lunedì 31 ottobre 2016

Papà, non mollare.

(in foto: Angela White, Airtight, AngelaWhite.com)


   La coppietta in amore che stava nella camera accanto alla mia ci diede dentro per tutta la notte. Scopavano che era una meraviglia. Sentirli godere era una gioia per le orecchie, ma purtroppo non riuscii a dormire. Le urla di lei erano troppo forti, e le sculacciate di lui erano come saette. Per fortuna verso le quattro del mattino si concessero una pausa e si addormentarono. Erano esausti. E anche io lo ero e quindi mi addormentai. E sognai Moana. C’era soltanto lei, e tutt’intorno era buio, ed era incazzata da morire e sbraitava contro di me dicendomi che ero un marito pietoso.
   “Ma che razza di uomo sei?” urlava. “Si prendono la tua donna e tu non fai niente. Perché invece non provi a tirare fuori le palle, una volta tanto? Riprenditi tua moglie, cretino. È tua. Riportala a casa e dalle una bella lezione. Fottila fino allo sfinimento, falle capire che sei tu il suo uomo, e non quel rastafari. Hai capito papà? Non mollare!”.
   Poi mi svegliai di soprassalto. La coppietta che stava nella camera accanto aveva ricominciato. Erano le sette del mattino e ripensai a quello che mia figlia mi aveva detto in sogno. Dovevo riprendermi mia moglie. Ma come fare? Come potevo competere con un toro come quello? Forse Moana parlava perché non aveva visto com’era messo quello lì. Aveva un corpo da lottatore, con muscoli da tutte le parti e addominali scolpiti che avrebbero fatto perdere la testa ad ogni donna. Poi sentii di nuovo la voce di Moana, come se stessi ancora sognando, ma questa volta lei non c’era, c’era solo la sua voce che diceva: “smettila di farti le seghe mentali e vai a riprenderti ciò che è tuo”. E allora per non sentire più i rimproveri di mia figlia uscii dalla stanza e raggiunsi la macchina. Mi misi alla guida e andai verso il Black Is Better, che però trovai chiuso. Mi avvicinai al chiosco e vidi un cartello con su scritto che oggi era il giorno di chiusura.
   Quindi ritornai in macchina e andai a casa del rastafari, dove due giorni prima avevo assistito alla doppia monta di mia moglie. Fuori al viale della villetta erano parcheggiate due macchine e tre motociclette, e dalla casa proveniva una musica reggae. Pensai subito che doveva esserci una festa, o qualcosa del genere. Sarebbe stato difficile riuscire a spiare dentro con tutta quella gente, ma dovevo farlo per scoprire cosa stava succedendo. Lasciai l’auto poco distante e raggiunsi la casa a piedi. Mi misi a spiare tramite la solita finestra, quella dalla quale avevo assistito alla doppia scopata di Sabri due giorni prima. Stando bene attento a che nessuno si accorgesse di me guardai dentro, e vidi sei uomini, tutti jamaicani come il toro rastafari con cui la mia Sabrina andava a letto, ed erano tutti in mutande e alcuni stavano fumando erba (dal profumo sembrava buonissima) altri invece semplicemente bighellonavano nella stanza. Non vidi però mia moglie, eppure doveva esserci, perché se non era lì allora dove poteva essere? Ma vidi la donna che il giorno prima stava alla cassa dell’african bar, quella con le tette enormi, le treccine e il viso brutto. Lei era l’unica della combriccola ad essere vestita; aveva un lungo vestito che la copriva interamente. Ogni tanto urlava agli altri, nella loro lingua, che io capivo abbastanza bene, di abbassare il volume della musica, altrimenti i vicini avrebbero chiamato la polizia, come già era successo in passato. E in effetti, con tutta quell’erba che circolava per casa, non era un bene se fosse arrivata una pattuglia.
   Notai che la donna, sicuramente più avanti con gli anni rispetto ai sei stalloni, era per loro come una mamma. Non so che tipo di rapporto ci fosse tra lei e loro, ma notai un certo rispetto. Come se in quella casetta funzionasse una sorta di governo matriarcale di cui lei era a capo. Lei gli urlava di abbassare la musica e loro eseguivano; lei chiedeva una sigaretta e subito c’era qualcuno che gliela portava. Insomma, ogni suo desiderio era un ordine. Ma nonostante queste mie riflessioni diciamo di tipo antropologico, ancora non riuscii a vedere mia moglie. Stavo per rassegnarmi e tornarmene alla macchina quando ad un certo punto sentii la sua voce.
   “Bimbi, la mamma è pronta” esultò. Sembrava goffamente allegra e su di giri. Era sulla soglia della porta del bagno, tutta nuda, sicuramente sotto l’effetto dell’erba, e si teneva con un braccio allo stipite della porta in una posa molto seducente, tipo come se stesse posando per la realizzazione di un calendario. Era chiaro che a breve si sarebbe scatenata un’epica gangbang che avrebbe avuto come unica protagonista femminile proprio lei, la mia Sabri. I sei stalloni la circondarono e cominciarono a toccarla dappertutto e a baciarla a turno, e lei si abbandonò letteralmente in mezzo a loro lasciando che facessero quello che volevano del suo corpo. Cominciarono a togliersi gli slip liberando le loro mastodontiche erezioni che scalpitavano per entrare nei buchi di mia moglie. A turno cominciarono a succhiarle le tette; le loro bocche si posarono sui suoi capezzoli quasi in una spasmodica ricerca di latte.
   Guardai in direzione della matrona; guardava la scena divertita ma anche con un pizzico di indignazione. Era felice per i suoi sei stalloncini, ma allo stesso tempo provava una gran pena per mia moglie, che si concedeva in quel modo così indiscriminato, donando i suoi buchi al primo offerente.
   “Mai vista una zoccola così” disse la matrona scuotendo la testa in segno di disapprovazione. “Fate attenzioni a non beccarvi una malattia. Una donnaccia così chissà quante ne ha!”.
   Era mia moglie la donnaccia, capite? Mia moglie ad essere una donna poco raccomandabile, piena di malattie veneree. Santo cielo, cosa stava succedendo alla mia Sabri? Intanto il cuore mi palpitava furiosamente per l’eccitazione. Mi piaceva quello che stavo vedendo. Sabrina circondata da sei stalloni neri coi cazzi in erezione che le ronzavano attorno come api in cerca del fiore da impollinare.
   Ad un certo punto non la vidi più. Vedevo solo loro di spalle, ma la mia Sabri era come sparita. Eppure doveva essere lì, insieme a loro. Poi realizzai; non è che non c’era più, si era solo inginocchiata, e i sei stalloni stavano godendo a turno della sua bocca. Dalla mia postazione da guardone riuscivo solo a vedere la ressa che si era creata intorno a mia moglie che si era messa in ginocchio; potevo solo immaginarla mentre prendeva i loro pali enormi in bocca, uno alla volta. In quell’orgia di corpi che si accalcavano contro la bocca di Sabri si aprì uno spiraglio e finalmente riuscii a vederla; al momento aveva la bocca tutta occupata da una nerchia di dimensioni spaventose, e il proprietario della spranga le stava letteralmente scopando la bocca. Le teneva le mani tra i capelli e le spingeva il cazzo fino in gola con un movimento del bacino che andava avanti e indietro con decisione e sicurezza. Poi lo fece uscire lasciando la bocca di mia moglie libera di accogliere un'altra sventola, la quale non si fece attendere e subito gli si insinuò fino in gola come la nerchia di prima. Insomma, le stavano fottendo la bocca a turno.
   Alla fine Sabri era stremata, quasi priva di sensi, con la saliva e la sborra che gli usciva a fiumi dalla bocca e che le colava tutta sulle tette. Aveva il fiatone e gli occhi rossi; non l’avevo mai vista così e iniziai seriamente a preoccuparmi per la sua salute. Me la stavano letteralmente sfondando. Quanto poteva resistere ancora? Mi dava l’impressione come se non riuscisse neppure a sollevarsi dal pavimento, come se le mancassero le forze. Forse non si rendeva conto di quello che stava facendo, ma loro erano sei, sessualmente potenti come tori, non credo che avrebbe resistito a tanta potenza. Se continuavano di questo passo avrebbero mandato la mia Sabri dritta in ospedale. Ma cosa potevo fare?

Stefano.

sabato 29 ottobre 2016

Ti avevo detto di non cercarmi.


