martedì 28 febbraio 2017

Il solito posto. 

(in foto: Brigitta, Cool Water, PhotoDromm.com)


   Il giorno dopo Moana mi chiese se mi andava di andare al mare. Io le dissi di sì. Ma dove? Le chiesi. E lei mi rispose: al solito posto. Ma io non avevo la più pallida idea di quale fosse questo solito posto. Comunque decisi di affidarmi completamente alle sue mani. Qualsiasi posto andava bene, l’importante è che c’era lei.
   Per arrivarci bisognava prendere il treno e poi scendere in una stazioncina che non avevo mai sentito nominare. A quel punto bisognava camminare un po'. E allora percorremmo un sentiero battuto di campagna. C’era ancora un gran caldo nonostante fosse settembre. Lungo la strada non c’era anima viva, soltanto qualche ruminante che pascolava nei prati che c’erano tutt’intorno. Il mare ancora non si vedeva, quindi ipotizzai che avevamo ancora parecchia strada da percorrere. Però si sentiva chiaramente l’odore di salsedine.
   Ad un certo punto Moana sbuffò e lasciò cadere per terra il suo borsone da spiaggia e lo zainetto che teneva sulle spalle e sbottò dicendo che c’era un caldo terribile, e allora si tolse gli hot pants e sotto aveva un costume a perizoma azzurro che metteva in risalto il suo culo divino. E pensai tra me e me: non vorrà mica prendere il sole con quel costumino striminzito? Come minimo sarebbe stata presa d’assalto dagli occhi voraci di tutti i maschietti della spiaggia.
   Poi si tolse anche la maglietta, e notai che sotto non aveva nulla. Cioè, aveva dimenticato di mettere il pezzo di sopra, e quindi adesso stava con le tette al vento, noncurante del fatto che qualcuno avrebbe potuto vederla. Ma se l’era dimenticato il pezzo di sopra oppure era sua abitudine non indossarlo? Ma cos’era, matta? Voleva davvero dare spettacolo andandosene in giro in quel modo, con le tette alla mercè di tutti?
   “Ok, adesso possiamo andare” si rimise lo zainetto e raccolse lo borsone.
   “Moana, non vorrai mica proseguire il cammino in queste condizioni?” dissi.
   “Perché?” domandò come se la mia domanda fosse per lei davvero incomprensibile.
   “Perché praticamente sei nuda” risposi. “E se passasse qualche malintenzionato?”.
   “Berni, non essere paranoico. Non vedo nessun malintenzionato. E poi ci sei tu a difendermi, no?”.
   Sarei stato in grado di farlo? Per tutto il tragitto non feci altro che guardarmi intorno. Ero così nervoso che avrei voluto dire a Moana di rivestirsi, ma sapevo che lei non lo avrebbe fatto e quindi cercai perlomeno di controllare la zona. Intanto vidi qualcuno avvicinarsi nella direzione opposta alla nostra. Santo cielo, questa non ci voleva. E Moana non sembrava assolutamente intenzionata a coprirsi. Quello lì l’avrebbe vista così, nuda, praticamente con addosso solo uno striminzito costume a perizoma. Ma lei era tranquilla, senza paura, io invece stavo per andare nel panico, anche perché man mano che l’uomo si avvicinava riuscivo a vederlo in modo sempre più dettagliato. Prima era solo un puntino all’orizzonte, adesso cominciavo a vederlo molto bene, abbastanza bene da notare che era completamente nudo, e portava un borsone da mare come quello di Moana. È finita, pensai, ecco un maniaco sessuale che adesso tenterà di abusare della mia fidanzata. Ma io ero così innamorato di lei che sarei stato pronto a farmi uccidere pur di proteggerla. E quindi man mano che l’uomo si avvicinava i miei pugni si serravano, pronti a partire nella sua direzione. Sarebbe stato un bel combattimento. Sarebbe stata la prima volta per me, non avevo mai fatto a pugni, ero sempre stato contrario ad ogni forma di violenza, ma questa volta era per una giusta causa, e cioè l’incolumità della mia fidanzata.
   L’uomo nudo era sulla cinquantina, e aveva un corpo davvero poco attraente; aveva una discreta pancia, e poi era completamente depilato. Neppure un pelo solcava la sua pelle, era liscio come una donna, ma aveva un cazzo di dimensioni notevoli nonostante non fosse in erezione. Ad un certo punto allargò le braccia in direzione della mia ragazza e sorrise.
   “Moana! Da quanto tempo!” esultò.
   “Giorgio! Che bello vederti” la mia fidanzata gli andò incontro e si abbracciarono.
   “Come sei bella, proprio come tua mamma” le disse dandole una calorosa pacca sul sedere. “Che mi racconti? Stai andando al solito posto?”.
   “Sì” confermò lei, poi guardò verso di me. “Lui è il mio fidanzato”.
   “Ah!” esclamò guardandomi da capo a piedi. “Che ragazzo fortunato. Con Moana hai vinto un terno al lotto, amico mio” poi si rivolse di nuovo a lei. “E mamma e papà come stanno?”.
   “Stanno bene”.
   “Me li saluti tanto. Digli che magari uno di questi giorni li chiamo così ci andiamo a bere qualcosa fuori” a quel punto diede un’altra bella pacca sul sedere a Moana e riprese il cammino. “Ciao cara, passa una buona giornata. E tu, mi raccomando” mi disse. “Trattala bene questa signorina, e vedrai che ti darà un sacco di soddisfazioni”.
   Non ne ero sicuro, ma penso che si riferisse a soddisfazioni di tipo sessuale. In ogni modo ero molto confuso dalla scena che avevo appena visto. Perché quell’uomo era nudo? E soprattutto come faceva a conoscere Moana e i suoi genitori? In ogni modo doveva esserci tra loro un legame molto stretto, dal momento che la mia fidanzata gli aveva permesso di darle ben due pacche sul sedere senza battere ciglio. Lei, forse vedendomi un po' perplesso, mi disse che quello lì era un amico di lunga data dei suoi genitori, ma comunque non mi diede alcuna spiegazione del perché era tutto nudo. Insomma, aveva il batocchio di fuori, e per Moana non sembrava proprio esserci nulla di male.
   Proseguimmo il sentiero fino ad arrivare ad un’insegna ad arco che diceva: Il solito posto. L’insegna era sorretta da due lunghi pali su cui erano stati fissati due mascheroni haitiani, tipo quelli che si vedono nei film che parlano di riti voodoo. Sorpassammo l’insegna e arrivammo finalmente a destinazione. Moana mi aveva portato su una spiaggia nudista. Era la prima volta che ne vedevo una. Adesso si spiegavano molte cose, per esempio la presenza di quell’uomo tutto nudo lungo il sentiero battuto. E si spiegava anche perché Moana non aveva avuto alcun problema a disfarsi della maglietta, lasciando le sue tette libere di godere del sole. Insomma, la mia fidanzata era nudista.
   Guardai la spiaggia disseminata di persone nude, la maggior parte erano uomini, e poi c’era qualche coppia, e notai anche la presenza di alcuni uomini che vagavano guardandosi intorno in modo circospetto. Moana mi disse in seguito che si trattava dei guardoni, che prendevano d’assalto le coppiette nella speranza che facessero qualcosa di eccitante. Ad alcune coppie infatti piaceva dare spettacolo, e quindi si mettevano a fare l’amore di fronte a tutti.
   Mentre mi guardavo intorno lei mi raccontò che i suoi genitori la portavano lì fin da quando era bambina. Il nudismo era per lei una cosa naturale.
   “Quindi anche i tuoi genitori sono…”.
   “Nudisti? Sì, certo” rispose, e a quel punto si slacciò il nodo che le teneva su il perizoma liberandosi anche di quello. Adesso era nuda dalla testa ai piedi e tutti potevano vedere com’era fatta la mia ragazza.
   “Moana, non credi sia meglio che tu lo rimetta?” le chiesi.
   “Uuuhh! Come sei noioso!” sbottò lei, poi allargò le braccia e si mise a camminare all’indietro in direzione del bagnasciuga. “Dovrai farci l’abitudine Berni, perché io sono così. Sono fatta in questo modo. E né tu e né nessun altro riuscirà a farmi cambiare”. 
   
