giovedì 31 gennaio 2019

Tutto pianificato.

Soprattutto la visita allo "zio" Franco.


[postato da Rocco]

   “Che ne dici se passiamo a salutare lo zio Franco?” mi chiese mia madre ad un certo punto. Era matematico che mi avrebbe chiesto di farlo. E l’idea che avesse pianificato tutto il viaggio proprio per quello scopo diventava sempre più reale. Che poi lei lo chiamava in quel modo, lo zio Franco, ma non lo era affatto. Lui in realtà non aveva alcun legame di sangue con la nostra famiglia, era soltanto un amico dei miei genitori, però era un amico così speciale che da sempre avevano fatto intendere a me e a mia sorella che lui fosse una specie di zio alla lontana. Ma non era niente di tutto questo, era semplicemente un amico. Anzi, direi piuttosto un amico di letto, dal momento che mia madre aveva avuto non pochi rapporti con lui.
   E quindi alla richiesta di mia madre io risposi che se era quello che voleva io non avevo nulla da obiettare. E così l’incontro, che certamente era già stato pianificato in precedenza a mia insaputa, avvenne in un’area di servizio sull’autostrada Catania – Gela. Lui era già lì ad attenderci, e quando mia madre lo vide gli saltò letteralmente addosso dalla felicità, avvinghiandosi al suo corpo ben piazzato con gambe e braccia, e lui la prese mettendole le mani sulle natiche per non farla cadere. Iniziai a pensare che il porchissimo vestito bianco “da rimorchio” che aveva indossato non era stato una scelta casuale. Lo aveva indossato per lui, perché già sapeva che avremmo incontrato Franco, però me lo aveva detto soltanto dopo essere giunti a Messina. Incontrarlo era stato fin dal principio uno dei suoi obiettivi di quel viaggio, ma ovviamente non me lo avrebbe mai confessato.
   Mia madre sembrava non volersi più staccare da lui, e lo iniziò a tempestare di baci sul collo e sulle labbra, e lui continuava a tenerla su facendo presa con le mani sul suo culo burroso. Lei forse non se ne era accorta ma il vestito le era salito fin sopra ai fianchi, quindi era mezza nuda. Aveva le natiche ben divaricate, divise dal sottile lembo di stoffa del perizoma che percorreva tutto l’incavo e che nascondeva a malapena il buco del culo, che in quella posizione era chiaramente visibile, contornato da una leggera peluria castana. Il buco che l’aveva resa celebre. Il buco della gloria.
   “Gioia della mia vita, quanto mi sei mancato!” esultò mia madre.
   “Anche tu mi sei mancata, bella maialona!” rispose lui spremendole le natiche energicamente.
   “Ahi! Mi fai male!” urlò lei divertita. “Ma possibile che pensi sempre a quello?”.
   A quel punto Franco la mise giù e si accorse di me, e allora venne a stringermi la mano in modo cerimonioso, e complimentandosi con me per le mie recenti nozze. Aveva visto le fotografie che mia madre aveva postato su facebook, e ci tenne a dirmi che avevo fatto davvero un’ottima scelta a sposare Beatrice, perché pur non conoscendola era evidente il fatto che sarebbe stata una moglie eccezionale e che mi avrebbe dato momenti di intenso piacere.
   Una volta esplicati i saluti di rito Franco ci disse che ci avrebbe portati a visitare dei posti che valeva davvero la pena vedere. E così lasciammo la nostra auto nell’area di servizio e ci avviammo con la sua. Poi saremmo ritornati a prenderla in un secondo momento. E durante il tragitto mia madre non fece che guardare Franco con gli occhi a forma di cuoricino; era seduta accanto a lui, e gli teneva una mano sul pacco, accarezzandoglielo con amore da sopra i jeans. Forse era convinta che io non potessi vederla, perché ero seduto dietro, ma invece l’avevo vista benissimo. Glielo stava toccando con desiderio. Era evidente che lo desiderava e che presto lo avrebbe ottenuto. Non sapevo dove o quando, ma presto la trave di Franco sarebbe entrata nel corpo di mia madre.
   Tra di loro c’era sempre stato un rapporto molto particolare. Quando mia madre era in sua presenza subiva una specie di trasformazione; ritornava ad essere Sabrina Bocca e Culo, e per tutto il tempo si dimenticava di essere una donna sposata. Franco inoltre era il tipo d’uomo che le faceva perdere la testa: ben piazzato e con la carnagione scura. Mia madre aveva sempre subito il fascino degli uomini scuri di pelle. Basti pensare al fatto che il suo sogno era incontrare il leggendario divo del porno Lex Steele e diventare la sua schiava del sesso, per cui questo la dice lunga sui suoi gusti in fatto di uomini.
   Ad un certo punto chiusi gli occhi; ero un po' stanco e avevo voglia di riposarmi. Ma non mi addormentai, semplicemente chiusi le palpebre. E allora sentii mia madre che sussurrava qualcosa a Franco: “si è addormentato. Che ne dici? Lo facciamo? Ne ho tanta voglia”.
   E lui: “volentieri. Dai, comincia”.
   A quel punto sentii la lampo dei jeans di Franco che si abbassava, e poi mia madre che esclamava a bassa voce: “uh la la! Guarda che trave!”.
   Aprii leggermente gli occhi per vedere cosa stava succedendo e vidi che mia madre si era abbassata sul suo cazzo e faceva su e giù con la testa. Gli stava facendo un pompino mentre lui guidava, proprio davanti a me, convinta del fatto che non mi sarei accorto di niente. Comunque glielo lasciai credere e richiusi gli occhi. Ma mia madre quando faceva un pompino era molto rumorosa; faceva schioppettare le labbra in modo osceno e poi non riusciva a trattenere alcuni mugolii di piacere. E inoltre quando il glande gli arrivava alla gola emetteva dei gorgoglii molto simili a quando si fanno i gargarismi.
   Ogni tanto riaprivo gli occhi e vedevo soltanto la sua chioma castana fare su e giù. Non riuscivo a vedere la sua bocca, ma non ci voleva tanto ad immaginare l’atto in cui era impegnata in quel momento. Soprattutto perché i rumori che ne scaturivano erano molto eloquenti.
   Dopo dieci minuti che andava avanti l’operazione sentii Franco ansimare in preda al piacere, e mia madre continuava a tenerlo in bocca mentre lui gliela riempiva con il suo sperma, che lei ingoiò senza esitazioni. Poi sentii di nuovo il suono della cerniera dei jeans e a quel punto capii che avevano finito e che potevo riaprire gli occhi. Mia madre si era ricomposta e mi sorrideva.
   “Ben svegliato, dormiglione!”.
   “Grazie. Ero un po' stanco”.
   