   Ritorniamo al mio tentativo di riconquistare Sabrina che, per chi si fosse perso qualche puntata, stava vivendo una vera e propria vita parallela. Si trovava in Sicilia e soleva intrattenersi con uno stallone nero con una testa piena di rasta, e nel frattempo lavorava in un african bar in una zona portuale. E a vederla dall’esterno sembrava felice così, e la mia presenza a quel punto non aveva alcun senso. Sembrava come se si fosse rifatta una vita, dimenticando il passato, e soprattutto dimenticando il fatto che era già sposata (con me), e che aveva due figli. Era un fatto inspiegabile, e per capirci qualcosa di più provai a seguirla, e mi sono ritrovato a fare il guardone e a spiarla mentre si faceva una gran scopata con il suo aitante stallone e un suo connazionale nonché collega dell’african bar. Dopo averli visti venire dentro i buchi di mia moglie mi sono allontanato, e per la forte eccitazione ho sentito il bisogno di farmi una sega, in macchina, la macchina che avevo noleggiato all’aeroporto.
   Dopo la sega ero ripartito. Avevo affittato una camera d’albergo vicino ad una stazione. I miei vicini di stanza non facevano altro che scopare; sentivo lei gridare come una cagna. Lo facevano dalla mattina fino a notte inoltrata. Dormire era impossibile. Lei urlava davvero tanto. Ma non mi andava di disturbarli mettendomi a bussare alla parete. In parte perché mi eccitava un casino sentire lei godere, e poi perché è una cosa di cattivo gusto dare fastidio ad una coppia che fa l’amore. Dovevano essere una giovane coppia di sposini, o qualcosa del genere. Altrimenti non si spiegava il perché facessero di continuo l’amore. Era un continuo. Poi sentivo spesso lui che le schiaffeggiava il sedere, e lei che gridava: “siiiiiii!” ad ogni sculacciata. Dio mio che porcellini. Che coppia felice. Proprio come me e Sabri quando ci siamo sposati. Infatti mi facevano invidia. Sarei voluto essere una mosca per volare nella loro stanza e assistere alle loro scopate.
   Comunque dovevo decidere come comportarmi con mia moglie. Poi verso le tre del mattino, dopo il quindicesimo orgasmo della coppietta che stava accanto alla mia stanza, ebbi l’illuminazione. Avrei preso mia moglie alla sprovvista e le avrei chiesto delle spiegazioni su quello che stava facendo. Ma avevo tanta paura che mi dicesse: “non ti amo più” o qualcosa del genere. Allora a quel punto sarei dovuto ritornare a casa con la coda tra le gambe. Ma almeno avrei avuto la conferma che tra me e Sabri era tutto finito. Se non avessi fatto quella cosa, sarei rimasto per sempre nel dubbio.
   E così il giorno dopo mi presentai all’african bar dove stava lavorando; mi misi a sedere ad uno dei tavolini e aspettai che Sabrina venisse a prendere le ordinazioni. Aprii una pagina a caso del giornale che portavo con me per non farmi vedere e aspettai. Era mezzogiorno e non c’erano molti clienti. Al bar c’erano i due tori che il giorno prima si erano ingroppati mia moglie, in più una donna, anche lei di colore, con due tette che non finivano mai ma con un viso davvero brutto. Sicuramente aveva una cinquantina d’anni. Lavorava alla cassa e nei tempi morti parlava sempre al telefono.
   Ad un certo punto sentii il suono dei tacchi a spillo di Sabrina che si avvicinavano verso di me. Eccola, stava venendo a chiedermi cosa prendevo. Ancora non si era accorta che ero io. Indossava una minigonna di pelle nera così corta da riuscire appena a coprirle il suo bel culone. Sotto credo che non avesse nulla, non avevo visto nessuna traccia di perizoma in mezzo alle natiche. Mi sa che non portava niente. E allora pensai: “che maiala”. Sopra aveva una camicetta di canapa bianca quasi trasparente, che con il sudore (c’era molto caldo) le si era appiccicata addosso, e praticamente le si vedevano le sue belle aureole rosa delle tette. Insomma, era mezza nuda. Non aveva neanche messo il reggiseno. Ma ormai penso che lo sapete meglio di me, Sabri aveva sempre avuto un cattivo rapporto coi reggiseni. Non li metteva mai. Preferiva avere le tette libere di ballonzolare a destra e a sinistra. In parte anche perché gli piaceva tantissimo quando gli uomini gliele guardavano.
   “Buongiorno” esultò. “Benvenuto al Black Is Better. Cosa le porto?”.
   A quel punto abbassai il giornale e mi mostrai e lei dapprima spalancò gli occhi per la sorpresa, poi l’espressione del suo viso divenne subito di insofferenza e fastidio.
   “Che cosa ci fai qui? Ti avevo detto di non cercarmi”.
   “Sabri, ma mi spieghi cos’è questa storia? Perché ti sei messa a lavorare in questo bar?”.
   “Io non devo darti nessuna spiegazione, Stefano. Questa è la mia nuova vita, e tu questa volta non ne fai parte. E ora se non ti dispiace, ho dei clienti da servire…”.
   “Quindi da quello che ho capito non ti importa più niente del nostro matrimonio”.
   “Assolutamente nulla. È acqua passata”.
   “E allora perché porti ancora la fede al dito?” questa non se l’aspettava, forse credeva che non me ne fossi accorto. Sabrina non sapeva cosa rispondere e si toccò la fede con le dita dell’altra mano.
   “Non so” rispose, “forse perché mi piace lì dov’è, ma ormai è un oggetto puramente decorativo”.
   “Ah sì?”.
   “Eh sì. E comunque te l’ho detto, non ti devo alcuna spiegazione”.
   Il suo aitante toro venne verso di noi, forse preoccupato per la discussione che Sabrina stava avendo con me. Giunto di fianco a mia moglie le circondò la vita con un braccio e le chiese se era tutto ok. Sabri gli disse di sì, ma era chiaramente in stato di agitazione, e tremava, era come se dentro di se stesse combattendo una specie di battaglia. Forse non erano chiare neanche a lei quali fossero le sue intenzioni. Era come se una parte di lei volesse rimanere lì, a lavorare nel bar e a fare l’amore con il suo toro. Ma allo stesso tempo c’era una parte che invece voleva tornare a casa, riabbracciare la sua famiglia e ritornare ad essere quella che era prima.
   “Chi è lui?” domandò il toro rastafariano.
   “È mio marito” rispose con un filo di voce e guardando verso il basso, cioè verso la mano su cui indossava la fede. “Ma stava andando via”.
   “La tua donna ha un’altra vita. Capito?” mi domandò lui.
   “Sì sì, ho capito” dissi abbassando gli occhi. “E spero che questa vita la renda più felice di quella precedente”.
   Sabrina a quel punto sollevò gli occhi bruscamente verso di me, guardandomi con occhi supplichevoli e quasi stava per scoppiare a piangere. Poi il toro, tenendola saldamente per la vita, la fece girare e la riportò dietro il bancone. Mi alzai e mi incamminai, ma ogni tanto mi giravo per guardare Sabrina, e lei faceva lo stesso mentre raggiungeva il bancone. Le guardai un’ultima volta quel suo bel culone, che aveva fatto godere e reso felice centinaia di uomini. Mi sarebbe mancato, come mi sarebbero mancate le sue grosse tette, che l’avevano resa famosa per le sue spagnole, le sue labbra, i suoi pompini. La mia bella Sabri ormai apparteneva ad un altro uomo e io non potevo farci nulla. Dovevo farmi solo da parte.

Stefano. 

giovedì 27 ottobre 2016

martedì 25 ottobre 2016

domenica 23 ottobre 2016

Alla ricerca di un preservativo.