Berni.

domenica 26 febbraio 2017

venerdì 24 febbraio 2017

Una famiglia sui generis.

(in foto: Lantti Irres, I Am Back, Nadine-j.de)


   Il giorno dopo rividi Moana al solito posto, ovvero davanti al liceo scientifico. Era ancora più gnocca del giorno precedente, e del giorno prima ancora, e ancora non mi capacitavo di come fosse possibile che avesse deciso di frequentare un ragazzo come me, che ero nella media e quindi lei era davvero fuori dalla mia portata. In genere le ragazze come lei non mi guardavano neppure; ai loro occhi ero come invisibile. Preferivano di solito guardare i ragazzi ben piazzati e messi bene economicamente, maschi di serie a, e io ero di serie b sicuramente. Nella nostra città contava molto l’apparenza, ma Moana evidentemente non era come tutte le altre gnocche della città. A quanto pare a lei non gliene fregava niente dell’apparenza.
   E il giorno dopo che avevamo fatto l’amore, come vi stavo dicendo, era talmente gnocca che andai un po' nel panico. Una pornodiva, a tutti gli effetti. E se qualcuno avesse tentato di molestarla, o peggio ancora di abusare di lei? Sarei stato in grado di difenderla? Sarei stato abbastanza bravo da tirare fuori le unghie e magari di mettere a rischio la mia vita per salvare la sua? Ragazzi, quanto era porca! Aveva un vestito nero molto corto, e davanti era tutto scollato, uno scollo che arrivava fin sotto l’ombelico e che non so per quale legge della fisica le tette non le uscivano fuori. Infatti sotto non c’aveva neanche il reggiseno. Come facevano a starle dentro e a non uscire fuori?
   In ogni modo venne verso di me e mi abbracciò, e io ce l’avevo già dritto. Mi si era indurito non appena l’avevo vista. E lei nell’abbracciarmi se ne accorse.
   “Wow!” disse. “Vedo che sei già in tiro”.
   “Sì, è che mi piaci proprio tanto”.
   “Lo vedo” rispose lei accarezzandomi fugacemente il pacco.
   A quel punto ce ne andammo in giro per il centro senza una meta. E non potetti fare a meno di notare come gli altri maschi, di qualsiasi età, guardavano Moana. Dai nostri coetanei fino ai sessantenni, tutti la guardavano come se avessero avuto voglia di strapparle quel vestitino striminzito di dosso e montarla più e più volte, eiacularle dentro, in ogni orifizio, anche in culo. E questa cosa mi rendeva terribilmente teso, quasi come se avvertissi la pericolosità di permettere alla mia (ormai) fidanzata di andare in giro in quel modo. Forse avrei dovuto dirglielo, ma non sapevo come fare. Non volevo urtare ancora una volta la sua suscettibilità. Moana era porchissima ma era anche facilmente irritabile. Bastava poco per farle perdere le staffe.
   “Ho notato che gli altri ragazzi non riescono a fare a meno di guardarti” le dissi.
   “Lascia che guardino” rispose lei con tranquillità. “Infondo loro guardano soltanto, tu invece puoi avermi ogni volta che ti pare”.
   Non era quello il punto, ma decisi di non continuare quel discorso, perché non avevo alcun diritto di dirle che vestita in quel modo era oscena. Avevo una fidanzata bella come una pornodiva e dovevo farmene una ragione. Era ovvio che gli altri maschi l’avrebbero guardata e avrebbero desiderato di portarsela a letto.
   Verso mezzogiorno mi chiese se mi andava di andare a pranzo a casa sua. C’erano anche i suoi genitori e moriva dalla voglia di farmeli conoscere. Non mi aspettavo che me l’avesse proposto. Però ero davvero felice di vedere casa sua e di conoscere i suoi. E allora andammo alla fermata dell’autobus. In città ce n’erano solo due, che praticamente facevano lo stesso giro, uno in senso orario e l’altro in senso antiorario, e facevano un tragitto abbastanza lungo da coprire ogni quartiere.
   Salimmo su quello di mezzogiorno e mezza e ci mettemmo a sedere sui sedili che stavano infondo. L’autobus era praticamente vuoto, quindi mi presi la libertà di mettere una mano su una gamba di Moana per accarezzarla. Moana aveva delle cosce lisce come la seta e il contatto con la sua pelle mi fece avere una discreta erezione, complice anche il suo odore, intendo l’odore della sua pelle e dei suoi capelli. Avevo una voglia matta di fare l’amore con lei, e credo che anche lei sentisse la stessa cosa, perché con una mano raggiunse il mio cazzo e quando scoprì che ce l’avevo duro gli diede una bella palpata e poi mi diede la bocca, affinchè io gliela baciassi, e le nostre lingue affamate d’amore si unirono. Ma cercammo di contenerci, eravamo pur sempre in un autobus pubblico.
