sabato 25 agosto 2018

Il passato di

Beatrice. 

(in foto: JoJo Havana, Shows Off Her New Boobs, Pure-TS.com)


[postato da Rocco]

   Verso lei sei del pomeriggio andammo via, e io raggiunsi l’appartamento di Beatrice. Quel giorno non lavorava perché era il suo giorno di riposo settimanale, quindi pensai che magari potevamo starcene un po' da soli a coccolarci. E invece quando entrai in casa mi accorsi che non era sola, ma che era in compagnia di uno stallone da monta con muscoli d’acciaio da tutte le parti.
   Beatrice indossava un costume da bagno di due pezzi, con la parte di sotto a perizoma. Quando era a casa le piaceva starsene così, altre volte invece non indossava neppure quello. Le piaceva proprio tanto stare nuda. Ma d’altronde a chi è che non piace?
   Non appena entrai nell’appartamento la prima cosa che vidi fu lo stallone da monta tutto muscoli che diede una sonora sculacciata alla mia fidanzata, e poi disse: “hai messo su proprio un bel culetto, sorellina”.
   “Oh Paco! Come sono felice che sei venuto a trovarmi!” Beatrice gli gettò le braccia al collo e iniziò a tempestarlo di baci dappertutto, stringendoselo a se con una foga davvero notevole.
   Non mi aveva mai detto di avere un fratello. In verità la mia fidanzata mi aveva raccontato poco e niente della sua famiglia, del suo passato e delle sue origini. Quasi come se fosse un argomento che non aveva piacere ad affrontare. Per esempio sul frigorifero di casa sua c’erano delle fotografie attaccate con le calamite, e in una di queste c’era lei prima di diventare donna. Era un ragazzo bellissimo, con uno sguardo misterioso, un corpo stupendo e la pelle liscia come la seta. Eppure non mi aveva mai detto niente di lui, di quale fosse il suo nome per esempio. Ogni volta che provavo a tirare fuori il discorso lei mi rispondeva che il passato non ha alcuna importanza.
   In ogni modo si accorsero della mia presenza, e lui, suo fratello, mi guardò in cagnesco, quasi come se io fossi una minaccia, soprattutto per sua sorella. Un altro schifoso che vuole soltanto approfittarsi del suo corpo per trarne godimento.
   “Paco, lui è Rocco, il mio fidanzato” Bea ci presentò e io andai verso di lui a stringergli la mano, e lui continuava a guardarmi con diffidenza, come un cane da combattimento prima della zuffa.
   “Quindi tu saresti il fidanzato di mia sorella” mi disse quasi in tono di sfida.
   “Sì” cercai di mostrarmi calmo e amichevole. La sua stazza mi terrorizzava. Uno come Paco era meglio tenerselo amico.
   “Che intenzioni hai con lei?” mi chiese, e ci mancava poco che cominciasse a mostrami i denti in modo minaccioso, proprio come fanno certe bestie prima di partire all’attacco.
   “Paco, calmati” Beatrice venne in mia difesa e si mise tra me e lui. “Lui mi ama, e mi ha chiesto di sposarlo, e io gli ho risposto di sì. Per cui a breve diventerò sua moglie e lui mio marito”.
   “Sei sicura che è l’uomo giusto? Sarà in grado di rispettarti e di renderti felice?” Paco continuava a fissarmi con gli occhi di fuori dalla rabbia.
   “Ti assicuro che lui già mi rende felice, e mi rispetta molto. Per questo ho acconsentito a diventare la sua donna”.
   Paco mi guardò per un paio di minuti senza dirmi nulla, squadrandomi da capo a piedi per capire se sua sorella stava dicendo la verità. Poi alla fine mi strinse di nuovo la mano, ma questa volta con più convinzione, approvando tacitamente la nostra unione. Ma per conquistarlo del tutto ci volle ben altro; in verità fu più semplice di quanto credessi. Mi bastò cucinare per lui. Paco adorava mangiare, e allora decisi di stupirlo con un piatto elaborato che di certo avrebbe allentato il suo malumore. Ma prima andai a fare la spesa, perché nel frigorifero di Beatrice non c’era niente. Bea non faceva mai la spesa, piuttosto preferiva mangiare allo strip bar dove lavorava, oppure comprava cibo da asporto e se lo portava a casa. Mettere una padella sul fuoco non rientrava nelle attività che preferiva maggiormente.
   È inutile andare nel dettaglio, d’altronde questo non è un noioso blog di cucina, però dico soltanto che Paco aveva quasi le lacrime agli occhi. Ciò che avevo cucinato doveva essergli piaciuto davvero molto, perché ormai aveva cominciato a trattarmi non più come il maiale che va a letto con sua sorella, ma come un amico di sbronze, complice anche il vino che avevo comprato e che cominciava a fare il suo effetto. E proprio a causa del vinello Paco iniziò a raccontare alcuni aneddoti sul passato di Bea, di quando era maschio e il suo nome era… ma prima che potesse dirlo la mia fidanzata lo fermò.
   “Paco, ti prego. Lo sai che odio parlare del passato”.
   “Ma perché? Che male c’è?”.
   Paco mi raccontò di tutte le volte che aveva difeso Beatrice, quando ancora non era una donna, ma un maschietto che dentro di sé avvertiva la presenza di una femminuccia. Questo fatto lo rendeva un ragazzino molto diverso dagli altri, e anche molto fragile e insicuro, e proprio per questo motivo era preso di mira dai bulletti del quartiere. Ed era lì che interveniva Paco.
   “Ne ho massacrati di botte così tanti di prepotenti che prendevano in giro il mio fratellino che poi alla fine hanno smesso di provarci. Ero il suo fratello maggiore e quindi avevo il dovere di farlo, capisci? Poi alla fine ho dovuto massacrare di botte anche nostro padre, quando Beatrice ha iniziato il processo per diventare donna. Quando nostro padre ha scoperto che mio fratello era diventato una transgender le ha dato uno schiaffone davanti ai miei occhi e gli ha detto che era la vergogna della famiglia. A quel punto sono intervenuto io e gli ho dato una bella lezione.  Ma purtroppo capii che Beatrice se ne sarebbe andata per la sua strada per cominciare la sua nuova vita altrove, lontana da noi. E probabilmente non l’avrei più rivista, e non sarei più stato in grado di difenderla dai soprusi e dalle angherie che la vita le avrebbe riservato”.
   “Ok, adesso basta” disse la mia fidanzata. “Non voglio parlare di queste cose”.
   “Ti vergogni del tuo passato?” le chiese Paco. “Io invece no. E ti ho sempre voluto un bene dell’anima, sia quando il tuo nome era Leo che quando poi sei diventata Beatrice”.
   “Paco, basta. Non voglio mai più sentire quel nome. Leo non esiste più, adesso c’è soltanto Beatrice”.
   “Eh no, mi dispiace deluderti ma Leo esiste eccome, e vive dentro il tuo meraviglioso corpo di donna”. 
   Leo, la mia futura moglie prima di diventare donna si chiamava così. Leone La Vacca. Anche se per lei questo nome non aveva più alcun senso. Ma per me sì, per me era importante sapere qual’era stato il vero nome della donna che amavo.
  