   Arrivati a casa Sabrina chiese a Tiziano se poteva fare una doccia prima di farsi montare. Lui da galantuomo le indicò il bagno e le disse di fare come se fosse a casa sua. Mia moglie si tolse il vestitino e entrò nel box doccia. A quel punto rimasi da solo con Tiziano, il quale anche lui si era messo nudo, ed era di fronte a me, seduto sul divano, con il cazzo già in erezione, e non faceva altro che dirmi che avevo una moglie sensazionale. Io in verità non riuscivo a dire nulla, era solo lui che parlava. Ero troppo nervoso, come ogni volta che io e Sabri ci imbattevamo in avventure di quel tipo. Ogni volta mi chiedevo se stavamo facendo la cosa giusta. Che razza di marito ero? Mi chiedevo. Quale marito avrebbe consegnato la propria donna nelle mani di uno sconosciuto?
   “Certo che tua moglie è proprio fantastica” disse e poi allargò le gambe per farmi vedere con orgoglio la sua erezione. “Guarda qua che cazzo duro che mi ha fatto venire!”.
   Tiziano aveva proprio un gran bel palo. Era sicuramente più grosso del mio, e a breve sarebbe entrato dentro mia moglie in tutta la sua interezza. Guardai in direzione della camera da letto; la porta era aperta e ci guardai dentro. Mi chiesi se mia moglie se la sarebbe fatta lì oppure sul divano, oppure sul pavimento, chissà. Ero nervoso da morire e andavo avanti e indietro, e dovetti sembrargli uno stupido. Ma lui continuava a chiedermi cose e a cercare di avere un dialogo con me mentre Sabrina si faceva la doccia, ma io non riuscivo a fare altro che rispondergli a monosillabi. Pensai al fatto che in quell’appartamento Tiziano il giorno prima si era scopato l’inglesina con annesso marito guardone. E il giorno prima ancora la tedesca, anche in quel caso con marito che assisteva alla scopata. E oggi invece toccava a Sabri, e toccava a me assistere.
   “Di un po', mica ti secca se mi faccio il culo della tua donna? Se vuoi me la faccio solo davanti”.
   “No no, fai pure” risposi con un filo di voce.
   “Meglio così, perché tua moglie ha un culo divino. Sarebbe un peccato non poterci fare niente. Che gran donna! Tutta da fottere, non c’è che dire”.
   Non c’era verso di farmi parlare. Ero elettrizzato all’idea di dover dare mia moglie a quello lì, che non sapevo neanche chi era. E a quanto pare le sue intenzioni erano chiare: voleva farsela davanti e dietro. Ma com’è che siamo diventati così? Mi chiedevo. Com’è che siamo diventati così maiali? Com’è che Sabri non si faceva scrupoli a fare porcate di quel tipo e io invece mi facevo tutte quelle pippe mentali? Stavo dando di matto a pensare a tutte quelle cose. Poi ad un certo punto sentimmo l’acqua della doccia che smise di scrosciare e il box doccia aprirsi. Sabrina uscì dal bagno e si mise in posa da pinup con un braccio contro lo stipite della porta, offrendosi in tutta la sua bellezza e in tutta la sua abbondanza agli occhi di lui. Aveva i capelli asciutti, probabilmente non li aveva bagnati. Ma il resto del corpo sgocciolava ancora. 
   “Sono pronta per essere chiavata” esultò.
   “E io, come vedi, sono pronto che darti il mio cazzo” rispose mostrandogli la sua indecente erezione.
   “Sì sì, lo vedo. E come, se lo vedo!” a quel punto Sabrina lo raggiunse e ci si mise a sedere accanto, gli prese il grosso cazzo in mano e andò su e giù molto delicatamente. “Dove ce li hai i preservativi?” gli chiese.
   “Quali preservativi?”.
   “Tesoro, non vorrai dirmi che volevi farlo senza preservativo?” il tono di voce di Sabrina diventò improvvisamente polemico e canzonatorio. “Ci conosciamo appena, non mi ricordo neppure come ti chiami e tu vorresti farlo senza condom? Ma sei pazzo?”.
   “Io non ne ho” rispose lui in modo categorico. “Che vogliamo fare?”.
   “In teoria prima di invitare una donna a casa tua per chiavartela dovresti assicurarti di averceli i preservativi”.
   “In genere faccio senza”.
   “Non con me amore. Se vuoi chiavarmi devi metterti il profilattico. Sennò niente”.
   Insomma, la diatriba andò avanti per un bel po', e quasi stavano per mettersi a litigare. Dovevo fare qualcosa, così proposi di rinviare la monta ad un altro giorno. Ma l’idea non piacque a nessuno. Sabrina invece ebbe un’altra idea:
   “Tesoro, perché non vai a comprarne una confezione? Noi ti aspettiamo. Però fai in fretta, che qui la situazione è piuttosto calda” disse prendendo il cazzo di Tiziano dalla base e mostrandomelo in tutta la sua maestosità, facendomi notare che prima mi sbrigavo e prima sarebbe cominciato lo spettacolo.
   Allora mi precipitai in strada. Ma vorrei ricordarvi che era domenica. E trovare di domenica una farmacia aperta, soprattutto in un posto di periferia come quello, era un’impresa. Girai per più di mezz’ora senza trovare nulla, poi finalmente trovai un distributore automatico in una pompa di benzina. La macchinetta aveva di tutto, dalle patatine alle birre, fino ai profilattici. Presi una confezione da sei e ritornai in auto. Guidai come una furia verso casa di Tiziano, e quando entrai nell’appartamento li trovai che avevano già cominciato; c’era mia moglie che stava eseguendo una colossale spagnola. Tiziano era seduto sul divano e guardava Sabrina mentre lo segava con le tette.
   “Ho trovato i preservativi!” esultai sventolando la confezione per aria, poi ne presi uno e lo scartocciai. Sabrina me lo strappò letteralmente da mano e lo mise sul suo cazzo srotolandolo fino alla base.
   “Bravo amore, sei un tesoro. Adesso finalmente fottiamo”.
   E non perse tempo e si mise immediatamente a cavalcioni su di lui, e il cazzo le entrò in figa, e lui la prese per i fianchi. Sabrina iniziò a fare su e giù su di lui, e io la vedevo da dietro, vedevo il suo bel culo burroso, e lui che aveva fatto scivolare le mani sulle natiche, palpandole e allargandole, e io vidi il suo orifizio anale che presto sarebbe stato il suo. Intanto me la stava fottendo davanti, cazzo come me la scopava. Iniziai a pensare che fosse davvero un pornoattore, altrimenti non si spiegava. Come faceva un uomo a scopare in quel modo? Mia moglie era letteralmente nelle sue mani, la stava dominando col suo cazzo. In principio aveva cominciato lei andando su e giù su di lui, ma ora era lui che la fotteva da sotto, e il cazzo le entrava tutto, fino alle palle, entrava e usciva furiosamente, come delle stilettate, e lei sembrava completamente inerte, incapace di reagire, estranea a qualsiasi forma di partecipazione attiva. Tiziano le teneva le mani saldamente per i fianchi e la fotteva da sotto con grande padronanza, era così esperto nel fottere le donne che mia moglie, che come sapete era formidabile nel fare l’amore, in quel momento sembrava una principiante. Era lui che stava conducendo il gioco, su questo non c’erano dubbi. Però ad un certo punto decise di fermarsi.
   “Che c’è?” chiese mia moglie con il respiro affannato. “Perché ti sei fermato”.
   “Perché ora voglio farti il culo”.
   “Ok, prenditelo. È tuo” la voce di mia moglie era diversa, sembrava quasi una voce di marcata sottomissione, come se fosse consapevole della superiorità sessuale di lui, e quindi della sua incapacità di stare al passo di un tale animale da letto.
   “Mettiti sul pavimento, a quattro zampe” le ordinò.
   “Tutto quello che vuoi, basta che continui a fottermi, perché mi piace come lo stavi facendo” rispose lei, e poi si mise come le aveva ordinato lui, sul pavimento, con il culo rivolto verso l’alto, le natiche oscenamente aperte e il buco del culo in bella mostra, pronto per essere aperto e fottuto. Ma prima di cominciare Tiziano mi guardò e mi sorrise.
   “Ovviamente prima dell’inculata mi sento in obbligo di chiedere al maritino il permesso a procedere” mi disse.
   Guardai in direzione di mia moglie, a quattro zampe sul pavimento, guardai il suo culo, che era già stato penetrato da tantissimi uomini, e adesso si apprestava ad accoglierne un altro. Ecco che si ripresentava il mio senso di colpa. Era giusto il fatto che mi apprestassi ad assistere ad una cosa del genere? Poi guardai il cazzo dritto di Tiziano, che aspettava solo un mio cenno e poi sarebbe entrato nel deretano di Sabri. Tutto dipendeva da me. Potevo anche fermare tutto. Potevo anche dirgli di no, che forse non era il caso. E invece solo due parole mi uscirono da bocca, due parole precise:
   “Puoi procedere”.

Stefano.  

venerdì 21 ottobre 2016

La rosa del peccato.