   Oltre alla paura che qualcuno potesse molestare Moana, con il passare delle ore che stavo con lei si aggiunse un altro timore, e cioè che potesse lasciarmi. Magari avrebbe potuto incontrare un vero stallone da monta e innamorarsene. Magari uno coi soldi. Perché, mi chiedevo, ero ossessionato da questa cosa dei soldi? Perché secondo me Moana doveva essere per forza attirata dal denaro? Forse perché era troppo bella, di una bellezza che non aveva prezzo, che solo un uomo con tanto denaro avrebbe potuto comprare. Ma qui era il punto della questione: l’amore di Moana era davvero in vendita? Era davvero qualcosa che si poteva comprare? Se la risposta era sì allora la mia paura di poterla perdere non era del tutto infondata. La paura che potesse finire tutto da un momento all’altro, e che lei potesse dirmi: “senti, mi sono sbagliata. Non ci voglio più stare con te. Credo di meritare di meglio”. Ma allora perché mi stava portando a conoscere i suoi?
   In ogni caso non potetti fare a meno di ripensare a quello che mi aveva detto Daniela, cioè che quella di Moana era una famiglia fuori dall’ordinario, e che Moana era una bastarda, perché la madre l’aveva avuta andando a letto con un uomo che non era suo marito. E al padre piaceva guardare la moglie che si faceva montare dagli altri uomini.
   Moana abitava fuori dal centro, in un quartiere fatto di villette a schiera. Le persone che ci abitavano erano tutte abbastanza facoltose, quindi pensai che anche la famiglia di Moana tutto sommato non doveva passarsela male. A dirla tutta, a giudicare da come era tenuto il giardino e considerato l’arredamento interno della casa, doveva essere una famiglia agiata. Quando entrai notai subito un certo silenzio e un piacevole odore di pulito. In fondo al corridoio che c’era all’ingresso vidi il soggiorno, in cui c’era un soffice divano in pelle bianca con accanto due poltrone abbinate. Questo divano era collocato davanti ad uno schermo piatto molto grande. E dal soggiorno, tramite una porta finestra, vidi un terrazzo con delle piante e una paradisiaca piscina spaziosa. Ebbi quasi un flash, un’immagine di me e Moana che facevamo l’amore immersi in quella vasca, e mi venne una sorta di brivido di eccitazione, e sentii il mio sesso indurirsi un po'. Poi Moana mi fece destare da quel sogno erotico dicendomi di fare come se fossi a casa mia. Poi la vidi allontanarsi verso un corridoio, lungo il quale c’erano le porte delle varie camere. Una di quelle pensai era certamente la sua stanzetta.
   Io rimasi da solo e mi guardai intorno, e fui attirato per via della mia passione per il cinema, da una mensola su cui vi erano allineati dei dvd. Mi ci avvicinai, smanioso di conoscere quali erano i film che i genitori di Moana preferivano. Ebbene fu in quel momento che capii di trovarmi in una famiglia davvero fuori dal comune, perché erano tutti film hard. Di solito quelli non mancano mai; ce li aveva pure mio padre, ma lui li teneva ben nascosti in un armadio. Invece in casa di Moana erano così ben esposti che chiunque poteva vederli, come se per la famiglia di Moana fosse una cosa del tutto normale possedere del materiale pornografico, come se per loro non ci fosse nulla di cui vergognarsi. Devo dire che questa scoperta mi fece rimanere molto perplesso. Che razza di famiglia era? Comunque non potetti fare a meno di leggere qualche titolo: Furia Anale, Scusa ma ti chiamo Maiala, Alle mogli piace nero, Tutto dentro per sempre. E mentre leggevo quei titoli tutto ad un tratto una voce femminile dietro di me mi fece trasalire.
   “E tu chi diavolo sei?”. 
   Mi girai e vidi una donna bellissima, con un seno maestoso, morbido e all’aspetto molto caldo. Delle tette che sembravano voler scivolare fuori da un momento all’altro da un generoso scollo. Aveva tutto l’aspetto di una predatrice di uomini, pronta a tutto pur di soddisfare i propri ardori, ma pronta anche a soddisfare tutte le voglie porche di ogni maschio. Era certamente la madre di Moana, infatti proprio come lei irradiava erotismo in modo sorprendente, e allo stesso modo ti faceva venir voglia di possederla, leccarla dappertutto e poi penetrarla in ogni cavità, e infine riempirla del proprio seme.
   Mi trovavo di fronte alla celebre Sabrina Bocca e Culo.