martedì 29 gennaio 2019

Nessuno

ci potrà separare. 


[postato da Rocco]

   Quella notte non riuscii a dormire, e mi rigiravo nel letto in continuazione, e ogni tanto guardavo mia madre, che lei invece dormiva beatamente, nuda come suo solito, a pancia in giù. Continuavo a pensare al mio insolito attacco di gelosia. Mi infastidiva anche pensarla a letto con mio padre, peggio ancora se la pensavo a letto col papà di mia sorella Moana. Se poi pensavo a quello che era successo quella sera, e cioè alla sua esibizione davanti al fattore del casale, mi veniva una rabbia incontrollabile. Perché lei era bella, aveva un corpo divino, e non volevo che gli altri la utilizzassero per il solo scopo di godere. Non volevo che gli uomini insomma avessero di lei una considerazione pari a quella di un oggetto, un buco da riempire e in cui riversare il proprio sperma.
   Lei doveva essere mia e di nessun altro. Ecco cosa pensavo mentre ero sul letto accanto a lei. E forse è per questo che feci la cosa che sto per raccontarvi. Ad un certo punto iniziai ad accarezzarle il suo meraviglioso culo burroso, poi con un dito percorsi il solco che c’era tra le due natiche fino a giungere al buco del condotto anale, e quando glielo toccai lei ebbe un sussulto nel sonno e emise un rantolo di piacere. Il buco si dischiuse, quasi sembrava che mi stesse offrendo di entrare, e io aveva una gran voglia di farlo, ma ovviamente non potevo. Era una cosa folle soltanto il fatto di pensare di volerlo fare.
   Notai il tatuaggio che aveva dietro il collo, la G stilizzata di Giuliano, il papà di mia sorella Moana. Quel marchio indelebile sulla sua pelle parlava chiaro, e diceva: proprietà privata di Giuliano. Lui la possedeva, ancor più di mio padre, il quale ne era il marito ma a quanto pare quella lettera sul collo di mia madre testimoniava il fatto che il padrone effettivo di mia madre era Giuliano. Lo so che parlare di “padrone” è davvero assurdo, però non so come altro definire il rapporto che c’era tra mia madre e il padre biologico di mia sorella. Lui faceva di lei ciò che voleva. Lei era insomma felicemente sottomessa.
   Comunque vedere quella lettera mi fece proprio perdere la ragione. E allora mi tolsi le mutande e mi misi a cavalcioni su di lei, con l’erezione a pochi centimetri dal suo buco del culo e mi feci una sega fino a farle una cumshot addosso. Il mio sperma, decisamente copioso, schizzò sulle sue natiche, e un fiotto si posò con una precisione straordinaria sull’orifizio anale, e io lo spinsi dentro con un dito. Lo feci con rabbia, con la precisa volontà di riappropriarmi di mia madre, perché quella G sul collo mi stava dicendo chiaramente che lei apparteneva soltanto ad un uomo, e questa cosa non potevo accettarla. Ma ora che avevo ottenuto ciò che volevo venni assalito da un terribile senso di colpa.
   Cosa mi era saltato in mente? Sborrare sul culo della donna che mi aveva messo al mondo. Mi sentivo un vero bastardo. E allora andai in bagno e rovistai nella sua borsa alla ricerca delle salviette che mia madre portava sempre con se, quelle umidificate. Le trovai e poi ritornai sul letto e iniziai a pulirla. Ma cazzo, avevo combinato un casino, la sborra era davvero tanta, e mi ci volle mezzo pacco di salvietta per toglierla tutta. Poi a operazione conclusa mi accasciai su di lei e la strinsi tra le mie braccia con tutta l’energia che avevo, tanto da farla svegliare.
