce, e dopo mezz’ora si ricomincia d’accapo, con un’altra serie di primi e di succulenti secondi a base di carne e pesce in tutte le salse.
   Comunque era la prima volta che vedevo il ristorante di mio fratello dopo i lavori di restauro. Ci ero stata quando i lavori erano ancora in corso, e la struttura non era che un edificio decadente. Adesso invece era tutto sistemato e a breve avrebbe aperto le porte al pubblico. Rocco aveva pensato bene di dare alla sala un aspetto marinaresco; sembrava infatti l’interno di un galeone dei pirati o qualcosa del genere. E poi c’erano le finestre che davano direttamente sul mare, e sulla spiaggia nudista dell’Ultimo Scoglio. Sulle pareti c’erano alcuni dipinti di pirati illustri e mappe geografiche antiche. Dai soffitti pendevano dei lampadari ricavati da vecchi timoni di navi, e i tavoli erano invece delle botti che probabilmente una volta contenevano vino e olio.
   Intanto il cantante neomelodico continuava tenacemente la sua sequela di canzoni patetiche, e Beatrice che stava al centro della sala insieme alle sue amiche (che non conoscevo, ma ero quasi certa che facessero il suo stesso mestiere, e cioè il mestiere più antico del mondo) continuava a dimenarsi e a battere le mani, e a cantare in coro quelle lagne. Una cosa era certa, si stava divertendo un mondo. E io ero felice per lei. In fin dei conti era un giorno molto speciale. E poi non facevo che pensare a quanto fosse bella con quel vestito bianco, con le spalle nude, con le guance piene di brillantini, con le labbra cariche di rossetto. Semplicemente stupenda. Mio fratello aveva sposato una vera gnocca.
   Tutto finì verso mezzanotte, quando ad un certo punto Beatrice propose di andare tutti a fare il bagno nudi. Così ci trasferimmo in spiaggia, e iniziammo a spogliarci. Non c’era molta luce, per cui vedevo soltanto un gran numero di sagome intente a togliersi via i vestiti quasi strappandoseli di dosso, e poi la corsa verso l’acqua, che a quell’ora era calma e tiepida. Non si riusciva a distinguere nessuno, soltanto ombre che si dibattevano in modo confuso, e voci indistinte, risate, e il suono della risacca che si infrangeva delicatamente sulla riva.
   Io presi la mano di Berni per non rischiare di perderlo, e poi anche noi andammo incontro a quella distesa nera di acqua, su cui si rifletteva il biancore della luna piena. Nonostante la confusione era tutto molto romantico. E infatti si iniziarono a vedere le prima coppie appartarsi un po' ovunque; alcuni si lasciarono cadere sulla sabbia, abbandonandosi a effusioni decisamente peccaminose. Altri invece decisero di farlo in acqua, e quindi comparvero le prime erezioni, e le voci indefinite di prima si trasformarono in inequivocabili rantoli di piacere.
   I miei occhi cominciarono ad abituarsi al buio, e quindi i corpi avvinghiati l’uno all’altro incominciarono ad apparirmi più chiari, e quindi vidi mio fratello e Beatrice stretti in un abbraccio, immersi nel mare con l’acqua che gli arrivava alle ginocchia. Erano entrambi in erezione. Un po' più lontano, ma sempre immersi nell’acqua fino alle ginocchia, c’erano i miei genitori; mia madre era in mezzo ai miei due papà, e la stavano penetrando, uno davanti e uno dietro. Adesso vedevo tutto senza difficoltà; vedevo loro due che se la facevano, e lei che stava ferma e li faceva fare.
   Non avevo mai assistito ad una cosa del genere. Era un’enorme orgia, e io ci ero dentro. E ad un certo punto sentii le labbra di Berni sul mio collo; era dietro di me e aveva iniziato a baciarmi. Mi teneva le mani sui fianchi, e la sua erezione premuta in mezzo alle natiche. E quindi anche io, come mia madre stava facendo coi miei due papà, lo lasciai fare. Anzi, lo lasciai “farmi”. D’altronde lo stavano facendo tutti.

sabato 27 ottobre 2018

Non ti lascerò tornare

in quel porcaio. 