Berni.

mercoledì 22 febbraio 2017

Una sorpresa imbarazzante.

(in foto: Lenka, Kitchen, Nakedby.com)


   Dopo aver mangiato ce ne restammo seduti in cucina a conoscerci meglio. Eravamo sempre nudi; non era per niente nelle nostre intenzioni rivestirci. Il mio cazzo era perennemente in erezione e non sapevo cosa farci. Moana era troppo bella. Lei ogni tanto si divertiva ad allungare una mano sotto il tavolo e ad afferrarmelo saldamente, gli dava due colpetti e poi mi prendeva in giro dicendomi cose tipo: “ma che c’hai, una paralisi?”, oppure: “se è questo l’effetto che faccio su di te è meglio se mi rivesto”. E io: “ma no, che dici!”.
   In ogni modo Moana mi disse che frequentava il liceo scientifico, che praticamente stava di fianco all’istituto tecnico che frequentavo io. E allora lei mi disse che se mi faceva piacere la mattina avremmo potuto prendere l’autobus insieme per andare a scuola. L’idea era fantastica. Il fatto di poterla vedere tutte le mattine e poi magari all’uscita di scuola mi riempiva di euforia.
   Poi mi parlò un po' della sua famiglia. Mi disse che la madre aveva un negozio di intimo, e il padre (come già mi aveva detto in precedenza) faceva il cuoco. E poi aveva un fratello maggiore di nome Rocco. Rocco e Moana, che strano, pensai. Come i nomi di due divi del cinema hard. Chissà se quella scelta era voluta oppure era una cosa del tutto casuale. D’altronde ripensando alle chiacchiere di Daniela pare che la famiglia di Moana fosse una famiglia molto particolare, quindi chi poteva dirlo, magari la scelta per i nomi dei figli poteva essere un esplicito omaggio a quei due attori che hanno fatto la storia del cinema a luci rosse. Ovviamente non glielo chiesi se quelle mie congetture fossero vere, perché magari mi sbagliavo.
   Parlammo per molto tempo, tanto che si fece buio. Si era fatta sera e ad un certo punto lei allungò di nuovo la sua mano verso il mio membro eretto, lo afferrò con decisione e disse divertita: “vediamo quanta sborra c’hai ancora. C’ho voglia di prosciugarti”. Ma in quello stesso momento sentimmo il rumore della porta d’ingresso che si apriva. Allora Moana mi guardò terrorizzata. Erano i miei che erano appena rientrati. Una cosa del tutto inaspettata dal momento che mi avevano detto che sarebbero rimasti nella casa in campagna per un paio di giorni.
   Moana afferrò la tovaglia del tavolo e la tirò via in preda al panico facendo cadere a terra piatti e bicchieri che andarono in frantumi, e poi si avvolse la tovaglia intorno al corpo alla buona prima che i miei la vedessero così, come la mamma l’aveva fatta. Io presi uno strofinaccio e tentai goffamente di coprirmi l’erezione. I miei genitori entrarono in cucina e quando ci videro in quelle condizioni, per di più con le stoviglie in mille pezzi sul pavimento, rimasero visibilmente sorpresi.
   “Ma che succede qui?” chiese mia madre. “Berni, chi è questa ragazza?”.
   “Mamma, lei è… lei è…” cos’era Moana per me? Cosa dovevo dire? Non mi uscivano le parole di bocca. Un’amica? Non proprio, dal momento che ci avevo fatto l’amore.
   “Signora, io sono la fidanzata di suo figlio” disse porgendole la mano, proprio la mano con cui qualche minuto prima aveva cominciato a segarmi. “Il mio nome è Moana”.
   “Davvero?” mia madre diventò subito docile come un agnellino, dimenticando per un attimo il fatto che avevamo appena distrutto due piatti e due bicchieri del suo servizio migliore. “Berni, non credevo che avessi una fidanzata. E quando pensavi di presentarcela?”. 
   “Il fatto è che ci siamo fidanzati da poco” continuò Moana. “Sa, volevamo aspettare un po' prima di dirlo alle nostre rispettive famiglie”.
   “Berni, complimenti!” esultò mio padre dandomi una pacca sulla spalla. “Hai fatto proprio centro! Guarda che bella ragazza. E io che credevo che questo giorno non sarebbe mai arrivato”.
   “La ringrazio del complimento” disse Moana che era imbarazzata da morire e si reggeva con tutte le forze la tovaglia intorno al corpo. “Comunque forse è meglio se vado a mettermi qualcosa addosso. Già vi ho messo abbastanza in imbarazzo facendomi vedere in questo stato”.
   “Ok cara, sì forse è meglio” le rispose mia madre.
   Moana sgattaiolò nella stanza dei miei a recuperare i suoi vestiti e poi corse in bagno a indossarli. Intanto andai a rivestirmi anche io.
   Non ci capivo più niente; perché aveva detto quella cosa del fidanzamento?
   In ogni modo quando uscì dal bagno tutta rivestita Moana disse che forse era meglio rientrare a casa. Ma mio padre le disse che se voleva poteva fermarsi a cena da noi, ma lei disse di no, che i suoi genitori l’aspettavano. Allora mio padre le disse che forse era meglio se si lasciava accompagnare. Ormai era buio, non era prudente che una ragazza bella come lei se ne andasse in giro tutta sola per la città.
   “Ma no, non si preoccupi! Già vi ho creato abbastanza disturbo rompendo i vostri piatti”.
   “Chi se ne importa di quei piatti? Andiamo, ti accompagniamo io e Berni in auto”.
   E quando mio padre si metteva una cosa in testa era irremovibile. E così l’accompagnammo con la macchina, e il tragitto fu tragico perché per l’imbarazzo di trovarci in quella situazione calò un silenzio terribile. A parlare era solo mio padre che rivolgendosi a Moana le chiedeva un sacco di cose, del tipo dove ci eravamo conosciuti, chi erano i suoi genitori, che scuola frequentava. E lei rispondeva cercando di non dilungarsi troppo con i dettagli. Finalmente arrivammo sotto casa sua, e Moana scese dalla macchina, e scesi anche io, e lei mi venne a dare un bacio sulla guancia.
   “Ciao tesoro, ci vediamo domani” poi rivolgendosi a mio padre: “arrivederci, è stato un piacere conoscerla”.
   Rientrai in auto e ritornammo a casa.
   “Ah, Berni! Sei proprio un ragazzo fortunato ad avere una fidanzata così. È proprio bella come un angelo”.
   “Sì” risposi sovrappensiero. “Un angelo”.
   Ero davvero confuso. Ancora non capivo del perché avesse detto quella cosa ai miei genitori. Ci pensai tutta la sera, poi ad un certo punto decisi di chiamarla. In principio parlammo di quanto era accaduto; Moana mi disse che era stata una cosa davvero imbarazzante, ma che però in fin dei conti era stato divertente. Quando le chiesi di cosa intendesse dire quando aveva detto quella cosa ai miei lei mi rispose che non lo sapeva con certezza; era la prima cosa che le era venuta in mente per togliersi dai guai.
   “Perché me lo chiedi?” mi domandò. “Non ti piacerebbe se io fossi la tua fidanzata?”.
   “Se mi piacerebbe? Moana, io sarei il ragazzo più felice del mondo se tu fossi la mia fidanzata”.
   “Davvero? E allora è deciso. Siamo fidanzati”.
   Non sapevo cosa dire; in principio pensai che mi stesse prendendo in giro. Una gnocca colossale come lei fidanzata con un ragazzo mediocre come me. Certamente aveva voglia di scherzare.
   “Ma dici sul serio?”.
   “Sì, certo. Sei un po' perplesso?”.
   “No è che… sai… tu sei così bella. E le ragazze belle come te in genere preferiscono stare insieme a ragazzi prestanti e che magari hanno anche un notevole conto in banca”.
   “Credi davvero che io sia così superficiale? Credi davvero che sono una di quelle ragazze tutta cosce e niente cervello? Berni, non credevo che avessi una così bassa considerazione di me” rispose lei amareggiata.
   “Moana, perdonami” ero così confuso che non mi ero nemmeno reso conto che la stavo offendendo. “Stavo solo scherzando. Sarei davvero uno stupido se pensassi una cosa del genere di te”.
   “Infatti. Anzi, saresti proprio uno stronzo”.

Berni. 

lunedì 20 febbraio 2017

sabato 18 febbraio 2017

giovedì 16 febbraio 2017

Rientro dalle vacanze. 