   “Cosa c’è, tesoro mio?” mi chiese. “Hai fatto un brutto sogno?”.
   “Sì. Ho sognato di perderti”.
   “Amore… questo non succederà mai. La tua mamma resterà sempre al tuo fianco. Nessuno ci potrà separare”.
   A questo punto mia madre mi mise una mano dietro la nuca e mi spinse il viso contro le sue enormi tette, strofinandomi un capezzolo sulla bocca quasi come se volesse allattarmi, e allora io mi attaccai con la bocca e iniziai a baciarlo e leccarlo fino ad addormentarmi.
   Il giorno dopo lasciammo il casale, con il sincero dispiacere del fattore, il quale aveva potuto godere delle provocazioni di mia madre. Ma il nostro viaggio doveva continuare, e allora ritornammo in autostrada lasciandoci la campagna incontaminata alle spalle. Non avevamo ancora una meta ben definita, però ad un certo punto ci trovammo a San Giovanni senza rendercene conto. I traghetti che partivano per la Sicilia erano davanti ai nostri occhi, e a quel punto uscimmo dalla macchina per guardare l’altro lato dello stretto.
   “Che facciamo?” mi chiese lei. “Vuoi proseguire o ritornare indietro?”.
   “Per me vanno bene entrambe le opzioni” risposi. “Decidi tu”.
   Mia madre decise di proseguire, per cui guidò fino a immettersi nella fila di auto che a breve avrebbero fatto salire a bordo della prossima nave. Lei aveva un legame molto stretto con l’isola su cui presto saremo sbarcati. C’era infatti una persona, molto speciale, con cui mia madre aveva avuto un rapporto piuttosto ambiguo. Ed ero quasi certo che poi alla fine quel viaggio che avevamo deciso di intraprendere avrebbe portato proprio a lui. Non sapevo se mia madre avesse pianificato tutto fin dal principio, ma questa ipotesi non sembrava affatto inverosimile.
   Una volta saliti sul traghetto ce ne andammo sopra, ovvero sul ponte, e con noi c’era anche Lex, che se ne stette buono per tutta la traversata. Io mi misi in fila al bar per comprare un arancino e quando poi uscii fuori vidi mia madre affacciata al parapetto che guardava verso la costa messinese. Era bellissima, indossava un provocante vestito bianco, incredibilmente corto e stretto, che metteva in risalto le sue cosce tornite e il suo culo morbido. Era così stretto che si vedevano i bordi del perizoma che indossava sotto. E in quel momento passarono due ragazzotti che dopo aver accuratamente visionato le sue sensazionali curve esclamarono qualcosa in dialetto: “che pezzo di sticchio, gli facissi il danno”. Mia madre aveva sentito, ma non sembrò infastidita da quel commento, piuttosto sembrava divertita. E quando mi avvicinai le chiesi cosa avevano detto quei due, e lei me lo disse, ma io non ne capii il significato, e allora lei cercò di spiegarmelo.
   “Sticchio viene da osticulum, ovvero buco. Quindi la prima parte della frase voleva dire: che gran bel buco. E poi con la seconda parte dell’esclamazione, gli facissi il danno, forse quel ragazzo intendeva dire che avrebbe voluto mettermi incinta, o forse penetrarmi analmente”.
   “Che bastardi” dissi.
   “Non te la prendere. Era soltanto un commento un po' volgarotto”.
   “Sì, però ti hanno definita un buco”.
   “Che importanza ha? Siamo in vacanza, cerca di rilassarti”.

