venerdì 23 febbraio 2018

Sottomissione totale.

Sottomissione totale.

(in foto: sorokinofoto.ru)


   Quella sera ritornai a casa dei miei genitori; Berni ancora non si era fatto vivo, e iniziavo seriamente a preoccuparmi. Da quando avevamo litigato era scomparso e aveva addirittura spento il telefono. A cena ne parlai con mia madre; eravamo soltanto noi due e mio cugino Erri. I miei due papà erano a lavoro. Di solito rientravano non prima delle dieci di sera. Mia madre mi disse che riguardo a Berni non c’era da preoccuparsi. Presto si sarebbe fatto vivo lui. Forse aveva soltanto bisogno di riflettere.
   Dopo cena mia madre se ne andò in camera da letto, e dopo dieci minuti andai a farle compagnia. Era davanti alla specchiera che si stava pettinando i capelli; indossava una delle sue vestaglie da notte trasparenti che nascondevano ben poco, anzi a dirla tutta era come se non c’avesse niente addosso. Infatti si vedeva tutto. Ma d’altronde lei non aveva niente da nascondere. Conoscevo bene il suo corpo. Come ben sapete nella mia famiglia lo stare nudi non era mai stato motivo di imbarazzo. Avevo visto i miei genitori senza vestiti centinaia di volte, e loro avevano visto me, per cui non c’era proprio nulla da nascondere.
   “Tesoro” esultò mia madre quando si accorse di me. Mi guardò attraverso lo specchio e continuò a pettinarsi. “Come mai da queste parti?”.
   In effetti non era mia abitudine intrufolarmi nella camera da letto dei miei, a meno che non ci fosse un valido motivo per farlo. E quella sera il motivo era che avevo voglia di parlare con lei. La raggiunsi e mi misi dietro di lei e iniziai a guardarla anche io attraverso lo specchio, e lei allo stesso modo guardava me, ma con un sorriso di circostanza, quasi come se stesse per chiedermi cosa avessi da guardarla in quel modo. Ma non lo fece. Piuttosto si scostò i capelli di lato e piegò leggermente il collo verso sinistra per pettinarsi meglio, e a quel punto lo vidi, era lì, proprio davanti ai miei occhi,  dietro il suo collo, il marchio impresso sulla sua pelle, il marchio che indicava che lei apparteneva ad un uomo, e cioè al mio papà biologico, l’iniziale del suo nome, quella G stilizzata, era lì a dirlo al mondo intero: questa donna appartiene a me. Rimasi a fissarla per tutto il tempo che lei impiegò per pettinarsi i capelli, chiedendomi come fosse possibile che una donna potesse piegarsi ad un uomo in quel modo.
   “Se tu potessi tornare indietro nel tempo, lo rifaresti?” le chiesi.
   “Che cosa?” domandò divertita.
   “Il tatuaggio che hai dietro il collo” risposi. “Voglio dire, non è una cosa da poco. È una specie di marchio indelebile che denota chiaramente la tua totale sottomissione ad un uomo”.
   “Moana, ma che dici?” mi domandò lei incredula e quasi inorridita da ciò che stavo dicendo. “Ma cosa ti salta in testa? Totale sottomissione? Non posso credere che tu abbia detto una cosa del genere. Io ho fatto quel tatuaggio perché amavo tuo padre, e lo amo tutt’ora. Certamente non l’ho fatto per esprimere la mia totale sottomissione a lui”.
   A chi voleva darla a bere? Io continuavo ad essere della mia opinione, e cioè che quel tatuaggio esprimeva un concetto preciso, e cioè che lei era (e probabilmente era orgogliosa di esserlo) la schiavetta del sesso del mio papà biologico. Ma forse in lei c’era un barlume di orgoglio che in qualche modo la obbligava a dire il contrario. Ma io sapevo qual’era la verità.
   “E comunque?” la incalzai. 
   “Vuoi sapere se lo rifarei?” mi domandò un po' spazientita. “Certo che lo rifarei. Sono molto orgogliosa di averlo fatto, perché amo follemente tuo padre. Ma dimmi piuttosto, scommetto che se sei entrata nella mia camera da letto non è certo per chiedermi del mio tatuaggio”.
   “No, infatti. Volevo dirti che sono andata a trovare il mio… come dire? Nonno biologico”.
   A quel punto mia madre smise di pettinarsi e si girò verso di me a guardarmi negli occhi, interessata a sapere tutto ciò che avevo da dire. Le parlai un po' delle impressioni che avevo avuto entrando in quella casa, e cioè le dissi di aver avuto la sensazione di esserci già stata. Era stato come ritornare in un luogo a cui ero profondamente legata. 
   “Hai avuto questa sensazione forse perché è lì che sei stata concepita” mi rispose con dolcezza, quasi come se quello che le stavo dicendo le avesse ravvivato il piacevole ricordo di quando fu fecondata dal mio papà biologico. Ma io in realtà, e lei non poteva saperlo, l’avevo intuito da sola che la monta era avvenuta lì. Il punto è che avevo percepito una presenza che aveva poco a che vedere con il mio concepimento. Non so per quale motivo, ma ero quasi certa che durante la monta mia madre e mio padre non fossero soli. C’era qualcun’altro. Qualcuno che partecipava attivamente, anche se non aveva alcun ruolo riguardo al mio concepimento.
   “Mamma, ti andrebbe di raccontarmi come sono andate veramente le cose?” le chiesi, e lei sembrò un po' sorpresa, come se non sapesse cosa dire, e allora mi sorrise e mi disse che c’era ben poco da raccontare.
   “Cosa vuoi che ti dica?” rispose divertita. “Non capisco”.
   “Innanzitutto quanti eravate lì in camera di papà?”.
   “Non crederai mica a quello che dicono le persone? E cioè che sei stata concepita durante una gangbang?” mia madre era visibilmente nervosa, era come se non avesse voglia di parlarne. Il fatto è che io invece volevo sapere tutto quanto, e non me ne sarei andata senza delle risposte.
   “Allora eravate soltanto tu e lui?” mia madre non sapeva mentire, per cui se sarei riuscita a giocarmi bene le mie carte allora mi avrebbe detto ogni cosa.
   “Non proprio” mi rispose, e poi si girò di nuovo verso lo specchio continuando a fare quello che stava facendo prima, cioè pettinarsi, anche se non ne aveva più bisogno. Il suo era solo un diversivo per non guardarmi negli occhi. Per la prima volta ebbi la sensazione che mia madre aveva paura di essere giudicata. “C’era anche l’altro papà”.
   “E lui che faceva?” credevo di conoscere già la risposta, ma glielo chiesi lo stesso.
   “Guardava”. 
   “E poi c’era qualcun’altro?”.
   “Si può sapere perché mi stai facendo questo interrogatorio?” mi chiese stizzita.
   “Ti prego mamma, rispondimi. C’era qualcun’altro?”.
   “Sì, un amico”.
   “E che faceva?”.
   “Mi penetrava analmente”.
   “Cioè, papà ti penetrava davanti e lui ti penetrava dietro?”.
   “Sì”.
   “A questo punto dimmi anche chi era questo amico”.
   “Era Franco”.
  
Moana. 

mercoledì 21 febbraio 2018

Come una pin-up.

Come una pin-up.