   Il primo settembre Moana rientrò dalle vacanze. Sapevo che per quella data sarebbe ritornata, e così la chiamai. Quello che volevo sapere era se quello che c’era stato prima che lei partisse avesse un significato effettivo oppure era una cosa che faceva con chiunque.  Quando la telefonai lei mi prese un po' in giro:
   “Ciao Moana, sono Berni”.
   “Berni chi?” chiese lei, e a quel punto il mio morale scese proprio in basso, fin sotto i piedi. Non si ricordava neppure di me. Questo voleva proprio dire che io ero solo uno dei tanti. Ma mi sbagliavo, mi stava soltanto prendendo in giro.
   “Davvero non ti ricordi di me?” le chiesi.
   “Stavo scherzando! Stupido, certo che mi ricordo di te. Come stai?”.
   “Bene, benissimo. Mi sono ricordato che oggi rientravi dalle vacanze, e così ho pensato di chiamarti”.
   “Che carino! Ti sei ricordato del giorno del mio rientro!”.
   “Sì, beh… magari uno di questi giorni potremmo vederci”.
   “Sì, volentieri. Anche oggi, se ti va”.
   Certo che mi andava. Uscire con una delle ragazze più desiderate della città. Ero al settimo cielo. Come di consueto ormai il nostro appuntamento era fuori al liceo scientifico; poi da lì saremmo andati a fare un giro al centro. E come la volta precedente arrivai all’appuntamento una mezz’ora prima e aspettai con il cuore a mille. Cosa sarebbe successo quel giorno? Avrebbe fatto un’altra volta quella cosa con la bocca? Più ci pensavo e più ero assalito dagli attacchi di panico.
   Finalmente vidi Moana, maiala come non mai. Indossava dei leggings neri in pvc che mettevano in risalto le forme del suo bel culo. Dio, quanto era pornodiva! E quanto dovevamo sembrare strani agli occhi di chi ci vedeva; insomma, in questo aveva ragione Daniela quando diceva che Moana era fuori dalla mia portata. Eravamo davvero una coppia improbabile. Chiunque avrebbe immaginato Moana in compagnia di un aitante stallone da monta, e invece c’ero io.
   Come la volta precedente ce ne andammo al centro e lei mi raccontò qualcosa delle sue vacanze. Mi disse, senza troppi peli sulla lingua, che aveva avuto un’esperienza con un turista francese. E quando le domandai cosa avessero fatto lei mi rispose “tutto”. E io le chiesi: “tutto cosa?”.
   “Tutto quello che si fa a letto, solo che noi eravamo in tenda. Nella sua tenda. È stato a ferragosto, eravamo in spiaggia, poi ci siamo imboscati nella sua tenda e l’abbiamo fatto”.
   “Sì, ma come l’avete fatto?” le chiesi cercando di mascherare la mia rabbia. Ero davvero contrariato da quello che mi stava raccontando. Ma come? Mi chiedevo. Prima di partire mi aveva fatto venire con la bocca, e poi durante le vacanze si era fatta ingroppare da un perfetto sconosciuto. Ma allora io non contavo un cazzo per lei!
   “Berni, come sei curioso!” Moana fece finta di essere indispettita da quelle mie domande, ma si vedeva chiaramente che moriva dalla voglia di raccontarmi tutti i dettagli. “Beh, prima ci siamo leccati un po'. Io leccavo lui e lui leccava me. Poi lui mi ha presa da dietro e mi ha sbattuta in quel modo per un po'. Poi abbiamo cambiato più volte posizione. L’abbiamo fatto a smorza candela, poi io di sotto e lui di sopra. Mi ha fatta venire un sacco di volte. D’altronde anche lui è venuto più di una volta”.  
   Mentre mi diceva quelle cose stavo morendo di gelosia. Perché mi stava raccontando quei fatti? Forse perché non aveva alcun interesse nei miei confronti, e mi vedeva soltanto come un amico con cui confidarsi. Ma ero stanco di fare l’amico delle ragazze. Volevo qualcosa di più. E allora ad un certo punto sbottai, dissi che dovevo ritornare a casa, perché i miei genitori non c’erano e quindi avrei dovuto prepararmi il pranzo da solo. I miei genitori avevano una casetta in campagna, e molto spesso ci andavano per curare l’orto, e quindi io rimanevo da solo a casa.
   “E quindi tu hai casa libera e me lo dici così?” mi domandò.
   “E come dovrei dirtelo?”.
   “Cioè, fammi capire” insistette Moana fingendosi arrabbiata. “Tu hai casa libera e non mi inviti neppure a venire da te?”.
   “E perché dovrei farlo?”.
   “Sei il ragazzo più candido che abbia mai conosciuto. Un altro al posto tuo mi avrebbe invitato a casa sua per montarmi di brutto. A te invece non ti sfiora neppure questa idea”.
   “E invece sì, mi piacerebbe montarti di brutto, come dici tu”.
   “E allora cosa aspetti a invitarmi a casa tua?” mi chiese divertita.
   “Ok. Vuoi venire a casa mia?”.
   “Sì, certo. Ce li hai i preservativi?”.
   “Ci sono quelli di mio padre. Ce li ha nel cassetto della camera da letto”.
   “Quelli andranno benissimo” disse, poi mi prese sotto braccio e mi fece intendere che potevamo andare. “Andiamo timidone, che ti aspetta un sacco di lavoro. Sono una ragazza molto esigente e difficile da soddisfare, io”.
   Possibile che fosse così facile portarsi a letto una ragazza? Oppure era Moana che era una ragazza davvero molto facile? A questo punto pensai che chissà con quanti altri ragazzi aveva fatto la stessa cosa che stava facendo con me. Cioè, chissà da quanti altri maschi si era fatta “montare di brutto”, per usare le sue stesse parole. Forse aveva ragione Daniela, e cioè mi stavo ficcando in un grosso pasticcio. Alla fine di questa avventura probabilmente mi sarei ritrovato soltanto una brutta malattia. Ma non riuscivo a tirarmi indietro. Avevo proprio voglia di montarmela, e lei si stava offrendo con così tanta facilità che rifiutare era quasi impossibile. Mi stava offrendo tutto quel ben di dio, e io cosa avrei dovuto fare? Tirarmi indietro per paura delle malattie infettive? D’altronde me lo aveva confessato lei stessa che aveva avuto un rapporto a ferragosto con un turista francese, un emerito sconosciuto. Come facevo a sapere che quello lì magari non le aveva passato qualche infezione? Poi pensai, ma che importa! D’altronde avremmo usato il preservativo.
   Mi ero ficcato proprio in un bel pasticcio. E il fatto era che non avevo neppure la capacità di tornare indietro. Volevo Moana, volevo entrarle dentro, godere dei suoi buchi. Volevo farla mia, possederla. Forse me ne sarei pentito, e Daniela mi avrebbe detto: “te l’avevo detto io di stare lontano da quella zoccola, ma tu non hai voluto ascoltarmi!”.

Berni. 

martedì 14 febbraio 2017

In che pasticcio ti sei messo, Berni?

