sabato 24 dicembre 2016

Rivale in amore. 

(in foto: Ava Addams & August Ames, Wife Showers With the Babysitter, Brazzers.com)


   Avete presente l’odore che si sente nelle stalle? Ebbene, la puzza che proveniva dalla cameretta di mia sorella era più o meno simile. Mia madre non sapeva cosa fare. Mi aveva chiesto aiuto riguardo a questo problema e io le avevo risposto che era una fase passeggera, e che prima o poi si sarebbe ripresa. D’altronde lo aveva detto lei stessa; dopo il film voleva starsene per conto suo. Quindi aveva cominciato a trascurarsi e a passare le giornate in tuta da ginnastica. Aveva tirato fuori dallo sgabuzzino una vecchia Playstation One che avevamo da quando eravamo piccoli, e ci giocava ininterrottamente. Usciva dalla sua stanza soltanto per mangiare, e neanche sempre. Spesso si nutriva di pacchi di patatine al formaggio senza neppure uscire dalla stanza. Stava incollata a quei videogiochi dalla mattina alla sera. Quando usciva e io la vedevo mi rendevo conto di trovarmi non più di fronte ad una sorella riconosciuta all’unanimità una gnocca stratosferica, ma di fronte ad un animale selvatico puzzolente e peloso. Avreste dovuto vedere i peli che aveva sulle gambe; parevano le gambe di un uomo.
   “Devi fare qualcosa” mi aveva detto mia madre.
   “Che vuoi che faccia?”.
   “Qualsiasi cosa, ma devi fare in modo che tua sorella si riprenda”.
   Io continuavo a rimanere della mia idea, e cioè che presto le sarebbe passato. Ma in effetti non appena si entrava in casa si veniva subito travolti dallo sgradevole olezzo che veniva dalla sua camera. Mia sorella era regredita davvero ad uno stato scimmiesco. Forse potevo parlarle e dirle che nostra madre aveva ragione, e cioè che doveva rimettersi in sesto. Così mi avviai verso la stanza di Moana, entrai dentro e la trovai seduta sul suo letto, con il joystick in mano, stava giocando a Resident Evil 3, e allo stesso tempo stava mangiando delle patatine al formaggio che erano riversate sul letto. Indossava ancora la solita tuta da ginnastica che aveva da una settimana. La stanza puzzava di urina e calzini sporchi. In un angolo vidi un’insalatiera di plastica piena della sua urina. Aveva perfino smesso di andare al bagno, la faceva direttamente lì dentro.
   Mi limitai ad esaminare mia sorella come avrebbe fatto un dottore di fronte ad un ammalato. L’aria era irrespirabile e mi tappai il naso con due dita.
   “Ehi!” esultò Moana senza distogliere l’attenzione dal videogioco. “Chi ti ha dato il permesso di entrare? Non vedi che sono occupata?”.
   “Che ne diresti di fare una doccia?”.
   “Che ne diresti di andare a fanculo?” mi rispose, allora a quel punto andai a spegnergli la tivù e lei andò su tutte le furie. 
   “Ehi, che cazzo fai?” urlò. “Ma cosa ti prende?”.
   Le misi le mani dentro l’elastico dei pantaloni della tuta e glieli strappai via insieme al perizoma, e poi le tolsi anche la parte di sopra, ma non fu facile perché lei continuava a divincolarsi e a scalciare rendendomi quell’operazione molto complicata. Adesso era nuda, ma era davvero messa male. Non si sfoltiva la fighetta da una settimana, quindi aveva un cespuglietto folto biondo che si espandeva sempre di più di giorno in giorno. Per non parlare del fatto che in faccia aveva la sborra rappresa dell’ultima volta che aveva fatto l’amore con Berni, il quale le aveva sborrato sul viso e lei non si era neppure premurata di sciacquarsi.
   “Lasciami in pace, gorilla” mi disse. “Non ho voglia di chiavare” poi guardò in basso, verso il suo cespuglietto. “Vuoi questa, vero? Mi dispiace, ma al momento i miei buchi sono off limits, baby. Quindi fatti una sega se hai voglia di sborrare”.
   Le presi i polsi e la portai in bagno obbligandola perlomeno a fare la doccia, altrimenti non le avrei dato pace.
   “Fattela tu la doccia” mi disse.
   “No, tu”.
   “No, tu”.
   In quell’istante mia madre rientrò in casa e venne verso il bagno attirata dal nostro botta e risposta.
   “Ehi ehi! Che succede qui?” urlò.
   “Moana non vuole fare la doccia” dissi.
   “D’accordo” rispose mia madre sbottonandosi la camicia e mettendo a nudo le sue enormi tette. “La faremo tutti e tre insieme”.
   Poi si liberò della minigonna e del perizoma, a questo punto era completamente nuda come mia sorella.
   “E tu?” mi chiese. “Cosa stai aspettando? Togliti i vestiti”.
   Mi spogliai anche io, adesso eravamo tutti e tre nudi, ma la vista di mia madre, soprattutto delle sue tette e del suo culo, me lo fece diventare duro in pochi istanti. Ma né lei né Moana diedero importanza a questo dettaglio. Piuttosto entrammo tutti e tre nel box doccia e mia madre aprì il rubinetto dell’acqua calda. Iniziammo a insaponarci a vicenda; io mi concentrai su mia madre, che mi dava le spalle, e quindi allungai le mani davanti verso le sue tette e cominciai a insaponargliele, a premerle una contro l’altra, mentre lei si dedicava a lavare i capelli di mia sorella. Il mio cazzo duro premeva in mezzo alle natiche di mia madre, lei se ne accorse e mi disse di stare buono.
   “Rocco, datti una calmata” mi disse.
   Ma lo spazio del box doccia era quello che era, non potevo farne a meno di strofinarle il cazzo addosso. Poi ad un certo punto sentii la mano di Moana che mi afferrava il cazzo dalla base e per scherzo me lo indirizzò contro la figa di mia madre, e lei ebbe un sussulto. Guardai mia sorella, stava ridendo, si divertiva a stuzzicarmi, e con il palmo della mano iniziò a premermi il glande affinchè entrasse tra le labbra di nostra madre.
   “Ehi!” urlò. “La smetti? Che stai cercando di fare?”.
   “Non sono io, è Moana che me lo sta spingendo dentro la tua figa”.
   Allora mia sorella scoppiò a ridere e venne a mettersi dietro alle mie spalle. Mia madre si girò verso di me e mi diede uno schiaffo, dicendomi che se non la smettevo avrebbe detto tutto a mio padre. Ma il mio cazzo dritto era ancora direzionato verso la sua figa, e mia sorella me lo afferrò di nuovo alla base e me lo spinse dentro nostra madre. Adesso ce l’avevo tutto dentro di lei, la quale spalancò gli occhi dallo stupore. Aveva il mio cazzo interamente dentro, e con Moana che mi stava dietro e che mi spingeva non c’era verso di tirarlo fuori.
   “Dai fratellone! Fottiti la mamma!” mi disse afferrandomi i fianchi e spingendomi avanti e indietro, in modo che il mio cazzo entrasse e uscisse dal corpo di nostra madre, la quale era con le spalle al muro, e a causa del ridotto spazio del box doccia non riusciva neppure a muoversi, ma cercava con poca convinzione di allontanarmi con le mani.
   “Ragazzi! Ma cos’è questa storia? Smettetela immediatamente! Dovreste vergognarvi”.
   Non immaginavo che un giorno avrei fatto una cosa del genere, e cioè che avrei fatto l’amore con mia madre, anche se in un certo senso era sempre stato uno dei miei sogni erotici più nascosti. Credevo che dovesse rimanere tale, un sogno erotico e basta, e invece stava avvenendo davvero, stavo penetrando mia mamma, grazie alla complicità di mia sorella. Ed era bellissimo, mia madre aveva una figa caldissima e entrarle dentro era una sensazione stupenda che non potetti fare a meno di afferrarle una coscia e tirarla su per agevolare la penetrazione. Ma ero così eccitato che le iniziai a schizzare dentro dopo pochi minuti. Mia madre se ne accorse, forse dal calore del seme contro le pareti della sua vagina e mi guardò sbalordita.
   “Non mi dirai che mi stai sborrando dentro?” chiese.
   “Sì mà, non ho resistito”.
   “Tiralo subito fuori!” mi ordinò, e mia sorella scoppiò a ridere.
   Lo feci uscire, ma ormai la mia sborra era dentro di lei. Mia madre si allargò la figa con due dita per vedere la situazione, e in effetti gliel’avevo riempita per bene.
   “Guarda che roba!” mi disse facendomi vedere le sue labbra di sotto sgocciolanti. “Ma quanta ne avevi?”.
   “Era bello carico, il mio fratellone” disse Moana dandomi una bella pacca sul sedere.
   Avevo combinato proprio un bel casino. Era ovvio che mia madre avrebbe raccontato tutto a mio padre, e a quel punto non so cosa sarebbe potuto accadere. Cosa stava succedendo? Ero appena diventato il rivale in amore di mio padre? Sembrava tutto così folle, quasi come in un sogno.

Rocco.    

giovedì 22 dicembre 2016

Orinatoio.