(in foto: Cipriana, 21Sextury.com)



[postato da Beatrice]

   Ricordo che il giorno dopo aver conosciuto Rocco lui mi venne a cercare un’altra volta al club, ma io ero impegnata a fare una pompa a un altro cliente, col quale Rocco ebbe una colluttazione, perché secondo lui quello mi stava trattando da cagna. Ed era vero, ma ci ero abituata; tutti mi trattavano da cagna. A causa di quella rissa siamo finiti tutti in commissariato, anche se poi ci hanno rilasciati subito. E quindi me ne stavo per ritornare a casa quando ad un certo punto mi ero accorta che Rocco mi stava chiamando. Voleva propormi un accordo. Soldi per avermi tutta per se; dovevo essere soltanto sua e di nessun altro. Mi chiese quanto volevo, e io in principio non sapevo cosa dire. Pensai subito che doveva essere o molto ricco o molto matto per propormi una cosa del genere. E allora gli sparai una cifra, la prima che mi venne in mente. Duecento euro al giorno, ed ero tutta sua. Lui accettò e io fui molto sorpresa, perché se aveva accettato voleva dire soltanto una cosa, e cioè che io per lui non ero soltanto un buco da riempire.
   Per scoprire se faceva sul serio allora gli dissi che volevo subito i soldi, più due giorni anticipati. In tutto seicento euro. E anche in questo caso Rocco non fece una piega, e quindi andammo in banca a prelevare la somma, e quando mi mise in mano le banconote, sei da cento, allora capii che faceva sul serio. Valevo davvero qualcosa per lui. Non ero soltanto una cagna, come invece mi consideravano gli altri.
   Trascorsi i successivi tre giorni sempre insieme a lui, a fare l’amore ma non solo. Abbiamo fatto tante volte l’amore, questo sì, però Rocco aveva spesso voglia di parlare e di conoscermi, e infatti mi fece un sacco di domande personali, a cui io spesso mi sottraevo, perché per quanto riguarda il mio passato sono sempre stata molto riservata. Anche adesso che siamo sposati ancora non gli ho detto tutto di quando il mio corpo non aveva questa forma. Quante cose potrei raccontargli di quel periodo, eppure non lo faccio perché sono storie che non mi appartengono più. Adesso ho altre storie da raccontare, storie che riguardano il mio nuovo corpo, storie di uomini che si sono divertiti col mio corpo e che poi mi hanno lasciato del denaro come ricompensa, ma anche storie felici, come appunto il matrimonio con Rocco e l’amore che mi è stato donato dalla sua famiglia, da cui sono stata accolta calorosamente.
   In ogni modo venne il quarto giorno, e Rocco doveva darmi altri duecento euro, altrimenti me ne sarei andata per la mia strada. Doveva scegliere, pagarmi oppure lasciarmi finire tra le braccia di altri uomini senza scrupoli. Ovviamente decise di darmi i soldi che gli avevo chiesto, e quindi andò a prelevare e io lo aspettai a casa mia. Credevo che non sarebbe più ritornato, e che quei tre giorni di sesso gli erano bastati, e invece dopo un po' lo vidi ritornare, e mi diede i soldi che aveva prelevato. Altri seicento euro, così si era pagato l’esclusiva con me per altri tre giorni. Ero stupefatta dalla quantità di denaro che aveva a disposizione, ma soprattutto dalla sua volontà di avermi tutta per se, di impedirmi di tornare in quel tugurio di club in cui mi vendevo. Perché obiettivamente era questo che lui voleva, e cioè non vedermi più tornare in mezzo a quei maiali che bazzicavano quel postaccio, e che mi trattavano da cagna.