(in foto: Jody Paige)


   Non facevo altro che chiedermi se quello che era successo avrebbe avuto un seguito. Cioè, avrei rivisto Moana al suo rientro dalle vacanze, oppure il suo pompino era stato un semplice passatempo e nient’altro? Perché mi aveva fatto venire con la bocca? Nutriva un certo interesse nei miei confronti come diceva, oppure era stata solo un’avventura? Non sapevo rispondere a tutte quelle domande, però mi confidai con la mia amica Daniela. La telefonai due ore dopo la sborrata, e le dissi che non poteva credere a quello che era appena successo.
   “Fammi indovinare” mi disse, “sei uscito con Moana”.
   “Sì, e non puoi proprio immaginare cosa abbiamo fatto”.
   “Non te la sarai mica scopata?”.
   “Scopata no, ma mi ha fatto venire con la bocca”.
   “In che pasticcio ti sei messo, Berni?”.
   Daniela era molto contrariata da quello che le avevo detto. Mi disse che Moana non era una ragazza con cui mettersi insieme. Il fatto che mi aveva fatto un pompino non voleva dire niente, perché Moana era una puttanella, e aveva fatto godere con la bocca un sacco di ragazzi. Per lei far godere con la bocca qualcuno era una cosa normale come bere un bicchier d’acqua. Quindi se lo aveva fatto con me questo non voleva dire che la cosa avrebbe avuto un seguito.
   “E poi se fossi in te mi farei tutti gli accertamenti necessari, non vorrei che quella vacca ti avesse attaccato qualche malattia. Chissà quante verghe gli sono entrate in bocca”.
   Daniela iniziò a dirmi un sacco di cose cattive nei confronti di Moana, semplicemente per spaventarmi e per farmi capire che Moana, nonostante quello che aveva fatto, era off limits e che non dovevo farmi strane idee. Una come lei non avrebbe mai preso in considerazione l’idea di stare con uno come me.
   “Ma perché? Come sono io?” le domandai.
   “Berni, parliamoci chiaro, non voglio ferirti, se ti dico certe cose è solo perché ti voglio bene, ma tu sei un maschio di serie b. Non te la prendere, ma Moana frequenta solo stalloni di razza. Mi spiego?”.
   E così ero un maschio di serie b. Ma allora perché Moana mi aveva fatto venire con la bocca? Daniela mi disse che lo aveva fatto soltanto perché era un’infoiata, che non sapeva proprio farne a meno di prendere in bocca i cazzi, senza distinzione di età o di colore. Mi raccontò un sacco di storie sul suo conto, la maggior parte erano leggende metropolitane, però mi disse che provenivano da fonti attendibilissime. Mi raccontò che una volta Moana aveva partecipato ad una gangbang con dieci maschi, e lei al centro, da sola contro dieci verghe dure come il marmo. Un’altra volta invece si era fatta montare dal professore di matematica, il quale le aveva fatto anche il culo, e infatti in matematica aveva sempre degli ottimi voti.
   “Può darsi che è soltanto molto brava con i numeri” dissi cercando di difenderla.
   “Anche io sarei molto brava coi numeri se mi facessi inculare dal professore, come ha fatto lei”.
   Daniela stava vomitando fuori tutte le cose peggiori che si raccontavano sul conto di Moana. Arrivò perfino a dirmi che d’altronde non c’era da stupirsi se Moana era così, dal momento che aveva una madre più puttana di lei.
   “Ma tu come le sai queste cose?”.
   “Non dirmi che non hai mai sentito parlare di Sabrina Bocca e Culo?”.
   Era la prima volta che sentivo quel nome, ebbene lei mi spiegò che quella Sabrina Bocca e Culo, ovvero la madre di Moana, la chiamavano in quel modo perché da giovane aveva fatto godere moltissimi uomini concedendo loro le sue cavità migliori, ovvero la bocca e il culo. Praticamente si era fatta montare dalla metà della popolazione maschile della città. E Moana non poteva non essere come lei, ovvero una zoccola patentata.
   “E il padre di Moana? Che tipo è?” le chiesi.
   “Molti dicono che è un uomo a cui piace guardare la moglie mentre fa l’amore con altri uomini. Quindi probabilmente lui non è neppure il vero padre di Moana. Capisci dov’è il punto? Non è solo una puttana, ma è anche una bastarda”.
   Dopo aver sentito tutte quelle storie sul conto di Moana, e cioè delle sue gangbang, dei suoi rapporti con uomini di mezza età e della sua abitudine a concedere anche l’orifizio anale, arrivai ad una conclusione, e cioè che non era lei ad essere una “bastarda”, come diceva Daniela, ma lo era Daniela stessa, che di fronte a Moana si comportava come un’amica, abbracciandola e facendo la bella faccia, e poi dietro la pugnalava senza ritegno raccontando in giro le cose peggiori sul suo conto.
   “Daniela, lascia che ti dica una cosa. Sei tu la zoccola, non lei” le dissi, e poi attaccai bruscamente la telefonata. Quella fu l’ultima volta che sentii Daniela. Non potevo credere di aver frequentato una vipera per così tanto tempo e di non essermi mai accorto di niente.

Berni.

domenica 12 febbraio 2017

venerdì 10 febbraio 2017

Quando tutto è cominciato.