(in foto: Eva Notty, Tata-Tastic Tastiness, DDFNetwork.com)


   Rimasi a curiosare ancora un po' nella stanza in cui mio padre aveva trascorso la sua adolescenza, e in cui aveva fatto l’amore con mia madre un’infinità di volte. Nel cassetto della scrivania trovai un pacchetto di preservativi scaduti da anni, una bustina con dell’erba dentro e infine degli album fotografici. Su uno di questi c’era scritto “Sabrina”, quindi una sbirciatina dentro era d’obbligo. Se c’era quel nome sopra voleva dire che all’interno c’erano delle fotografie che ritraevano mia madre, quindi avevo tutto il diritto di vederle. O forse no. Ma che importanza aveva? Ero da sola, e quindi potevo fare quello che volevo. E così sollevai la copertina di plastica e iniziai a sfogliare l’album, in cui effettivamente c’erano molte fotografie di mia madre nuda, al mare, in piscina, addirittura in un fienile, in ogni foto lei era sempre nuda. Nell’immagine del fienile il suo corpo era quasi abbandonato su alcune balle di fieno, e aveva le gambe oscenamente aperte e sul viso aveva un espressione che denotava un’incredibile voglia di fare l’amore. Avrà avuto all’incirca diciotto anni al tempo in cui erano state scattate quelle fotografie, e devo dire che era semplicemente divina, un concentrato di erotismo e passione che avrebbe indurito qualsiasi uomo. Aveva delle forme che avrebbero fatto invidiare qualsiasi altra ragazza della sua età. In verità mia madre era tutt’ora una gnocca colossale, ma in quelle immagini ovviamente era una gnocca colossale di diciotto anni, quindi vi lascio immaginare la porcaggine che esprimeva il suo corpo. Una macchina del sesso a tutti gli effetti.
   Ma chi aveva scattato quelle fotografie? Molto probabilmente il mio papà. E chi sennò? D’altronde l’album era custodito nel suo cassetto, quindi certamente erano fotografie che lui aveva scattato a mia madre lungo tutto il periodo in cui si erano frequentati di nascosto (e dico di nascosto per via del fatto che mio padre era fidanzato con un’altra ragazza). La cosa di cui non ero a conoscenza era appunto questa sua passione per la fotografia. E chi l’avrebbe mai detto. Credevo che il mio papà fosse appassionato soltanto di gnocca, e invece vengo a scoprire che era anche un abile fotografo.
   Mentre guardavo quelle immagini e contemplavo lo splendore del corpo di mia madre, mio nonno entrò in camera e io ebbi giusto il tempo di rimettere l’album nel cassetto e richiuderlo.
   “Ecco dov’eri finita!” esultò. “Questa era la stanza di tuo padre”.
   “Sì, l’avevo intuito” dissi. Poi feci un po' la vaga e guardai delle fotografie che erano appiccicate sul muro col nastro adesivo. Erano immagini che ritraevano mio padre insieme ai suoi amici. “Papà era appassionato di fotografia, vero?”.
   “In effetti c’è stato un periodo che a tuo padre gli era presa questa smania di fotografare tutto. E infatti al suo diciassettesimo compleanno mi chiese di regalargli una macchina fotografica”.
   “Ma quali erano i suoi soggetti preferiti?” chiesi.
   “Fotografava qualsiasi cosa. Gli piaceva soprattutto fotografare tua madre”.
   “Ah sì?” feci finta di cadere dalle nuvole. “E per quale motivo?”.
   “Beh, tesoro mio, probabilmente perché l’amava. Ricordo che una volta lo sorpresi a farle delle fotografie un po' osè. Ma forse non dovrei dirti queste cose”.
   “Nonno, a me puoi parlare liberamente. Non sono mica una bambina”.
   “Ebbene, io ero appena rientrato dal lavoro, e tua madre e tuo padre erano in giardino. Abbiamo una bella piscina in giardino, sai? Vuoi vederla?”.
   “Magari dopo. Continua il racconto per il momento”.
   “Ebbene, come ti dicevo io ero appena rientrato, e sorpresi tua madre che era in piedi sui bordi della piscina, lei era… era… tutta nuda, e aveva il corpo tutto bagnato. Probabilmente aveva appena fatto il bagno. E il tuo papà le stava scattando delle fotografie. E ricordo che lei era molto felice di farsi fotografare in quel modo, nuda, tanto che si metteva in posa, proprio come una pin-up. Era chiaro che l’idea di farsi fotografare nuda la eccitava molto”.
   “E tu cosa hai fatto?”.
   “A me non piaceva che il tuo papà facesse certe cose, e non mi piaceva neppure che tua madre si comportasse in quel modo, come una donnaccia. E quindi li ho sgridati”.
   “E loro cosa hanno fatto?”.
   “Tua madre per la vergogna è scappata a nascondersi dietro a un albero, tuo padre invece ha iniziato a cercare mille scuse per dirmi che non stavano facendo niente di male”.
   Era chiaro che mio nonno non voleva approfondire quell’episodio così interessante, perché subito mi disse di seguirlo perché appunto voleva farmi vedere la piscina che era sul retro della casa. E allora cercai di immaginarmi mia madre sui bordi della piscina, che faceva la zoccola davanti al mio papà mettendosi in pose porchissime mentre lui le scattava le fotografie. Quasi riuscivo a sentire la voce di lui che le dava indicazioni su come si doveva mettere, quale posizione porca doveva assumere, e lei che assecondava divertita ed eccitata tutte le sue direttive, inconsapevole che a breve sarebbe arrivato mio nonno, il quale l’avrebbe vista completamente nuda a fare la puttanella davanti all’obiettivo della macchina fotografica di mio padre.
   Mi chiedevo chissà quanti uomini avevano visto quelle fotografie. Conoscendo il mio papà, di certo le aveva sfoggiate a destra e a manca per pavoneggiarsi di ciò che faceva con Sabrina, conosciuta da tutti come “Bocca e Culo”, che era sicuramente una ragazza che andava a letto con chiunque, ma era chiaro che poi alla fine apparteneva soltanto ad un uomo, e cioè a mio padre. Infatti la lettera G che si era fatta tatuare dietro il collo era lì a dimostrare proprio questo, e cioè che lei apparteneva a lui. Con quella lettera mia madre aveva rinunciato alla sua indipendenza e alla sua dignità,  diventando automaticamente la schiava del sesso del mio papà biologico. Ovviamente era una cosa che io non avrei fatto mai e poi mai; succube di un uomo, io? Mi sarei cucita la patata piuttosto. Però forse parlo in questo modo soltanto perché non ero mai stata innamorata in quel modo come lo era stata lei. Mia madre era talmente cotta di mio padre che avrebbe sopportato anche le umiliazioni più ignobili.

Moana.

lunedì 19 febbraio 2018

Il luogo dove sono stata concepita.

Il luogo dove sono stata concepita.