sabato 18 agosto 2018

Nonostante tutto

continuavo a volerla.

(in foto: Apolonia Lapiedra, Passion-HD.com)


[postato da Rocco]

   Giuliano mi chiamò e mi tenne al telefono per quasi un’ora. Doveva dirmi una cosa molto importante, che dovevo assolutamente sapere, e cioè che più di una volta aveva montato la mia fidanzata. Questa notizia non mi diede particolarmente fastidio, perché in fin dei conti Beatrice aveva fatto l’amore con così tanti uomini che ormai non ci facevo neppure più caso. Certo, questo fatto poteva essere letto come una specie di tradimento, non da parte di Beatrice ma piuttosto da parte di Giuliano, il quale era praticamente parte della mia famiglia, in quanto amante di mia madre (con il benestare di mio padre). E infatti mi sarebbe piaciuto dirgli: “non ti basta più mia madre? Adesso ti scopi anche la mia fidanzata?”. Ma non lo feci. Piuttosto lo lasciai parlare di tutte le volte che aveva fatto l’amore con Beatrice, e la nostra conversazione sembrava quasi avere i caratteri di una confessione a cui poi sarebbe dovuta seguire una totale assoluzione. Ma in realtà non capivo se era un’assoluzione che stava cercando oppure il suo scopo era quello di mettermi in guardia, di dirmi che stavo per sposare una zoccola. Ma se era questo il suo intento stava soltanto perdendo tempo, perché io amavo follemente Beatrice, e l’avrei sposata comunque.
   Mi raccontò di tutte le volte che avevano fatto l’amore nel suo ufficio, oppure nel camerino dove si cambiavano le ragazze dello strip bar. Una volta l’avevano anche fatto in macchina; lui la stava accompagnando a casa quando ad un certo punto lei si era chinata su di lui, senza alcun preavviso, gli aveva aperto la lampo e gli aveva tirato fuori il suo arnese, e con un paio di colpi di lingua glielo aveva fatto diventare duro come il marmo. A quel punto lui aveva accostato la macchina e l’aveva fatta salire sopra di lui, infilandole il cazzo nel condotto anale e scopandosela senza ritegno.
   Tutto era cominciato quando gli aveva chiesto di farle un colloquio per poi eventualmente assumerla nel suo strip bar. Il giorno stesso del colloquio Beatrice lo aveva fatto godere con la bocca, e gli aveva detto anche quella frase che diceva spesso a molti uomini per fargli perdere la testa: “credo di essermi innamorata di te”. Ma questa cosa non aveva alcun valore, perché lo aveva detto a così tanti uomini che ormai aveva perso il suo significato reale. Lo diceva apposta per mandarli in estasi, e devo dire che funzionava sempre. Ogni volta che diceva questa cosa, gli uomini cadevano ai suoi piedi, e lei a quel punto poteva farne ciò che voleva.
   La confessione di Giuliano era davvero ricca di dettagli, su dove l’avevano fatto, in che posizioni, e dove era avvenuta la sborrata finale; spesso i rapporti si concludevano con una copiosa cumshot sul viso di Beatrice, ma erano frequenti anche gli episodi in cui lui eiaculava nel suo condotto anale. E alla fine del racconto mi disse che era molto dispiaciuto, e che avrei fatto bene a trovarmi un’altra fidanzata, magari un po' meno puttana, e quindi meno propensa a dare via il buco del culo al primo che capitava.
   “Ascolta Giuliano” dissi, “tu sei stato per me come uno zio, e capisco molto bene che tu voglia mettermi in guardia ma per quanto mi riguarda non mi importa nulla di quante volte hai fatto il culo alla mia fidanzata. Io la amo, e non rinuncerei per nessuna ragione al mondo a lei”.
   “Se è così non posso che farti i miei più sinceri auguri. Sei davvero un ragazzo fortunato, perché Beatrice è molto speciale. Sa fare l’amore meglio di qualsiasi altra donna, e come ti ho già detto me lo ha dimostrato molte volte. Per cui vi auguro tutta la felicità di questo mondo”.
   A questo punto avevo chiarito con Giuliano, ma era venuto il momento di fare qualche domanda a Beatrice. Perché non me ne aveva mai parlato? Eppure lei era sempre stata così sincera con me, non mi aveva mai nascosto nulla. E invece questa volta l’aveva fatto. Ma per quale motivo? Probabilmente perché sapeva bene che lui non era un uomo qualsiasi, ma era l’amante di mia madre, e per di più era anche il vero papà di mia sorella Moana, per cui doveva aver considerato che era certamente meglio per tutti non dire niente.
   Andai da lei a chiederle spiegazioni; era a lavoro allo strip bar e si stava preparando per la serata. Era nuda davanti allo specchio del camerino che divideva insieme alle sue colleghe, ma in quel momento c’era soltanto lei quindi potevamo parlare liberamente. Mi dava le spalle, ma potevo vedere il suo viso riflesso nello specchio, e non facevo che pensare a quanto fosse bella. Il sogno erotico di ogni uomo. E io ero così fortunato, perché lei tra tutti gli uomini che aveva avuto aveva scelto me, e quindi aveva acconsentito a diventare mia moglie.
   “Bea, amore mio, perché non me l’hai mai detto?” le chiesi, e lei alzò le spalle per farmi capire che il motivo non lo sapeva. “Dimmi soltanto una cosa: lo hai fatto soltanto con il corpo oppure ci hai messo anche il cuore?”.
   “Io ci metto sempre il cuore, amore mio” mi rispose, ma senza guardarmi.
   “Ma allora tu non mi ami veramente. Tu mi ami allo stesso modo di come ami tutti gli altri uomini con cui fai l’amore”.
   A quel punto alzò gli occhi sulla mia immagine riflessa di fronte a lei e mi guardò con un espressione molto difficile da interpretare, sembrava quasi delusa da quello che avevo appena detto, o forse era soltanto sorpresa dal fatto che ancora non avevo capito il suo modo di essere, e soprattutto il suo modo di amare gli uomini in cento modi diversi.
   “Se io ti amassi allo stesso modo di come amo gli altri uomini con cui faccio l’amore allora non avrei mai acconsentito a diventare tua moglie. Se ho deciso di dirti di sì è perché io ti amo davvero, perché anche se mi concedo ad altri uomini alla fine l’uomo più importante della mia vita sei tu”.

giovedì 16 agosto 2018

Il segreto di Beatrice

e Giuliano.

(in foto: Alexa Scout, Meet Beautiful Alexa Scout, Shemale.xxx)


[postato da Stefano]