   E adesso eccoci qua, sono in ginocchio davanti all’attore che interpreta l’imperatore. Io sono nuda, ad eccezione dei miei bracciali e dei miei monili, simbolo del mio status di donna romana dell’alta società. Lui indossa una toga e in questo momento ne tiene sollevato un lembo e quindi ha il cazzo in erezione di fuori, puntato contro di me. Ecco, ci siamo, sta iniziando a orinare. Le videocamere sono puntate su di noi, ecco un filo dorato di urina zampillare fuori e colpirmi in pieno viso. Ha cominciato, è come una fontana, sembra non fermarsi più, e io ne vengo interamente investita, mi sento come sotto una cascata calda. Mi guardo intorno; vedo mio padre. È venuto ad assistere all’ultima scena del film. Me l’aveva promesso, aveva detto che mi sarebbe stato vicino anche durante le riprese di questa scena, che obbiettivamente era molto cruda. Ed era chiaro che essendo sua figlia non doveva essere un bello spettacolo per lui vedermi mentre un uomo sulla quarantina mi orinava addosso, dopo avermi penetrata sia analmente che vaginalmente.
   Eccomi trasformata in un orinatoio. Il getto rigoglioso mi piove sul corpo, chiudo gli occhi e alzo la fronte. Sono fradicia. Non vedo l’ora di fare una doccia per togliere via questo schifo. Devo solo aspettare che tutto sia finito. Con gli occhi chiusi adesso è tutto buio, sento solo lo scrosciare del getto, il calore dell’urina sulla pelle, la voce rassicurante di Berni che cerca di tranquillizzarmi: “brava tesoro, stai andando alla grande”.
   Il mio partner, cioè quello che mi sta orinando addosso, è un uomo tarchiato sulla quarantina. Non potevamo fare altrimenti, mi aveva detto Berni, per il ruolo dell’imperatore serviva un uomo sulla quarantina. Non poteva essere altrimenti. Ed eccolo qui, l’uomo tarchiato sulla quarantina, che sta orinando su di me, che ho solo vent’anni e potrei essere sua figlia. Ma lui non se ne frega niente, per lui sono solo una zoccola, e mi merito questo e altro.
   Accidenti quanto dura! Sembra più calda a contatto con i miei capezzoli. E scivola giù, verso il mio ombelico, e poi giù verso l’inguine e le labbra di sotto. Finalmente sento il getto che perde di consistenza, sta finendo, me ne arriva sempre di meno addosso fino a quando non cessa del tutto. A quel punto Berni grida: “Stop! Moana sei stata divina!”. Parte un caldo applauso da parte della troupe ma io ho ancora gli occhi chiusi e non riesco a vedere niente, ma riesco ad alzarmi e a scappare letteralmente verso il mio camerino, e poi dritta sotto la doccia. Apro il getto caldo e ci resto sotto per mezz’ora.
   Il film era finito, o perlomeno erano finite le scene in cui venivo penetrata. Adesso dovevamo girare la scena conclusiva, che non aveva nulla di porno. Il film, come già vi ho detto in precedenza, aveva un finale davvero cruento e infelice. Ricordate la trama del film? Era la storia della moglie di un senatore che viene concessa dal marito a destra e a manca affinchè gli vengano elargite delle concessioni edilizie. Il film finiva che dopo essere stata ceduta anche all’imperatore, la moglie del senatore, viene condannata a morte in quanto accusata di adulterio. Al marito vengono date le concessioni, e la moglie, cioè io, viene condotta al rogo.
   Adesso il film aveva bisogno di un distributore. Questa era la parte più difficile. Ma io non potevo farci nulla. Era infatti una cosa a cui doveva provvedere Berni. Per quanto mi riguarda io avevo bisogno di una vacanza, o comunque di starmene un po' per conto mio. La troupe organizzò una festa per festeggiare la buona riuscita del film, ma io probabilmente non ci sarei andata. Non ne avevo per niente voglia. I giorni che seguirono alle riprese me ne stetti per conto mio a casa. Ogni tanto veniva a trovarmi Berni, mi faceva sua e poi se ne andava. Provò varie volte a invitarmi a uscire, ma io gli dissi sempre che avevo bisogno di starmene per conto mio per qualche giorno, ma che comunque lui poteva venirmi a trovare, e poteva possedermi ogni volta che voleva. Ma per quanto riguarda il mondo esterno, avevo proprio bisogno di prendermi una bella pausa.   
   Non so cosa mi era preso. Avevo cominciato a regredire ad uno stato animale, e non mi premuravo neppure di curare la mia igiene personale. I peli sulle cosce stavano diventando davvero osceni, non mi lavavo i denti da qualche giorno, e i capelli erano scomposti come quelli di una strega, e giravo per casa sempre con la solita tuta da ginnastica, che iniziava a fare una strana puzza di sudore rappreso. Non capivo come facesse Berni ad avere il coraggio di scoparmi ugualmente.
   “Davvero vuoi fare l’amore con me?” gli domandavo quando veniva a trovarmi. “Non vedi le mie condizioni? Faccio schifo”.
   “Moana, ti assicuro che è impossibile che tu faccia schifo”.
   “Hai guardato bene le mie gambe?” e mi tiravo su l’orlo dei pantaloni della tuta. “Sembro una scimmia” gli dicevo mettendo in mostra il mio folto pelo che avevo in quei giorni.
   Ma lui mi diceva che ero porca lo stesso, e allora mi chiavava, e dopo avermi sborrato o in faccia o dentro, se ne andava. Berni in quei giorni si stava dando molto da fare per trovare un distributore per il suo film. Aveva contattato anche delle piattaforme online che avevano sede negli Stati Uniti. Cominciavo a credere che tutto quel lavoro che avevamo fatto era stato inutile, che mi ero fatta pisciare addosso senza motivo.
   Intanto più passavano i giorni e più cominciavo a puzzare come una capra. Mia madre me lo fece notare un giorno a cena. Mi disse che forse era il caso che mi facessi una doccia e cambiassi quella tuta da ginnastica, che ormai era diventata un tutt’uno con la mia pelle.
   “Lasciami in pace, mà” le dissi, “non credo di averne voglia”.
   “Beh, fattela venire questa voglia, perché stai appestando tutta la casa. Nella tua cameretta non ci si può entrare; sembra una tana con la carcassa di un animale morto in decomposizione”.
   Aveva ragione. Non sistemavo la mia camera da giorni e giorni. C’erano tutti i calzini e i perizomi appallottolati e lanciati per terra. C’era il letto invaso dalle cartacce delle caramelle e della cioccolata di cui in quei giorni mi nutrivo. Sotto le lenzuola erano sparse alcune patatine al formaggio che avevano impuzzolentito tutte le lenzuola. Insomma, era un vero inferno. E nonostante questo Berni aveva ancora il coraggio di venirmi a trovare ogni giorno e fare l’amore con me, in mezzo a quella sporcizia, e con tutto il cattivo odore che emanavo. Ma era solo una fase passeggera. Ero sicura che mi sarei ripresa. Forse.

Moana.

martedì 20 dicembre 2016

Tutto ciò che desideri.

(in foto: Jenny, Let The Fun Begin, WTFPass.com)