   Mio nonno mi fece entrare in casa e mi fece accomodare nell’accogliente salotto, dove c’era una luce accecante che proveniva da una parete a vetro che dava sul cortile della villa. Mi offrì qualcosa da bere, e io accettai volentieri un succo di frutta alla pera, il mio preferito. Era così contento di conoscermi che non faceva che sorridermi senza dirmi nulla, perché probabilmente non sapeva da dove cominciare. Io ero troppo impegnata a guardarmi intorno; quella casa continuava ad avere un qualcosa di incredibilmente familiare, anche se era la prima volta che la vedevo. Non so per quale motivo, ma ero quasi certa, mi ci sarei giocata qualsiasi cosa, che era qui che ero stata concepita. Era qui che il mio papà biologico aveva messo incinta mia madre. Lo sentivo, anche se non avevo alcuna prova per dimostrarlo. Ma c’era qualcosa dentro di me che mi diceva che appunto mi trovavo nel luogo dove la mia vita era cominciata.
   “Devo proprio dirtelo, sei bellissima” mi disse mio nonno.
   “Grazie” risposi, ma ero sovrappensiero e non facevo che chiedermi dov’era avvenuta l’inseminazione. Lì nel soggiorno? Oppure di sopra, in una delle camere da letto? E quindi mi guardavo intorno e continuavo ad avere le visioni, come quelle di prima, quando ero nel cortile. Non ero uscita di senno, era solo la mia immaginazione che cercava con la fantasia di aprire un varco temporale capace di farmi vedere mia mamma ai tempi in cui frequentava la villa, cioè quando aveva diciotto anni ed era innamorata persa del mio papà biologico.
   “Assomigli proprio alla nonna” continuò. “Tu purtroppo non hai avuto modo di conoscerla, ma ti assicuro che sei il suo ritratto da giovane. Ricordo che gli uomini la trovavano irresistibile, e non facevano che guardarla, e questa cosa mi faceva diventare matto”.
   “Eri molto geloso?” gli chiesi.
   “Beh sì, abbastanza. Te l’ho detto, tua nonna era bellissima, proprio come te. E quindi gli altri uomini non facevano che ronzarle attorno”.
   Mi parlò un po' di lei, ma senza dirmi niente di nuovo, perché grosso modo erano cose che mi aveva già detto il mio papà, e cioè che mia nonna era austriaca e che a diciotto anni aveva intrapreso un viaggio nel paese che da sempre portava nel cuore, l’Italia. Dopo averlo girato in lungo e in largo aveva conosciuto mio nonno in Sicilia, il quale era lì per espletare il servizio di leva. Si sono sposati e lui è rimasto nell’esercito facendo una discreta carriera, e poi è nato mio padre e il resto più o meno lo sapete.
   “Mia madre veniva spesso qui da voi?” gli chiesi.
   “Oh sì, Sabrina era molto innamorata del tuo papà, per questo ci veniva, anche se lui era fidanzato con un’altra ragazza”.
   “E che facevano qui?” sì, lo ammetto, la domanda era piuttosto stupida, anche perché conoscevo bene la risposta. Però ero curiosa di sentirmelo dire da lui.
   “Tesoro mio, ma che domande fai?” mi chiese dolcemente. “Facevano quello che fanno gli innamorati, naturalmente. Devi sapere che il tuo papà era un vero dongiovanni. Non puoi neppure immaginare quante ragazze portava qui in casa. Ma tua madre praticamente era qui tutte le sere. In principio veniva soltanto nel fine settimana, poi ha cominciato a venire tutti i giorni. Lui non riusciva a resistere alle ragazze, ma il suo cuore batteva soltanto per tua madre”.
   Ad un certo punto squillò il telefono e mio nonno andò a rispondere. Parli del diavolo e spuntano le corna, infatti era il mio papà che ogni giorno chiamava suo padre per chiedergli se avesse bisogno di qualcosa.
   “Sai chi c’è qui con me?” aveva una voce tremolante per via del fatto che era molto emozionato. “C’è la tua Moana. Sì, è venuta a farmi visita. È una ragazza dolcissima, un vero angelo. Le mancano solo le ali. È identica a tua madre. Sembra di vedere lei da giovane”.
   E mentre era lì che parlava con lui mi alzai dal divano su cui ero seduta e me ne andai a curiosare in giro, e a cercare di catturare qualche altra visione di mia mamma. Quella casa non faceva che proiettare nella mia mente le immagini di lei; era il mio cervello che cercava di ricomporre un puzzle, e alla fine avrebbe tirato fuori un ritratto. E quindi me la immaginai che attraversava il soggiorno in cui mi trovavo in quel momento, vestita come suo solito come una puttanella di strada, la vidi raggiungere le scale che portavano di sopra, nella stanza dove sarebbe avvenuto l’amore anale e orale. La vidi salire sopra e io le andai dietro, per spiare quello che avrebbe fatto. La porcellina si apprestava ad essere montata.
   Mi ritrovai in un corridoio dove si accedeva alle varie camere da letto. La mia attenzione fu subito catturata dalla prima stanza a destra, senza sapere neppure cosa ci fosse dentro, ma davo per certo che era la stanza in cui mio padre aveva trascorso la sua adolescenza, e dove quindi faceva l’amore con mia madre. Ovviamente non potevo saperlo, ma qualcosa mi diceva che non potevo sbagliarmi. Era proprio quella la stanza. E quindi entrai dentro e la vidi, tutta illuminata dalla luce che entrava da una porta finestra che affacciava su un balcone. Alle pareti c’erano ancora attaccati i suoi poster, e sulla scrivania ancora i suoi libri di scuola come se non fossero mai stati toccati. In effetti mio padre non era mai stato una cima a scuola. Mi pare che aveva perso anche un anno, perché non aveva mai avuto tanta voglia di studiare. Era troppo preso da quella cosa che gli piaceva tanto, il sesso.
   Vidi il suo letto, dove mia madre aveva giaciuto centinaia di volte, esausta dopo un appagante rapporto anale. Ed ebbi un’altra volta l’impressione di vederla, proprio su quel letto, completamente nuda, a cavalcioni sul corpo di mio padre, in uno strano rapporto a tre. Sì, perché questa volta l’immagine che mi si presentò fu appunto quella di mia madre in mezzo a due uomini, quello che le stava sotto era appunto mio padre, e la stava penetrando vaginalmente. Ma sopra di lei c’era un altro uomo, con la pelle scura. Non nera, ma olivastra. Un uomo possente, che la stava penetrando analmente. Non riuscivo a vederlo in viso, per cui non avevo la più pallida idea di chi fosse. Ma di una cosa ero certa, e cioè che era lo stesso uomo che avevo immaginato di vedere prima, quando ero nel cortile della villa. L’uomo che era nella penombra dietro mio padre. Ma chi diavolo era? E soprattutto perché stava penetrando analmente mia madre nello stesso momento che mio padre la stava penetrando davanti? Perché insomma la mia immaginazione mi stava facendo vedere quella scena?

Moana.   

venerdì 16 febbraio 2018

Una famiglia tradizionale.

Una famiglia tradizionale.