   “Ma quanti soldi hai?” gli chiesi divertita quando lo vidi tornare con altre sei banconote da cento.
   “In verità non ne ho molti. Ma non preoccuparti, quando finiranno li andrò a cercare da qualche altra parte. Magari chiederò un prestito ai miei genitori, ma non ti lascerò ritornare in quel porcaio”.
   Il mio cuore fremeva perché per la prima volta capii cosa voleva dire sentirsi amati. E non mi sembrava più giusto accettare quei soldi, e rimasi lì bloccata davanti a lui, con il denaro a mezz’aria chiuso in una mano. Lui non mi stava comprando per sesso, mi stava comprando per amore. E mi si riempirono gli occhi di lacrime, e allora gli dissi chiaramente di dirmi cosa voleva da me. Perché stava facendo quella cosa? Perché sperperare tutti i risparmi per una puttana?
   “Ma come, ancora non lo hai capito? Perché io ti amo”.
   A quel punto lo abbracciai e mi misi a piangere a dirotto. Non so perché. Forse perché era la prima volta che me lo dicevano. Di solito mi dicevano soltanto cose cattive. E mentre piangevo lui mi baciava la fronte e mi accarezzava i capelli, e mi chiese se volevo essere la sua fidanzata. E io gli risposi di sì, senza aggiungere altro, soltanto sì.
   Il giorno dopo mi disse che aveva parlato con suo zio, il quale aveva uno strip bar, e se volevo potevo andare a lavorare da lui. Era certamente un posto più pulito e più sicuro dove guadagnarmi lo stipendio. E non ero costretta a fare pompini o a farmi impalare. O perlomeno non lo dovevo fare per forza, nel senso che nello strip bar era tassativamente vietato avere rapporti con i clienti, però le ragazze che ci lavoravano dentro lo facevano lo stesso, per guadagnare qualcosa “fuori busta”. E ovviamente cominciai a farlo anche io. D’altronde i soldi mi sono sempre piaciuti. Non perché sono spendacciona, ma semplicemente perché mi danno sicurezza. Mi piace averli.
   Se non fosse stata per quella proposta folle di pagarmi duecento euro al giorno per avermi tutta per se, non me ne sarei mai accorta di trovarmi di fronte all’uomo della mia vita. Infatti non finirò mai di ringraziarlo per avermi offerto quei soldi. Adesso non sarei una donna sposata, e non sarei stata accolta dalla splendida famiglia di Rocco, da mamma Sabrina e papà Stefano. Sarei rimasta in quel club a farmi impalare da uomini che avrebbero continuato a trattarmi come un buco da riempire. E invece adesso sono una specie di diva; sì, sono la diva dello strip bar. Ho centinaia di ammiratori, che mi offrono denaro soltanto per potermi guardare. E ho un marito stupendo, con cui condivido delle avventure erotiche mozzafiato. Un marito comprensivo, che quando gli racconto di qualche avventura con altri uomini lui mi perdona sempre. Perché sono stata chiara fin dal principio con lui: “sarò la tua donna, ma sappi che per mia natura sarò sempre una moglie puttana”. Puttana o no, per lui l’importante era soltanto potermi avere accanto a se. Per tutta la vita.