   Mi rimisi il perizoma e ritornai da Berni. Avevo la figa in fiamme. Non avevo mai preso un cazzo così grosso come quello di Jeffri. E comunque subito notai che Berni era d’umore nero. Mi sentivo un po' in colpa per quello che avevo appena fatto, ma allo stesso tempo mi sentivo appagata.
   Vidi Berni prendere le sue cose e avviarsi verso il cancello del parco senza neppure salutarmi. Lo raggiunsi per chiedergli spiegazioni. Era chiaro che il fatto che fossi sparita di punto in bianco lo aveva insospettito. Non sapevo ancora che in realtà mi aveva vista fare l’amore con Jeffri.
   “Tesoro, dove stai andando?” gli chiesi, ma lui continuava a camminare spedito senza neppure guardarmi.
   “A casa. Voglio starmene per conto mio se non ti dispiace”.
   “Ma cosa ti ho fatto?” gli chiesi allarmata.
   “Lo sai benissimo cosa hai fatto” rispose lui. “Sono molto deluso, non credevo che tu fossi così”.
   “Così come?” domandai.
   “Così puttana” mi disse e poi si girò verso di me. “Ti ho vista, cosa credi? Ti ho vista mentre ti facevi sbattere da quello lì”.
   Non sapevo cosa dire. D’altronde non potevo difendermi in nessun modo. L’avevo fatta grossa, lo so, e chiaramente lui non mi voleva più. Così abbassai gli occhi per la vergogna di essere stata scoperta. Non volevo che Berni mi lasciasse per una scappatella, d’altronde io lo amavo, anche se a letto non era un fenomeno come Jeffri.
   “C’è qualcosa che posso fare per farmi perdonare?”.
   “Non credo”.
   “E se venissi a casa tua e ti lasciassi fare di me ciò che vuoi? Qualunque cosa. Ti va di sborrarmi in faccia? O magari in bocca. Ti posso leccare le palle se vuoi. Ti piace tanto quando lo faccio. Ti lascerò fare tutto ciò che desideri”.
   Berni un po' controvoglia acconsentì a portarmi a casa con lui. Avrei dovuto lavorare sodo per farmi perdonare, ma ero sicura che ci sarei riuscita. Avevo appena diciotto anni, ma ero abbastanza brava a far godere gli uomini. Conoscevo già molti trucchetti per procurare loro il massimo godimento. Ma lungo la strada di casa Berni non mi diceva una parola; camminava avanti senza permettermi di raggiungerlo. Cercavo di stare al suo passo, ma lui si teneva sempre un passo più avanti. Feci un balzo per raggiungerlo e gli presi amorevolmente la mano, ma lui non volle e allora lasciai la presa.
   “Quello che hai fatto è imperdonabile” mi disse, e io non risposi per non irritarlo ulteriormente, ma nella mente passavo in rassegna tutte le cose che gli avrei potuto fare una volta giunti a casa per fargli dimenticare l’accaduto. C’era una specialità che sapevo fare, che avevo fatto una sola volta con un ragazzo conosciuto in vacanza, una cosa che mi aveva dato appagamento e che aveva fatto godere come un matto lui. Ero sicura che se l’avessi fatto anche a Berni lui mi avrebbe perdonato qualunque cosa. O forse no, non lo sapevo, ero molto confusa. Non sapevo con certezza cosa avrei dovuto fare una volta giunti a casa sua, sapevo solo che avrei dovevo darmi da fare come non mai.
   Eravamo quasi arrivati, e Berni continuava a camminare spedito per assicurarsi che fossi abbastanza distante da lui. Non voleva che ci fosse alcun contatto tra di noi, e soprattutto non voleva sentire la mia voce. Non mi voleva. Ma il problema era che io volevo lui, e avrei fatto qualunque cosa pur di riconquistarlo.
   A casa sua i suoi genitori non c’erano; erano entrambi a lavoro. Non sapevo esattamente come procedere, perché Berni si mise sul divano a giocare con la playstation, ignorandomi completamente. Allora mi misi al suo fianco e cominciai a baciargli il collo e ad accarezzargli il petto, ma lui niente, era come se non esistessi. Allora gli tirai giù la lampo dei jeans e infilai dentro una mano e afferrai il suo cazzo, che al momento era a riposo, ma nel giro di qualche secondo si indurì in modo osceno, e la cosa mi rese molto felice.
   “Aaahhh!” esultai e glielo tirai fuori. “Ben svegliato!”.
   Ma lui continuava a fare finta che quello che stavo facendo non lo riguardava, e continuava a giocare con la play senza staccare mai gli occhi dallo schermo. Era un gioco di guerra, o qualcosa del genere. In ogni modo mi avvicinai con la bocca al cazzo e tirai fuori la lingua leccandolo dalla base fino a sopra.
   “Mi perdoni?” gli chiesi, ma lui mi rispose con un grugnito. In effetti una leccatina era un po' poco per farmi perdonare. E allora gli slacciai la cintura e gli tolsi i pantaloni e gli slip insieme. Adesso era nudo dalla vita in giù. Mi misi in ginocchio tra le sue gambe e iniziai a leccargli e succhiargli le palle. Era una cosa che lo faceva letteralmente impazzire. Gli piaceva da matti quando glielo facevo, eppure quella volta fece finta di non provare niente, nonostante ci stessi mettendo tutta me stessa per farlo godere. Allora decisi di adottare quella specialità che sapevo fare, che avevo fatto solo una volta nella mia vita ma che sapevo che non lo avrebbe lasciato indifferente. E allora gli strappai il joystick dalle mani e lui protestò un po', poi gli alzai le gambe e con la bocca mi diressi sotto, tra le palle e l’orifizio anale, leccando in quella zona che odorava intensamente di sudore e “altro”. Poi con la lingua raggiunsi definitivamente il buco del culo. Era la prima volta che facevo una cosa del genere a Berni e non sarebbe stata l’ultima.
   “Ti piace?” gli chiesi.
   “È… bellissimo” rispose con un filo di voce. Finalmente ero riuscita a trovare il suo punto debole, e allora lo sfruttai per bene, succhiandoglielo e leccandoglielo senza sosta. Però c’era qualcosa che non andava con la sua coscienza, e allora disse: “Moana… non devi”.
   “Perché?”.
   “Perché mi sembra di mancarti di rispetto”.
   “Non mi stai mancando di rispetto, perché sono anche io a volerlo. Se lo faccio è perché mi piace, e so che piace anche a te”.
   E allora continuai, poi facemmo l’amore lì sul divano, e prima che Berni venisse gli dissi che poteva sborrarmi in faccia. Ma lui mi disse categoricamente di no, che quella sì che era una cosa irrispettosa. E allora cercai di fargli capire che no, non lo era, poiché lui era il mio fidanzato, e non c’era niente di male se mi veniva sul viso. Ma lui disse che preferiva di no, non era ancora pronto. E non lo sarebbe stato per ancora molto tempo. Dopo un anno, come sapete, Berni era riuscito a superare quello scoglio, e mi schizzava in faccia spesso ad ogni fine rapporto. E io lo adoravo quando lo faceva, e mi mettevo sempre lì in posa ad aspettare i suoi schizzi, che arrivavano sempre copiosi e caldi.
   Berni preferì sborrarmi sulla pancia, e comunque a me andava bene.
   “E allora… mi perdoni?” gli chiesi.
   “Certo che ti perdono amore” mi rispose accasciandosi su di me e baciandomi dappertutto. Era fatta. E quel giorno capii una cosa, che non c’era niente di meglio che una bella scopata per farmi perdonare le porcate che facevo con gli altri uomini. Perché sarebbe capitato anche altre volte, me lo sentivo. Ero fatta così. Non ci potevo fare nulla. Avrei avuto tante altre scopate da farmi perdonare. Amavo Berni alla follia, non volevo che mi lasciasse, ma non volevo neppure rinunciare ad avere altri uomini.

Moana.

domenica 18 dicembre 2016

Le prime corna.