   Berni era letteralmente scomparso. Io ero ritornata a lavoro, e mi aspettavo di vederlo entrare in negozio per chiedermi scusa, e infatti guardavo sempre in direzione dell’entrata, ma lui non si fece vedere tutto il giorno. Possibile che non provasse neanche un briciolo di rimorso per quello che si era permesso di insinuare? Questa cosa mi fece diventare nera di rabbia, e se ne accorsero tutte le mie commesse, tant’è vero che cercarono di starmi alla larga, perché si vedeva lontano un chilometro che quel giorno era particolarmente intrattabile.
   Verso ora di pranzo telefonai a casa, perché volevo dirgliene quattro, ma non mi rispose. Probabilmente non c’era. Allora provai sul cellulare, ma non ci fu verso, Berni era scomparso. Quando staccai dal lavoro andai a casa, ma le luci erano tutte spente e lui non c’era. Provai anche a telefonare a casa dei suoi genitori, ma neppure lì c’era. Ero così furiosa che non riuscivo neppure ad essere preoccupata. Cioè, non mi sfiorò neppure l’idea che potesse essergli successo qualcosa.
   Così me ne ritornai a casa dei miei genitori e cenai lì. C’era soltanto mia madre e mio cugino Erri; il mio papà biologico era a lavoro al suo strip bar, e l’altro mio papà anche lui era ancora a lavoro. Dopo cena mi misi sul divano a guardare la tivù; a breve ci sarebbero state le elezioni e quindi stavo guardando un dibattito politico. In verità non stavo prestando molta attenzione, anche perché parlavano di argomenti assurdi tipo “la famiglia tradizionale”. Chi è che decide cos’è una “famiglia tradizionale”? Mi domandai. Una famiglia composta da una coppia cuckold può essere considerata una “famiglia tradizionale?”. E una coppia scambista? Insomma, era un dibattito pieno di parole vuote. E la mia famiglia cos’era? Io avevo una mamma e due papà, per cui facevo parte di una “famiglia tradizionale” oppure no? Ma comunque la mia principale preoccupazione non era di certo sapere cosa intendevano certi politicanti quando parlavano di questo argomento. Anche perché loro stessi non avevano di certo delle “famiglie tradizionali” essendo pluridivorziati ed essendo avvezzi a intrattenersi molto spesso con escort e transessuali. La loro coerenza era davvero ridicola. La mia principale preoccupazione in quel momento era sapere dov’era finito Berni, e soprattutto se mi avrebbe mai chiesto scusa per quello che aveva insinuato.
   Il giorno dopo decisi di far visita al papà di Giuliano (che in fin dei conti era il mio nonno biologico). Era una cosa che avrei dovuto fare da qualche giorno, però per un motivo o per un altro non l’avevo mai fatto. E quindi prima di andare a lavoro mi allungai da lui. Abitava in una frazione che era una specie di borgo, con tutte casette antiche e un’atmosfera da presepe che mi fece sentire fuori dal tempo in cui vivevo.
   Mentre percorrevo la strada sterrata che portava alla villa dei genitori del mio papà pensai a quante volte mia madre era passata da lì per andare da lui e farci l’amore. Perché era così che tutto era cominciato. Quando mia madre aveva diciotto anni si incontrava a casa di mio padre, in gran segreto perché lui era fidanzato con un’altra ragazza, e facevano l’amore, anale e orale, perché davanti mia madre sarebbe rimasta casta fino a quando non sarebbe arrivato l’altro mio papà, cioè Stefano. E allora provai a immaginare l’emozione che mia madre provava ogni volta che percorreva quel sentiero sterrato, perché per lei quella doveva essere una specie di “strada del sesso”, la strada che la conduceva al piacere dell’amore e della penetrazione anale.
   Cercai di immaginare l’eccitazione che provava sapendo che ad aspettarlo, dopo aver percorso quella strada, c’era il grosso cazzo duro del mio papà. Circa un chilometro di eccitazione in cui i sensi di mia madre si infiammavano, e il suo corpo si preparava ad accogliere dentro di se l’uomo che le faceva perdere la ragione, che però purtroppo in quel momento apparteneva ad un’altra. Ma era più forte di lei. Nonostante mio padre fosse fidanzato con un’altra ragazza, mia madre doveva comunque averlo, perché era cotta di lui.
   Era la prima volta che vedevo quella strada, eppure era come se la conoscessi da sempre. Avevo come l’impressione di ritornare in un luogo a me familiare. E quando finalmente arrivai alla villa quell’impressione fu ancora più intensa. Il cancello era semplicemente accostato, e quindi mi intrufolai dentro, come di certo aveva fatto mia madre centinaia di volte. Ebbi l’impressione di vederla, vestita da vera maiala per fare colpo su mio padre, che apriva il cancello e si faceva strada dentro, e si apprestava ad andare da lui per concedersi e farsi fare le peggio porcate, come una bambola del sesso. Era un’immagine così nitida che sembrava di avercela davanti, era come vederla per davvero che percorreva il sentiero che portava dal cancello all’ingresso della villa, con i suoi hot pants di jeans che mettevano in risalto il suo culone burroso, i suoi tacchi a spillo che crepitavano sui ciottoli e le foglie secche che c’erano sul terreno, e il suo top così scollato che riusciva a stento a tenergli le tettone dentro. Una borsetta a tracolla con le sigarette e i suoi oggetti personali, i preservativi e il suo immancabile rossetto (che si portava sempre dietro perché a causa dei molti pompini che faceva il colore andava sempre via).
   Ma oltre all’impressione di rivedere mia madre che andava alla monta, ebbi anche l’impressione di trovarmi di fronte ad un luogo fondamentale per la mia esistenza. Il luogo dove tutto era cominciato, anche la mia vita. Sentivo un legame incredibile con quel posto che vedevo per la prima volta, ma che in realtà avevo come l’impressione di conoscere bene, ma non riuscivo a comprenderne il motivo. Posso dirvi soltanto che quello era un luogo magico che mi stava facendo vedere delle cose che altrimenti non sarei riuscita a vedere. Era come guardare un film, e i protagonisti erano i miei genitori. Eh sì, perché ad un certo punto, quando arrivai all’ingresso della villa ebbi una specie di visione. Ebbi l’impressione di vedere i miei genitori, Stefano e Sabrina, in abiti da cerimonia, in piedi di fronte alla casa. Mia madre era elegante sì, ma allo stesso molto porca. Erano vestiti in quel modo perché sicuramente stava per succedere qualcosa di molto importante. Una cosa che riguardava me. Ma cosa? Poi vidi anche il mio papà biologico, che stava aspettando dentro; lo vidi attraverso una finestra, anche lui era vestito in modo elegante. Ma cosa stava aspettando? Indubbiamente stava aspettando lei. E insieme avrebbero fatto qualcosa che per me era di vitale importanza. Mi avrebbero concepita.
   Ma c’era qualcosa che non andava in questa visione onirica, e cioè che alle spalle del mio papà biologico c’era un uomo che riuscivo a vedere con difficoltà, perché era nella penombra. Insomma, vedevo chiaramente lui, e dietro di lui c’era qualcun’altro. Un uomo possente, probabilmente con la carnagione scura, anche lui vestito in abito da cerimonia. Ma nonostante gli sforzi, non riuscii proprio a capire chi fosse.
   Poi quella visione si interruppe quando sentii qualcuno alle mie spalle che pronunciava il mio nome.
   “Moana” era il padre del mio papà biologico, e ebbi l’impressione che stesse per scoppiare a piangere per la felicità. “Gioia della mia vita, finalmente sei arrivata!”.

Moana.
    

mercoledì 14 febbraio 2018

Odorare ma non toccare.

Odorare ma non toccare. 

(in foto: AJ Applegate, A POV Sphinctacular, EvilAngel.com)


   Ce ne andammo in giro tutta la notte, passando da un locale all’altro senza stancarci mai. Devo dire che essere al centro dell’attenzione di dieci maschi mi rendeva piuttosto allegra. In effetti ero sempre stata al centro delle attenzioni dei nostri amici, infatti come vi dicevo nel post precedente molto spesso alcuni di loro ci provavano sfacciatamente con me. Però io avevo sempre detto di no, perché anche se alcune volte ero stata tentata nell’andare a letto con alcuni di loro non mi era sembrato giusto farlo; se decidevo di farmi una scappatella con un altro uomo certamente non lo avrei scelto all’interno del nostro gruppo di amici, perché non volevo che si venissero a creare dei dissapori e dei contrasti tra loro e Berni. Però nulla mi impediva di fargliela odorare un pochino, d’altronde avevo notato che al mio futuro marito non dispiaceva. Era come se lo trovasse eccitante. Però ero ben consapevole che era meglio non spingersi oltre. Fargliela odorare poteva pure andare bene, ma dargliela era una cosa un po' diversa.
   Ma lo sapete che in quei giorni ero arrapata peggio di un camionista, e quindi ero consapevole che avrei potuto fare qualsiasi cosa. Loro non potevano saperlo, ma io non facevo che pensare al cazzo, quindi avrebbero potuto chiedermi di fare qualsiasi cosa e io li avrei accontentati. Ero senza freni. Poi dopo l’ennesimo giro di shot ero diventata ormai preda di chiunque. Ma loro, chiaramente perché c’era Berni, se ne stettero buoni tutto il tempo, a parte qualche apprezzamento spinto, ma quello può pure starci. Naturalmente l’umorismo pecoreccio da caserma si sprecava, ma essendo tutti maschi era più normale. Ero pronta anche a questo.
   Ad un certo punto uno di loro se ne esce con una battuta su di me, mettendo in dubbio il fatto che ero incinta di Berni.
   “Ma siamo sicuri che è stato lui a inseminarti?”.
   “Perché? Cosa vorresti insinuare?” chiesi divertita.
   “No niente. È che tu sei sempre stata la ragazza più desiderata della città, quindi ce ne avrai tanti di potenziali inseminatori che ti ronzano intorno”.
   Quella battuta scatenò una risata collettiva, ma allo stesso tempo mise Berni di cattivo umore. Dopo quella scherzosa insinuazione sembrava aver perso tutta l’energia che aveva avuto prima, chiudendosi in se stesso per tutto il resto della serata. Era chiaro che non si sarebbe più ripreso; conoscevo bene Berni, lo sapevo che quando gli girava male aveva bisogno di tempo per sbollentare. Ma il fatto che non capivo era come fosse possibile che una semplice battuta avesse potuto renderlo così nervoso.
   La risposta la ebbi una volta ritornati a casa. Erano le quattro del mattino, eravamo tutti quanti esausti, per cui avevamo deciso che era meglio salutarci e andarcene a letto. Obiettivamente era stata una serata piacevole. Però era successa quella cosa che aveva rovinato tutto.
   “Ora che siamo soli me lo dici cosa ti è successo?” gli chiesi. Ma lui alzò le spalle come per dirmi che non lo sapeva. “Non sarà stata mica quella battuta su di me?”.
   “Può darsi”.
   “Andiamo, non te la prendere” continuai. “Era solo una battuta. Non vorrai mica farmi credere che pensi davvero che io sia stata inseminata da qualcun’altro?”.
   Berni non mi rispose. Non potevo crederci, lo pensava veramente. Ero inorridita dal fatto che lui potesse nutrire certi dubbi sulla mia gravidanza. In quel momento ero in piedi, ma sentivo le gambe prive di forza e temevo che sarei potuta crollare da un momento all’altro. Eravamo nel soggiorno e lui era seduto sul sofà, io mi girai e andai spedita verso la cucina, afferrai un bicchiere e lo riempii d’acqua. Sentivo il cuore battermi in modo frenetico, non potevo credere a quello che stava succedendo. Feci un sorso d’acqua e poi lanciai il bicchiere contro una parete, con tutta la rabbia che avevo dentro in quel momento. Il bicchiere andò in frantumi, ma Berni non si scompose più di tanto.
   “Questa volta l’hai fatta proprio grossa. Chiedimi immediatamente scusa” gli ordinai, ma lui non mi rispose e rimase seduto sul sofà come se niente fosse. Allora ritornai in soggiorno e mi parai davanti a lui in modo minaccioso. “Berni, hai cinque secondi per chiedermi scusa, altrimenti tra te e me è finita”.
   Ma i cinque secondi passarono e lui continuò a rimanere in silenzio.
   “Ok” dissi, “è stato molto bello. Addio”.
   A quel punto raccolsi un po' di roba e me ne andai. Presi la macchina e raggiunsi casa dei miei. Non appena entrai Lex, l’enorme cane da guerra che  aveva adottato mia madre, venne verso di me ringhiando, poi si accorse che ero io e iniziò a leccarmi le mani. Entrai nel soggiorno e mi misi a sedere sul divano. La porta della camera da letto dei miei si aprii e mia madre venne verso di me; indossava una vestaglia da notte trasparente che gli copriva ben poco. Praticamente era come se fosse nuda. Dio, quanto era bella. Aveva quarantacinque anni e aveva un corpo che avrebbe fatto invidia ad una ventenne.
   “Fammi indovinare” mi disse. “Hai litigato con Berni”.
   “Sì”.
   “E il motivo?”.
   “Crede che mi sono fatta mettere incinta da un altro uomo”.
   Mia madre tirò un sospiro, poi venne a sedersi accanto a me e mi prese la testa tra le mani e se la portò sul suo enorme seno. Era una cosa che faceva sia a me che a mio fratello quando ci vedeva un po' giù, e in effetti questa cosa aveva un effetto molto rassicurante su di noi. Ci faceva sentire protetti e al sicuro. Adoravo le tette di mia madre; i miei due papà erano molto fortunati ad avere una donna come lei.