   Ma come andarono precisamente le cose? Ebbene, come dicevo nel post precedente, era di domenica. Il giorno dopo saremmo rientrati a casa. Avevamo già notato Tiziano da alcuni giorni; veniva in spiaggia a mezzogiorno, e con la tecnica della rosa che donava alla coppia che aveva intenzione di sedurre, era riuscito a ingropparsi già una tedesca e un inglesina, con il beneplacito dei mariti che avevano assistito alla monta.
   Quella domenica noi eravamo come sempre in spiaggia di buon mattino, intenti a goderci l’ultimo giorno di quel weekend tutto nostro. A mezzogiorno arrivò Tiziano con la sua rosa. Mi domandai: chi sarà la preda oggi? La risposta non si fece attendere, infatti si avvicinò a noi con passo deciso, poi si inginocchiò davanti a mia moglie e le porse il fiore.
   “Questa è per te” le disse. Sabrina sembrava più divertita che eccitata da quella situazione.
   “Ah, quindi oggi la preda sono io” rispose mia moglie in modo ironico, poi raccolse l’omaggio floreale. “Oggi hai deciso che vuoi chiavarti me. Hai visto Stè?” mi chiese, “che donna fortunata che sono. Oggi tocca a me”.
   Sabrina come sempre voleva prima un po' giocare al gioco del gatto e del topo. Lei era la gatta, che aveva il coltello dalla parte del manico e aveva messo il topo in trappola, e adesso si divertiva a sballottolarlo con le zampe, dandogli dei colpetti per disorientarlo e metterlo in uno stato di inferiorità. L’avevo vista varie volte comportarsi così. Di solito lo faceva con gli uomini che volevano portarsela a letto, ma per i quali lei non provava alcuna attrazione, ma che in qualche modo avrebbe voluto accontentare. Quindi poi alla fine si concedeva, ma non prima di averci giocato un po'.
   Io me ne stavo in silenzio a guardare, quasi come se fossi un guardone qualsiasi e non il marito di Sabrina. D’altronde il gioco era tra lei e quel Tiziano Cazzodiferro. Dal momento che lui le aveva consegnato la rosa era diventato chiaro che io ero l’elemento passivo del trio, e che quindi la mia donna era diventata sua, e tutto quello che mi era concesso era di assistere a quello che stava succedendo, in silenzio. Quel giorno dovevo dimenticare il fatto che Sabrina era mia moglie, e accettare il fatto che era diventata la donna di lui.  
   “E posso sapere di grazia il motivo del perché oggi hai scelto me?” gli chiese.
   “Tutto merito suo” rispose afferrando il suo cazzo dalla base già mezzo duro e mostrandolo alla mia Sabri con orgoglio. “Quando vede una donna come te perde completamente la ragione”.
   “Perché? Che genere di donna sono io?”.
   “Una donna con tanta roba con cui lui potrebbe divertirsi molto” disse riferendosi alle grosse tette di mia moglie.
   “Sì, ma sono anche una donna sposata, e si da il caso che, se non te ne fossi accorto, mio marito è qui accanto a me”.
   “Ma tanto lui non è geloso” rispose sempre riferendosi al suo attrezzo. “Lui è sempre andato d’accordo con i mariti delle donne che vuole rimorchiare”.
   Io continuavo ad assistere in silenzio, quasi come se fossi uno spettatore esterno, uno che stava guardando un film. Quella storia non mi riguardava, ma era una faccenda esclusivamente tra Sabri e Tiziano. In ogni modo ci presentammo e rimanemmo per un paio d’ore a parlare sotto l’ombrellone; in verità parlarono soltanto loro due, e i loro discorsi erano principalmente un modo per stuzzicarsi a vicenda. La cosa che mi stupì non poco fu il modo di presentarsi di mia moglie, la quale disse: “piacere Sabrina, ma tutti mi chiamano Sabrina Bocca e Culo”. Non lo aveva mai fatto. Era la prima volta che si presentava come Sabrina Bocca e Culo. Di solito erano gli altri che la chiamavano in quel modo. Lei non si era mai azzardata a presentarsi in quel modo.
   “Come mai ti chiamano così?” domandò lui.
   “Diciamo che mi chiamano così perché molti uomini hanno avuto il privilegio di usufruire di queste mie due cavità per trarne piacere”.
   “Interessante. Speriamo di poter entrare presto nella lista di questi privilegiati”.
   “Dipende tutto da te”.
   Tiziano ci raccontò un po' di lui. Quando ci disse che era un porno attore in erba né io né Sabri sembravamo intenzionati a crederci. Chi ce lo diceva che non era una cosa detta solo per pavoneggiarsi un po'? Comunque non gli dicemmo niente riguardo alle nostre perplessità, d’altronde non ce ne fregava niente. Non era così importante sapere tutta la verità su di noi. Potevamo anche essere degli anonimi, il gioco stava funzionando bene e questo bastava. Comunque, più per compiacerlo che per curiosità, Sabrina gli chiese quali film aveva fatto. E lui rispose che al momento ne aveva fatti soltanto tre: L’alba del nuovo coito, Le vie della gnocca sono infinite e Susburra (che poi era una parodia del romanzo Suburra).
   Poi Sabrina continuò l’interrogatorio chiedendogli quale era la sua specialità, e lui rispose senza pensarci troppo: l’anale. Il sesso anale era il suo forte. E allora Sabrina si finse sorpresa e sgomenta, spalancando gli occhi e la bocca. Era chiaro che si stava prendendo gioco di lui, fingendo in modo spudorato incredulità e stupore.
   “Se vuoi te lo dimostro” disse lui accarezzandole un fianco. “Qui, davanti a tutti”.
   “Vacci piano” rispose lei allontanandogli la mano. “Non mi piace dare spettacolo”.
   “Allora che ne dici di andare in un posticino più appartato?”.
   Sabrina mi guardò, quasi come se cercasse la mia approvazione. Quella corte spudorata da parte di Tiziano mi aveva fatto venire un cazzo durissimo. Era chiaro che per me andava benissimo e mia moglie lo capì subito dalla mia erezione. Mi fece un mezzo sorriso di complicità.
   “Che ne dici tesoro? A te va bene?”.
   “Se tu lo vuoi…” risposi.
   “Allora è andata” disse a Tiziano. “Puoi avermi. Buco del culo compreso”.
   Raccogliemmo tutte le nostre cose e ci avviammo verso casa di Tiziano, che abitava a qualche chilometro di distanza. Aveva un appartamento in un condominio anonimo che avrebbe fatto a caso nostro.

Stefano.

mercoledì 19 ottobre 2016

Il meraviglioso mondo di Cava delle Fave.


   Tiziano Cazzodiferro. Ebbene sì, conoscevo quel nome, e non riuscivo a credere che adesso fosse in compagnia di mia figlia, e che avrebbe avuto un rapporto anale anche con lei. Dico anche con lei perché per una coincidenza inspiegabile quel Tiziano Cazzodiferro aveva avuto un rapporto anale (ma non solo, in verità un rapporto completo) anche con la madre di Moana. Quindi prima si era preso mia moglie, e adesso si stava prendendo anche mia figlia. Non che ci fosse niente di male, intendiamoci. Per Sabrina era stata una libera scelta concedersi a lui, e per Moana era soltanto lavoro. Ma andiamo per gradi. Forse è meglio se vi racconto tutta la storia dall’inizio. 
   Io e Sabri avevamo ventidue anni quando abbiamo conosciuto Tiziano. Moana aveva appena diciotto mesi, e le nostre continue attenzioni che rivolgevamo a lei come al piccolo Rocco avevano fatto cambiare le nostre abitudini. Le avventure che avevano da sempre caratterizzato la nostra vita erano calate drasticamente, e anche la nostra vita amorosa si stava quasi spegnendo. Quindi avevamo deciso di concederci un weekend tutto per noi, per ravvivare un po' il nostro rapporto. Abbiamo lasciato Moana a Rocco a casa dei genitori di Sabri e siamo partiti. Siamo andati in una località di mare chiamata Cava delle Fave dove c’era una spiaggia naturista davvero speciale, dove la natura regnava incontrastata, e dove c’erano un paio di chilometri da fare a piedi prima di raggiungere questo posto, ma ne valeva la pena. Bisognava percorrere dei sentieri di campagna, poi infilarsi in un bosco e poi alla fine trovavi il paradiso.
   La spiaggia era frequentata da nudisti di vario genere; coppie, guardoni e uomini in cerca di avventure. Coppie in verità ce n’erano poche, eravamo in tutto una decina, ed eravamo perennemente circondati sia dai guardoni che dagli avventurieri. Ci guardavano, senza dare troppo nell’occhio, nella speranza di poter rubare con gli occhi le nostre effusioni amorose, e alcune coppie li accontentavano volentieri e si lasciavano guardare mentre facevano l’amore. Io e Sabrina no. Non era quello per cui eravamo venuti. Perlomeno, non era quello che cercavo io. Voi forse lo sapete bene quello che cercavo. Mi interessava poco dei guardoni, piuttosto mi interessavano gli avventurieri. Quello che io volevo era che uno di loro si facesse avanti e si impossessasse di mia moglie, e la facesse sua. E in fondo era quello che voleva anche lei.
   In ogni modo il primo giorno non successe niente. Ce ne restammo sotto l’ombrellone a goderci il mare e il riposo. Ma guardandoci intorno ci accorgemmo di quel gioco che c’era tra le coppie e i guardoni; le coppie che porcheggiavano e i guardoni che si segavano senza ritegno. E poi ci accorgemmo degli avventurieri e dei loro giochi di sguardi; riuscivano a comunicare con le coppie anche senza parole, soltanto con cenni e gesti. Poi scoccava la scintilla e se la coppia decideva di concedersi all’avventuriero allora lui si faceva avanti. Ma ce n’era uno in particolare, uno di questi avventurieri, che aveva un modo infallibile di avvicinarsi alle coppie, un sistema che gli evitava di perdere tempo gesticolando e ammiccando. Un sistema a cui le coppie non riuscivano a resistere, e che gli permetteva sempre di giungere all’obbiettivo, ovvero montarsi la lei della coppia. Quel creativo rimorchiatore di coppie era Tiziano Cazzodiferro.
   Tiziano arrivava in spiaggia verso mezzogiorno; arrivava già nudo, si spogliava lungo il tragitto nel bosco, e quando arrivava tutte le donne delle coppie, Sabrina compresa, non potevano fare a meno di girarsi a guardare il suo notevole cazzo. Tiziano arrivava tenendo tra le dita una rosa, che probabilmente raccoglieva nel bosco (ma non ne sono sicuro). Iniziava a guardarsi intorno per vedere la spiaggia cosa avesse da offrire, poi puntava una coppia e partiva all’attacco, e andava ad omaggiare la lei della coppia con la rosa che portava con se. A quel punto la lei della coppia si scioglieva di fronte a quell’omaggio e per Tiziano si aprivano le porte del paradiso. Il lui della coppia non poteva fare altro che constatare l’intelligenza di quella tecnica di rimorchio, e quindi concedeva ben volentieri la propria donna a Tiziano.
   Il primo giorno, era venerdì, la rosa andò ad una coppia di tedeschi, con lei alta e bionda, una bella sventola. Tiziano rimase a parlare con loro in un inglese maccheronico per un paio d’ore, poi tutti e tre insieme andarono via, chissà dove a consumare un epocale monta. Poi il sabato la rosa toccò ad una coppia di inglese, anche lei molto carina, con una carnagione molto chiara e un fisico sottile da modella. Anche in questo caso ci fu un corteggiamento sfrontato di un paio d’ore e poi via, per Tiziano era fatta, e si montò anche l’inglesina.
   E infine il terzo giorno, domenica, la rosa toccò a Sabrina. Tiziano aveva scelto la sua preda, mia moglie, e anche lei si sciolse completamente di fronte a quell’omaggio floreale, e io non potetti fare altro che constatare che ormai la mia donna era sua. Non sapevo tra quanto, non sapevo dove, ma sapevo che molto presto si sarebbe ingroppato anche la mia Sabri. 