   È vero, la prima volta che Moana mi ha messo le corna è stata con Jeffri. Era già da qualche giorno che li vedevo flirtare, ed era come se sapessi che prima o poi sarebbe successo. Non sapevo quando, non sapevo dove, ma sapevo che presto Jeffri si sarebbe scopato la mia fidanzata. Non so come faceva, ma lui aveva un certo fascino, le ragazze non sapevano dirgli di no. Forse per la nomina che si portava dietro; si diceva infatti che avesse un cazzo notevole. Forse era questo che attirava le ragazze, forse volevano scoprire se quella diceria fosse una cosa reale oppure appunto una diceria e basta. In ogni modo Jeffri si era fatto tutte le ragazze più gnocche della scuola. Nei bagni dei maschi non si parlava d’altro: “hai sentito? Jeffri si è scopato anche Giorgia”, per esempio. Oppure: “hai sentito, Lorella ha fatto un pompino a Jeffri negli spogliatoi della palestra”. Insomma, Jeffri era l’idolo di noi maschi perché lo vedevamo come una specie di eroe da imitare, ed era l’idolo delle femmine perché era per loro una specie di maschio alpha, un maschio dominante superiore a noi altri.
   Jeffri, come dicevo, si era fatto tutte le ragazze più gnocche della scuola. Mancava all’appello soltanto Moana, che era la mia fidanzata, e che era certamente una delle ragazze più gnocche della scuola. E tutti si chiedevano: “come mai Jeffri ancora non si è scopato la fidanzata di Berni?”. E questa cosa mi mandava al manicomio, anche perché avevo notato che tra loro due era nata una certa simpatia, e questa simpatia era poi sfociata in un flirt continuo e senza freni. A poco alla volta stava succedendo ciò che in qualche modo era ovvio che sarebbe successo, e cioè Moana stava cedendo alle avance di Jeffri, e io stavo per beccarmi le mie prime corna, le prime di una lunga serie che hanno caratterizzato la nostra lunga relazione d’amore. 
   In ogni modo quel giorno, come vi ha già raccontato Moana, noi e un bel gruppetto di amici, avevamo deciso di andare al parco anziché andare a scuola. C’era anche Jeffri, il quale non la smetteva di provarci con Moana, anche in mia presenza, e questo mi stava mandando su tutte le furie. Poi, ad un certo punto, mentre ero impegnato in una partita di calcio, persi di vista a entrambi. Allora a quel punto capii che stava succedendo. Sì, Jeffri si stava impossessando della mia fidanzata, chissà dove. Il parco era molto grande, agli occhi di un turista poteva sembrare addirittura infinito. Era infatti un tempo la riserva di caccia di un re, celebre in tutto il mondo, e adesso si stava trasformando sotto i miei occhi nel luogo in cui la mia fidanzata mi stava cornificando. In principio il fatto che fossero entrambi scomparsi dalla mia visuale mi fece arrabbiare così tanto che decisi di adottare la tecnica dell’indifferenza. Ormai lei non era più mia, dovevo farmene una ragione. Ma poi mi prese una specie di scatto d’orgoglio; dovevo fare qualcosa. Dovevo riappropriarmi di qualcosa che era mio. E allora mi misi a cercarli. Ma da dove potevo cominciare? Come già vi ho detto il parco era immenso. Avrei potuto girare per delle ore senza trovarli da nessuna parte. Chissà in quale anfratto si erano andati a cacciare.
   Cominciai a correre come un disperato, e a un certo punto persi anche le speranze. Poi però quando stavo per ritornarmene indietro allora li vidi. Stavano in uno spiazzo circondato da una vegetazione fitta. Moana era seduta su un tavolo di legno da picnic, come ce n’erano tanti disseminati nel parco. Aveva le gambe aperte e la minigonna tirata sui fianchi. Aveva tolto il perizoma e Jeffri stava inginocchiato davanti a lei, con il viso in mezzo alle sue cosce, e gli stava leccando la fighetta. Erano lontani da dove mi trovavo io, ma li vedevo bene, e loro non potevano vedere me, perché ero nascosto dietro ad un albero. Però vedevo chiaramente che Jeffri stava facendo un buon lavoro con la bocca, lo vedevo infatti dall’espressione di piacere che aveva la mia fidanzata. Quando godeva aveva un’espressione imbambolata, con le pupille tirate verso l’alto, quasi come se stesse perdendo i sensi.
   Non sapevo come comportami, se uscire allo scoperto e mettermi a fare un casino oppure lasciarli finire. Poi decisi di assistere fino alla fine, così da avere le prove dell’infedeltà della mia fidanzata, e rinfacciarglielo alla prima occasione. Ero sicuro che la notizia si sarebbe diffusa in tutta la scuola, Jeffri lo avrebbe raccontato a chiunque; alla sua lunga lista di aggiungeva un’altra gnocca, Moana. E a quel punto io sarei diventato agli occhi di tutti un cornuto, e la mia fidanzata una puttanella. Era inevitabile.
   Ad ogni modo, dopo averla fatta godere con la bocca Jeffri si mise in piedi, poi prese Moana per i fianchi e la fece scendere dal tavolo. Si tirò giù la lampo dei jeans e fece uscire fuori il suo enorme cazzo nero; era vero quello che si diceva in giro, e cioè che Jeffri era un superdotato. Aveva un cazzo notevole. E quando Moana lo vide spalancò gli occhi, quasi non poteva crederci. E allora scoppiò a ridere, poi disse: “che sventola!”. Lui non perse tempo, stando dietro alla mia fidanzata gli indirizzò il cazzo contro le labbra di sotto e glielo fece entrare lentamente. Moana era immobile, aspettò pazientemente che Jeffri fosse completamente dentro. A quel punto lui la prese con decisione per i fianchi e iniziò a scoparsela. Ogni tanto si guardavano intorno per assicurarsi che non venisse nessuno. Ma era un anfratto molto nascosto, era improbabile che qualcuno potesse vederli (a parte me).
   Dovetti riconoscere che Jeffri si fece la mia fidanzata in modo davvero impeccabile; voglio dire, non era facile fare l’amore in quella posizione, stando in piedi. Eppure per lui sembrava una cosa molto naturale. E Moana lo lasciava fare, si lasciava penetrare senza muoversi neanche un po', lasciava tutto il lavoro a lui, si limitava soltanto a godere e con una mano si teneva ancorata al tavolo da picnic, perché le spinte di Jeffri erano così decise che forse aveva paura di perdere l’equilibrio.
   “E allora… chi è più bravo a fare l’amore, io o Berni?” le chiese.
   “Non ci sono dubbi. Sei più bravo tu. Scopi da dio!” rispose Moana.
   E in effetti come negarlo. Era veramente un professionista, e io invece ero solo una mezza sega e dovevo rassegnarmi. Ormai Moana era sua. Da quel giorno, pensai, potevo dire addio alla mia fidanzata. Era durata anche troppo quella storia. D’altronde come avevo potuto soltanto immaginare che una gnocca come Moana potesse stare con uno come me? Moana era una di quelle ragazze che meritavano il meglio, soltanto gli stalloni da monta doc. A scuola era un vero e proprio idolo del sesso; i ragazzi non parlavano che di lei, e ognuno di loro sognava di andare a letto con lei. Come potevo io mettermi al di sopra di tutti gli altri? Come avevo soltanto potuto pensarla una cosa del genere? Moana non era la ragazza giusta per me. Dovevo cercarmi una fidanzata più alla mia portata. In genere quelle come lei i tipi come me non li guardavano neppure. Dovevo farmene una ragione. Quindi stavo per andarmene sconfitto; Moana ormai apparteneva a Jeffri. Ma poi sentii lui che le diceva:
   “Cosa aspetti a lasciarlo?” si riferiva a me. “Tu meriti molto di meglio”.
   “Eh no” rispose lei. “Puttana sì, ma infedele mai. Io sono sua e quindi il mio cuore appartiene a lui”.
   “Contenta tu…”.
   Quelle parole mi riempirono di gioia. Moana amava davvero me, e se quella con Jeffri era solo una scappatella potevo anche perdonarla. D’altronde perché rovinare tutto per colpa della gelosia? Certo, quello a cui stavo assistendo era certamente molto doloroso per me; un altro uomo stava possedendo la mia fidanzata. Però non era un tradimento completo, era solo un tradimento fisico, quindi in fin dei conti potevo passarci su. Il guaio era che avrei dovuto fare finta di niente tantissime altre volte, come ben sapete. Moana non sapeva resistere alla tentazione di avere altri uomini oltre a me. Ma in un certo senso era il prezzo che dovevo pagare per stare insieme ad una ragazza tanto desiderata come lei. 
   E proprio in quell’istante vidi Jeffri uscire di colpo dal corpo di Moana; stava per mettersi a sborrare, ed era riuscito a farlo uscire in tempo, e i fiotti le schizzarono copiosamente sul culo. Accidenti, era una fontana! Le natiche della mia Moana ne erano completamente ricoperte. A quel punto decisi di allontanarmi e ritornare al punto in cui eravamo prima. L’avrei aspettata e gliene avrei dette quattro.

Berni. 

venerdì 16 dicembre 2016

Povero Berni.

(in foto: Scarlet Sage, Rich Blond Girl First Huge Black Cock, Blacked.com)