   La sera andavamo a cena al ristorante del villaggio turistico, dove c’era uno chef pluristellato che preparava dei piatti davvero speciali, e di conseguenza se li faceva pagare profumatamente. Ma noi, in fin dei conti, potevamo permettercelo. E poi per questa vacanza avevamo deciso di non badare a spese; era pur sempre il nostro anniversario di matrimonio.
   Inutile dirvi che anche qui la nostra presenza non passava di certo inosservata, dal momento che Sabrina aveva portato con se i suoi vestiti da sera più provocanti che spesso rasentavano il limite della decenza. Le sue oscene scollature, che riuscivano a contenere a malapena le sue enormi tette, attiravano l’attenzione della maggior parte degli uomini che in presenza delle proprie mogli indignate dovevano far finta di nulla, per non essere sorpresi a fissare con desiderio la mia Sabrina (anzi, la nostra Sabrina).
   Sopra, come dicevo poco fa, le tette praticamente sembravano voler scivolare fuori dallo scollo, ma anche sotto i suoi vestiti da sera erano piuttosto osceni; spesso erano così corti che le bastava chinarsi un po' in avanti che il suo bel culo burroso usciva allo scoperto. Oppure magari il vestito che indossava era così stretto ai fianchi che le potevi vedere gli orli del perizoma, e potevi anche distinguerne il colore se il vestito era bianco. E io più la guardavo e più pensavo: “c’ho proprio una moglie vacca”. E forse era quello che pensavano tutti non appena facevamo il nostro ingresso nel ristorante: “è arrivata la vacca”. Ma forse non sapevano che Sabrina era consapevole di esserlo, e anche molto orgogliosa. Ma era la “nostra” vacca, mia e di Giuliano. Gli altri potevano solo desiderarla segretamente, perché poi chi ci andava a letto eravamo noi due.
   Comunque durante una di queste cene Sabrina incominciò a parlare del matrimonio di nostro figlio Rocco e la sua fidanzata shemale. La notizia delle nozze aveva reso Sabri davvero euforica, e quando capitava di parlarne i suoi occhi brillavano di gioia, anche perché si era affezionata così tanto a Beatrice (la fidanzata transgender di nostro figlio) da considerarla ormai parte integrante della nostra famiglia.
   Giuliano invece non sembrava dimostrare particolare entusiasmo. Probabilmente perché non la sentiva come una cosa che lo riguardava, in fin dei conti Rocco era figlio mio e di Sabri, a differenza di sua sorella Moana, che mia moglie aveva concepito con lo sperma di Giuliano. Ma in realtà lo scarso interesse da parte sua per quel matrimonio dipendeva da un’altra cosa, che poi mi disse lui stesso il giorno dopo quando andammo a pesca insieme.
   Io e Giuliano, oltre a condividere la stessa donna, avevamo un’altra passione in comune, ovvero la pesca. Avevamo portato con noi tutta l’attrezzatura necessaria ed eravamo andati sulla riva di un fiume che stava ad un paio di chilometri dal villaggio turistico. Sabrina era rimasta in spiaggia; alla pesca preferiva di gran lunga starsene distesa al sole completamente nuda. E proprio mentre eravamo seduti sulla riva del fiume Giuliano mi disse il suo segreto. Quel matrimonio non lo convinceva per un motivo:
   “Perché Beatrice è una gran troia” mi disse.
   “E tu come fai a saperlo?”.
   “Stefano, tu dimentichi che Beatrice lavora nel mio strip bar, e la vedo quando si porta i clienti nel privè, cosa credi. E di certo quando li porta nel privè non è per raccontargli le barzellette”.