martedì 22 gennaio 2019

Una mamma popolare

come Christy Canyon.

(in foto: Christy Canyon)


[postato da Rocco]

   Mia madre era davvero euforica. Era la prima volta che facevamo una vacanza soltanto io e lei. In verità c’era anche Lex, il suo fedele alano nero, perché mi disse che non se la sentiva di lasciarlo da solo a casa. La macchina di mia madre era abbastanza spaziosa da contenere anche lui, le cui dimensioni erano piuttosto notevoli.
   Non avevamo una destinazione precisa. Prima di partire avevamo fatto testa o croce con una moneta per decidere se andare a sud o andare al nord. Era uscito il sud. E così mia madre si era immessa in autostrada e aveva seguito le indicazioni per la Salerno – Reggio Calabria. Era così felice che non faceva che ringraziarmi per aver accettato il suo invito a fare una vacanza con lei. 
   “Mamma, non devi ringraziarmi. Io sono molto felice di farlo. D’altronde chi è che non lo sarebbe? Cioè, voglio dire a chi è che non farebbe piacere fare una vacanza con la mitica Sabrina Bocca e Culo” dissi scherzosamente. E mia madre rise, però lo fece principalmente per nascondere il suo imbarazzo, come se avessi toccato un argomento piuttosto delicato. E in effetti lo era, soprattutto perché lei era mia madre. Però io ormai ci avevo fatto l’abitudine a quella cosa, e cioè al fatto che quando era ragazza mia madre era stata ribattezzata in quel modo, Bocca e Culo, per la sua disponibilità a far godere gli uomini con quelle due parti del corpo. Diciamo che me ne ero fatto una ragione. Però non vi nascondo che all’inizio ci avevo sofferto un po', perché era come aver scoperto di punto in bianco che mia madre era stata una pornostar. Capirete da soli che non è una cosa facile da accettare.
   “Sai, avrei sempre voluto chiedertelo” mi disse. “Cosa hai provato quando hai scoperto che da ragazza mi chiamavano in quel modo?”.
   “Beh, non è stato facile accettarlo. La prima volta che ho sentito quel nome è stato a scuola. I miei compagni mi prendevano in giro perché dicevano che ero il figlio di Sabrina Bocca e Culo, ma io non capivo. E poi per provocarmi mi raccontavano delle cose su di te, mi dicevano che eri un’amante delle gangbang interrazziali. Oppure mi dicevano che mio padre poteva essere chiunque, dal momento che tu avevi avuto rapporti con tantissimi uomini. Dicevano che bastava pagare per venire a letto con te”.
   “Questa è la più grande balla che sia mai stata detta sul mio conto” disse mia madre visibilmente irritata. “È vero, ho avuto rapporti con moltissimi uomini, ma non ho mai preteso dei soldi in cambio. L’ho fatto soltanto perché mi andava di farlo”.
   Ricordo che una volta un mio compagno di classe aveva portato a scuola una fotografia di mia madre nuda. Per me fu una specie di trauma. Non lo sapevo quando era stata scattata e per quale motivo, sapevo soltanto che l’aveva presa a suo padre. Ricordo che il mio compagno iniziò a sfoggiare la fotografia come un trofeo, poi me la fece vedere anche a me e mi disse: “di’ un po', ti ricorda qualcuno?”. Nella foto mia madre indossava delle calze autoreggenti, ma per il resto era nuda, ed era seduta su un sofà e aveva le gambe aperte, con la figa pelosa ben in vista, le labbra leggermente dischiuse e ovviamente le sue enormi tette che da sempre avevano scatenato le fantasie di chiunque. Comunque gli dissi che era soltanto una donna che assomigliava a mia madre, tutto qui. Ma lui disse che invece non era come dicevo io, ma che era proprio mia madre, in carne e ossa… e tette, e suo padre aveva quella fotografia perché era stato a letto con lei. “Non è vero!” Gridai. E lui: “sì invece, e hanno fatto sesso anale e orale, e poi mio padre gli ha fatto pure una cumshot in faccia”. “Non è vero! Mia madre non si farebbe fare mai e poi mai una cumshot!”. E invece come sapete se le faceva fare e come. Ne aveva ricevute tantissime di cumshot, ma ovviamente allora io non potevo saperlo.
   Raccontai l’episodio della fotografia a mia madre, mentre stava guidando in autostrada, e lei non ne fu molto sorpresa.
   “È possibile” mi disse. “Quando facevo l’amore con qualcuno spesso mi veniva chiesto se potevano scattarmi delle fotografie. E io gli dicevo di sì. Non ci vedevo niente di male. Quindi in giro ci saranno centinaia di fotografie come quella che hai visto”.
   “Ma perché volevano fotografarti?”.
   “Non lo so. Forse per avere una prova inconfutabile che avevano fatto l’amore con me, una testimonianza da sbandierare in faccia agli amici. Comunque mi dispiace se quella fotografia ti ha fatto soffrire. Di certo quando è stata scattata non avrei mai e poi mai immaginato che un giorno l’avrebbe potuta vedere mio figlio”.
   Di certo non era l’unica fotografia “scomoda” che avevo visto di mia madre. Quando ero ragazzino infatti mi piaceva curiosare, e soprattutto nella camera da letto dei miei genitori. E un giorno, tra i sex toys di mia madre, trovai qualcosa che attirò la mia attenzione. Era un album fotografico. E quando andai ad aprirlo trovai una ventina di fotografie di lei che faceva l’amore con mio padre. O almeno credo che fosse mio padre, perché il suo volto non si vedeva mai. Erano infatti fotografie scattate in P.O.V., per utilizzare un termine della pornografia, cioè riprese dal punto di vista di chi la stava penetrando.
   Ma era davvero mio padre? Non potevo saperlo. Però anche in quel caso, come nel caso della fotografia che aveva il mio compagno di scuola, vedere mia madre in quel contesto così “privato”, mi fece davvero male.
   Con il tempo poi ci feci l’abitudine; essere il figlio di Sabrina Bocca e Culo era un po' come essere il figlio di una pornodiva del calibro di Christy Canyon. Anche mia madre infatti come la Canyon era stata una specie di celebrità.

sabato 19 gennaio 2019

Una mamma con la

spagnola facile.

(in foto: Lorna Morgan, ScoreClassics.com)


[postato da Rocco]