    Come dicevo nel post in cui vi raccontavo dell’iniziazione al sesso anale di Elena, quel giorno dovevo andare sul set a conoscere l’attore che avrebbe fatto la parte dell’imperatore. Tutto dipendeva da me. La troupe voleva la mia approvazione, e poi finalmente ci saremmo avviati verso la conclusione del film. Povero Berni; ci stava mettendo anima e corpo in quel film, e io invece mi stavo comportando come una stronzetta, arrivando tardi sul set e avanzando pretese sempre più assurde. E il fatto, come già vi ho detto, è che venivo sempre accontentata.
   Ma come faceva a sopportarmi ancora? Certe volte me lo chiedevo. Soprattutto dopo tutte le corna che gli avevo messo da quando ci eravamo messi insieme. Ero stata proprio una zoccola, lo ammetto. Avevo cornificato il mio uomo senza ritegno e lui mi aveva sempre perdonata.
   La prima volta che gli ho messo le corna è stata quattro mesi dopo che ci siamo messi insieme. Era l’ultimo anno di scuola, lo ricordo come se fosse ieri. Lui si chiamava Jeffri, era originario del Ghana, però era nato in Italia e era italiano a tutti gli effetti. Ricordo che ogni mattina prendevo l’autobus, dove incontravo tutti gli amici di scuola tra cui c’erano anche Berni e Jeffri. L’autobus era sempre affollato fino all’inverosimile; trovare posto a sedere era un’impresa. Solo Jeffri ci riusciva, che saliva al capolinea, e un giorno mi offrì di sedermi in braccio a lui. Io gli dissi di sì e a Berni questa cosa non piacque affatto, perché Jeffri ci godeva ad avermi lì, seduta sul suo pacco, che puntualmente si induriva come il marmo, e io mi sentivo il suo enorme cazzo duro contro il culo.
   Berni mi guardava da lontano in cagnesco, mentre Jeffri mi teneva le braccia intorno alla vita e mi diceva cose porche sotto voce. Tipo che gli sarebbe piaciuto incularmi e scoparmi la bocca, e io facevo la finta offesa e gli davo degli schiaffi sulle gambe, ma in realtà ci godevo a sentirmi dire quelle cose. Mi sarebbe piaciuto che anche Berni mi dicesse cose così, ma invece non lo faceva, perché credeva che facendo così mi mancasse di rispetto.
   Un giorno organizzammo di marinare la scuola in massa; l’idea nacque proprio sull’autobus. Qualcuno avanzò la proposta e dopo cinque minuti erano tutti d’accordo che quel giorno invece di andare a fare il nostro dovere ce ne saremmo andati a cazzeggiare al parco. Jeffri era su di giri; anche quel giorno ero seduta su di lui, e avevo una minigonna in cui spesso le sue mani si intrufolavano per toccarmi sotto, e io puntualmente gliele allontanavo, perché non mi andava di dare spettacolo in un autobus affollato come una scatola di sardine. Poi Jeffri mi disse che l’idea di andare al parco invece che andare a scuola era una bellissima idea, così potevamo imboscarci tra la vegetazione e farci una bella scopata.
   “Vacci piano Jeffri, sono fidanzata con Berni” risposi. “E si da il caso che anche lui verrà al parco con noi. Quindi non vedo proprio nessuna possibilità di imboscarci”.
   Berni infatti era dall’altra parte dell’autobus, e ci guardava in modo sospettoso. Non gli piaceva affatto il modo in cui flirtavo con Jeffri. E era chiaro che una volta giunti al parco non mi avrebbe lasciata un attimo, e se mi avesse visto allontanare con Jeffri avrebbe dato di matto. Quindi davvero non c’era alcuna possibilità che io e lui potessimo allontanarci senza che lui se ne accorgesse.
   Inoltre Berni non vedeva di buon occhio Jeffri perché quest’ultimo era noto a tutti per essersi montato le ragazze più belle della scuola. Mancavo solo io all’appello, ma a quanto pare ero la prossima della lista. Jeffri era un vero rubacuori; avevo molte amiche che ci avevano fatto l’amore, e tutte dicevano che era stato formidabile, e inoltre che era molto dotato. E di questo me n’ero accorta anche io, standogli seduta in braccio sull’autobus praticamente ogni giorno. Ogni giorno appena mi sedevo su di lui non sentivo niente, ma subito dopo una manciata di secondi iniziavo a sentire che si induriva fino a raggiungere dimensioni davvero incredibili. E non vi nascondo che questa cosa mi faceva venire l’acquolina in bocca. Quindi l’idea di imboscarmi con lui nel parco non mi dispiaceva affatto. Ma con Berni alle calcagna sarebbe stato difficile.
   E così quel giorno scendemmo dall’autobus e salimmo su un altro che andava al parco. Anche qui mi misi a sedere su Jeffri, il quale lungo il tragitto iniziò a stuzzicare i miei bollenti spiriti elencandomi la lista delle sue “vittime”, in cui mi disse presto sarei entrata anche io.
   “E sentiamo, chi sarebbero queste vittime?” gli chiesi divertita.
   “Giorgia, quella della sezione B. Ce l’hai presente?”.
   “Sì”.
   “Me la sono fatta a casa sua. I genitori erano andati a cena fuori e quindi lei aveva casa libera. Mi ha dato anche il culo”.
   “Anche il culo? Accidenti. E poi?”.
   “Fabiola, quella della sezione C. La conosci?”.
   “Sì, quella con i capelli rossi. Ma non è fidanzata?”.
   “Sì, è fidanzata. Ma io non sono uno che si fa scrupoli. Se una ragazza mi piace, fidanzata o meno, me la faccio”.
   “Che bravo. E poi?”.
   “Alessia, quella della sezione A. La conosci?”.
   “Sì, quella che sembra una modella”.
   “Esatto, e fa certi pompini che sono la fine del mondo. E poi alla fine si fa anche sborrare in faccia. Tu piuttosto, come te la cavi con la bocca?”.
   “Credo di essere abbastanza brava”.
   “Non vedo l’ora di scoprirlo”.
   “E chi te lo dice che riuscirai ad avermi?” dissi in tono di sfida.
   “Allora non lo hai capito ancora che hai le ore contate? Rassegnati, oggi entrerai nella lista delle mie vittime”.
   “Oh!” risposi prendendolo in giro. “Che paura!”.   
   Intanto Berni continuava a guardarci da lontano, ci teneva sotto controllo, si accertava che Jeffri non facesse troppo il maiale con me. Ogni tanto io lo guardavo e gli sorridevo, come per tranquillizzarlo e fargli capire che era tutto a posto, che non aveva nulla da temere, che gli sarei rimasta sempre fedele. Ovviamente era una balla. L’idea di imboscarmi con Jeffri mi eccitava da morire. Bisognava trovare solo il sistema di farlo senza che Berni se ne accorgesse.
   Povero Berni. Chissà che pene dell’inferno stava soffrendo nel vedermi flirtare insieme a un altro. E non era un altro qualsiasi, era colui che aveva la nomina di essersi montato le ragazze più gnocche della scuola. Probabilmente aveva paura che sarei potuta essere la prossima. In ogni modo arrivammo al parco; eravamo circa una trentina, freschi diciottenni con voglia di divertirsi. E qualcuno aveva anche portato il pallone. C’erano tutti i presupposti per una giornata piacevole, ma Berni era d’umore nero, e seguiva me e Jeffri come un cagnolino, senza mai perderci d’occhio. Ad un certo punto Jeffri mi diede una gran pacca sul sedere e Berni perse le staffe.
   “Ehi, tieni giù le mani! Moana è la mia fidanzata” disse.
   “Che ho fatto?” chiese lui facendo finta di non capire. “Le ho dato una pacca sul sedere, mica le ho infilato un dito in culo?”.
   Il parco era mezzo vuoto. In mezzo alla settimana era sempre così. C’era una gran pace. Poi nei fine settimana si riempiva di famigliole e di bambini che correvano a destra e a sinistra. Ci mettemmo a sedere sul prato, qualcuno cominciò a fare due tiri con la palla, altri tirarono fuori sigarette e addirittura c’era qualcuno che aveva portato dell’erba. Dopo un po' venne allestito un campo da calcio, facendo i pali delle porte con gli zaini, e quindi alcuni di noi cominciarono a giocare. Per un po' giocò anche Jeffri, e quindi Berni ebbe modo di parlarmi e dirmene quattro sul mio comportamento di quei giorni.
   “Che cosa ci trovi in lui?” mi chiese.
   “Io?” risposi stupita. “Assolutamente niente. Lo sai che amo solo te”.
   “E allora perché continui a fare la gatta morta con lui?”.
   “Io? Mi sa che ti sbagli, Berni. Io non faccio la gatta morta con lui”.
   E invece lo facevo e come. Anzi, stavo facendo proprio la zoccola.
   Ad un certo punto Jeffri chiamò Berni e lo invitò a unirsi alla partita di calcio. Pensai subito che fosse un modo per riappacificarsi con il mio fidanzato, per fargli capire che non aveva nulla da temere. In principio Berni disse di no, ma lui insistette così tanto che alla fine andò anche lui. Guardai i miei due contendenti giocare a calcio, buttarsi contro gli avversari e cercare in ogni modo di segnare. Poi Jeffri ad un certo punto venne verso di me e mi disse di fare come gli dicevo, e cioè di incamminarmi laggiù, dove la vegetazione era più fitta, e di aspettarlo. Lui mi avrebbe raggiunta quanto prima.
   “Non se ne parla proprio. A Berni cosa gli racconto?”.
   “Non vedi che Berni è impegnato a giocare? Quando si accorgerà della tua assenza sarà troppo tardi, perché sarai diventata già mia”.
   Non potevo dirgli di no. Stavo aspettando quel momento da quando avevo cominciato a flirtare con lui. E allora mi alzai e andai verso la fitta vegetazione. Berni non si accorse di nulla. Stavo per imbattermi in un’avventura davvero storica, e cioè per la prima volta stavo per mettere le corna al mio fidanzato. E così mi feci strada tra gli alberi percorrendo un sentiero stretto che mi portò in uno spiazzo isolato. C’erano un tavolino e una panca da picnic, decisi di aspettare lì l’arrivo di Jeffri, che non avrebbe tardato a raggiungermi. Era tanta la voglia di avermi che ero sicura che non avrei dovuto aspettare molto per vederlo comparire sul sentiero che avevo appena percorso. Era solo questione di minuti.

Moana.

mercoledì 14 dicembre 2016

lunedì 12 dicembre 2016

sabato 10 dicembre 2016

Una moglie puttana.