   “Io credo che Rocco sappia benissimo cosa fa la sua fidanzata nel privè del tuo strip bar” le rare volte che mio figlio si era confidato con me sul tipo di rapporto che c’era tra lui e la sua fidanzata mi aveva sempre detto che tra di loro c’era un’incredibile intesa, ed era anche soprattutto un rapporto basato sulla sincerità, per cui ero quasi sicuro che Rocco sapeva benissimo che lei, soprattutto per il lavoro che faceva, di tanto in tanto aveva rapporti con altri uomini.
   “Può darsi che hai ragione” mi rispose Giuliano. “Ma c’è un’altra cosa che non mi fa andare a genio questo matrimonio”.
   “E sarebbe?”.
   “Io e Beatrice...” era come se non avesse il coraggio di dirlo, anche se in realtà avevo già capito. “Insomma, quello che voglio dire è che me la sono ingroppata più e più volte”.
   “Non posso crederci. Ma come hai potuto? Proprio tu, che per Rocco sei stato come una specie di zio”.
   “Ma cosa vuoi? È lei che mi provoca. Per questo dico che è una gran troia. È senza ritegno. Una volta si è presentata a casa mia con addosso soltanto un impermeabile, e quando l’ho fatta entrare in soggiorno se l’è tolto, e sotto era completamente nuda. E io non ho potuto fare a meno di farmela. Per non parlare di tutte le volte che me la sono montata nel mio ufficio, lì allo strip bar. Ho versato nel suo condotto anale talmente di quella sborra che tu non puoi nemmeno immaginare”.
   “Ma da quanto tempo va avanti questa storia?”.
   “Praticamente da quando ci siamo conosciuti, cioè quando Rocco l’ha mandata da me per il colloquio di assunzione. Ricordo che in quell’occasione le avevo chiesto di spogliarsi, perché volevo vedere com’era fatta, e quando ho visto il suo corpo ho pensato subito che non poteva esserci nulla di più porco; il corpo di una donna con qualcosa in più davanti. E non so cosa dirti, ma ho perso completamente la ragione. Tu lo sai, ho avuto un’infinità di donne nella mia vita, ma non mi era mai capitata una transgender, e quindi ho pensato che dovevo averla a tutti i costi, e allora le ho chiesto di inginocchiarsi e ho tirato fuori il mio cazzo e gliel’ho messo davanti alla faccia, e lei lo ha subito preso in bocca, quasi come se non aspettasse altro. E mi ha fatto venire in quel modo e le ho sborrato dentro, e poi mi ha detto una cosa che non mi sarei mai aspettato. Mi ha detto: credo di essermi innamorata di te. Quindi ho capito subito che presto mi avrebbe dato anche il culo. E infatti me lo ha dato eccome. Tantissime volte. Per questo la storia del matrimonio con Rocco mi preoccupa molto”.
   “Sei geloso? Vorresti averla tutta per te?”.
   “Ma che dici? Certo che no. Io per Beatrice non provo che una semplice attrazione fisica, tutto qui. Piuttosto sono preoccupato per Rocco, che dovrà convivere con una moglie irrimediabilmente puttana”.
   Una cosa era certa, e cioè che Rocco doveva saperlo. Non era una tragedia, in fin dei conti era semplicemente sesso quello che c’era tra Giuliano e Beatrice, senza alcuna implicazione del cuore, e quindi tutta quella faccenda non avrebbe avuto alcuna ripercussione. Ero quasi sicuro che Rocco non ne avrebbe fatto un dramma.
   Comunque decidemmo di tenere Sabrina all’oscuro di tutto, però mi feci promettere da Giuliano che non avrebbe mai più sfiorato Beatrice nemmeno con un dito. Ma sarebbe riuscito a mantenere la promessa?

martedì 14 agosto 2018

La nostra piccola

oasi del piacere. 