martedì 23 ottobre 2018

Il partito

delle vacche. 

(in foto: Grazi Cinturinha, Get Wet And Cums, Tgirls.xxx)


[postato da Beatrice]

   Romualdo era un vero vulcano di idee. Sui giornali e sui social network non si faceva che parlare di noi, anche grazie alle iniziative che creava di getto. Lui era fatto così; all’improvviso lo vedevi sovrappensiero, che si teneva il mento con due dita, e fissava il vuoto fino a quando non esultava per essere riuscito a trovare un’idea brillante. Erano vere e proprie provocazioni, come quella di farci fare il bagnetto nel fontanone della città. Ad un certo punto si inventò l’ennesima trovata pubblicitaria, e decise di fondare un partito politico, e promise ai giornali di candidare una di noi alle prossime elezioni comunali. E dopo qualche giorno di trepidante attesa finalmente si decise a fare un nome. Il mio.
   “Beatrice La Vacca sarà la nostra candidata alle elezioni amministrative!” esultò in una conferenza stampa di fronte ai giornalisti di mezzo mondo.
   La notizia era una bomba. Una spogliarellista, per giunta transgender, candidata alle elezioni comunali. Io non ne sapevo nulla. Lo avevo appreso il giorno in cui Romualdo aveva fatto la conferenza stampa. Ed ero rimasta spiazzata; non sapevo cosa pensare. E tra l’altro l’avevo saputo guardando il telegiornale. La cronista aveva annunciato: “la candidata del Partito delle Vacche (così si chiamava il partito fondato da Romualdo) alla carica di sindaco ha finalmente un nome. Si chiama Beatrice La Vacca, una spogliarellista transgender con un notevole seguito nel mondo dell’intrattenimento per adulti”.
   Romualdo era veramente bravo a inventarsi queste trovate per attirare l’attenzione su di se e sulla sua agenzia, però adesso aveva esagerato. Mi aveva ficcata in mezzo ai pasticci. Io non ne volevo sapere niente di quella storia. Adesso l’attenzione era tutta su di me, e questo fatto mi terrorizzava. Avrebbe dovuto chiedermelo prima di fare il mio nome, e invece aveva fatto di testa sua. Così presi immediatamente il telefono e lo chiamai.
   “Ma che ti è saltato in testa? Ti rendi conto adesso in che razza di situazione mi trovo? Ed è soltanto colpa tua”.
   “Suvvia, cosa vuoi che sia!” minimizzò lui divertito. “È soltanto un gioco. Lo sto facendo soltanto per promuovere la vostra immagine, e ovviamente anche quella dell’agenzia. Vedrai che andrà tutto bene”. 
   “Ma io non voglio diventare sindaca!”.
   “Su questo puoi stare tranquilla. Non lo diventerai. Sono sicuro che alla fine non avrai neppure un voto. Però guadagnerai molta popolarità. E anche la mia agenzia, naturalmente”.
   Comunque decisi di non pensarci perché in fin dei conti, come ogni sua iniziativa, quella candidatura a sindaco non era che una bolla di sapone. Avevo ben altre cose a cui pensare, prima di tutto il matrimonio; tra qualche giorno sarei diventata una donna sposata, una moglie non proprio fedele, e questo Rocco lo sapeva. Glielo avevo detto fin dal principio: “gli uomini mi piacciono troppo per poter diventare una moglie fedele”. Ma comunque voglio risparmiarvi i dettagli dei preparativi, e arrivare direttamente al fatidico giorno.
   Il comune era pieno come un uovo; oltre ai nostri amici e alla famiglia di Rocco, c’erano un sacco di curiosi e di giornalisti, perché in effetti non era un matrimonio come un altro, era il primo matrimonio che si celebrava in città tra un uomo e una transgender, per cui molte persone anche pur non conoscendoci, avevano deciso di partecipare a questo evento molto discusso, accolto dall’opinione pubblica con pareri molto contrastanti; c’era chi diceva che era uno schifo e chi invece aveva accolto la notizia in modo favorevole.
   Avevamo anche attirato l’attenzione di un gruppetto di estrema destra che era venuto a protestare con tanto di cartelli e slogan omofobi, intenti a difendere i diritti delle famiglie “tradizionali”. E al mio arrivo in comune mi sbandierarono le loro scritte razziste davanti agli occhi, e io gli risposi con un sorriso e poi gli mandai un bacio e loro si incazzarono ancora di più. Alcuni dei nostri amici si erano proposti di mandarli via a calci, ma io gli avevo detto che non ce n’era bisogno, perché non ne valeva la pena; a rendermi giustizia bastava la terribile infelicità che avevano dentro, che li avrebbe certamente condannati ad una vita vuota e inappagante. Una vita spesa a odiare è senz’altro una vita inutile. Non è vero che ogni vita è preziosa. La vita delle persone che non sanno fare altro che odiare non lo è.
   Ovviamente al matrimonio i miei genitori non c’erano. Ma era più che normale, dal momento che mi avevano ripudiata quando avevo deciso di diventare donna. C’era però mio fratello, il quale invece mi voleva un bene dell’anima. E poi c’erano i genitori di Rocco, i quali erano loro la mia famiglia ormai. Mi avevano accolto in casa come una figlia. E c’era mamma Sabrina (io ormai la chiamavo mamma già da molto tempo) che aveva cominciato a piangere per la gioia e non la smetteva più. E poi c’era Moana, che era così felice che non faceva che prendermi in giro sussurrandomi cose all’orecchio, tipo: “non sei eccitata? Stasera perderai la verginità”. Si riferiva alla tradizione ormai in disuso da anni di arrivare vergine al matrimonio, che naturalmente riferita a me aveva un effetto incredibilmente comico.
   E poi c’erano i giornalisti, che volevano sapere, volevano riempire le pagine dei giornali con le mie dichiarazioni da sposa transgender. E poi c’erano anche i miei ammiratori dello strip bar, tutti a congratularsi con me, a stringermi tra le loro braccia e a ricordarmi ai bei momenti passati insieme nel privè. E io che cercavo di rassicurarli, e gli dicevo che nonostante stessi diventando una moglie, sarei rimasta la Beatrice di sempre, e loro avrebbero potuto continuare a godere del mio corpo. Ovviamente soltanto se poi a questa cosa corrispondeva una “generosa ricompensa”. Ma questo era scontato. I miei ammiratori erano sempre molto generosi con me, e quindi io lo ero con loro, e gli davo tutto quello che volevano.

giovedì 18 ottobre 2018

Il nuovo lavoro

di Berni. 