    Stefano fermò la macchina in un parco. Il posto era piuttosto squallido; era alle spalle di un centro direzionale, con dei palazzoni e delle torri che svettavano verso l’alto, e in basso c’era questo parco dove spesso bazzicavano le coppiette con guardoni annessi a spiarne le loro performance. Era un posto terribile dove fare l’amore, illuminato appena da un paio di lampioni. In verità avevo sperato che mi portassero in un motel, che certamente ci avrebbe dato più sicurezza e più privacy. Invece lì poteva vederci chiunque. Ma comunque era mezzanotte, e apparentemente sembrava non esserci nessuno.
   Uscimmo dalla macchina e mi guardai intorno. Non mi sentivo affatto sicura. Stavo per dire che forse era meglio andare in un altro posto, ma Xavier non mi diede nemmeno il tempo di fiatare. Mi spinse contro il cofano della macchina facendomici stendere con la schiena sopra. Poi iniziò a sbottonarmi gli hot pants di pelle che indossavo e me li sfilò. Adesso ero nuda ad eccezione del top che mi copriva a malapena le tette, avevo le gambe aperte pronta per essere penetrata, e aspettavo in modo inerme che qualcuno di loro due si facesse avanti. A quel punto si sbottonarono i jeans e se li tirarono giù, ma senza toglierli, e i loro cazzi già in erezioni svettarono verso l’alto, proprio come le torri del centro direzionale alle nostre spalle. Stefano mi si mise sopra e appoggiò il glande contro le mie labbra di sotto; gli sarebbe bastata una spinta per farlo entrare tutto nella sua interezza, ma Xavier lo fermò bruscamente.
   “Ma che fai? Sei pazzo? Te la vuoi fottere così, senza protezione?”.
   In effetti non ci avevo pensato neppure io. Per me era una cosa del tutto naturale fare l’amore con Stefano senza preservativo. Ma mi dimenticavo che in quel momento io non ero la moglie di Stefano, ma una puttana qualsiasi con cui mio marito stava per avere un rapporto.
   “Non vorrai mica prenderti una malattia?” gli chiese. “Chissà quanti cazzi ha già preso”.
   “Hai ragione” disse mio marito, e Xavier gli diede un preservativo. Lui lo scartocciò e se lo arrotolò sul cazzo fino alle palle. A quel punto era pronto per entrarmi dentro. Ecco il glande che si faceva strada dentro di me, e poi tutto il resto. Stefano mi afferrò per le caviglie tenendomi le gambe aperte e iniziò a scoparmi d brutto. Xavier intanto anche lui si era srotolato un preservativo sul cazzo, a breve sarebbe stato il suo turno. Intanto mi prese il top e me lo tolse. Adesso ero completamente nuda, e la cosa mi metteva seriamente a disagio. Nuda in mezzo ad un parco pubblico. Cosa sarebbe successo se fosse arrivato qualcuno?
   Intanto mio marito mi stava fottendo come una furia, poi però ad un certo punto uscì dal mio corpo per fare spazio al suo amico, il quale anche lui mi prese le caviglie tenendomi le gambe divaricate e mi fece entrare il suo cazzo dentro, e iniziò a fottermi di brutto. Il cofano era molto caldo, perché il motore era stato acceso fino a poco fa, quindi cominciai a sudare come una cagna, e il sudore mi faceva scivolare verso il basso, e quindi con le mani dovevo cercare di ancorarmi per non cadere. Mentre Xavier mi fotteva mio marito mi mise il cazzo in bocca, e io glielo succhiai. Era strano sbocchinarlo con il preservativo; era una cosa che non avevo mai fatto. Il sapore del lattice non era proprio di mio gradimento, ma non potevamo fare altrimenti, sennò il gioco perdeva credibilità.
   Ad un certo punto Stefano si allontanò da noi, fece il giro della macchina per raggiungere il bagagliaio, lo aprì e prese qualcosa. Poi ritornò da noi e vidi che reggeva nella mano una bottiglia di spumante e due bicchieri e disse che bisognava festeggiare. Ma cosa? Mi chiesi. Cos’era che dovevano festeggiare. Stava per succedere qualcosa di cui io ero tenuta all’oscuro. Ma d’altronde io non ero che una puttana, un loro svago, uno sborratoio. Allora Stefano aprì la bottiglia facendo schizzare via il tappo di sughero e versò lo spumante nei due bicchieri, e uno lo passò a Xavier che nel frattempo continuava a scoparmi con decisione.
   “Al nostro ambizioso progetto” disse Stefano alzando il calice e ficcandomi di nuovo il cazzo in bocca.
   “Al progetto” confermò Xavier, e bevvero lo spumante.
   Mi chiedevo di quale progetto stavano parlando. Chi era quello Xavier? E perché aveva deciso di coinvolgerlo nel nostro gioco dei ruoli. In ogni caso era veramente bravo a scoparmi. Instancabile. Però anche Stefano voleva la sua parte di me, e così decisero di fottermi insieme, e allora mi fecero scendere dal cofano e mio marito si mise al posto mio. Io mi misi sopra di lui e il suo cazzo mi entrò in figa. Xavier mi stava dietro, salì sul cofano con i piedi e inarcò le gambe e si calò verso di me per mettermi il suo palo nel culo, che entrò senza problemi, e a quel punto cominciarono a montarmi in due. Io non facevo che guardami intorno, ero molto nervosa, poteva arrivare chiunque e vederci, ma per fortuna il parco era ancora deserto. Certo che potevano portarmi anche in un posto meno squallido di quello. Mi sarei accontentata anche di un motel di serie b, di quelli che di solito stanno vicino alle stazione ferroviarie, dove di solito ci andavano le puttane coi loro clienti.
   Mi beccai anche un paio di sculacciate da parte di Xavier, il quale disse che trovava il mio culo burroso semplicemente irresistibile. Stefano invece da sotto mi teneva le mani sui fianchi e mi baciava il collo e le tette. Sentivo che stavano per venire, e infatti uscirono dai miei buchi e mi dissero di mettermi in ginocchio perché volevano sborrarmi in faccia. Allora feci come mi dicevano e loro si tolsero i preservativi e puntarono i loro cazzi contro il mio viso e iniziarono a fiottare. Fui inondata dalla loro sborra in pochi attimi. Poi mi aiutarono a rimettermi in piedi. Avevo così tanta sborra sul viso che ero stata costretta a chiudere gli occhi, quindi non riuscivo neppure a vedere cosa succedeva intorno. Ne tolsi un po' con le mani e poi cercai i miei vestiti; erano sul cofano, me li infilai, poi vidi Xavier porgermi due banconote da cento euro.
   “Grazie” gli dissi e infilai i soldi nella mia borsetta.
   “Grazie a te” rispose lui dandomi una pacca sul sedere. “Sei un fenomeno”.
   Intanto sia lui che mio marito si erano ricomposti, cioè avevano tirato su i pantaloni e gli slip.
   “Dove ti riaccompagniamo?” mi chiese Stefano.
   “Lì dove mi avete caricata”.
   Così salimmo di nuovo in macchina e mi riportarono su via nazionale. Lungo il tragitto mi domandarono qualcosa sul mio conto. Io ci tenevo ad avere un certo distacco, così alle loro domande rispondevo freddamente. Stefano mi chiese se ero sposata e io gli risposi di sì. E allora Xavier mi chiese se mio marito fosse a conoscenza di quello che facevo la notte.
   “Sì che lo sa” risposi. “Lui non lavora, e abbiamo due bambini da sfamare. E così mi sono messa a fare questo lavoro per portare avanti la famiglia”.
   Mi ero inventata quella storia davvero triste per chissà quale motivo. Forse perché il gioco dei ruoli prevedeva anche questo. Entrambi rimasero ammutoliti di fronti a quella storia, ebbi l’impressione di avergli fatto provare nei miei confronti molta compassione, e forse anche un po' di rimorso per aver sfruttato i bisogni di una donna per i propri porci comodi.
   Giunti a destinazioni scesi dall’auto e me ne andai senza neppure salutarli. Mi incamminai verso l’auto che avevo lasciato in un vicolo e me ne ritornai a casa. Avevo paura di aver lasciato entrambi con l’amaro in bocca con quella storia che mi ero inventata. Però di certo avevo reso più reale l’esperienza che avevamo vissuto. Quello Xavier neppure si immaginava che in realtà ero la moglie di Stefano.

Sabrina.

giovedì 8 dicembre 2016

Il mercato del sesso.