   Mia madre aveva ragione; era da parecchio che non ritornavo a casa. Ma ero sempre troppo impegnato, o forse era soltanto pigrizia, non lo so, però obiettivamente il tempo che passavo con lei ultimamente era veramente scarso. E quando la vidi lì alla spiaggia nudista dell’Ultimo Scoglio mi si riempì il cuore di un calore che solo lei riusciva a trasmettere. La mia bella mamma, sogno erotico di molti uomini, con quel corpo così prosperoso e quelle tette enormi che avevano tanto “spagnoleggiato” e fatto godere mio padre (e non solo lui, come ben sapete). Sì, mia mamma aveva la spagnola facile, nel senso che era ben consapevole che le tette erano il suo forte, e allora le utilizzava come arma per sedurre gli uomini e farli godere. Per questo era così desiderata.
   La sua visita inaspettata alla spiaggia dell’Ultimo Scoglio ci diede modo di trascorrere del tempo insieme. E ovviamente per me fu un notevole piacere farlo. E riuscii a convincerla a fare una cosa che di solito facevo da solo; una cosa che era anche abbastanza pericolosa, però ne valeva la pena, ovvero scalare l’Ultimo Scoglio. Ogni tanto quando volevo starmene per conto mio salivo fin lassù e guardavo l’orizzonte come una specie di eremita.
   Mia madre non era sicura di riuscire a farcela, perché effettivamente la grande roccia era piuttosto ripida. Ma le dissi che l’avrei aiutata io, perché conoscevo ogni punto d’appoggio come le mie tasche. E allora feci andare avanti lei, e iniziai a indicarle i vari punti su cui poteva fare presa con mani e piedi. E mentre le davo indicazioni non potetti fare a meno di contemplare il suo corpo formoso da sotto, il suo bel culone burroso, che ad un certo punto vidi aprirsi e mettere a nudo il suo buco della passione (come lo chiamava Beatrice), il caldo ingresso del condotto anale che aveva accolto così tanti uomini da farle guadagnare l’appellativo che tutti conoscevano, ossia Sabrina Bocca e Culo. E più sotto invece vedevo chiaramente le labbra della sua figa, contornate da una fitta peluria crespa e di colore castano. Le labbra in cui mio padre aveva riversato il suo sperma per generarmi. Dio, quanto era bella mia madre! Era la quintessenza della femminilità e dell’erotismo, con il suo corpo divino che non avrebbe mai smesso di far perdere la testa agli uomini. Mio padre era davvero fortunato ad averla.
   “Sto andando bene?” mi chiese una volta arrivata a metà dell’arrampicata.
   “Stai andando benissimo mamma, sei bravissima”.
   “Grazie tesoro mio. Sto facendo del mio meglio”.
   Una volta arrivata su mi arrampicai anche io, ma al contrario di lei mi ci vollero una manciata di secondi per arrivare in cima. Io lo avevo già fatto altre volte, per cui già sapevo dove mettere le mani e i piedi. Sulla vetta dell’enorme masso nero si aveva la panoramica di tutto il litorale, e inoltre si vedeva il mio ristorante, l’attività che ero riuscito a tirare su non senza l’aiuto di mia moglie Beatrice. E mia madre mi disse che adesso capiva il motivo per cui ogni tanto salivo fin lassù. Poi iniziò a fischiare in direzione di Lex, il suo fedele alano nero che era rimasto giù a correre come un matto sulla sabbia. Mia madre fischiava e lui alzava le orecchie e abbaiava nella nostra direzione, e poi continuava la sua folle corsa. Mia madre lo aveva chiamato in quel modo in onore di un attore porno che le aveva sempre fatto perdere la brocca, ovvero Lex Steele; la sua verga di ventotto centimetri era la sua fantasia proibita fin da quando aveva cominciato ad appassionarsi ai film hard. Più di una volta le avevo sentito dire che il suo sogno era diventare la sua schiava del sesso, farsi fare il servizio completo, davanti e dietro, e poi magari farsi mettere incinta. Insomma, questo per farvi capire che mia madre era proprio innamorata persa di Lex Steele.
   “Guarda come corre” mi disse riferendosi al suo alano. “Non è un amore? Senza di lui mi sentirei molto sola. Ci sono certi giorni che la solitudine mi divora, però con lui è diverso. Avere lui mi fa stare meglio”.
   Mia madre iniziò a sfogarsi raccontandomi del suo senso di inutilità. Da quando io e Moana ce n’eravamo andati da casa per starcene per conto nostro era cambiato tutto, e inoltre mio padre e il papà di Moana stavano fuori tutto il giorno, per cui lei si sentiva sola e inutile, dal momento che la sua vita non aveva più una funzione, se non quella di soddisfare sessualmente sia mio padre che il papà di mia sorella. Prima del nostro allontanamento il suo scopo era stato quello di badare a noi, e poi aveva anche il negozio di intimo, per cui era piena di impegni. Invece adesso il negozio era diventato a tutti gli effetti di Moana, anche se nominalmente era ancora suo. Però, mi disse, lei ne aveva preso il pieno potere, e praticamente aveva tagliato fuori mia madre. Per cui lei non sapeva cosa fare. Si sentiva appunto inutile e inappagata.
   E mentre mi raccontava queste cose eravamo seduti sull’enorme scoglio, e lei mi accarezzava una gamba e sentivo le sue dita che mi esploravano l’interno coscia, e ogni tanto mi sfioravano il sesso, il quale non rimase indifferente a quel contatto e iniziò ad indurirsi raggiungendo la massima erezione. Cercai di trattenermi, ma le carezze di mia madre erano davvero intime e delicate che trattenere l’erezione era impossibile. Lei ovviamente se ne accorse e allora iniziò ad accarezzarlo con tenerezza e amore in tutta la sua lunghezza, dalle palle alla cappella. Non lo faceva con malizia, d’altronde era pur sempre mia madre, ma lo faceva per il piacere di farlo, per l’affetto che provava per me. Il suo scopo non era farmi sborrare, ma darmi piacere.
   “Come sei bello” sussurrò ad un certo punto, forse facendo riferimento alla mia possente erezione.
   Ero molto dispiaciuto per quello che mi aveva raccontato. Avrei voluto fare qualcosa per lei, per renderla di nuovo felice, ma non sapevo proprio cosa inventarmi.
   “C’è qualcosa che posso fare per farti stare meglio?” le chiesi.
   “Forse sì. Potresti passare del tempo insieme alla tua mamma. Che ne dici? Potremmo prenderci una vacanza, solo io e te”.
   Era un’idea meravigliosa e le dissi subito di sì, senza pensarci troppo. Ma resistere alle carezze di mia madre era impossibile, per cui mi lasciai andare e iniziai a fiottare come una fontana.
   “Bravo tesoro, non trattenerla” mi disse amorevolmente e continuando a toccarmi con tenerezza.

giovedì 17 gennaio 2019

E alla fine

rimane solo mamma. 

(in foto: Chloe Vevrier, ScoreClassics.com)


 [postato da Sabri]