Stefano.

lunedì 17 ottobre 2016

Qui tutto bene.

(in foto: Cadence Lux, Shades of Kink, SweetSinner.com)


   Mio padre era andato a riprendersi sua moglie, e io ero ormai alle prese con la seconda scena del film. La lontananza di mio padre un po’ mi faceva male, perché mi sarebbe piaciuto averlo sul set per tutta la durata delle riprese. Però capivo anche che quello che si apprestava a fare era una cosa di vitale importanza. C’era in gioco il suo matrimonio, che già era stato minato altre volte, ma questa volta era davvero in pericolo. Mia madre non rispondeva al telefono, quindi non aveva neppure lontanamente intenzione di tornare. Mio padre, nonostante non fosse proprio un marito esemplare, aveva il dovere di fare qualcosa, se voleva riconquistare sua moglie.
   La scena che ci apprestavamo a girare comprendeva anche un rapporto anale. Il mio personaggio si apprestava, dopo la scena che avevamo girato in precedenza, ad andare a letto con il senatore che avrebbe dovuto concedere la famosa licenza edilizia dietro la quale ruotava tutto il film. Era tutto pronto; Berni diede il via e iniziarono le riprese. Eccomi che percorro il set, con indosso un vestito elegante e ricca di gioielli, tra le strade di Roma fedelmente ricostruite. Mi dirigo verso la casa del senatore; l’attore che lo interpretava non era un granchè, anzi era proprio un cesso, con una pancia grossa come un melone ma un discreto cazzo. Si chiamava, o perlomeno era il suo nome d’arte, Tiziano Cazzodiferro. Pare che nel settore dell’hard fosse molto conosciuto e apprezzato. Io non l’avevo mai visto, ma pare che avesse fatto un sacco di film. Infatti avevamo una ventina d’anni di differenza, c’aveva gli stessi anni dei miei genitori, e in quei venti anni aveva fatto un casino di film. Quasi due all’anno, quindi circa una quarantina. In effetti l’idea di girare quella scena insieme ad un professionista indiscusso del porno mi metteva un po' in soggezione. Sarei stata all’altezza di tenergli testa? Ormai mi conoscete, ero brava a fare l’amore, ma quel Tiziano Cazzodiferro aveva ben venti anni di esperienza! Venti anni di scopate!
   Comunque avevo avuto modo di conoscerlo prima di girare la scena. Avevo chiesto a Berni di portarmi nel suo camerino; volevo conoscerlo quella stella dell’hard di cui tutti parlavano, da cui quel pomeriggio mi sarei dovuta fare inculare. Avevo sempre immaginato i divi del porno come dei super fighi, con corpi ben scolpiti, muscoli dappertutto, e invece mi trovai di fronte a quest’uomo tarchiato, un po' calvo, il petto villoso e una pancia che sembrava un cocomero. Era in mutande quando ero entrata nel camerino. Dovette accorgersi della mia delusione, mi aspettavo qualcosa di meglio, da uno come lui non mi sarei fatta toccare neanche come un dito.
   “Tesoro, sei uno schianto!” disse, poi allargò le braccia quasi come per mettersi meglio in mostra. “Forse non sono bello quanto te, ma ti garantisco che ho altre qualità”.
   “Sai, voglio essere onesta” in realtà non volevo essere crudele. “Ma davvero non riesco a capire come hai fatto a diventare un divo del porno”.
   “Ecco come, amore mio” a quel punto si mise le dita nell’elastico degli slip e li tirò giù quel che bastava per fare uscire fuori il suo attrezzo. Un attrezzo notevole, devo ammetterlo. Ma tutto il resto lasciava molto a desiderare.
   “Ok, ho capito. Rimettilo dentro” dissi scoppiando a ridere.
   Tiziano Cazzodiferro era un vero veterano del sesso anale. Mi disse che aveva impalato più di duecento donne, e io sarei stata la prossima.
   “Come sei messa con il buchetto di dietro?” mi chiese.
   “È da un pezzo che non sono più vergine lì” non so bene per quale motivo ma cercai di non apparire come una novellina, cioè era vero che avevo avuto non pochi rapporti anali, ma certamente non ero una professionista come lui. Forse perché non volevo farlo sentire superiore rispetto a me. Cioè, lui era certamente un professionista di fronte a me, ma il culo era il mio. Quindi volevo fargli capire che se le sue intenzioni erano quelle di sottomettermi come una bambolina qualsiasi allora si sbagliava di grosso.
   “Sarà un privilegio impalare anche te, sei molto carina” mi disse. E poi continuò dicendomi che gli ricordavo sua figlia, infatti aveva una figlia della mia stessa età, ma sinceramente non me ne fregava niente. Impalasse pure lei, per me l’importante era sbrigarsi a girare quella scena.
   Ma ritorniamo alle riprese del film. Dicevo che nella scena io mi dirigevo verso la casa del senatore. Una schiava mi lascia entrare e poi mi conduce nella camera da letto del padrone. Lui è lì che mi aspetta in piedi con indosso la toga bianca. La schiava ci lascia soli.
   “Sono qui per la licenza edilizia, senatore” dissi.
   Lui mi ordina di togliermi il vestito e io eseguo rimanendo nuda davanti a lui, ricoperta solo dei miei gioielli. Lui mi viene dietro e allunga le mani sul davanti, incomincia a palparmi le tette, poi scende giù verso la mia figa e comincia a stuzzicarmela con le dita.
   “Potrà anche avere il mio corpo” dico risentita, “ma il mio cuore appartiene solo a mio marito”.
   “Non ti preoccupare, mi accontento dei tuoi buchi. Soprattutto di questo” con un dito comincia ad accarezzarmi l’orifizio anale.
   “No quello no, la prego. Sono ancora vergine lì” piagnucolo, e lui mi spinge sul letto, adesso sono col culo rivolto verso l’alto, il buco del culo in bella vista, pronto ad essere montato. Il senatore intanto sposta la toga in modo da far venire fuori la sua potente erezione, ecco che si piazza proprio dietro di me, sento il suo glande premere contro il mio orifizio anale. Gli occhi della troupe sono tutti puntati su di noi, anche quelli di Berni, al quale dovetti sembrare molto tesa e quindi cercava di tranquillizzarmi dicendomi: “Cerca di rilassarti Moana, stai andando benissimo” e nel frattempo sentivo il membro di Tiziano Cazzodiferro entrarmi dentro. Chiusi gli occhi dal dolore, era enorme, cercai di rilassare i muscoli del retto per facilitargli la penetrazione. E Berni: “Tiziano cerca di essere delicato, Moana non è esperta come te”. Poi mi diede una spinta facendolo entrare dentro nella sua interezza e non potetti fare a meno di lanciare un urlo di dolore.
   “Ehi ehi! Fai piano! Cazzo, sei proprio un animale!” urlai. A quel punto Berni fermò le riprese.
   “Senti bambina” mi disse Tiziano, “se non sei capace a farti inculare allora cambia mestiere. Io sono un professionista”.
   “Sì, un professionista nel maltrattare le donne” urlai.
   Berni ci invitò a mantenere la calma. Un po' di lubrificante avrebbe certamente fatto al caso nostro. Uno dello staff me ne portò un flacone, me ne misi un po' sulle dita e cominciai a spalmarmelo sul buchetto. In quello stesso momento il mio cellulare cominciò a squillare, ma chissà dov’era. In principio pensai di ignorarlo, ma sembrava piuttosto insistente. Quindi chiesi a Berni di cercarlo. Era nella mia borsetta, me lo portò. Andai a sedermi sulla mia sedia, quella col mio nome stampato sulla spalliera, risposi al telefono e mi misi con le gambe rivolte verso l’alto. Feci segno alla costumista, Loredana (quella che si era scopata mio padre), di venirmi a dare una mano. Le diedi il flacone di lubrificante e le dissi con tono autoritario: “spalma”. Lei se ne mise un po' sulle dita e cominciò a massaggiarmi l’orifizio anale. Devo dire che aveva davvero un modo di massaggiare divino. Quasi mi stava facendo avere un orgasmo anale.
   Al telefono era mio padre.
   “Papà! Sei riuscito a trovarla?”.
   “Sì. Ma non sarà facile riportarla a casa. Tu come stai?”.
   “Stiamo girando la seconda scena del film. In questo momento Loredana mi sta lubrificando… dietro. Sai, è una scena di sesso anale, e il mio partner è un po' rozzo”.
   “Come si chiama?”.
   “Ha un nome che è tutto un programma: Tiziano Cazzodiferro”.
   Ci fu un silenzio chilometrico, come se avessi appena detto un nome che mio padre conosceva bene. Beh, non era difficile credere che avesse visto qualcuno dei suoi film. Intanto Loredana continuava a lubrificarmi, ficcandomi le dita dentro, prima uno soltanto, poi due e infine, senza che me ne accorgessi era arrivata a infilare tutta la mano. Ero pronta. Così Chiusi la conversazione con mio padre e Loredana sfilò la mano dal retto. Ritornai sul set e mi misi nella stessa posizione di prima, come se la scena non fosse mai stata interrotta. Tiziano Cazzodiferro mi si mise dietro; questa volta il suo cazzo non ebbe problemi a entrarmi tutto dentro. Berni ancora non aveva dato il via, e Tiziano colse l’occasione per sussurrarmi qualcosa all’orecchio. Qualcosa che probabilmente dovevo sentire solo io.
   “Sai, l’idea di inculare la figlia di Sabrina Bocca e Culo mi eccita un casino” rimasi senza parole. Come faceva a conoscere mia madre? “Circa una ventina di anni fa inculai lei, e oggi inculo te. Non è pazzesco?”.