   Ero ritornata al negozio e tutto procedeva tranquillamente. La questione del barattolo delle urine con la sborra dentro era rimasta irrisolta, nel senso che il mittente era rimasto anonimo. Cominciavo a credere che davvero mio marito non c’entrasse nulla. Ma allora se non me l’aveva spedito lui, di chi era quella sborra? Stefano mi aveva fatto capire che non ne sapeva nulla, perché il giorno prima, dopo la cena con Elena, e dopo aver fatto l’amore (anche anale) mi aveva detto che quella storia del vasetto lo preoccupava un po'. Io gli avevo risposto che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Era soltanto un altro ammiratore che moriva dalla voglia di venire a letto con me. D’altronde ancora mi portavo dietro la nomina di Sabrina Bocca e Culo, quindi erano in molti a voler usufruire delle mie cavità per trarne piacere.
   “Quello che mi preoccupa è che non riesco a immaginare quale razza di pervertito potrebbe mandare ad una donna un vasetto con della sborra dentro” mi disse.
   Non gli seppi rispondere. Ma non credevo che ce ne fosse neppure bisogno, dal momento che il mittente era anonimo ed ero certa che sarebbe rimasto tale. Nella maggior parte dei casi gli uomini che spedivano regali e lo facevano in modo anonimo poi finivano con il non rivelarsi mai, perché non ne avevano il coraggio. Solo quelli che lo facevano mettendoci la propria faccia erano quelli che si facevano avanti a farmi la corte. Quindi anche in questo caso, lo spasimante del vasetto di sborra, sarebbe rimasto senza nome e senza volto. O almeno era quello che pensavo.
   Nel primo pomeriggio entrò in negozio il ragazzo del bar con un vassoio su cui reggeva un caffè. Io di certo non avevo ordinato nulla. Ma lui confermò che era per me. Io gli feci notare che forse c’era un errore, e il ragazzo mi disse che non c’era nessun errore, e che il caffè era da parte di un ammiratore. E allora mi chiesi: “sarà quello del vasetto?”. Comunque il ragazzo non mi disse niente sulla sua identità. Mi disse che non poteva farlo, perché aveva ricevuto una bella mancia per tenere il segreto. E poi mi diede un messaggio scritto su un cartoncino rosa. C’era scritto: “non ci pensare a tuo marito, meriti qualcosa di meglio”.
   Decisi di ignorare quel gesto. Quando questo spasimante si sarebbe deciso a farsi avanti allora avrei preso quella storia seriamente. Altrimenti era solo una stupida perdita di tempo. In ogni modo pensai al fatto che mio marito ancora non si era fatto avanti con il gioco dei ruoli. Vi ricordate? Mi aveva chiesto di rifare il gioco dei ruoli, come quando eravamo fidanzati, che per divertirci avevamo fatto finta di non conoscerci, e Stefano mi era venuto a rimorchiare al centro commerciale. Ma al momento lui non aveva fatto ancora alcuna mossa, così decisi di agire io. Gli mandai un sms dicendogli di vederci in via nazionale a tale ora e a tale posto.
   La via nazionale era conosciuta per essere meta di prostitute e uomini in cerca di avventure. Un vero mercato del sesso. La mia idea era quella di fingermi appunto una puttana, e di essere abbordata da mio marito. Così quella sera cercai nel mio armadio i vestiti più osceni che avevo; misi degli hot pants neri di pelle, e sopra un top rosa a fascia da cui le tette mi scivolavano sempre fuori e io ero costretta a rimetterle dentro, e infine i tacchi a spillo e una borsetta. Ero pronta per farmi rimorchiare da mio marito.
   Raggiunsi la via nazionale in macchina. Parcheggiai non molto distante e poi mi misi sulla strada. Le altre prostitute, la maggior parte moldave e nigeriane, mi guardarono stupite. Non mi avevano mai vista, ai loro occhi ero una nuova. C’era anche qualche trans; notai che gli uomini preferivano quelle. In effetti erano piazzate proprio bene, però comunque non riuscivo a capire. Perché preferire una trans ad una moldava bionda di diciotto anni? Per saperlo sarei dovuta entrare nella testa di un uomo e farmici un giro. D’altronde anche Stefano una volta aveva avuto una bella sbandata per una trans, cioè Tiffany. Ricordate? Tiffany era diventata la mia rivale in amore. Avevo avuto anche la sensazione che preferisse lei a me. Ma non riuscivo a capirne il motivo.
   In ogni modo mi misi a passeggiare sulla via in attesa che venisse mio marito, ovvero il mio cliente. Nel frattempo venni fermata varie volte da altri uomini. La maggior parte erano uomini con la fede al dito. Uno di loro si fermò accanto a me e mi disse: “chissà che belle spagnole che fai con quelle” riferendosi alle mie tette che erano scivolate di nuovo fuori dal top a fascia che indossavo. “E secondo me fai anche dei gran pompini”. Non riuscivo a capire se il tizio voleva solo dirmi porcate oppure era effettivamente interessato ad avermi. In ogni caso dovevo fare in modo di farlo andare via, perché mio marito sarebbe potuto venire da un momento all’altro. Mi guardai intorno ma ancora non lo vedevo. Era in ritardo lo stronzo. Davvero voleva lasciarmi lì a passeggiare su via nazionale come una puttana?
   “Quanto sei maiala” mi disse il tizio che mi si era accostato.
   “Lo sa tua moglie che vai con le zoccole?” gli chiesi in tono severo. Ma cosa mi prendeva? Perché mi stavo mettendo a fare la morale a quello lì? Forse perché guardandolo negli occhi avevo avuto una visione, avevo visto la sua vita mediocre, la sua moglie annoiata e stanca, il suo lavoro d’ufficio snervante e ripetitivo. Avevo visto un uomo che si era arreso alla vita, e che trovava appagamento soltanto andando sui viali, in cerca di zoccole da scoparsi in auto. “Non c’è niente di peggio per una donna che avere un marito che va con le puttane”.
   “Ma che cazzo dici?” mi disse. “Avresti proprio bisogno che qualcuno ti tappasse quella bocca con un bel cazzone duro”.
   Decisi di smetterla, perché non sapevo con precisione a dove mi avrebbe portata quella discussione. Certamente a niente di buono. Quindi gli dissi il mio prezzo, e gli sparai una cifra assurda, in modo da farlo andare via. Gli dissi che per la bocca soltanto volevo cinquecento euro. Per tutto il resto invece ne volevo mille.
   “Ma chi ti credi di essere? Pamela Anderson? Stronza di una puttana” e a quel punto partì sgommando alla ricerca di qualcosa di più economico.
   Finalmente in lontananza vidi la macchina di Stefano. Mi vide anche lui e allora mise la freccia per accostarsi a me. Mi feci avanti ancheggiando e mi abbassai verso il finestrino. Le tette mi erano di nuovo scivolate fuori dal top, ma questa volta non feci niente per rimetterle a posto. Ma quando guardai dentro la macchina notai che mio marito non era solo, e allora diventai di pietra e non riuscivo neppure a parlare. Con lui c’era un uomo, aveva all’incirca la nostra età. Non lo avevo mai visto prima. Cosa c’entrava lui nel nostro gioco di ruoli?
   “Perché ti sei fermato?” gli chiese.
   “Che ne dici di farci una bella doppietta con questa zoccola?” gli domandò mio marito.
   L’amico di Stefano, di cui ancora non conoscevo nulla, mi guardò da capo a piedi per valutarmi. Poi disse a mio marito che non ero niente male.
   “Guarda che tette” disse Stefano. “Scommetto che muori dalla voglia di farti fare una spagnola”.
   “In effetti non mi dispiacerebbe”.
   Adesso cominciavo a capire. Stefano aveva deciso di coinvolgere un uomo nel nostro gioco, per renderlo ancora più eccitante. L’idea non mi dispiaceva affatto. Poi sentii mio marito che diceva al suo amico che montarmi sarebbe stato proprio quello che ci voleva per festeggiare il loro rapporto di collaborazione. Ma di cosa parlava? Perché quell’uomo avrebbe dovuto collaborare con Stefano?
   “Quanto vuoi?” mi chiese Stefano.
   “Cento per la bocca. Duecento tutto il resto” risposi.
   “Mmh” rispose il suo amico, “economica, la zoccola”.
   “Ok, monta su”.
   L’amico di Stefano, che si chiamava Xavier, scese dalla macchina e mi aprì lo sportello di dietro e mi fece salire, poi salì anche lui, mettendosi accanto a me. Era chiaro che voleva fare con me un po' di petting prima di giungere a destinazione. Non sapevo bene dov’è che mi avrebbero portata per montarmi. Una cosa era certa, io ero terribilmente disorientata. Non mi immaginavo che sarebbe andata così. Credevo che si sarebbe presentato mio marito e basta, e che avremmo fatto finta di essere una prostituta e il suo cliente. Questo nuovo scenario mi aveva letteralmente spiazzata.
   Comunque Stefano fece partire la macchina e Xavier non perse tempo a mettermi le mani sulle tette, spremendomele una contro l’altra e succhiandomi i capezzoli.
   “Ehi Stè, guarda che tette divine!” disse. “Sembrano fatte apposta per le spagnole”.
   “Sì, proprio una bella gnocca. Come ti chiami?” mi chiese.
   “Sabrina” risposi senza un filo di fantasia. Avrei potuto inventarmi un altro nome, e invece ero così spaesata che non riuscii neppure a mentire. E Stefano mi guardò dallo specchietto retrovisore, mentre Xavier mi succhiava i capezzoli, e mi sorrise. Era divertito dal fatto che non mi ero neppure presa la premura di inventarmi un nome.
   “Sabrina” disse Xavier, “che nome da maiala”.
   “È un nome come un altro” risposi.
   “Dio, quanto sei porca” Xavier era affamato, mi voleva ardentemente, e allora avvicinò la sua bocca alla mia e mi infilò la sua lingua dentro, e nel frattempo mi accarezzava le gambe e me le palpava. Si stava letteralmente impossessando di me, e Stefano di tanto in tanto ci guardava dallo specchietto retrovisore, e io guardavo lui, quasi come a chiedergli: “ma cos’è questa storia?”.
   “Ehi Xavier!” disse. “Vacci piano, non vorrai mica scopartela in auto?”.
   Non avevo la più pallida idea di dove mi stavano portando e di dove avevano in mente di montarmi, ma a breve l’avrei scoperto.

Sabrina.

martedì 6 dicembre 2016

La prima esperienza anale di Elena.