(in foto: Chloe Vevrier, ChloesWorld.com)


[postato da Stefano]

   Dopo le proteste da parte delle donne del villaggio riuscimmo a trovare un luogo appartato dove poter lasciare Sabrina libera di poter prendere il sole integrale. Un luogo sicuro dove le sue grosse tette non avrebbero suscitato l’indignazione di nessuno, e abbastanza isolato da permetterle di disfarsi anche del pezzo di sotto. E dal momento che lei era completamente nuda anche io e Giuliano decidemmo di fare a meno dei nostri costumi. E devo riconoscere che l’enormità dell’attrezzo di Giuliano mi metteva un po' in imbarazzo. Non che io ce l’avessi piccolo, piuttosto ce l’avevo nella media, ma il suo era proprio enorme, e Sabri non faceva che guardarglielo, e non perdeva occasione per accarezzarglielo di tanto in tanto, e ogni volta che lo faceva notavo che gli si invigoriva, prendeva consistenza fino a quando poi raggiungeva la massima erezione, e a quel punto Sabri gli chiedeva se gli andava di andare a fare il bagno. Ma dietro quella domanda c’era un significato ben preciso; mia moglie in realtà gli stava chiedendo se aveva voglia di fare l’amore. E ovviamente lui non rifiutava mai, soprattutto quando aveva la trave in erezione, che Sabrina aveva fatto indurire con le sue carezze e i suoi baci appassionati.
   A quel punto li vedevo andare verso l’acqua, mano nella mano come due innamorati, e quindi si immergevano e camminavano per un po', fino a che il mare non gli arrivava fino al petto, e a quel punto iniziavano, lui la penetrava, a volte analmente ma anche vaginalmente, e facevano l’amore, cullati dalle deboli onde che ogni tanto si infrangevano delicatamente sulla loro pelle.
   Questo lembo di spiaggia, che noi avevamo ribattezzato “la nostra piccola oasi del piacere”, dove eravamo liberi di dare libero sfogo al nostro amore, si trovava a circa due chilometri dalla spiaggia del villaggio turistico, era precisamente a metà strada tra il villaggio e il porticciolo che si vedeva in lontananza. Tra questi due punti di riferimento non c’era nient’altro, per cui era il luogo ideale dove Sabrina poteva soddisfare la sua tendenza innata a prendere il sole integrale e dove inoltre poteva fare quella cosa che più di tutte le dava appagamento, e cioè fare l’amore con Giuliano, e di conseguenza con me, che guardavo mentre lo facevano, e nel guardarli avevo sempre delle erezioni sorprendenti, e lei se ne accorgeva e mi sorrideva, e poi mi faceva l’occhiolino, un chiaro gesto d’intesa, per farmi capire che era felice che mi stavo eccitando nel vederla fare l’amore con lui.
   Dopo essersi appurata che avevo raggiunto la massima erezione alzava il braccio facendo un gesto molto eloquente, scuotendo il polso con la mano serrata a pugno, invitandomi quindi a godere di quello che stavo vedendo con una sana sega. E allora a quel punto cominciavo e lei era felice, ed era come se quello che facevo in qualche modo l’aiutasse a venire più in fretta, quasi come se il fatto di vedere suo marito che si faceva una sega mentre lei faceva l’amore con un altro uomo la mandasse completamente in estasi. E infatti non appena cominciavo lei dopo qualche manciata di secondi riceveva un sensazionale orgasmo.
   Un giorno si allontanarono in modo considerevole dalla riva, e potetti assistere ad una scena molto intensa di amore orale. Li vidi allontanarsi mano nella mano verso il largo, fino a quando raggiunsero una secca. Però erano così distanti che li vedevo appena. Vedevo certamente il culone burroso di Sabrina, che era di spalle, ma non riuscivo a vedere tutti i particolari. Vidi soltanto che ad un certo punto lei si inginocchiò davanti a lui, e lui restando in piedi le infilò una mano tra i capelli e seguiva i movimenti della sua testa che andava avanti e indietro.
   Come vi dicevo non potevo vederli dettagliatamente, però era evidente che mia moglie gli stava facendo un pompino. In quella posizione, in ginocchio, e con la nuca che faceva avanti e indietro, cos’altro poteva stare facendo? Ed era bellissimo, anche se devo riconoscere che questa volta mi sentii un po' escluso, perché per la prima volta si erano spinti così distanti da me. Forse perché quella cosa che stavano facendo riguardava soltanto loro, e io non dovevo entrarci.
   Era un atteggiamento piuttosto insolito da parte di Sabrina, che quando faceva l’amore con Giuliano si assicurava sempre di darmi la possibilità di poter vedere tutto nei minimi particolari. Invece quella volta vedevo quello che stavano facendo ma allo stesso tempo vedevo i loro corpi in modo indefinito, che quasi non riuscivo neppure a riconoscerli. E fu questa cosa a farmi sentire escluso.
   Comunque dopo aver concluso l’opera, quindi dopo che Giuliano ebbe eiaculato in bocca a Sabrina, ritornarono verso la riva, e quindi verso di me. E a quel punto mia moglie mi fece capire che non erano stati loro a escludermi, bensì ero stato io a farmi da parte.
   “Tesoro, come mai non sei venuto a farci compagnia?” mi chiese. Sicuramente aveva ingoiato lo sperma di Giuliano, perché non ce n’era nemmeno una goccia sul viso o tra i capelli, per cui era evidente che lo aveva fatto. D’altronde glielo avevo visto fare varie volte, perché era una cosa che faceva con molto piacere. Certe volte per scherzare diceva che era la sua bibita preferita.
   “Non so” risposi. “Non volevo disturbarvi”.
   “Disturbarci?” domandò lei con un’espressione di incredulità. “Stefano, ma come ti viene in mente una cosa del genere? È assurdo. Cosa volevi, un invito in carta bollata per venirci a fare compagnia?”.
   Sabrina aveva ragione; ero stato io stupido a non andare da loro. Mi ero perso l’occasione di assistere ad un pompino epocale, che probabilmente non si sarebbe mai più ripetuto, vista anche la magica location in cui era stato eseguito. 
  