Moana.

venerdì 9 febbraio 2018

Era lei a comandare.

Era lei a comandare. 

(in foto: Nicole E, Iguazo, Met-Art.com)


   Quando ritornai a casa ero ancora più arrapata di quando mi ero fatta inculare da Berni. Ero continuamente ossessionata dal cazzo, non facevo che pensarci. Chiudevo gli occhi per cercare di calmarmi ma era peggio, perché subito mi si materializzava nella mente un grosso cazzo duro, contornato di spesse vene verdi sode come l’acciaio, con un glande gonfio come una pallina da tennis. E praticamente avevo sempre la figa in fiamme; era come se fosse lei a comandare, io non avevo alcun potere decisionale. Tutte le iniziative che prendevo partivano da lei. Mi stava facendo impazzire. Certe volte era come se la sentissi parlare, e mi implorava di farle una carezza, e poi ancora un’altra, e poi di stuzzicare il clitoride, e di infilare un dito dentro e poi portarmelo in bocca e succhiare. E io lo facevo, facevo tutto quello che mi chiedeva, perché ero completamente incapace di oppormi.
   A cena preparai un risotto con formaggio e pere. Mangiai con Berni in fretta e furia, perché poi volevo fare l’amore, e quindi misi fretta anche a lui. Dopo aver spazzolato il mio piatto iniziai a fissarlo con gli occhi a cuoricino; non ce la facevo ad aspettare, gli sarei saltato addosso da un momento all’altro, soltanto che lui se la stava prendendo proprio comoda. Faceva dei piccoli bocconi, poi si fermava e beveva un sorso di vino. Mi stava facendo perdere la ragione. Comunque aspettai che finisse, dopodiché mi alzai e gli afferrai un polso, e lo trascinai letteralmente sul divano, mi tolsi il vestito da zoccola che avevo indossato (sotto non avevo niente) e gli montai sopra. Era stata “lei” a ordinarmi di indossare quel vestito da troia che avevo messo prima di cena, perché mi aveva detto che se lo avessi indossato a Berni gli sarebbe venuto subito duro. E infatti devo dire che aveva funzionato; con una mano raggiunsi il suo cazzo e lo strinsi tra le dita, era duro come il marmo, e allora mi salì il sangue alla testa e glielo tirai fuori dai pantaloni e subito me lo misi in figa e iniziai a cavalcarlo senza ritegno, come un’indemoniata.
   “Come mi sento vacca” dissi, mi sentivo posseduta da un incredibile raptus di porcaggine, e andavo su e giù in modo frenetico sul cazzo di Berni che quasi rischiavo di romperglielo, e lui era completamente spiazzato da tutta quella mia voracità sessuale. “Dammi tutto il tuo cazzo, tesoro. Dammelo tutto, fammelo arrivare in bocca”.
   Non capivo niente, nemmeno quando Berni aveva iniziato a sborrarmi dentro, io continuai a montarlo senza sosta, e lui mi prese per i fianchi e cercò di farmelo uscire da dentro, ma io non mi fermavo, non ne volevo sapere di darmi pace, poi lui mi spinse con la forza di lato facendomi cadere di schiena sul divano. Ero esausta, ma non abbastanza soddisfatta, così gli presi il cazzo in bocca e iniziai a sbocchinarlo con dedizione, e lui in principio accettò la mia bocca con piacere, poi però ad un certo punto mi afferrò per i capelli e mi tirò su la testa, e il suo cazzo mi scivolò fuori dalle labbra.
   “Moana, ti prego” mi disse. “Non ci riesco”.
   “E dai” piagnucolai. “Solo un altro pochino. Dammi ancora un po' di cazzo”.
   “Almeno dammi cinque minuti per riprendermi. Accidenti, sei assatanata!” a quel punto si alzò dal divano e se ne andò verso la camera da letto.
   Così mi misi ad aspettarlo, e intanto mi accarezzavo le labbra di sotto; erano bollenti e impiastricciate di sborra. Ci ficcai le dita dentro e poi me le misi in bocca. Dio, che voglia che c’avevo. Non potevo aspettare, così mi alzai dal divano e corsi in camera da letto. Se Berni non voleva darmi il suo cazzo me lo sarei preso con la forza. Ma quando entrai in camera lo trovai riverso sul letto in stato comatoso. Si era addormentato, e allora provai a svegliarlo in tutti i modi. Provai anche a fare quella cosa che a lui piaceva tanto, e cioè gli aprii le natiche e gli iniziai a leccare la zona che andava dalle palle al buco del culo. Era una cosa che lo faceva completamente impazzire, ma quella volta non ebbe alcun effetto.
   Non avevo altra scelta, dovevo soddisfare la mia patatina bollente da sola. E allora mi misi a rovistare nella nostra videoteca. Avevamo una videoteca molto fornita di film hard. Il porno come ben sapete non era mai stato un problema per me, d’altronde ne avevo anche realizzato uno. E non lo era mai stato nemmeno per la mia famiglia. Se ben ricordate i miei genitori non hanno mai nascosto il loro materiale pornografico; la loro collezione di film hard era tranquillamente esposta nel salotto di casa, per cui sia io che mio fratello eravamo cresciuti con la consapevolezza che il porno fosse un genere come un altro, e che non c’era nulla di cui vergognarsi a guardarlo. E infatti io lo guardavo volentieri. Era piacevole, soprattutto quando ero arrapata da far schifo e avevo voglia di toccarmi. E quindi anche nella casa che condividevo con Berni avevo deciso di mettere su una videoteca ben fornita di film hard. Devo dire che c’erano molti film, ma quelli che preferivo erano del genere “interracial”. E allora dopo un’accurata selezione decisi di vedere The Housewives of Lex Steele 2, dove appunto Lex Steele (che mia madre adorava alla follia, e che più volte aveva detto che da lui si sarebbe fatta fare qualsiasi cosa) si montava delle belle milf. La scena che preferivo era quella con Kaylynn, una vera professionista del porno.
   Misi il dvd nel lettore e mi accomodai sul divano del soggiorno, con le gambe oscenamente aperte e pronta per iniziare l’operazione di sgrillettamento. Certo, non era la stessa cosa che fare l’amore, ma era comunque una piacevole emozione, soprattutto poi se guardavo la divina protuberanza di Lex Steele. E mentre mi davo piacere da sola chiusi gli occhi e iniziai a pensare ad una scena; pensai a mia madre, forse perché appunto il film che stavo guardando era con Lex Steele, e mia madre era cotta di lui, e quindi pensai alla scena che stavo guardando, solo che al posto di Kaylynn c’era mia madre, con lo stesso intimo porchissimo addosso, e c’ero anche io, però io ero completamente nuda, e c’era Lex che si alternava tra me e lei. Poi ad un certo punto iniziamo a fargli un doppio pompino, e ogni tanto le nostre labbra si uniscono in un bacio saffico, e la mia lingua incontra fugacemente la sua, e poi ritorna sull’enorme cazzo di Lex, e gli facciamo questo servizietto fino a farlo sborrare copiosamente, e lui si prende la trave in mano e inizia a schizzare prima sul viso di mia madre e poi sul mio, per non lasciare a secco nessuna di noi due.
   Intanto le mie dita erano davvero scatenate e si accanivano contro il clitoride fino a farmi raggiungere un orgasmo sensazionale che mi fece accasciare sul divano, senza forze ma finalmente appagata. Anche se per poco, perché ben presto la mia patatina insaziabile avrebbe preteso ancora le mie attenzioni. E io sarei stata obbligata a dargliele.