(in foto: Erica Fontes)


[postato da Moana]

   Dopo essermi fatta riempire il culo di sborra da Berni ero uscita dalla stanza, e poi avevo raggiunto l’uscita dell’ufficio. Avevo aspettato dieci minuti e poi ero ritornata da lui, che stava ancora nella stanza dove era avvenuta la monta. E prima che potesse dire qualsiasi cosa gli avevo dato un bacio sulle labbra. A quel punto gli avevo chiesto se la ragazza che gli avevo mandato, ovvero Luana, si era fatta viva.
   “Sì, è andata via da poco”.
   “Di’ un po', non te la sarai mica scopata?” feci la finta gelosa.
   “No, ma che dici!”.
   “E allora perché sei così sudato?” gli domandai. “Sei sudato come quando facciamo l’amore”.
   “Ma no! È soltanto che oggi c’è un caldo boia”.
   “Che bugiardo che sei!” dissi divertita. “Secondo me te la sei scopata”.
   “Ti dico di no! Lo sai che amo soltanto te”.
   “Io infatti dico che te la sei scopata, mica che te ne sei innamorato. Ma cambiamo argomento, non ho voglia di parlare delle porcate che fai con le aspiranti sgallettate che entrano in questo ufficio. Piuttosto, passavo di qui e ho notato delle cose che proprio non capisco. Tanto per cominciare, chi sono quelle persone che stanno nell’altra stanza? Sembra di stare in un call center, o qualcosa del genere”.
   Così Berni mi spiegò ogni cosa. Qualche mese prima un tizio lo aveva contattato, che poi era il tizio in giacca e cravatta che avevo visto prima nella stanza piena di computer e telefoni. Questo personaggio misterioso era in realtà un mezzo faccendiere con le mani in pasta un po' dappertutto, ma soprattutto nel settore dell’intrattenimento, nella fattispecie quello per adulti. Organizzava serate nei più importanti night club d’Italia. E aveva contattato Berni perché aveva visto il suo primo (e unico) film, e gli era piaciuto così tanto che gli aveva chiesto di lavorare per lui. Quindi Berni aveva cominciato ad andare ai suoi spettacoli e riprendeva tutto quello che succedeva, e poi i filmati venivano caricati su un sito a pagamento.
   Poi da cosa nasce cosa, e insieme a questo personaggio stravagante Berni aveva messo su una vera e propria agenzia di spogliarelliste e attrici hard, che per il momento era ancora giovane come attività, però già fruttava un bel mucchietto di soldi.
   “Ma Berni, perché non me lo hai raccontato prima? Mi sembra una cosa meravigliosa”.
   “Beh, diciamo che è stata una cosa che ha fatto lui. È lui che ha tirato fuori i soldi, quindi a conti fatti è lui il proprietario. Io sono soltanto quello che lui volgarmente definisce il suo braccio destro. Cosa vuoi che ti dica? Mi ha preso in simpatia e mi ha trascinato in quest’avventura, e io mi ci sono trovato dentro senza neppure accorgermene. Non ti ho detto niente perché è successo tutto così in fretta...”. 
   A quel punto decise di presentarmi il misterioso uomo. Si chiamava Romualdo, aveva all’incirca l’età dei nostri genitori.
   “Ma tu non sei la ragazza del provino?” mi chiese divertito.
   “No, sono una sua amica” risposi prendendomi gioco di lui.
   “Io lo sapevo che eri Moana” disse stringendomi la mano e mostrandomi un sorriso a trecentosessanta denti tutti bianchi e tutti ben allineati come soldatini sull’attenti. “Però non ho detto nulla, perché avevo paura di essermi confuso. Ma d’altronde, come si fa a prendere una svista? Tu sei unica. Quando ti ho vista nel film di Berni ho pensato subito che saresti diventata una diva, al pari di quelle di una volta, non come le sciacquette di adesso. Peccato che poi hai deciso di mollare”.
   “Sì, beh… il porno non fa per me. Cioè, non fraintendermi, lo guardo con piacere. Però l’idea di diventare un’attrice porno non mi ha mai entusiasmata”.
   “Peccato. Peccato davvero. Saresti diventata la numero uno”.
   “Lo so ma… gestisco un negozio di intimo che assorbe gran parte delle mie energie. Per non parlare del fatto che sono diventata mamma da un anno, per cui non avrei proprio tempo per farlo”.
   “Sì, so tutto. Berni mi ha raccontato tutto di te”.
   Romualdo aveva un non so che di affascinante. Era brutto, e aveva un fisico da banana, con la schiena ricurva, e era secco che sembrava che non mangiasse da un paio di mesi. E infatti poi Berni mi disse che “il dirigente”, così lo chiamava, aveva la pessima abitudine di saltare i pasti, semplicemente perché diceva che non aveva tempo. Però nonostante il suo aspetto era un uomo che aveva un certo fascino; forse era il suo modo di fare. Era affabile, e poi era molto disinvolto, sembrava a suo agio di fronte ad ogni situazione, e sapeva mettere a proprio agio le persone che si trovavano in sua presenza. Ispirava fiducia, anche se poi Berni, una volta ritornati a casa, mi disse che era in realtà un uomo che pensava soprattutto ai propri interessi. Il suo obiettivo era racimolare quanto più denaro possibile. E infatti ne aveva fatto un bel po' da quando era nel giro dell’intrattenimento per adulti, però ne aveva anche persi molti con investimenti sbagliati. Una volta era stato pure in galera, perché era stato accusato di sfruttamento della prostituzione.
   Eppure aveva qualcosa, qualcosa di speciale. Forse era il fascino del “dirigente”. Perché Romualdo era nato per dirigere. Dirigere e amministrare qualsiasi cosa. Ce l’aveva dentro. E per farlo, per dirigere questa nuova attività (che era una delle tante, infatti in passato ne aveva avute altre che poi erano fallite) aveva sentito il bisogno di mettersi accanto il papà di mia figlia.
  