giovedì 9 agosto 2018

Tette al vento.

Tette al vento. 

(in foto: Ava Addams, Sunbathing Milf's Big Cock DP, Brazzers.com)


[postato da Sabrina]

   Come al solito mia figlia Moana tende sempre ad esagerare le cose. Se qualche volta le ho dato qualche schiaffo l’ho fatto solo per il suo bene, non certo per trarne piacere. In ogni modo ero andata al negozio da lei per dirle della fantastica notizia che presto suo fratello Rocco e la sua fidanzata transgender si sarebbero sposati. Ero così felice che facevo fatica a crederci. Adoravo Beatrice, e vederla diventare la moglie di mio figlio mi riempiva di gioia. E poi ero passata da Moana per salutarla prima della partenza. Il giorno dopo infatti sarei partita per una vacanza con i suoi due papà; era infatti l’anniversario del mio matrimonio con Stefano, e per una strana coincidenza era anche l’anniversario di quando Giuliano mi aveva iniziata all’amore anale. In verità non era stata una coincidenza, avevo infatti deciso di sposarmi proprio in quella data, e cioè quando per la prima volta fui penetrata analmente da Giuliano, il papà biologico di Moana.
   Era la prima volta che facevo una vacanza insieme a tutti e due, ed ero eccitata all’idea di farlo. I miei due uomini che amavo alla follia tutti per me, per due settimane intere. Solo noi tre e nessun altro. Il mio amato Lex, l’alano che avevo adottato, sarebbe rimasto a casa insieme a mio nipote Erri (che ormai da qualche tempo viveva in pianta stabile da noi) e Natalia, la collaboratrice esibizionista di mio marito Stefano (anche lei ormai viveva in casa nostra).
   La nostra meta era un mega villaggio turistico munito di tutti i servizi e tutti i comfort. Non avevamo badato a spese per questa vacanza, perché appunto avevamo qualcosa di molto importante da festeggiare. Il villaggio si trovava a pochi passi dal mare, e a dividerlo dalla spiaggia c’era una fitta pineta disseminata di tende di ogni colore e ogni forma. C’erano poi una serie di bungalow disseminati all’altra estremità della pineta, e noi ne avevamo preso uno in affitto e lo avevamo ribattezzato “il bungalow della passione”. Eh sì, perché per due settimane sarebbe stato il nostro nido d’amore.
   Accanto a noi c’erano tutte famigliole felici tipo quelle che si vedono nelle pubblicità, sorridenti, allegre e spensierate, noi invece eravamo un terzetto piuttosto “anomalo” composto da due uomini e una donna, e nessuno poteva nemmeno immaginare il tipo di legame che ci univa, e cioè che ero la donna di tutti e due. Ma in fin dei conti anche noi, a modo nostro, eravamo una “famigliola felice”, e questo nessuno poteva metterlo in dubbio. È che invece che avere un solo marito (come tutte le donne che occupavano gli altri bungalow) io ne avevo due.
   Comunque ben presto il nostro tipo di rapporto fu svelato, perché nei giorni che seguirono molti ebbero l’occasione di assistere alle mie esternazioni d’affetto e d’amore nei confronti sia di Stefano che di Giuliano (baci appassionati, abbracci, passeggiate mano nella mano). Quindi ben presto diventò ufficiale: la donna del bungalow numero 28 non è una moglie come tutte le altre. E questo scatenò certamente un numero considerevole di pettegolezzi e maldicenze sul mio conto, ma come ben sapete ci ero abituata fin da quando ero ragazza, per cui non mi facevano né caldo né freddo. Io ero felice, e questo mi bastava.