Moana.

mercoledì 7 febbraio 2018

È normale desiderare l’amore.

È normale desiderare l’amore.

(in foto: Carter Cruise, Second Chances, NewSensations.com)


   Non andavo al negozio di intimo da molto tempo, praticamente da quando aveva iniziato a gestirlo Moana. Aveva dimostrato di essere così capace ad amministrare l’attività che la mia presenza era quasi superflua. Rivedere il centro commerciale dove avevo lavorato per più di vent’anni, prima come semplice commessa e poi come proprietaria del negozio, mi diede una piacevole sensazione di orgoglio. Mi sentivo a casa. È proprio il caso di dire che mi ero fatta da sola. Avevo cominciato appunto come apprendista, poi a poco alla volta, grazie ai miei risparmi, ero riuscita a rilevare l’attività. La proprietaria ricordo che aveva deciso di vendere tutto e ritirarsi, e quindi io avevo colto l’occasione al volo e avevo comprato il negozio. Essendo stata una delle sue commesse migliore mi aveva fatto anche un prezzo di favore. Se non avessi accettato avrei perso una delle occasioni più importanti della mia vita. Ed ero molto fiera che adesso Moana aveva preso il mio posto, anche se nominalmente continuavo ad essere io la proprietaria del negozio.
   Quando ritornavo al centro commerciale venivo accolta in modo caloroso da tutti gli altri commercianti, con cui negli anni avevo stretto una buona amicizia e una pacifica convivenza all’interno delle mura del centro. Anche Moana aveva fatto lo stesso, anche se con il personale del nostro negozio di intimo continuava a comportarsi come una tiranna. Ma nonostante numerosi tentativi di cambiare, lei continuava ad avere sempre lo stesso atteggiamento. Moana aveva sempre avuto un carattere autoritario, anche con gli uomini per esempio. Non si era mai lasciata mettere i piedi in testa da nessuno, aveva sempre comandato lei. Io invece no. Basti pensare al fatto che ero succube di Giuliano, e che praticamente mi facevo comandare a bacchetta, perché ero pazza di lui. Invece per quanto riguarda Moana mai nessun uomo era riuscito a metterla sotto. Probabilmente questa è una cosa che non sarebbe mai accaduta. Moana per sua stessa natura era una donna che doveva stare “sopra”. E questo anche per quanto riguarda il lavoro. Anche in ambito professionale lei doveva stare “sopra”, e guai a chi metteva in dubbio questa cosa. Per questo aveva sempre avuto con le commesse del negozio un atteggiamento molto duro. Ma io l’avevo ammonita più volte; le avevo infatti detto che se avesse continuato ad avere questo atteggiamento presto se le sarebbe ritrovate tutte contro. E devo dire che lei aveva cercato di cambiare, ma si sa, se nasci tonda non puoi morire quadrata. 
   Io invece le commesse le avevo sempre trattate con affetto e amore. E infatti quando entrai nel negozio fui accolta da un tripudio di abbracci. Non vorrei sembrarvi presuntuosa, ma posso dire tranquillamente che mi adoravano. Per loro ero stata come una mamma.
   In ogni modo, dopo essermi intrattenuta con loro, chiacchierando del più e del meno, andai alla ricerca di Moana, che però non vidi da nessuna parte. Poi ad un certo punto la vidi sbucare fuori da uno dei camerini, e dietro di lei c’era Berni, entrambi in evidente stato confusionale. Era chiaro che si erano imboscati per fare l’amore. Un atteggiamento davvero poco professionale da parte di mia figlia, ma decisi di passarci su. D’altronde al cuore non si comanda, quindi rimproverarla sarebbe stato inutile.
   Andai verso di loro. Erano molto sorpresi di vedermi, di certo non se la sarebbero mai aspettata quella mia improvvisata in negozio. Ma era tutto ok, non ero lì per rimproverarli di ciò che avevano appena fatto.
   “Mamma, che ci fai qui?”.
   “Ero qui di passaggio, e allora ho pensato di venirti a salutare” risposi. “Sai, stamattina sono stata dal papà di Giuliano. Abbiamo parlato molto, soprattutto di te”.
   “Di me? E per quale motivo?”.
   “Perché a lui farebbe molto piacere conoscerti. D’altronde sei pur sempre sua nipote”.
   “Ok ok” rispose lei un po' spazientita. “Adesso però sono molto impegnata. Aspetto una consegna da un momento all’altro”.
   “Ho visto com’eri impegnata” dissi, “a farti montare nel camerino del negozio”.
   “Mamma!” sbottò. “Non mi stavo facendo montare. Credi che io sono così incapace di controllare i miei istinti naturali a tal punto da farmi ingroppare qui in negozio?”.
   “Tu ti faresti ingroppare dappertutto, anche in mezzo ad una strada affollata”.
   “Ok, ho capito tutto. Tu sei venuta qui per provocarmi. Ma io non ci sto, perché sono molto impegnata, quindi se non ti dispiace...”.
   “Va bene, non ti arrabbiare. Me ne vado”.
   Così, dopo essermi intrattenuta ancora un po' con le commesse, decisi di ritornarmene a casa. Ma non appena varcai la soglia del negozio sentii la voce di Berni che mi chiamava. Mi chiese se mi andava di prendere un caffè, e io gli dissi che non avrei mai detto di no ad una proposta del genere. Così ci incamminammo verso il bar; era chiaro che voleva dirmi qualcosa, ma era come se non avesse il coraggio di farlo. Una volta raggiunto il bar ordinammo due caffè e Berni ancora faceva scena muta.
   “Sono sicura che c’è qualcosa che vuoi dirmi, ma che per ragioni di timidezza non riesci a tirare fuori” gli dissi accarezzandogli amorevolmente il viso. “Berni, a me puoi dire tutto. Tu ormai per me sei come un figlio. Cioè, voglio dire, hai ingravidato la mia Moana, per cui sei parte della nostra famiglia”.
   “Ecco, è proprio di Moana che volevo parlarti. Ultimamente si comporta in modo molto strano. È facilmente irritabile, e poi ha sempre voglia di fare l’amore. Ieri notte per esempio non si è fermata un attimo, e io non riuscivo a starle dietro. Non era mai sazia. E poi stamattina mi ha telefonato dal lavoro, e mi ha chiesto di venire qui al negozio perché voleva farlo di nuovo. Per questo eravamo nel camerino, perché lei voleva che io la penetrassi analmente”.
   “E tu l’hai accontentata, giusto?”.
   “E cosa avrei dovuto fare? Ho cercato di farla ragionare, ma lei è passata alle minacce dicendomi che se non l’avessi fatto mi avrebbe lasciato. Da quando ha scoperto di essere incinta sembra che abbia perso completamente la ragione”.
   “Non ti preoccupare Berni, è del tutto normale. Anche io quando ero incinta avevo sempre voglia di fare l’amore ed ero sempre molto nervosa. Tu cerca di assecondarla, perché in questo periodo non è lei a parlare, ma è il suo corpo”.