   Il film che avevo realizzato era ormai online e stava riscuotendo un certo successo. Soltanto il primo giorno aveva avuto mille visualizzazioni e la piattaforma che ne aveva comprato i diritti era molto entusiasta. Tutto merito della mia Moana. A quanto pare però non aveva alcuna intenzione di continuare lungo quella strada; era stata molto chiara, e cioè non era affatto interessata a voler diventare una diva del porno. Aveva fatto quel film semplicemente per aiutarmi a realizzare il mio sogno di diventare un regista.
   Il giorno in cui ho conosciuto Moana non avrei mai immaginato che un giorno avrebbe fatto una cosa del genere per me; offrirsi (fisicamente) per favorire la mia carriera cinematografica. 
   Lo ricordo come se fosse ieri quando ci siamo conosciuti. Era un pomeriggio caldo d’estate e la città era semideserta; erano tutti partiti per il mare, tranne io e qualcun altro. Nell’aria risuonava il suono assordante delle cicale che tutte insieme facevano una specie di musica ossessiva. L’aria era a dir poco irrespirabile. Quell’anno io e la mia famiglia non eravamo partiti per le abituali vacanze estive, perché mio padre aveva fatto un grande investimento per ristrutturare casa, e per questo motivo la mia famiglia era in un momento di ristrettezze economiche. Niente di preoccupante, però non potevamo permetterci di andare in vacanza, tutto qui.
   Quel giorno, quando conobbi Moana, erano le tre del pomeriggio. Il sole picchiava in testa e l’asfalto era appiccicoso e sembrava che si squagliasse sotto i piedi. Io ero uscito con un’amica. A dirla tutta non era una semplice amica, ma una ragazza a cui andavo dietro da circa tre mesi. Si chiamava Daniela, e io ero pazzo di lei, ma lei non ne voleva sapere. Non ero il tipo di ragazzo che piaceva a lei. A lei piacevano i ragazzi belli e maledetti, tipo Johnny Depp per intenderci. E io non ero per niente così. Ero un semplice sfigato che la figa la vede soltanto col binocolo. Infatti ero ancora vergine e non ero mai stato con una ragazza.
   Però io ero folle d’amore per lei, anche se lei non mi si inculava di striscio. E un giorno me l’aveva detto pure chiaro e tondo: “lo so che io ti piaccio, ma io vorrei che io e te rimanessimo solo amici”. Però io continuavo ad essere pazzo di lei. Quel pomeriggio, appunto quando conobbi Moana, eravamo usciti con la sua vespa. Aveva una vespa nera con cui spesso raggiungevamo il centro. E mi disse che doveva andare a salutare un’amica che a breve sarebbe partita per le vacanze estive con la famiglia. Allora io gli dissi che per me andava bene. Qualsiasi cosa mi diceva di fare per me andava bene. Anche se m’avesse chiesto di scalare l’Everest io le avrei detto di sì.
   L’appuntamento con questa amica, che poi era Moana, era davanti al liceo scientifico. La strada era un deserto; sembrava che la città fosse stata evacuata a causa di una brutta epidemia di colera. La vespa andava spedita verso la scuola quando ad un certo punto lei disse: “eccola lì”.
   Era bellissima, bionda come una diva del porno, indossava dei pantaloncini di jeans davvero molto corti che mettevano in risalto le forme del suo bel culo, e sopra aveva una canottiera azzurra. Ai piedi indossava dei tacchi alti che la facevano camminare con un’eleganza fuori dal comune. Aveva un paio di cosce che non finivano più. Ebbi subito una mezza erezione nel vederla. Era porca da morire. Ad una come lei io non potevo che dare l’impressione di un patetico segaiolo. Che speranze potevo avere? Moana doveva essere senz’altro abituata ad andare a letto con stalloni da monta di razza, e io non ero altro che uno stupido ciuchino.
   Scendemmo dalla vespa e Daniela corse spedita verso Moana e si abbracciarono e si sbaciucchiarono sulle guance per una manciata di minuti; quello spettacolo non fece altro che indurire maggiormente la mia erezione.
   “Tesoro mio!” urlò Daniela, “quanto sei gnocca!”.
   “Beh, anche tu non scherzi” rispose Moana.
   “Sì, ma tu di più. Guarda che bel culo che c’hai!” e le diede una gran sculacciata sul sedere, e Moana fece finta di essere arrabbiata e le disse di tenere giù le mani.
   Daniela mi presentò a lei, la quale mi baciò le guance e mi disse il suo nome. Non avevo proprio alcuna speranza di farci qualcosa. Non valevo un cazzo come uomo per potermi permettere il lusso di stare con una come Moana. Una cosa era certa, e cioè che Daniela, per la quale avevo provato un’attrazione smisurata, adesso per me non contava più nulla. La sua bellezza era stata offuscata da quella di Moana, che era una diva, un’icona del sesso, l’apoteosi del porcume.
   Andammo a cercare riparo da qualche parte; il sole picchiava troppo. E così trovammo un bar e ordinammo tre caffè. A parlare erano solo loro due, io ero troppo in imbarazzo per dire qualsiasi cosa. Avevo paura di sembrare un cretino, e così mi limitavo ad annuire a qualsiasi cosa dicevano loro. Ogni tanto Moana mi chiedeva qualcosa; tipo che scuola facevo, quali locali ero solito frequentare il sabato sera, insomma le solite cose. E io rispondevo senza dilungarmi troppo, e lei allora rideva e mi accarezzava il braccio e diceva: “che amore che sei! Sei timido da morire!”. Si era accorta della mia timidezza. Era finita, pensai. Non avevo alcuna speranza di stare con una come lei. Sarei rimasto un verginello per tutta la vita.
   Ad un certo punto Moana disse che doveva andare via perché aveva un appuntamento, e allora Daniela per scherzare le disse: “ahhh! Vai alla monta!”. E Moana rispose divertita: “sì, è molto probabile”. Quella fu un ulteriore conferma che io per Moana ero solo un segaiolo, altrimenti non avrebbe detto quella cosa in mia presenza. E così io e Daniela stavamo per incamminarci verso l’uscita quando ad un certo punto Moana mi afferrò un polso, e con l’altra mano prese una penna che stava sul bancone del bar.
   “Aspetta, dove vai?” mi girò la mano verso l’alto e iniziò a scrivermi qualcosa sul palmo. Era il suo numero di telefono. “Questo è il mio numero. Dopodomani parto, però magari ci sentiamo al mio rientro. Sei simpatico, magari andiamo a bere qualcosa insieme. Che ne dici?”.
   Era tutto così assurdo. Io, uscire a bere qualcosa insieme a quel concentrato di gnoccume? Era un sogno, nient’altro che un sogno. Uno come me non poteva avere alcuna speranza con una come Moana. Ma allora perché mi aveva dato il suo numero? Ero così euforico che avevo l’impressione di essere ubriaco. Ma poi ci pensò Daniela a smorzare il mio entusiasmo.
   “Stai attento a quella lì” mi disse. “Ti ha dato il suo numero di telefono, ma questo non vuol dire che vuole portarti a letto. Dimenticala, non sei il suo tipo. A lei interessano solo i maschi alpha, e tu, scusa se te lo dico, non sei un maschio alpha”.
   “E allora perché mi ha dato il suo numero?”.
   “Moana lo da a chiunque il suo numero, quindi non montarti la testa. Lei non verrà mai a letto con te. Mi dispiace doverti dire queste cose, ma io ti voglio bene come un fratello, e non voglio che quella zoccola ti faccia del male”.
   “Perché la chiami in questo modo? Io credevo che foste amiche”.
   “Infatti lo siamo. Ma il fatto che sia una zoccola è un fatto che sanno tutti. Non lasciarti abbagliare dalla sua bellezza. Moana non è la ragazza giusta per te. Con lei soffriresti soltanto le pene dell’inferno”.
   E allora pensai che Daniela in fin dei conti aveva ragione. Un morto di figa come me non aveva alcuna speranza con una ragazza come Moana, abituata invece ad andare a letto con stalloni da monta di razza. 