   Ero in casa da sola. Mia madre era al negozio e mio padre era andato a licenziarsi. Sì, aveva deciso di lasciare il posto da chef al centro termale. Il fatto di dover stare via per giorni e giorni aveva portato un po' di instabilità nel rapporto con mia madre, e così aveva preso una decisione drastica. Licenziarsi. E coi soldi della liquidazione aveva in mente di aprirsi un’attività e mettersi in proprio, diventare il datore di lavoro di se stesso. Ma non aveva ancora le idee molto chiare.
   In ogni caso ero da sola. Erano le dieci del mattino, e avevo ancora la bocca impastata di sonno. A mezzogiorno dovevo andare sul set cinematografico; forse avevano trovato qualcuno per la parte dell’imperatore, e Berni voleva avere la mia approvazione. Mi ero appena svegliata; ero ancora nuda (il pigiama era una cosa che nella mia famiglia si usava di rado, soltanto quando c’era molto freddo, altrimenti eravamo abituati ad andare a letto nudi). Ero seduta in cucina a fare colazione e a leggere una rivista, quando ad un certo punto suonarono al citofono. Andai a rispondere. Era Elena.
   “Che vuoi? Rocco non c’è” risposi bruscamente.
   “Non è Rocco che cerco, ma te. Posso salire?”.
   “Ok, ma ti avverto che non ho tempo da perdere. A mezzogiorno devo andare via”.
   Andai a mettere qualcosa addosso; non volevo mettere in imbarazzo Elena mostrandomi nuda. Era una ragazza molto suscettibile, e di sicuro vedermi così come mamma mi ha fatta avrebbe messo Elena a disagio. Quindi misi l’unica vestaglia da notte che avevo; me l’aveva regalata un tipo con cui scopavo un paio di anni fa. In effetti nascondeva ben poco, perché era di un tessuto così leggero da essere quasi trasparente. Quindi mi si vedeva comunque figa culo e tette, ma in modo velato.
   E comunque Elena si imbarazzò lo stesso. Indossavo una vestaglia, ma secondo i suoi canoni di giudizio era una vestaglia oscena, una vestaglia che solo una zoccola poteva avere il coraggio di indossare. Ma d’altronde era così che lei mi giudicava, e cioè come una zoccola. Quindi era tutto regolare. Ero una zoccola e quindi indossavo vestiti da zoccola.
   “Che vuoi?” le chiesi bruscamente.
   “Senti, io ho ripensato a quello che mi hai detto” mi disse. “E credo che in fin dei conti tu non abbia torto. Forse dovrei davvero dare a Rocco una dimostrazione d’amore”.
   “Io non ho parlato di dimostrazioni d’amore, ho detto che sarebbe il caso che tu gli conceda il condotto anale, dal momento che della patatina non ne vuoi sentir parlare”.
   “Sì, ho capito. È che io non sono come te. Io preferisco chiamarla dimostrazione d’amore”.
   “Siamo proprio diverse. Tu la chiami dimostrazione d’amore, e io lo chiamo dare via il culo. E comunque cosa vuoi da me? Vieni al dunque”.
   “Beh, io non so proprio come comportarmi. Siccome tu hai molta esperienza in queste cose…”.
   “Ecco, ci risiamo” non la feci nemmeno finire di parlare. “Mi ridai di nuovo della puttana. Siccome ho esperienza nel sesso anale allora tu ti arroghi il diritto di considerarmi una puttana”.
   “Ma no, Moana! Cosa dici? È che l’hai detto tu stessa che hai dato il tuo lato b a Berni. Quindi certamente potrai darmi qualche consiglio”.
   “Innanzitutto non chiamarlo più lato b, ma buco del culo. E poi se vuoi te la do volentieri una mano, ma se ti metti a frignare smetto”.
   La portai in camera mia e mi tolsi la camicia da notte rimanendo nuda di fronte a lei, la quale subito si mise le mani sugli occhi e si girò dall’altra parte per il forte imbarazzo.
   “Ma cosa fai?” mi chiese.
   “Lo vuoi o no il mio aiuto? E allora spogliati anche tu e fai come ti dico”.
   A quel punto Elena si fece coraggio e si girò di nuovo verso di me, e lentamente iniziò a svestirsi. Rimase in reggiseno e slip. Era la prima volta che la vedevo così, e devo riconoscere che era messa piuttosto bene; aveva delle belle tette, più grandi delle mie, con cui non le sarebbe stato difficile poter fare delle spagnole. Anche di culo non era niente male; aveva un culo soffice, morbido, che ti veniva proprio voglia di prenderlo a sculacciate.
   Era molto in imbarazzo, infatti con le braccia cercava di coprirsi quanto poteva. E quando gli dissi di togliere anche il reggiseno e gli slip spalancò gli occhi dallo stupore. Poi lentamente li tolse, e vidi che sotto aveva proprio un bel cespuglietto incolto. Io se fossi stata in lei gliel’avrei data una bella sfoltita, però non glielo dissi. Poteva andare bene anche così. A certi uomini piaceva anche in quel modo.
   “E allora” le dissi, “cosa provi a stare nuda di fronte ad un’altra persona?”.
   “Non mi sento a mio agio”.
   “Perché? Ti vergogni del tuo corpo, forse?”.
   “No, non è questo, è che…”.
   “È che ti hanno detto che è una cosa che non bisogna fare. Facciamo così, dimentica tutto quello che ti hanno detto e ripartiamo da zero. Girati, fammi vedere come sei fatta dietro”.
   Lei, un po' titubante, si girò dall’altra parte mostrandomi il culo. Era davvero un bel culo sodo, non credevo che dietro quei vestiti da suora ci fosse un corpo così perfetto. Mi avvicinai e cominciai ad accarezzarle le braccia, e con la bocca mi avvicinai al suo collo per baciarglielo delicatamente. Poi con le mani le accarezzai i fianchi e poi i glutei, e con un dito le accarezzai l’orifizio anale.
   “Moana, cosa stai facendo?”.
   “Tranquilla Elena, lasciati andare. Sei troppo tesa. Così non combinerai mai nulla con mio fratello”.
   Continuavo a baciarla sul collo cercando di farla sciogliere, ma era molto nervosa, e quando le toccai le labbra della vagina mi resi conto che era più asciutta di un deserto. Allora iniziai a sgrillettarla con delicatezza e nel frattempo le baciavo la schiena. Ancora nessuna reazione da parte della sua fighetta. Io intanto già c’avevo un lago in mezzo alle gambe, e non riuscivo a comprenderne il motivo; forse era quella situazione che mi eccitava. Non avevo mai avuto un rapporto con una donna. O forse sì, ma comunque mai così spinto. Mi era capitato di fare e ricevere delle carezze, di avere atteggiamenti affettuosi, ma non ero andata mai oltre. Ma nel caso di Elena l’affetto non c’entrava niente; ero eccitata, avevo voglia di farla mia, possederla, e lei me lo lasciava fare. Avevo forse appena scoperto il mio lato bisex? Un aspetto ancora sconosciuto di me. Non credevo di poter trarre piacere dal corpo di un’altra donna. Eppure toccandola e baciandola era proprio quello che stava succedendo. C’avevo un lago in mezzo alle cosce, i miei umori mi colavano nell’interno coscia fino a raggiungere le caviglie. Non avevo mai sbrodolato così tanto.
   A quel punto spinsi Elena verso la mia scrivania e con una mano le piegai il busto verso il basso. Adesso aveva il culo ben aperto e le vedevo l’orifizio anale. Glielo accarezzai con un dito e poi glielo infilai delicatamente dentro, lei si lamentò un po' per il dolore, in effetti ce l’aveva molto stretto. Tirai fuori il dito e me lo misi in bocca per assaporare il profumo del suo retto. Semplicemente paradisiaco. Allora mi inginocchiai e iniziai a leccarglielo e questo non fece che eccitarmi ulteriormente. Il sapore che emanava era un potente afrodisiaco.
   “Moana, ma cosa stai facendo?” mi chiese.
   Ma non le risposi. Ero troppo presa da quello che stavo facendo. Poi ad un certo punto mi alzai e le dissi di non muoversi. Le avevo inumidito e allargato il buchetto per bene, adesso era pronta per passare ai fatti. E allora andai a prendere uno strap-on che avevo nell’armadio. Lo avevo comprato qualche anno prima, con l’intenzione di giocarci con Berni, ma non era mai capitata l’occasione. Lo strap-on era sempre rimasto inutilizzato nel mio armadio, e ora era arrivato il momento di usarlo. Quindi me lo legai intorno alla vita e raggiunsi Elena, gli indirizzai il grosso fallo di gomma verso il suo orifizio anale e glielo spinsi dentro. Lei lanciò un urlo di dolore tale che dovetti tapparle la bocca con una mano, e iniziai a montarmela di brutto.
   “Non urlare, maiala! Vedrai che tra un po' inizierai a prenderci gusto”.
   E infatti dopo una decina di stantuffate aveva smesso di gridare e aveva cominciato a mugolare di piacere. A quel punto le tolsi la mano dalla bocca e l’afferrai per i fianchi con decisione e iniziai a ingropparla senza ritegno. Smisi soltanto quando la vidi accasciarsi sulla scrivania, quasi esanime, quasi come se fosse svenuta. Non rispondeva più ai miei colpi, e un po' mi preoccupai. Non volevo romperle il culo e causarle qualche danno serio al retto, così feci uscire il cazzo di gomma dal suo corpo e la lasciai lì, sulla mia scrivania, senza neppure le forze per potersi rimettere su. Presi un fazzoletto e me lo passai sul palo di gomma dello strap-on, su cui trovai delle tracce delle feci di Elena. Cazzo, ci ero andata giù pesante. Lei cercò di rimettersi in piedi, ma notai che aveva non poche difficoltà.
   “Cazzo Moana, mi hai fatto male” mi disse con un filo di voce. “Non riesco neppure a camminare”.
   “Tranquilla, la prossima volta andrà meglio” le risposi. “Considera che questo strap-on è il doppio del cazzo di Rocco. Quindi con lui non sarà doloroso quanto lo è stato con me. E ora rivestiti, che ti riaccompagno a casa in macchina. Non sei in condizioni per potertene ritornare a piedi”.

Moana.