Sabrina.
  

lunedì 5 febbraio 2018

Ho sempre voglia.

Ho sempre voglia. 

(in foto: Sable Jones, Horny Sable Jones Fucks The Gardener, HushPass.com)


   Ragazzi, non so cosa mi stava succedendo, ma da quando avevo scoperto di essere incinta avevo sempre voglia di fare l’amore. Ero davvero scatenata, e Berni non riusciva a starmi dietro. Ero indemoniata, non pensavo che a quello. A lavoro, per esempio, non riuscivo neppure a concentrarmi. Era un pensiero fisso. Il giorno dopo la cena a casa dei miei genitori ero al negozio quando ad un certo punto ho perso completamente la ragione, mi sono sentita accecata dal desiderio, avevo così tanta voglia che iniziai a diventare nervosa per via del fatto che non potevo farlo, perché appunto ero a lavoro. E non vedevo l’ora di ritornare a casa per saltare addosso a Berni e prendergli il cazzo in bocca, e poi farmelo sbattere in culo, e poi in figa, e poi di nuovo in culo. Poi ad un certo punto, dopo aver sofferto abbastanza, mi venne in mente che non c’era bisogno di aspettare di ritornare a casa, e quindi telefonai a Berni e gli chiesi di venire subito in negozio.
   “Ti prego, vieni subito. È un’emergenza”.
   “Che tipo di emergenza?” mi chiese lui preoccupato.
   “Sbrigati, non farmi arrabbiare” risposi spazientita. “Se ti ordino di venire qui subito, tu devi venire qui subito. Punto”.
   E devo dire che Berni in una ventina di minuti fu da me. Era piuttosto agitato per come mi ero rivolta a lui per telefono. Non appena entrò nel negozio gli afferrai un polso e lo trascinai letteralmente negli spogliatoi, lo feci entrare in uno di questi e chiusi la porta. Mi sbottonai i jeans e me li tirai giù insieme al perizoma, e poi diedi le spalle a Berni piegandomi leggermente in avanti, in modo da permettere una buona penetrazione anale.
   “Forza, fai il tuo lavoro” gli dissi. “Fammi il culo”.
   “Cosa?!” Berni era confuso, non riusciva a capire cosa stava succedendo. E in verità neppure io lo capivo. “ Proprio qui? Potrebbero scoprirci”.
   Aveva ragione, ma non me ne fregava niente. Ero così accecata dalla voglia di fare l’amore che lo avrei fatto anche di fronte a tutti. Mi sentivo il cuore in fiamme per l’eccitazione. Allora per convincerlo decisi di passare alle minacce.
   “Se non lo fai tu me lo faccio fare da qualcun’altro” sì lo so, stavo facendo proprio la stronza, ma non ero io a parlare, bensì il demone del sesso che al momento si era impossessato di me.
   “Su Moana, sii ragionevole”.
   “Se non mi inculi adesso ti giuro che non mi vedrai più”.
   “Ok ok, come vuoi”.
   A quel punto Berni si tirò giù la lampo dei jeans e mise fuori il suo cazzo, che però ancora non era completamente duro, quindi quando lo indirizzò verso il mio buco del culo non riuscì a farlo entrare. Non era ancora pronto, così decisi di intervenire io, glielo presi in mano e iniziai a segarlo con decisione. Mi bastarono pochi secondi per farglielo diventare di marmo. Allora ritornò all’attacco del mio condotto anale, e questa volta entrò dentro senza problemi, e per me si aprirono le porte del paradiso. Finalmente la mia ossessionante voglia di essere penetrata stava per essere appagata; mi sentivo come quando una persona sta morendo di caldo, e poi all’improvviso viene colpita da una raffica di vento freddo.
   Berni mi afferrò per i fianchi e iniziò a incularmi con decisione; era così bello che mi sentivo quasi di svenire. Ma ci mancava qualcosa, sentivo che volevo di più, perché quello che mi stava facendo non mi bastava. Volevo essere trattata in modo irrispettoso. Per quanto mi sentivo porca non mi sarebbe bastata una semplice penetrazione anale.
   “Afferrami per i capelli” sussurrai. E Berni mi accontentò, mi prese per i capelli e mi strattonò tirandomi la testa leggermente indietro. Ora andava meglio, ma non abbastanza. “Con l’altra mano dammi qualche sculacciata bella forte”.
   “Ma tesoro, qualcuno potrebbe sentirci” protestò lui.
   “Non me ne frega un cazzo di niente se qualcuno ci sente. Lo vuoi capire o no che sono arrapata come una cagna? Forza, cosa aspetti? Sculacciami per bene”.
   Berni mi accontentò di nuovo e mi diede un sonoro sganassone. Per fortuna nel negozio c’era la filodiffusione, quindi le hit del momento coprivano tutti i rumori che provenivano dal nostro camerino. Ma ad un certo punto lui dovette tapparmi la bocca con una mano, perché avevo iniziato a gridare così tanto che c’era il rischio che mi sentissero fin dall’ingresso del centro commerciale. Sì, in quel momento ero completamente incapace di contenermi. Ero praticamente in un’altra dimensione, la dimensione del sesso sfrenato. Non riuscivo a contenermi e nonostante Berni mi teneva una mano sulla bocca io gridavo con tutto il fiato che avevo in gola: “rompimelo, rompimelo! Sfondamelo quel gran culo da troia che mi ritrovo!”.
   Ovviamente non stavo facendo l’amore con uno stallone da monta; Berni non era mai stato uno scopatore da competizione, per cui dopo cinque minuti di penetrazione era arrivato al limite, e a breve avrebbe cominciato a sborrare. Me ne accorgevo subito quando stava per venire, perché in quei cinque secondi prima dell’eiaculazione dava il meglio di se, diventava un treno. Però io non ero ancora venuta, e non poteva lasciarmi in quello stato, dovevo per forza fare venire anche me, altrimenti sarei rimasta incazzata di brutto per tutto il resto della giornata.
   “Aspetta, non sborrare ancora” lo supplicai. “Prima dimmi cosa sono io”.
   Di solito quando volevo venire ricorrevo a quel trucchetto, e cioè mi facevo dire da Berni qualche porcata, e siccome le porcate mi facevano perdere la testa riuscivo a concludere anche io.
   “No Moana, non lo fare” mi disse. Ogni volta che facevo quella cosa, e cioè che chiedevo a Berni di dire cosa ero, finiva sempre che ci mettevamo a urlare; io urlavo che volevo sentire più forte la sua risposta, e poi alla fine lui con un urlo liberatorio mi accontentava e iniziava a sborrare. Però una cosa del genere era fattibile a casa, non certo nel camerino di un negozio. Ma io lo volevo a tutti i costi. Doveva dirmelo. Lo volevo sapere. Volevo sapere cosa ero io.
   “Dai, dimmelo. Cosa sono io?”.
   “Una puttana” rispose lui molto timidamente.
   “Non ho sentito” urlai. “Mi dici cosa cazzo sono io?”.
   “Una puttana” ancora non mi piaceva il suo tono sostenuto.
   “Non sento” urlai ancora. “Dillo più forte”.
   “Sei una grandissima puttana” finalmente ero soddisfatta, e Berni mi inondò il retto col suo sperma. Sentii il mio corpo contorcersi dal piacere. Per il momento il demone del sesso che si era impossessato del mio corpo era stato appagato. Finalmente potevo continuare a lavorare in pace. Ma la quiete sarebbe durata poco. Presto il demone sarebbe ritornato. Ve l’ho detto che da quando avevo scoperto di essere incinta non facevo che pensare al sesso. Ero continuamente arrapata.