   Il bungalow era molto grazioso; era tutto in legno, e aveva sul retro un giardino privato con degli alberi e un’amaca. Era diviso dagli altri da una siepe che recintava l’alloggio lungo tutto il suo perimetro. Dentro c’era una camera da letto e una stanza con un letto singolo, e poi un bagno e la cucina. Stefano sorprese sia me che Giuliano quando disse che avrebbe dormito nella stanza accanto alla camera da letto; io obiettai che potevamo dormire tutti insieme, perché io ero la donna di entrambi, quindi era naturale per me desiderare di averceli tutti e due al mio fianco durante la notte. Ma lui continuò dicendo che preferiva in questo modo, e cioè lasciare a me e a Giuliano il letto matrimoniale. Pensai subito che questa sua decisione era legata al fatto che lui era sempre stato un marito cuckold, per cui sapermi nel letto insieme ad un altro uomo era per lui fonte di estrema eccitazione. Così decisi di accontentarlo.
   “Ok, se è questo che vuoi per me va bene” gli dissi. “Ovviamente qualche volta verrai a trovarci, spero”.
   “Ma certo, verrò a trovarvi molto spesso” mi rispose. “Ma può darsi anche che mi accontenterò di ascoltarvi mentre lo fate. D’altronde le pareti che dividono le nostre stanze sono di carta velina, per cui sarà come essere lì con voi, soltanto che sarà ancora più eccitante, perché ascolterò soltanto le vostre voci, senza la possibilità di vedere cosa succede”.
   “Sei un cornuto patentato” gli dissi divertita e baciandolo sulle labbra.
   “Lo sai che ascoltarti mentre fai l’amore è per me come ascoltare la musica più bella del mondo”.
   “Lo sai invece qual’è per me la musica più bella del mondo?” chiese Giuliano che era lì con noi ad ascoltare la nostra conversazione. “Questa” e mi diede un sonoro sganassone su una natica che echeggiò in modo assordante sulle pareti del bungalow.
   Sarebbe stata la vacanza più bella della mia vita, non ne avevo dubbi.
   La spiaggia, come vi dicevo poco fa, si raggiungeva tramite una fitta pineta. Il paesaggio era semplicemente paradisiaco era una distesa infinita di sabbia di cui una piccola parte disseminata di ombrelloni fatti di canne di bambù di proprietà del villaggio turistico. C’era anche uno chalet che dispensava cocktail di ogni colore e ogni gradazione alcolica.
   In lontananza di vedeva un porto nel quale attraccavano piccoli pescherecci, anche se per la vastità dell’area sembrava un porto adibito all’attracco di navi molto più grandi. Ma in verità per tutta la nostra permanenza al villaggio non avevo visto che piccole imbarcazioni e qualche motovedetta della guardia costiera.
   Ovviamente anche qui in spiaggia la nostra presenza destò l’interesse morboso degli altri villeggianti. D’altronde non poteva essere altrimenti dal momento che le mie amorevoli attenzioni erano rivolte sia a Stefano che a Giuliano. È chiaro che per le famiglie “tradizionali” il mio era un atteggiamento piuttosto insolito. Ma d’altronde cosa facevo di male? Amavo due uomini e li coccolavo entrambi. Non era un mio problema se a qualcuno poteva risultare scandaloso. Semmai il problema era la mia attitudine a tirare fuori le tette, quindi a stare senza il pezzo di sopra del costume.
   In verità io e Stefano abbiamo sempre praticato il nudismo quindi vi lascio immaginare lo sforzo che stavo facendo anche soltanto a tenere il pezzo di sotto. Ma per quieto vivere lo tenevo. Invece il pezzo di sopra proprio non ce la facevo, era più forte di me. Ma non potetti fare a meno di notare che questa cosa provocava un certo fastidio agli altri ospiti del villaggio, le suddette famiglie “tradizionali”. Però avrebbero fatto bene ad abituarsi il prima possibile a questa cosa, perché non avrei rinunciato per nessuna ragione al mondo a tenere le mie tette al vento.
   

martedì 7 agosto 2018

La seconda punizione.

La seconda punizione. 

(in foto: Carter Cruise, Rich Girl Gets What She Wants, Tushy.com)


[postato da Moana]