Berni.

mercoledì 8 febbraio 2017

Mamma è a casa. 

(in foto: Sarah Jessie, Stripper Sarah takes a big dick from a customer, Puba.com)


   Sentivo che dovevo chiedere scusa al mio papà biologico. Non era stato per niente carino quello che avevo fatto nei suoi confronti. E così sentii il bisogno di andare da lui al Biancaneve Strip Bar (di cui molti ricorderanno che lui ne era il proprietario) e fare una tregua. 
   Notai che tutto era cambiato; cioè, in verità l’arredamento, la disposizione dei tavoli e del palco era rimasto tutto invariato. Erano cambiate solo le ragazze, cioè le mie ex colleghe. Quelle che c’erano adesso non ne conoscevo neppure una. E quindi era come se tutto fosse cambiato. Insomma, senza Jay che serviva ai tavoli, con indosso solo un perizoma e con il suo bozzo sul davanti, a identificare la sua sessualità mista, non era la stessa cosa, era come trovarsi in un altro strip bar.
   Erano le cinque del pomeriggio e la sala era deserta. Il mio ingresso destò l’attenzione di una ragazza molto carina, coi capelli castani e un bel corpo da modella. Indossava un perizoma e un papillon intorno al collo, e nient’altro. Aveva un sorriso dolcissimo, e venne verso di me accogliendomi calorosamente.
   “Benvenuta al Biancaneve Strip Bar. Cerchi qualcuno?” mi chiese.
   “Sono Moana” dissi, e questo accese il viso della ragazza che sembrava fuori di se dalla contentezza.
   “Sei tu! Accidenti, è un vero onore conoscerti! Il mio nome è Adelaide. Sai, qui sei una specie di leggenda per tutte noi. I clienti non fanno che parlare di te”.
   “Ma davvero?” cominciai ad atteggiarmi come una diva e allora mi feci strada verso il bar. Il barman era sempre lo stesso, e quando mi vide mi sorrise e mi porse il solito cocktail che ero solita bere prima di cominciare la serata.
   E quindi ero una leggenda? Adelaide non faceva che adularmi, e io già l’adoravo. Mi disse che alcune delle sue colleghe, su esplicita richiesta dei clienti, avevano riprovato a fare il numero delle palle da biliardo nel condotto anale, praticamente il numero che facevo io quando lavoravo lì, ma nessuna ci era riuscita.
   “Ci ho provato anche io” mi disse, “e non ci sono riuscita. Ti prego, mi dici come ci riesci? Qual è il tuo segreto?”.
   “Cosa vuoi che ti dica?” risposi facendo un po' la spocchiosa. “Ho un condotto anale molto allenato”.
   Ero lì da cinque minuti e già mi sentivo la protagonista indiscussa della scena, con il barman che conosceva i miei gusti e una spogliarellista che mi considerava un modello da imitare. Mamma era ritornata a casa.
   Chiesi ad Adelaide di raccontarmi un po' di lei mentre sorseggiavo il mio cocktail, e allora lei mi disse che aveva cominciato a fare quel lavoro per puro esibizionismo. In verità lei non aveva bisogno di lavorare; la sua famiglia era molto ricca, e quindi lo faceva solo per esibizionismo, e anche perché al suo fidanzato gli faceva piacere vederla esibirsi nuda davanti ad altri uomini.
   “Il tuo fidanzato è un cuckold?” le chiesi.
   “No, non lo è. Lui non vuole che io abbia rapporti con altri uomini, ma gli piace il fatto che altri uomini possano vedermi nuda”.
   “Gli piace esibirti come un trofeo. Ho capito” l’espressione era un po' brusca ma il senso era quello.
   Adelaide era la figlia di un ricco industriale della zona, e anche il suo fidanzato apparteneva ad una famiglia facoltosa. E allora subito capii. Adelaide e il suo fidanzato erano una di quelle giovani coppie piene di soldi che avendo avuto tutto dalla vita trovavano appagamento facendo cose strane. A lui piaceva esibire la sua ragazza come un trofeo, e a lei piaceva farsi vedere nuda a destra e a manca. C’era qualcosa di insano in tutto questo, ma d’altronde non era un fatto che mi riguardava. Inoltre, mi disse, lei e il suo fidanzato avevano pubblicato anche dei video amatoriali su un sito, in cui li si poteva vedere durante le loro performance amorose; tipo in un video c’erano loro due che facevano sesso sotto la doccia. In un altro invece c’era lei che passeggiava nuda in un sentiero di campagna. In un altro invece c’era sempre lei su una spiaggia nudista a sgrillettarsi distesa sulla sabbia, e intorno una platea di vecchi guardoni che si segavano. Insomma, Adelaide era proprio la regina delle esibizioniste, e il suo fidanzato il re indiscusso.
   In ogni modo non avevo tempo per intrattenermi con lei, così le dissi che dovevo parlare con Giuliano. E lei mi disse che lo avrei trovato nel suo ufficio. E così ci andai subito. In effetti era lì che si stava occupando della contabilità. Appena mi vide balzò in piedi dalla sedia e venne verso di me.
   “Moana, che ci fai qui?”.
   “Sono venuta a chiederti scusa per come mi sono comportata. Quello che c’è stato tra te e mia madre non mi riguarda. E poi penso di averti fatto soffrire già abbastanza”.
   “Tesoro, in effetti sì ho sofferto un po' nel sentirti dire certe cose. Ma non devi chiedermi scusa, perché ti capisco. Eri solo molto arrabbiata, ecco tutto”.
   Per fare pace mi portò a cena fuori, e questa volta fu molto diverso. Andammo d’amore e d’accordo per tutto il tempo, e io non fui più sboccata per farlo sentire in imbarazzo. Parlammo per tutto il tempo dello strip bar e delle nuove ragazze. Gli dissi che avevo conosciuto Adelaide e lui si fece una mezza risata. Mi disse quello che avevo già intuito da sola, e cioè che Adelaide era un’esibizionista da competizione.
   “Sì però perlomeno è fedele al suo fidanzato” gli dissi.
   “Fedele? Ti ha detto così? Bella bugiarda. Te lo dico per esperienza personale, Adelaide non è per niente fedele”.
   “Te la sei portata a letto?”.
   “Se proprio vuoi saperlo, sì. La settimana scorsa. E ti dirò di più, a letto è davvero scatenata. Non si ferma mai”.
   “Papà, sei proprio un porcellino! Potrebbe essere tua figlia!” dissi.
   “Eh lo so, ma che ci vuoi fare? A certe cose non ci so rinunciare”.
  
Moana.