Moana.

venerdì 2 febbraio 2018

I conti col passato.


   Era giunta l’ora di fare i conti col passato, e più esattamente col padre di Giuliano. In un post precedente vi ho parlato di lui e vi ho raccontato che non aveva mai avuto una buona considerazione di me. Mi considerava infatti la puttanella di suo figlio, perché sapeva bene che ci andavo a letto ma che allo stesso tempo lui era fidanzato con Manuela. Io ero solo un passatempo, la zoccola con cui fare le porcate che Manuela si rifiutava di assecondare. La cosa che lui non sapeva era che io avevo dato alla luce la sua unica nipote, di cui probabilmente non sapeva neppure dell’esistenza, perché Giuliano non gli aveva mai detto niente di lei. Invece lo aveva detto a sua madre, ma non aveva mai avuto il coraggio di dirlo a lui, perché mi disse che non avrebbe capito, non avrebbe mai accettato il fatto che il suo unico figlio maschio aveva una figlia avuta da una donna sposata con un altro uomo. E poi soprattutto non avrebbe mai accettato il fatto che quella donna ero io, che secondo il suo giudizio ero una vacca da monta patentata.
   Ero sicura che per lui sarebbe stato un dispiacere e forse un disonore sapere che il suo unico figlio maschio aveva avuto una figlia da me, che ai suoi occhi ero una donna con cui divertirsi e basta, la donna oggetto con cui suo figlio si sollazzava. Era già da alcune settimane che avevo in mente di fargli visita e di raccontargli come stavano le cose. Ma perché? Era forse sete di vendetta, per tutte le cose cattive e oscene che mi ero sentita dire da lui? In verità volevo solo potergli dire: “si ricorda di me? Ero la puttanella di suo figlio. E il bello è che lo sono ancora. E c’è di più, suo figlio mi ha messo incinta, per cui ho dato alla luce una bambina bellissima, che adesso è diventata una ragazza meravigliosa, praticamente sua nipote. E le assicuro che mi somiglia moltissimo; anche lei è una grandissima maiala. Proprio come me”.
   Mentre pensavo queste cose ero in macchina; stavo andando da lui. Quando mi ritrovai sulla strada sterrata che conduceva alla villa dei genitori di Giuliano fui sommersa dai ricordi. Erano circa vent’anni che non entravo in quella casa, praticamente da quando mi ero lasciata inseminare da Giuliano. Era lì che tutto era cominciato, dove per esempio avevo perso la verginità anale, e dove aveva fatto la mia prima spagnola, di cui sarei diventata un’esperta indiscussa. Il primo pompino, la prima cumshot, la prima sculacciata. Era in quella casa che era nata Sabrina Bocca e Culo.
   Fermai la macchina davanti al cancello, che come sempre era solo accostato, quindi andai ad aprirlo e ritornai alla guida. Percorsi il viale interno fino ad arrivare allo spiazzo antistante alla casa. Spensi il motore e raggiunsi l’ingresso a piedi. Suonai il campanello e dopo una manciata di secondi il padre di Giuliano venne ad aprire la porta. Stavo per iniziare a vomitargli addosso tutto il discorso che mi ero preparata in auto, la mia vendetta stava per scatenarsi su di lui, ma non mi diede il tempo di farlo. Vidi sul suo volto un espressione di dolore e stupore che mi fece dimenticare il motivo per cui ero lì.
   “Sei proprio tu” mi disse. “Non riesco a crederci. Sei proprio tu”.
   Ero molto sorpresa dal suo atteggiamento nei miei confronti; era completamente cambiato rispetto a vent’anni fa, quando per me non aveva il ben che minimo rispetto. Adesso invece mi trattava con riverenza, quasi in modo paterno. Mi fece accomodare nel soggiorno e mi offrì un bicchiere di succo di frutta all’ananas. Adesso non sapevo più cosa dirgli, perché la persona che avevo di fronte non era più l’uomo che avevo conosciuto vent’anni prima, per cui tutte le cose che avevo pensato di dirgli non avevano più senso.
   “E allora” gli dissi, “ne è passato di tempo, non è così?”.
   “Sì, infatti. Ti ho conosciuta che eri una ragazzina, e guardati adesso… sei diventata una donna”.
   “Eh già. Ero proprio una ragazzina. Avevo diciassette anni quando ho cominciato ad andare dietro a suo figlio. Ero pazza di lui. Però ricordo che non godevo di una buona reputazione in questa casa”.
   “Mia moglie ti voleva un gran bene”.
   “Lo so” risposi. Il ricordo della madre di Giuliano fece accendere un sorriso sul mio viso. “Lei mi diceva sempre che le avrebbe fatto molto piacere se io fossi diventata la moglie di Giuliano. Ma quando dicevo di non godere di buona reputazione non mi riferivo a sua moglie”.
   A quel punto il padre di Giuliano si intristì ancora di più di prima. Abbassò lo sguardo, quasi come se provasse vergogna a guardarmi negli occhi.
   “Credevo che te lo fossi dimenticata” bofonchiò.
   “Che cosa? Che lei non faceva che trattarmi come una prostituta? No, non l’ho dimenticato. Ricordo bene tutte le volte che lei mi ha offerto del denaro in cambio di sesso anale. E ricordo anche di quella volta che lei mi ha confessato di essere preoccupato del fatto che io potessi trasmettere a suo figlio qualche malattia venerea”.
   “Credimi Sabrina, sono mortificato. In quel periodo non immaginavo neppure quanto fossi importante per mio figlio. Credevo che tu fossi soltanto un passatempo”.
   “Mettiamo il caso che io fossi stata davvero soltanto un passatempo, una volgare ragazza di facili costumi, questo le dava forse l’autorizzazione a trattarmi come una puttana da marciapiede?”.
   “No, certo che no...”.
   “Strano, perché lei mi trattava proprio in questo modo”.
   “Sabrina, lo so bene che sono stato molto cattivo con te, e l’unica cosa che posso fare è chiederti umilmente scusa”.
   “In ogni caso non sono qui per parlare del passato, bensì del presente” dissi. “Sono qui perché ho ritenuto giusto farle sapere che io e Giuliano abbiamo una figlia. Sono rimasta incinta vent’anni fa, per cui adesso la nostra Moana, questo è il suo nome, è grande, ha un fidanzato ed è la responsabile del negozio di intimo di cui io sono proprietaria”.
   “So tutto di Moana” mi disse spiazzandomi completamente. “Me lo ha raccontato mia moglie prima di morire. E non ci sono parole per dirti quanto io ti sia riconoscente per avermi dato una nipote, anche se non ho avuto l’opportunità di conoscerla. Però comprendo benissimo le motivazioni che ti hanno spinta a tenermela nascosta per tutto questo tempo. Non c’è da stupirsi visto il modo in cui ti ho trattata in passato. Ma adesso te lo chiedo in ginocchio, ti prego, fammela conoscere. È pur sempre la figlia del mio Giuliano”. 
   “Parlerò con lei e vedrò cosa si può fare” a quel punto me ne andai. E lungo il tragitto capii il motivo per cui il suo atteggiamento nei miei confronti era così cambiato rispetto a vent’anni fa. Era cambiato perché adesso non ero più la vacca che aveva conosciuto, bensì ero la madre della sua unica nipote.

Sabrina.