sabato 13 ottobre 2018

giovedì 4 ottobre 2018

L'aiuto di

uno specialista. 

(in foto: Tessa Fowler, TessaFowler.com)


[postato da Sabrina]

   Quindi secondo il parere di Arianna io sarei disumana, semplicemente perché praticavo e pratico tutt’ora (anche se in misura minore) l’amore libero, fregandomene delle conseguenze “morali e sanitarie”, per utilizzare le sue stesse parole. Ma non mi importa molto il suo parere, e nemmeno quello degli altri. L’importante è che posso dire tranquillamente di aver dato libero sfogo alle mie pulsioni, e di aver goduto di tutte le emozioni che la vita mi ha proposto nel corso degli anni. E il bello è che non rimpiango niente.
   Però ovviamente lei non era l’unica a pensarla in questo modo, e cioè che io avevo un problema. Ricordo che a scuola la preside, la quale era venuta a conoscenza della mia turbolenta vita sessuale (d’altronde lo sapevano tutti, non per niente ero conosciuta come Sabrina Bocca e Culo), aveva deciso di affiancarmi uno psicologo che in qualche modo avrebbe dovuto aiutarmi ad uscire dal mio “vortice del peccato”. Quindi fui costretta a vedermi con questo strizzacervelli due volte alla settimana, nel pomeriggio, quando la scuola era chiusa. I nostri incontri avvenivano in una delle aule del secondo piano. Lui era un trentenne fresco fresco di laurea, assoldato dalla scuola per risolvere casi come il mio che loro consideravano situazioni di disagio. Anche se in verità io non mi sentivo per niente a disagio. Anzi. Mi sentivo felice e sessualmente appagata. Ma questo loro non lo capivano. La preside in primis, che probabilmente non sapeva neppure cosa voleva dire sentirsi sessualmente appagata.
   Quindi, questo giovane psicologo avrebbe dovuto aiutarmi ad uscire da questo tunnel del sesso estremo, ma non riuscì a fare proprio un bel nulla. Anzi, alla fine fui io a trascinarlo dentro. Lui si chiamava Aldo, aveva l’aspetto di un secchione, ed era sempre ben vestito; di solito indossava dei pantaloni di velluto e una camicia azzurra, con le maniche attorcigliate fino ai gomiti. Aveva gli occhiali con la montatura nera, e la barba ben curata, e un corpo snello e atletico. Tutto sommato era un bel bocconcino da cui mi sarei fatta montare volentieri. E infatti… riuscì a resistermi alle prime cinque sedute, dopodiché mi fece sua.
   Le sedute a cui mi sottoponevo erano divertenti. Mi piacevano le domande che mi faceva. E poi io lo provocavo in continuazione, prima di tutto presentandomi alle sedute vestita peggio di una zoccola da statale; scollature al limite della decenza, da cui le mie grosse tette scivolavano continuamente fuori, e minigonne così corte che quando mi sedevo e accavallavo le cosce lui non poteva fare a meno di guardarmele, in tutta la sua interezza. In principio lui cercò di resistermi, però poi già dal secondo appuntamento i suoi occhi cominciarono a percorrere il mio corpo in modo famelico; era chiaro che mi desiderava e che avrebbe voluto chiavarmi. E allora io facevo in modo di accendergli ulteriormente l’incendio che gli si stava sviluppando dentro, raccontandogli le mie avventure porche. Perché lui mi chiedeva di parlargliene, e allora io lo facevo senza omettere nulla e usando un linguaggio osceno, e man mano che raccontavo delle mie penetrazioni, delle cumshot che ricevevo, vedevo la patta dei suoi pantaloni gonfiarsi, e quindi mi accorgevo delle erezioni che ogni volta gli facevo avere.