   Erri aveva deciso che era venuto il momento di crescere, e quindi di gettarsi in questa rocambolesca ma appassionante storia d’amore. Aveva fatto la cosa giusta, e in quanto zia ero fiera di lui. D’altronde era il motivo per cui mi era stato affidato da sua madre; il mio compito doveva essere quello di aiutarlo a crescere, e in un certo senso ci ero riuscita. Erri era diventato adulto ed era volato via, e adesso ero rimasta di nuovo sola, come quando Moana e Rocco avevano deciso di andare a stare per conto loro. È inevitabile, ad un certo punto i figli diventano adulti e se ne vanno. E io ero rimasta di nuovo sola; cioè, non proprio, con me c’era pur sempre il mio Lex, il grosso alano che mi teneva compagnia e che mi venerava come una dea. E poi la sera Stefano e Giuliano ritornavano dal lavoro, e mi prendevano, mi usavano per godere, e io mi davo a loro con gioia, lasciavo che facessero di me ciò che volevano, e spesso mi prendevano tutti e due insieme, uno davanti e uno dietro, oppure soltanto Giuliano, e Stefano si limitava a guardare. Ero ancora innamorata di entrambi, ero accecata dall’amore che provavo per loro, e li volevo tutti e due, e potevo averli. Insomma mi sentivo la donna più fortunata di questo mondo.
   Eppure quando poi al mattino se ne andavano a lavoro io rimanevo di nuovo sola, e mi sentivo un vuoto dentro. Spesso me ne andavo al centro commerciale a vedere se serviva una mano al negozio di intimo, e ci trovavo Moana che mi faceva capire che del mio aiuto non sapeva che farsene. Ero ancora nominalmente io la proprietaria dell’attività, ma lei non voleva che mettessi il naso negli affari. Ormai era lei a gestire le cose, e devo dire che se la cavava piuttosto bene.
   Un giorno decisi di andare a trovare Rocco, il quale aveva rilevato una struttura abbandonata sulla costa e ci aveva aperto un ristorante, in prossimità della spiaggia nudista conosciuta come L’Ultimo Scoglio. Portai anche Lex insieme a me, pensando che probabilmente gli avrebbe fatto molto piacere fare una passeggiata al mare. E una volta arrivati a destinazione balzò fuori dalla macchina e si mise subito ad esplorare quella piccola oasi paradisiaca.
   Non eravamo ancora in alta stagione, per cui in spiaggia non c’era nessuno, a parte qualche guardone che si aggirava nella speranza di trovare qualche coppietta appartata che faceva l’amore. La spiaggia dell’Ultimo Scoglio era infatti conosciuta soprattutto per quello; non era semplicemente una spiaggia nudista, era piuttosto un pezzo di costa dove tutto era lecito, e il sesso si manifestava in tutte le sue forme, senza alcuna limitazione o preconcetto.
   Andai verso il ristorante di Rocco e chiamai Lex con un fischio affinché mi venisse dietro, e lui mi seguì fedelmente. Entrammo dentro ma mio figlio non c’era, c’era soltanto una cameriera che stava sistemando la sala. Le chiesi dove potevo trovare Rocco e lei mi disse che era andato fuori, verso la spiaggia. E allora gli andai incontro, ma prima mi liberai dei vestiti e li lasciai in macchina, e con le tette e la patata al vento mi incamminai verso il mare. Era da tanto che non lo facevo. Era appena passato un inverno molto duro, per cui il fatto di potermi sbarazzare dei vestiti e stare nuda all’aria aperta per me era una vera liberazione. E poi c’era una calma e un silenzio che non sembravano neppure di questo mondo. Era come vivere un’esperienza mistica, direi quasi ultraterrena, con un vento soffice che mi accarezzava il corpo, ci faceva l’amore e lo penetrava, donandomi delle piacevoli sensazioni che erano molto simili al piacere che avevo quando ad accarezzarmi erano le mani di Stefano e Giuliano, gli uomini che amavo, gli uomini che mi rendevano felice.
   Iniziai a percorrere il bagnasciuga e Lex mi venne dietro, rotolandosi di tanto in tanto sulla sabbia, e poi rimettendosi su quattro zampe e scrollandosi di dosso la sabbia bagnata. Ad un certo punto vidi mio figlio; era nudo anche lui, ed era seduto in riva al mare e lo contemplava senza muovere un muscolo. Sembrava quasi assorto in un esercizio di meditazione. Poi si accorse di me e allora si alzò e mi venne incontro. Non potetti fare a meno di guardare il suo attrezzo del piacere, che sono sicura rendeva molto felice Beatrice, la sua bellissima moglie transgender. Devo dire con un certo orgoglio che mio figlio aveva sempre avuto un cazzo spettacolare, vigoroso, possente, che prometteva ore di intenso piacere anale e vaginale, e rigogliose cumshot da competizione. Quello era mio figlio, e avevo tutte le ragioni per vantarmene.
   Lo abbracciai e gli tempestai le guance di baci. Era da molto tempo che non lo vedevo. Il suo ristorante assorbiva la maggior parte del suo tempo, anche quello che avrebbe potuto dedicare a stare con la sua famiglia. Era già da qualche settimana che saltava il nostro abituale pranzo della domenica, quando per la mia gioia ci riunivamo tutti quanti allo stesso tavolo per trascorrere del tempo insieme, con Moana che sbroccava perché diceva che parlavo troppo, con Giuliano che non perdeva mai occasione per palparmi il sedere, e Stefano che discuteva con Berni di cinema e attualità. Un rito che si ripeteva ogni settimana e di cui io non ero mai stanca, ma che anzi aspettavo con ansia. Eppure era una tradizione a cui Rocco non partecipava da alcune settimane per improrogabili impegni legati alla sua nuova attività di ristoratore. E questa sua assenza mi causava un certo dispiacere.
   “Tesoro mio” gli dissi, “non hai più tempo per venire a trovare la tua vecchia mamma, vero?”.
   “Vecchia non direi, guardati” mi rispose. “Sei uno schianto. Hai un corpo che farebbe invidia a qualsiasi ragazza di vent’anni”.
   “Amore, dici così soltanto perché sono tua madre”.
   A quel punto gli presi la mano e ci incamminammo verso lo scoglio gigante che dava il nome alla spiaggia, l’ultimo, quello che delimitava la zona nudista.

martedì 15 gennaio 2019

sabato 12 gennaio 2019

Quando ti viene

l'abbiocco.