!!!

Moana.

sabato 15 ottobre 2016

Come un guardone.


   Sabrina non appena vide la sproporzionata erezione che aveva appena raggiunto il suo toro ebbe un sussulto e guardò l’enorme sventola con stupore e incredulità.
   “Woooowww!” esclamò. “Tu sì che sei un uomo. Guarda che roba!”.
   E sempre con stupore e quasi con curiosità scientifica lo prese con la mano afferrandolo saldamente alla base e esaminandolo con accurata attenzione, quasi come se non avesse mai visto attrezzi di quelle dimensioni.
   “Il sogno di ogni donna” disse divertita, “avere un marito con un cazzo così”.
   Sabrina impugnava quell’affare e sembrava quasi intimorita da tanta potenza sessuale. Che poi certamente non era la prima volta che si trovava di fronte ad un totem del genere, però forse stava fingendo che fosse la prima volta semplicemente per lusingarlo. Mia moglie utilizzava spesso questo approccio con gli uomini, gli piaceva fargli credere che erano “speciali”, che avevano cazzi enormi, perché era un modo per coccolarli. E per Sabrina le coccole erano indispensabili in un rapporto completo. Lei adorava coccolare gli uomini, e lo faceva anche con le parole, anche con le lusinghe, e alcune volte anche con le bugie; infatti era successo molte volte che aveva detto a qualcuno, che magari c’aveva il cazzo piccolo, che ce l’aveva enorme. Era il suo modo di coccolare gli uomini. Certo, non era questo il caso; qui era davvero di fronte ad un cazzo spaventoso.
   “Beh, direi che è il caso di assaggiarlo subito, non credi?” disse, poi avvicinò la bocca all’asta e lo baciò a timbro, poi tirò fuori la lingua leccandolo dalle palle fino alla cappella. Arrivata in cima lo accolse in bocca. Da dove ero messo io riuscivo a vedere tutto. La mia principale preoccupazione era che non mi vedessero loro, e proprio per quel motivo avevo il cuore a mille, un po' per la paura di essere scoperto e un po' per l’eccitazione di quello spettacolo a cui stavo assistendo. Mia moglie si stava gustando quel palo nero con sorprendente cura, in breve l’aveva riempito di saliva che sgocciolava fino alla base, e con volgari e osceni risucchi se la riprendeva in bocca. Credetemi, io tremavo dell’eccitazione. Avevo assistito varie volte mentre Sabrina faceva godere altri uomini, ma mai di nascosto. O forse sì, ma questa volta era diverso. Questa volta mi ero introdotto illegalmente nella proprietà privata di qualcuno, e mi ero messo a spiare. Questo rendeva l’eccitazione ancora più intensa.
   Ad un certo punto Sabrina fece uscire il grosso membro dalla bocca, ma continuando a masturbarlo delicatamente con la mano destra, la mano dove c’era la fede nuziale. Quel piccolo particolare mi fece quasi venire nelle mutande. Nonostante avesse abbandonato il tetto coniugale, perché era questo che aveva fatto, continuava a tenere la fede, che rappresenta la nostra unione, al suo solito posto, ovvero l’anulare della mano destra. E con quella mano adesso stringeva il membro duro di un altro uomo.
   “Ti va se scopiamo in doccia?” gli chiese.
   “Ok” rispose lui.
   Così si alzarono dal divano e tenendosi per mano si avviarono verso il bagno. Lui lungo il tragitto le diede un gran sculacciata. Sabrina adorava essere sculacciata. Comunque la decisione di scopare sotto la doccia andava a mio sfavore, perché da dove mi trovavo non potevo vedere niente. Cazzo, pensai, è finito lo spettacolo. Ma la mia eccitazione era così alta che mi portò a fare un ulteriore pazzia, quasi mi comandò di scavalcare la finestra e intrufolarmi in casa. Era una pazzia, ma non ero in grado di fermarmi. Era l’eccitazione che comandava il mio corpo, che mi stava obbligando a fare quella pazzia. Così mi intrufolai dentro, come un ladro, e cercai di avvicinarmi alla porta del bagno. Finalmente li vidi, dentro il box doccia, avvinghiati l’uno all’altro a baciarsi appassionatamente come due innamorati. Poi il toro le prese una gamba e gliela sollevò e con l’altra mano indirizzò la sua mostruosa protuberanza all’interno della vagina di mia moglie. L’acqua scrosciava e in breve tempo sulle pareti di plexiglass del box si formò tutta la condensa, e quindi non potevo vedere altro che le loro sagome. Vedevo lui che infilava dentro mia moglie il suo palo come una furia, e Sabrina che si teneva con le braccia allacciate intorno al collo di lui, e intanto ansimava di piacere, lo istigava a fare più forte, diceva: “rompimi! Così, sfondamela! Cazzo, quanto godo!”.
   Ce l’avevo durissimo e avevo tanta voglia di tirarlo fuori e segarmi, ma la paura di essere scoperto mi frenava. Ad un certo punto qualcuno bussò alla porta d’ingresso e andai nel panico. Feci una corsa verso la finestra e inciampai e quasi finivo a terra. Intanto continuavano a bussare con insistenza, e poi sentii una voce maschile che gridava: “Josh!”. Josh era il nome del toro. Dalla doccia si accorsero che c’era qualcuno alla porta, così si fermarono e aprirono il box. Stavano uscendo, e io con un balzo schizzai fuori dalla finestra. Ero salvo.
   Sabrina si mise al centro della stanza ad aspettare, visibilmente provata dalla penetrazione, un po' risentita del fatto che era stata interrotta bruscamente. Josh, con il cazzo ancora mostruosamente duro, andò ad aprire la porta, senza neppure preoccuparsi di coprirsi. D’altronde neppure Sabrina si era preoccupata di farlo. Dietro la porta c’era un altro dei barman che avevo visto al Black Is Better, un connazionale del toro, che aveva appena finito il turno e probabilmente era venuto per farsi una bella doppietta con mia moglie. I due si salutarono parlandosi nella loro lingua, poi entrarono e chiusero la porta. Il nuovo arrivato non perse tempo e si spogliò, mettendo anche lui a nudo un notevole cazzo taurino. I tori iniziarono a discutere in un inglese deformato da uno slang mai sentito prima d’ora. Io li capivo perché lavorando nel settore della ristorazione e del turismo avevo imparato un po' di inglese. Sabrina invece dava proprio l’impressione di non capire nulla; se ne stava lì ad aspettare impazientemente che cominciasse la doppia monta. Più o meno stavano dicendo: “tu che vuoi? Culo o figa?”. E l’altro: “io le faccio il culo, la figa è tutta tua”. E l’altro: “allora io mi metto sotto, e me la faccio davanti, tu invece ti metti dietro e le fai il culo”. Toro 1 allora si mise a sedere sul divano e con le mani prese mia moglie per i fianchi e la fece salire sul suo palo facendoglielo penetrare in figa in tutta la sua interezza. Toro 2 si mise dietro Sabrina e con le mani le allargò le natiche, poi puntò la sua anaconda contro il suo orifizio anale, e con una spinta lo fece entrare dentro. Cominciava la doppia monta. Era strano, Sabrina era misteriosamente silenziosa. In genere, lo sapete, quando mia moglie faceva l’amore diceva un sacco di porcate. Ma quella volta si limitò a farsi penetrare, senza lasciarsi trasportare, ma restando immobile, come un giocattolo. Forse aveva paura che quei due enormi pali potessero davvero rompergli i buchi? Non sembrava a proprio agio. Ma comunque la monta andò avanti, per una mezz’oretta buona.
   Forse Sabrina non era a proprio agio perché i due tori continuavano a parlarsi tra di loro in quella lingua che per lei era incomprensibile, quasi escludendola dal rapporto. Certamente ne stava traendo piacere, questo è certo, lo vedevo dagli occhi. Come già vi ho detto in qualche post precedente, mia moglie e mia figlia avevano lo stesso modo di godere, alzavano le pupille degli occhi fino a farle sparire. Quando le vedevi che facevano così voleva dire che erano vicinissime all’orgasmo. Ma a parte questo Sabrina continuava a non essere propriamente a suo agio.
   I due tori cominciarono a inondarle i buchi di sborra. Con urla liberatorie le scaricarono tutto il loro seme dentro, poi sfilarono le loro anaconde da dentro e lo sperma colò fuori a fiumi. Si accasciarono l’uno sull’altro in un’orgia di corpi, godendosi quella sensazione di torpore che segue l’amplesso. A quel punto mi allontanai dalla casa furtivamente e raggiunsi la macchina, mi chiusi dentro e siccome ero molto eccitato per quello che avevo appena visto fui costretto a farmi una sega. Sborrai subito, circa cinque secondi e poi iniziai a schizzare. Ma non misi in moto la macchina, piuttosto pensai bene di rimanere lì, nel caso anche tutta la notte. Dovevo continuare a spiare Sabrina. Dovevo capire cosa le era successo, cosa l’aveva spinta a regredire così tanto, allo stato animale, un pezzo di carne a disposizione di chiunque. Ancora non riuscivo a capirci niente di quella faccenda.