   Come dicevo nel post precedente, in tutta la mia vita mi ero beccata ben due schiaffi da mia madre, ma molti altri me ne sarei presi se durante le nostre frequenti discussioni mi fossi spinta oltre la sua soglia di tolleranza. Il secondo schiaffo riguarda il periodo in cui lavoravo allo strip bar del mio papà biologico. Mia madre non aveva mai potuto digerire il fatto che lavorassi lì, e aveva cercato varie volte di farmi smettere, fino a quando un giorno obbligò mio padre a licenziarmi. Ho raccontato questo episodio qualche anno fa, era il duemilaquindici per l’esattezza.
   Quando venni a sapere cosa aveva fatto feci il diavolo a quattro:
- Mamma, perché mi hai fatto questo?
- Perché sono molto preoccupata per te.
- Se permetti la mia vita me la gestisco io.
   Fu a quel punto che venne verso di me e mi colpì con il secondo schiaffo della mia vita, dritto sulla guancia, così forte che mi tolse la facoltà di parlare. Rimasi semplicemente scioccata per poter reagire, ma senza accorgermene gli occhi mi si arrossarono come se avessi la febbre, come se stessi per scoppiare a piangere.
- Ora basta! Finché sei sotto questo tetto comando io. E ora vattene in camera tua. Se non cambi stile di vita finirai per diventare una escort. È questo che vuoi?
   Non avevo la forza di rispondere dopo quello schiaffo.
- Rispondi! - urlò. - Vuoi diventare una escort?
- No - bofonchiai.
- Molto bene. Ora fila in camera tua.
   Chissà, forse aveva fatto bene a fare quella cosa. Perché altrimenti non sarei arrivata ad essere quello che sono adesso, e cioè la responsabile di florido negozio di intimo, di cui lei continuava ad esserne la proprietaria, ma poi a conti fatti ero io che lo amministravo e lo portavo avanti.
   Comunque anche in questo episodio che vi ho appena raccontato, avevo superato il limite invalicabile e mi ero beccata la seconda punizione corporale della mia vita. Ma ormai erano passati quei tempi; ormai ero adulta e vaccinata, per cui lei non aveva più alcuna autorità su di me. Eppure quando discutevo on mia madre continuavo a percepire la presenza di una soglia oltre la quale non potevo andare. E proprio per questo motivo tutte le nostre discussioni finivano sempre a suo favore, e io ne uscivo sempre sconfitta e amareggiata, perché essenzialmente non ho mai potuto digerire le sconfitte. Ma con mia madre non avevo alcuna speranza. Dovevo piegarmi e basta, perché non avevo e forse non avrei mai avuto il coraggio di superare un’altra volta il punto di non ritorno.
   Con i miei due papà invece il discorso era diverso. Il mio papà biologico non aveva mai alzato neppure un dito su di me, non ne avrebbe mai avuto il coraggio. Io ero la sua bambina. E ci avevo discusso pesantemente molte volte, e gli avevo anche detto cose terribili, e lui non aveva mai reagito, perché lui non era come mia madre lui non aveva un limite invalicabile che dovevo fare attenzione a non oltrepassare.
   Invece l’altro mio papà, con cui ero cresciuta, soltanto una volta mi aveva messo le mani addosso; per la precisione mi aveva sculacciata, perché io gli avevo detto, in seguito ad una lite furiosa, una cosa terribile. Avevo messo in discussione il fatto che lui fosse davvero mio padre. Anche questo episodio ho raccontato in questo blog, ed è legato ad un periodo davvero particolare per la nostra famiglia; mio padre a casa non c’era mai, perché era sempre impegnato con il lavoro, e mia madre aveva pensato bene di cornificarlo scappando via con un altro uomo.
   Quel giorno decisi di affrontarlo e di dirgli ciò che pensavo, e cioè che la nostra famiglia aveva qualche evidente problema da risolvere.
   “Che hai? Sembri nervosa” mi disse.
   “Nervosa? No, sono incazzata nera. Se tu facessi un po’ più il padre, invece di stare via per settimane e settimane, forse questa famiglia ritornerebbe a quote più normali” urlai. 
   “Moana, adesso basta. Ti giuro che certe volte mi fai venir voglia di prenderti a sculacciate”.
   “Ah sì? Ma se probabilmente non sei neppure mio padre”.
   L’avevo detta grossa, e se avessi potuto rimangiarmi quelle parole l’avrei fatto. A quel punto mio padre mi afferrò il braccio e mi fece girare di spalle e mi tirò su il vestitino scoprendomi le natiche, divise l’una dall’altra da un sottile lembo di tessuto del perizoma nero che indossavo. Mi colpì con uno schiaffo e io ebbi un sussulto. Non lo aveva mai fatto e mi sembrò davvero strano.
   “Bravo” dissi. “Spero che tu ti senta orgoglioso di quello che stai facendo”.
   Mio padre mi sculacciò un’altra volta e poi ancora. Poi mi lasciò il braccio, forse rendendosi conto che non era proprio una cosa appropriata sculacciare una figlia di vent’anni. Così me ne andai verso la mia stanza, senza neanche tirarmi giù il vestitino, sentendo per tutto il tragitto gli occhi di mio padre sulle mie natiche arrossate.
   Rimasi chiusa in camera a rimuginare su quanto era appena accaduto, e mi sentivo molto in colpa per quello che avevo detto. Però ero anche molto perplessa. Insomma, essere sculacciata a vent’anni dal proprio papà non aveva alcun senso, sembrava piuttosto una specie di incesto. E infatti così lo interpretai. Non c’era altra spiegazione, era un incesto bello e buono. E infatti mi regolai di conseguenza, e quando andai a chiedergli scusa lo feci in modo davvero poco “ortodosso”.
   Ma a parte questa punizione, se così possiamo definirla, non ho mai più ricevuto alcun tipo di punizione corporale da parte dei miei due papà. Con loro ho sempre avuto un rapporto diverso rispetto a quello che ho avuto con mia madre. Per loro sono stata e continuo ad essere la loro bambina da viziare a coccolare; per mia madre invece sono sempre e stata e sempre resterò la figlia da tenere sempre in riga.