[postato da Erri]

   Quindi organizzai la cena con mio padre, il quale prenotò in un ristorante che conosceva lui, e quindi andai a casa di Chiara, poi da lì saremmo andati con la sua macchina. Chiara infatti aveva una macchina, e questo era un bene altrimenti saremmo dovuti andare a piedi dal momento che io come sapete non sono automunito.
   Chiara abitava in un monolocale al centro, un piccolo appartamento senza pretese, perché lei era terra terra, e non ero io a dirlo, lo diceva da sola ogni volta che iniziava a parlare delle sue origini. Per cui la casa che aveva gli andava più che bene, anzi, era addirittura fin troppo lussuosa, perché lei era cresciuta in una specie di stalla, o qualcosa del genere.
   Comunque quando arrivai a casa sua fui accolto dal suo fidanzato ultras, e per qualche istante temetti per la mia incolumità. Sapevo quanto poteva diventare irascibile, e io non ero mai stato molto bravo a difendermi. Anzi, a scuola ero lo zimbello di tutti. Una volta dei bulletti mi avevano portato in bagno e mi avevano infilato con la testa nel gabinetto. Per cui non avevo alcuna speranza contro il fidanzato ultras di Chiara.
   In realtà lui non abitava con lei, per questo motivo non avrei mai pensato di trovarlo lì al mio arrivo. E invece sì, era lì e il suo atteggiamento mi sorprese molto, perché fu molto cortese, però era una cortesia tutta di facciata, perché poi iniziò a sproloquiare sul fatto che Chiara era “sua”, e che guai a chi gliela toccava, quindi io dovevo stare attento a quello che facevo. E mentre mi diceva queste cose mi condusse verso il bagno, dove c’era lei che si stava facendo la doccia; e lui per dimostrarmi che lei era sua e che io potevo solo guardarla allora si spogliò e si infilò sotto la doccia con lei e iniziò a chiavarsela proprio davanti a me, nonostante la sua disapprovazione, perché non le andava di farlo di fronte a me.
   “Daje amò! Non davanti a lui!”.
   “Ma che, te vergogni?” rispose il capo ultras, che nel frattempo aveva afferrato Chiara per i fianchi e se la stava chiavando da dietro, e ogni tanto le dava dei gran sganassoni sul suo bel culone sodo. E io ero incantato davanti a quella performance. Cazzo se erano bravi, soprattutto lui, che in quel momento stava conducendo il gioco e lei si faceva fare quello che voleva. Era evidente che il fidanzato ultras stava marcando il territorio.
   Dopo averle sborrato dentro se ne andò via. C’era una partita importante e lui non poteva assolutamente mancarci, nonostante fosse un pluridiffidato. E così rimasi solo con Chiara, la quale iniziò a prepararsi per la cena. Indossò degli hot pants di jeans che mettevano in risalto le sue lunghe cosce tornite. Era porchissima, però non sapevo se era il caso di farla venire alla cena in quel modo.
   “Perché?” mi chiese lei. “Cosa ho che non va?”.
   Obiettivamente niente. Era perfetta. Mio padre l’avrebbe trovata semplicemente irresistibile. Una stangona di due metri con due cosce che non finivano più. A pensarci bene era addirittura impensabile che potesse essere la mia fidanzata. Uno sfigato come me soltanto pagando poteva avere un lusso simile.
   Quando arrivammo al ristorante Chiara non passò di certo inosservata; era un locale di alto livello, per cui vestita in quel modo chi è che non l’avrebbe notata? E comunque mio padre, un uomo di mezza età distinto e con i capelli bianchi, rimase piacevolmente sorpreso, infatti lui come già ho avuto modo di dire era un malato di sesso peggio di me. E allora venne verso di noi e fece per prenderle la mano e baciargliela, ma lei non capì il gesto galante e gliela strinse come si fa tra amici, una stretta forte che subito mise in chiaro le cose, e cioè che lei era così come la vedevi.
   A tavola Chiara sembrava un pozzo senza fondo. Mangiava tutto ciò che gli veniva messo davanti, e poi alla fine prendeva il pane e ripuliva il piatto. Era inarrestabile, una macchina divoratrice. E nel frattempo raccontava a mio padre con un certo orgoglio delle sue origini contadine. E notai che ai tavoli accanto ci guardavano tutti, perché Chiara era, come si direbbe dalle sue parti, una caciarona, nel senso che faceva molto baccano, parlava a voce troppo alta, ma d’altronde lei lo sapeva e diceva che non poteva farci niente, perché lei era così. Era burina.
   Devo dire che la sceneggiata riuscì perfettamente, e mio padre ormai era convinto: avevo una fidanzata. Un po' sopra le righe, però ce l’avevo. Per cui potevo continuare a usufruire del suo conto in banca.
   Durante il ritorno a casa, mentre Chiara stava guidando, ci provai e le chiesi se (ovviamente pagando) potevo fare l’amore con lei. Ma era proprio fuori discussione. Non le faceva queste cose.
   “Mica sono come quella zozzona de Beatrice, che se porta i clienti a casa?”.
   “Ma io credevo che...”.
   “Senti tesò, vuoi scopà? Allora te accompagno da una che conosco io, che pe’ na piotta te da er servizio completo. E ‘na rumena co’ du zinne così” lasciò un attimo il volante e con le mani mi fece vedere le dimensioni del seno di questa sua amica.
   “No, non è questo, è soltanto che non mi va di ritornare a casa… da solo”.
   “Ah… ho capito che voi. Voi soltanto un po' de compagnia. E allora se voi puoi venì da me, però nun farte venì strane idee. Ce guardamo la televisione e poi quanno te vie’ l’abbiocco te ne rivai a casa tua”.
   Le dissi che per me andava bene. Magari sarei riuscito a convincerla. E magari mi avrebbe dato quel culo divino che c’aveva. Tanto il suo fidanzato ultras stava allo stadio, quindi non correvo alcun pericolo.
   

giovedì 10 gennaio 2019

Una piotta e mezzo

e sono tua.