Stefano.

giovedì 13 ottobre 2016

Porto Uccello.


   Porto Uccello era una città turistica, con un mare eccezionale e una cinta muraria dentro la quale splendevano palazzi ottocenteschi, alberghi di lusso e locali di tutti i tipi. La vita era concentrata soprattutto sul lungomare, dove spesso Attraccavano gli yacht di personaggi dello spettacolo e dell’alta finanza. Già la vista di quelle barche era uno spettacolo di per se, perché sembravano astronavi spaziali, poi quando ti giravi dall’altra parte avevi lo spettacolo del panorama che formavano le case antiche, una volta appartenute ai nobili del luogo. In fin dei conti Porto Uccello non era una città molto grande, ma mia moglie poteva essere ovunque. Marica mi aveva detto che l’aveva vista bazzicare un bar che stava sul lungo mare, un bar che si chiamava Black Is Better. Quindi non mi restava che percorrere la banchina dove attraccavano le barche, guardando in direzione dei bar. Prima o poi lo avrei trovato. E così non persi tempo e mi misi in cammino. I primi bar erano molto chic; musica jazz di sottofondo, clienti tutti vestiti bene e il personale molto elegante. Non mi sembrava un ambiente adatto a Sabrina. Mia moglie non aveva mai sopportato il lusso sfrenato e soprattutto l’ostentazione del lusso. Ma più camminavo e più i bar mi sembravano tutti uguali. Forse Marica si era sbagliata, forse aveva visto una donna che assomigliava a Sabrina e l’aveva scambiata per lei. Ma come era possibile? Sabrina era unica. Non ce n’erano imitazioni. Eppure quei bar sembravano così diversi da lei.
   Camminai così tanto che alla fine i bar terminarono, e del Black Is Better nemmeno l’ombra. Possibile che Marica avesse mentito? E per quale motivo? Me ne stavo per ritornare indietro sconfortato quando ad un certo punto sentii una musica da lontano, un ritmo reggae coinvolgente che stonava terribilmente con tutto quel jazz dei bar. Mi guardai intorno, ma i locali del lungomare erano terminati. Da dove veniva quella musica? Da qualche yacht? No, non veniva dal mare, piuttosto sembrava venire dalla fine della strada. In effetti vidi qualcosa; i bar non erano ancora finiti. Ce n’era ancora un altro, laggiù, separato da tutti gli altri, diverso, la pecora nera dei bar del lungomare, tutti uguali, stessa musica, stessi colori, tranne lui. Era il Black Is Better. Te ne accorgevi subito che era diverso dagli altri, prima di tutto dalla musica: reggae, ska, dub, raggamuffin. Altra differenza erano le persone che lo frequentavano, non più gente chic con Rolex e vestiti da cerimonia, ma ragazzi di vent’ anni con rasta e abiti trasandati. La struttura stessa era diversa dagli altri bar, con un tetto spiovente fatto di canne di bambù, sedie e tavolini di vimini e bandiere della Jamaica dappertutto. A lavorarci c’erano solo neri, forse perché Black Is Better. Alcuni avevano i rasta, ma tutti avevano dei corpi da far invidia a ogni uomo. Dei veri stalloni da monta. Proprio il genere di uomini che faceva perdere la testa a Sabri, e quindi ero quasi certo che l’avrei trovata lì. Infatti mi avvicinai con passo veloce ma ad un certo punto mi fermai a guardare da lontano. Mia moglie era lì, dietro il bancone che preparava cocktail con una certa scioltezza, come se quello fosse il suo lavoro da sempre, e si intratteneva con i clienti, e sembrava divertirsi un casino. Spensierata, felice, come se avesse trovato la sua dimensione. Una dimensione però in cui non era contemplata la mia presenza. E proprio per questo motivo mi tenni alla larga.
   Sabrina indossava un vestito leggero a fiori, scollato ai limiti della decenza, tanto che le tette le uscivano sempre fuori, ma la sua preoccupazione principale non pareva quella di rimetterle dentro lo scollo. Piuttosto le lasciava fuori, alla mercè di tutti. Poi quando aveva le mani libere, che magari aveva appena finito di preparare un cocktail, allora se le rimetteva a posto. Non la vedevo così da molto tempo, era semplicemente felice di stare lì, di fare quel lavoro. Ma perché? Perché mia moglie si era messa a fare quel lavoro? Che bisogno aveva di mettersi a lavorare in un bar? Non credo che lo facesse per soldi. Non ne avevamo bisogno, d’altronde Sabrina era pur sempre la proprietaria di uno dei negozi di lingerie più conosciuti dalle nostre parti. Quindi cosa l’aveva spinta a mettersi dietro ad un bancone a mescolare alcolici e a vendere birre?
   Cosa fare? Potevo andare da lei e prenderle un braccio e trascinarla a casa. Ma conoscendo mia moglie mi avrebbe mollato un bello schiaffone, lì davanti a tutti, e c’avrei solo fatto la figura del fesso. No, dovevo andarci piano. Dovevo prima capire cosa stava succedendo. Intanto vidi uno dei barman, un toro da monta con una testa piena di rasta, avvicinarci a Sabrina. Le mise le mani sui fianchi e le avvicinò la bocca al collo
baciandola in modo appassionato. Sabri alzò la testa e chiuse gli occhi, quasi offrendosi completamente al toro, il quale con le mani raggiunse le sue tette palpandogliele energicamente.
   “Ma che fai?” domandò lei divertita. “Proprio qui, davanti a tutti?”.
   “Mi fai venire sempre voglia”.
   “Tesoro mio!” Sabrina si sciolse completamente a quelle parole. Era fatta così, quando un uomo le diceva quella cosa allora lei abbassava tutte le sue difese, e si concedeva completamente. Era come una formula magica in grado di renderla schiava dell’uomo che la pronunciava. Ma in effetti non era proprio il luogo adatto per mettersi a fare porcate, così Sabrina allontanò le mani del toro dalle sue tette. “Cerca di resistere. Dopo potrai avermi per tutto il tempo che vorrai”.
   Dopo? Cosa sarebbe successo dopo? Non mi restava che spiarli. Vidi comunque che Sabrina aveva atteggiamenti ambigui anche con gli altri barman. In tutto erano cinque, e con ognuno di loro sembrava esserci un certo rapporto che andava ben oltre la semplice amicizia. Ero molto confuso, ancora non mi era chiarissimo quello che stava succedendo. In ogni modo rimasi a spiarla per un paio d’ore, armato di santa pazienza e di una morbosa volontà di scoprire che storia c’era sotto. Mi accorsi che spiavo Sabrina non tanto per sapere cosa stava succedendo, ma quasi con un sentimento perverso, come il guardone che spia una coppietta che si appresta a fare qualcosa di porco. Allo stesso modo, proprio come un guardone, ero eccitato all’idea che a breve Sabrina sarebbe andata via con il barman-toro coi rasta, chissà dove, per farsi montare a dovere.
   Il guardone non sente il tempo che passa. La sua eccitazione è così alta che il tempo si annulla e vola via. E così fu per me. Passai delle ore a spiare mia moglie senza accorgermene, e alla fine la vidi andare via insieme al toro-rasta. Raggiunsero una moto, era sua, ci si misero sopra, Sabrina dietro con le braccia strette intorno alla vita di lui, e partirono. Per fortuna all’aeroporto avevo noleggiato una macchina, quindi non fu un problema stargli dietro, sempre mantenendo una certa distanza per non essere scoperto. Non potevo rischiare che si accorgessero che qualcuno li seguiva.
   Il rasta correva così veloce che il vento aveva fatto salire il vestitino di Sabri fino ai fianchi, facendola rimanere con il culo nudo in bella mostra, con le natiche separate soltanto dal sottile lembo di stoffa del perizoma. Io che li seguivo potevo godere di quello spettacolo, il culo di mia moglie era da competizione. Anzi, non c’era donna che poteva competere. Era un culo davvero speciale. Ed ero certo che a breve il rasta gliel’avrebbe montato, quel suo bel culo burroso.
   La strada che stavamo percorrendo era piuttosto isolata. Era una strada di campagna, con delle casette sparse e nient’altro. Ad un certo punto la moto iniziò a rallentare, e di conseguenza anche io. Li vidi entrare in un cancello di una villetta bassa con un giardino a malapena curato. Doveva essere la casa di lui, dove sicuramente a breve sarebbe avvenuta la monta. Fermai la macchina ad una certa distanza e proseguii a piedi per non destare sospetti. Raggiunsi la villetta. Sabri e il toro erano entrati. Non mi restava da fare che cercare il modo per spiarli senza farmi scoprire. Mi addentrai nel giardino incolto e con passo felpato raggiunsi una finestra; guardai dentro e li vidi. Stavano stravaccati su un divano, erano nudi, Sabrina con le gambe oscenamente aperte, lui seduto accanto a lei, con un cazzo non ancora in erezione, ma ragazzi, era enorme da far spavento. Stavano fumando una canna, dall’odore che sentivo sembrava erba, ma erba buona, non di quella allungata con l’ammoniaca. Erba coltivata in casa, di qualità, che stava avendo un certo effetto di piacevole rilassamento su mia moglie, e di grande eccitazione sul toro, il cui cazzo iniziò a ingigantirsi fino a prendere dimensioni inverosimili e spaventose. Ecco, ci siamo, mi dissi, sta per cominciare la monta.