   Ma andiamo per gradi. Il primo appuntamento fu più che altro conoscitivo.
   “Allora Sabrina, a quanto pare la tua preside mi ha detto che tu hai un problema da risolvere”.
   “In realtà io non ho alcun problema da risolvere, però se lo ha detto lei probabilmente sarà vero” risposi in modo sarcastico.
   “Non credi di avere un problema con il sesso?”.
   “No, non credo” risposi ancora con lo stesso tono di prima. “Credo che invece la preside lo abbia. Ho come la sensazione che non riesca a sentirsi soddisfatta sessualmente”.
   “E tu? Ti senti soddisfatta?”.
   “Accidenti se lo sono!”.
   Il secondo appuntamento mi chiese di parlargli di Giuliano. Perché appunto mi aveva chiesto se avevo un fidanzato, e io gli avevo risposto che un fidanzato vero e proprio non ce l’avevo, ma ero solita intrattenermi con il fidanzato di un’altra. Infatti Giuliano in quel periodo era fidanzato con la mia migliore amica, ma lei non sapeva ancora nulla del fatto che lui aveva una relazione parallela con me.
   “Cosa rappresenta per te Giuliano?”.
   “Giuliano è la mia ossessione. Non riesco a farne a meno” gli risposi. “Non riesco ad oppormi alla sua volontà, e quindi assecondo tutte le porcate che mi chiede di fare. È con lui che ho perso la verginità anale e orale. La prima volta che mi ha penetrata dietro mi ha fatto un po' male, ma adesso è tutta un’altra storia. Il suo membro entra nel mio condotto anale senza alcun problema. Quasi come se il suo pene e il mio buco del culo fossero stati creati apposta per questa ragione, e cioè per godere l’uno dell’altro”.
   “Cos’altro ti chiede di fare, oltre ad avere rapporti anali?”.
   “Accidenti doc, quanto sei curioso! Ebbene, se proprio ti interessa saperlo, io e Giuliano facciamo di tutto. Spesso lui mi condivide con i suoi amici, quindi mi chiede di andare a letto con altri ragazzi, e io ci vado, perché è lui a chiedermelo. Anche se non ne sono attratta, cerco di farmeli piacere, soltanto per fare contento lui”.
   “Non hai mai pensato al fatto che Giuliano potrebbe considerarti come un oggetto? Una specie di giocattolo da condividere con gli amici?”.
   “Può darsi. Ma non mi importa. L’importante è che lui continui a considerarmi sua”.
   Al terzo appuntamento lo psicologo aveva ormai cambiato atteggiamento. Non era più sereno e disteso come quando avevamo cominciato. Ormai, senza che se ne rendesse conto, ero diventata la sua ossessione, a causa di quello che dicevo, di quello che raccontavo, e soprattutto, come vi dicevo prima, da come mi presentavo alle sedute, praticamente in tenuta da rimorchio. E quando poi gli raccontavo quello che facevo con Giuliano lui sembrava in procinto di sborrarsi nelle mutande; gli raccontavo per esempio di tutte le cumshot che mi faceva, in modo molto dettagliato, parlandogli di quanto era consistente e calda la sua sborra che schizzava sul mio viso. Oppure gli raccontavo delle sculacciate che mi dava mentre mi penetrava analmente, quelle sculacciate che mi facevano perdere completamente il senno. Insomma, alla fine il problema iniziò ad avercelo lui. Il suo problema ormai ero io, e il desiderio di avermi.