Stefano.

martedì 11 ottobre 2016

Sabrina in ogni donna. 

(Micky Bells, Breasts Beyond Belief, Scoreland.com)


   La chiacchierata con Moana, nonostante fosse stata molto spinta, mi aveva fatto riflettere. Tenevo proprio tanto a Sabrina, e non potevo permettere che un altro uomo se la portasse via. Poteva anche starmi bene che avesse una tresca con qualcun’ altro, anzi, mi faceva piacere, ma l’idea che fosse innamorata di un altro uomo non mi piaceva per niente. E non era un altro uomo qualsiasi, ma Franco, un amico di vecchia data, e questo mi feriva ancora di più. Come poteva farmi questo? Appropriarsi completamente di mia moglie, non solo del suo corpo ma, cosa ancor più grave, del suo cuore. Dovevo fare qualcosa, reagire, e quindi preso da un raptus di rabbia presi il telefono e chiamai Franco. E mi sorprese non poco apprendere che mia moglie non era più con lui. 
   “Stefano, credimi, mi sento uno schifo per quello che ho fatto” era sinceramente dispiaciuto, questo era vero, lo sentivo dal tono della sua voce. “E ne ho parlato a Sabrina, le ho detto che quello che stava accadendo era una cosa sbagliata. A quel punto se ne è andata, e in verità credevo che fosse tornata da te”. 
   “No Franco, qui non c’è” risposi amareggiato. 
   “Sabrina è uno spirito libero. Vedrai che tornerà”. 
   “Sì ma adesso dov’è? E soprattutto con chi?”. 
   “Non lo so Ste, mi dispiace. Potrai mai perdonarmi?”. 
   “Certo Franco. Certo che ti perdono. D’altronde non hai nulla da rimproverarti. Hai Amato mia moglie come del resto hanno fatto molti uomini. Anzi, tu l’hai amata di più degli altri. L’hai amata con rispetto, e non come un buco da riempire. E di questo ti ringrazio”. 
   Ma diceva davvero la verità? Era vero il fatto che Sabrina se n’era andata senza lasciare tracce? E se invece mi aveva detto quella cosa soltanto per mettermi fuori strada? A me chi me lo diceva che mia moglie non era più lì con lui? In verità Franco mi era sembrato molto sincero. E poi mi fidavo della sua parola. Non avevo mai conosciuto una persona più onesta e leale di lui, quindi non c’era proprio alcun motivo di dubitare. Ma il problema rimaneva. Se lei non era con lui, allora dove era andata a finire? Provai anche a chiamare sul suo cellulare, ma era spento. 
   Il giorno dopo ricevetti una telefonata che non mi aspettavo davvero. Era Marica, la figlia di Franco, che praticamente era cresciuta con Moana, e tra lei e mia figlia c’era quasi un legame di sangue, quasi come due sorelle. Non sentivo Marica da molto tempo, e onestamente non mi aspettavo una sua telefonata. Mi disse che aveva origliato suo padre che parlava al telefono con me e che forse poteva aiutarmi. 
   “In che modo?” le chiesi. 
   “So dov’è zia Sabrina” chiamava così la madre di Moana, proprio perché pur non essendoci alcun grado di parentela tra noi e Franco, Marica comunque aveva sempre percepito questo legame di sangue con mia figlia. 
   “Ti prego Marica, non tenermi sulle spine. Dimmelo”. 
   “Porto Uccello. Bazzica in un bar del lungomare chiamato Black is Better”.
   Porto Uccello era una località turistica della Sicilia, frequentata principalmente da persone di un certo livello economico. Attraccavano molti yacht di lusso, e la sera la piccola cittadina poteva vantare una discreta vita notturna tra locali di ogni tipo. Chiesi a Marica come faceva a conoscere quell’informazione e lei mi rispose che ci andava spesso a Porto Uccello con gli amici, perché la sera c’erano spesso delle belle feste in riva al mare a ritmo di reggae. Marica, per chi non lo ricordasse, era una cantante raggamuffin con un discreto seguito, per cui conosceva bene i luoghi dove la vita notturna era molto intensa. E Porto Uccello era uno di questi. 
   Ringraziai Marica per l’informazione. Ma avevo ancora un dubbio nella testa, e cioè perché mi aveva telefonato? Perché aveva sentito il bisogno di avvertirmi di quella cosa? Provai a chiederglielo e lei mi disse che aveva intuito dalla chiacchierata che avevo avuto con suo padre che era una cosa seria, e che quella di mia moglie non era una semplice scappatella. 
   “Forse avrei dovuto farmi gli affari miei” disse, “e forse ho fatto male a dirtelo. Ma allo stesso tempo ho pensato che non era giusto farti soffrire così tanto. Voglio dire, sei suo marito, hai tutto il diritto di sapere lei dov’è e soprattutto se sta bene”. 
   “Grazie Marica, sei un angelo”. 
   “A proposito di angeli, fai gli auguri a quella zoccola di tua figlia da parte mia”. 
   “Per cosa?”. 
   “Per il film che sta girando”. 
   “Ah quindi lo sai. E sai anche che…?”. 
   “Sì sì, so benissimo che è un porno. Cosa credi? Io e Moana ci telefoniamo almeno tre volte a settimana”. 
   In effetti ero a conoscenza del fatto che si sentivano spesso, ma non credevo che le avesse raccontato anche del film. Ma di cosa mi stupivo? In fin dei conti non erano come sorelle? 
   Adesso toccava a me fare qualcosa. Sapevo dove cercare Sabrina, quindi non dovevo fare altro che andare a riprendermela. Ma davvero era questo quello che dovevo fare, oppure dovevo lasciarla libera di divertirsi, e semplicemente aspettare il suo ritorno? Come già vi ho detto in passato mia moglie ogni tanto sentiva il bisogno di essere riconquistata, quasi come se sentisse il bisogno di un’ulteriore prova d’amore da parte mia. Era già successo due volte in passato, e chissà che questo suo allontanamento non fosse proprio una richiesta da parte sua di una prova d’amore. 
   Ma dovevo prendere una decisione, e in fretta. Dovevo agire, qualsiasi uomo lo avrebbe fatto. E così mi precipitai in aeroporto e presi un biglietto per il primo aereo in partenza per la Sicilia. La mia voglia di riconquistare mia moglie era così forte che mi faceva vedere Sabrina in ogni donna. Prima in una prostituta in strada, con le sue tette prosperose, che percorreva una strada secondaria in cerca di clienti, notai una strepitosa somiglianza con Sabrina. Poi la rividi in una ragazza in aeroporto, che aspettava il suo volo, in compagnia del suo fidanzato, che se ne stava accoccolato con il viso sulle sue grosse tette. Guardai quella ragazza e anche in lei vidi mia moglie, e lei mi guardava, furbescamente, con un sorriso di complicità, quasi come se mi dicesse: sì, sono proprio io, tua moglie. Poi rividi Sabrina anche nella hostess che c’era in aereo, che si sbracciava nel darci le informazioni relative ad un eventuale atterraggio di emergenza. Allargò le braccia per indicarci le uscite e le sue maestose tette sembravano lì lì per farle esplodere la camicetta bianca, e nel frattempo mi guardava come mi guardava la ragazza in aeroporto, con quel mezzo sorriso di complicità, tipico della mia Sabrina quando si trovava in compagnia di un uomo con cui aveva voglia di fare l’amore. Cercai di addormentarmi. Era chiaro che avevo bisogno di riposo. Ma ad un certo punto mi svegliai, o almeno era quello che credevo, in verità dormivo ancora. In ogni modo vidi la hostess/Sabrina che accompagnava un uomo al bagno, un uomo dall’aspetto comune sulla cinquantina, il quale vidi che le palpò fugacemente il sedere, e lei guardò nella mia direzione facendomi l’occhiolino, come a dire: lo sai che non so resistere alle avventure con altri uomini. Poi la vidi entrare nella toilette insieme all’uomo. A quel punto mi svegliai per davvero. L’aereo era atterrato. Ero pronto per andare a riprendermi mia moglie.

Stefano.