[postato da Erri]

   Naturalmente diventai un cliente fisso dello strip bar, e feci l’amore con Beatrice anche altre volte. Ma questo mio cugino Rocco non poteva saperlo, perché lei mi disse che sarebbe stato il nostro segreto e che quindi a lui non avrebbe detto niente. E con il tempo ebbi modo di conoscere anche le altre ragazze del bar, cioè le colleghe di Beatrice, le quali mi chiamavano affettuosamente “cocco di papà”, per via del fatto che utilizzavo la carta di credito di mio padre per i miei capricci di natura  sessuale. Ovviamente ad un certo punto lui mi chiese delle spiegazioni, e io gli dissi che sfruttavo la sua carta di credito per pagarmi dei corsi di informatica. Ma lui mi fece notare che avevo prelevato delle somme davvero considerevoli, e quindi non era possibile che le usavo soltanto per quello, e allora mi inventai un’altra balla, e gli dissi che inoltre mi ero fidanzato con una ragazza, e quindi prelevavo dei soldi per portarla fuori a cena e cose di questo genere.
   “E com’è? Carina?” mi chiese.
   “Bellissima, stupenda”.
   “Perché non me la presenti? Magari una di queste sere possiamo andare a cena fuori tutti e tre insieme”.
   “Ok papà”.
   Quindi a quel punto mi serviva una fidanzata per dimostrare a mio padre che stavo dicendo la verità, e questo mi avrebbe permesso di continuare a prelevare dal suo conto tutti i soldi che volevo. E allora mi venne un’idea, e cioè avrei cercato una fidanzata allo strip bar, ovviamente pagando. Ce n’erano tante, avevo solo l’imbarazzo della scelta. Però alla fine decisi di chiederlo a Chiara; Chiara era una collega di Beatrice che però aveva già un fidanzato, che però non se ne fregava niente se la sua fidanzata si strofinava tutta nuda intorno a un palo davanti ad una platea di uomini arrapati. C’era soltanto una regola da rispettare per non fargli perdere la brocca: guardare ma non toccare.
   Anche perché lei non si limitava soltanto a spogliarsi e a strofinarsi sul palo, ma spesso scendeva dal palco e si strofinava anche sui clienti. Si era strofinata su di me un sacco di volte. La cosa più importante che dovevi fare era evitare di toccare “troppo”, altrimenti rischiavi di scatenare la collera del suo uomo.
   Comunque credo che a Chiara ero abbastanza simpatico, infatti quando mi vedeva allo strip bar veniva sempre a darmi un bel bacio sulla guancia, e mi diceva che ero il suo “cucciolo”. Però ad un certo punto mi accorsi che lo diceva a tutti, e che baciava allo stesso modo tutti gli altri clienti affezionati. Insomma, forse era una gran bugiarda, lo faceva soltanto per arruffianarsi la gente e acchiapparsi più mance. Però lo faceva proprio bene. Lo faceva in modo da farti illudere che tu per lei contavi davvero qualcosa, che insomma tu non eri uno dei tanti clienti, tu eri il più speciale, tu eri il suo “cucciolo”.
   Chiara non era la ragazza più bella dello strip bar, però era quella che ci sapeva fare di più. Riusciva a fingere meglio delle altre. Ti sorrideva in un modo così sincero che tu pensavi subito di avere delle ottime possibilità di andare a letto con lei. Gratis. Ma era ovviamente una mera illusione. Gratis non si fa niente, soprattutto in uno strip bar.
   Chiara non era come tutte le altre ragazze dello strip bar; lei era più rozza. Era lei stessa a dirlo, quasi vantandosene, diceva che lei veniva dalla periferia di Roma e che era cresciuta in campagna in compagnia di vacche e capre. “Sarà per questo che so’ diventata ‘na vacca pure io” diceva ogni volta che raccontava la sua storia, con la sua pesante cadenza romanesca. Ed era anche questo a piacere ai clienti del bar, il fatto che era genuina, era ruspante, oltre che ad avere un corpo divino. Era alta, fisico atletico, capelli corti e un culo spettacolare.
   Ti accorgevi del fatto che diceva la verità sulle sue origini contadine perché aveva le mani di chi aveva davvero lavorato tanto; erano grandi e un po' provate. E al polso (questa cosa mi aveva sempre colpito) aveva un orologio con un quadrante molto grande, un modello maschile, difficile da vedere al polso di una donna. Eppure lei ce l’aveva e lo portava sempre con se, anche quando era completamente nuda sul palco, quell’orologio rimaneva ancorato al suo braccio e non se lo sarebbe tolto per nulla al mondo. Era troppo importante per lei. Ma non ebbi mai il coraggio di chiederle il motivo; avevo paura che mi dicesse che era appartenuto a una persona importante che poi era morta. Non volevo essere invadente, tutto qui.
   Il suo fidanzato era una specie di capo ultras, diffidato centinaia di volte, ma nonostante questo continuava ad andare sugli stadi a spaccare tutto. Un vero teppista della curva. “È un coatto” diceva spesso Chiara quando parlava di lui, “però scopa come un dio”. Ogni tanto veniva allo strip bar a vedere Chiara come si comportava, e qualche volta aveva anche dato addosso a qualche cliente che aveva allungato le mani un po' troppo, secondo il suo parere. Una volta infatti ricordo che lei si stava esibendo; aveva il corpo ricoperto di olio e si stava strofinando sul palo, e poi ad un certo punto è scesa in mezzo ai clienti e ha cominciato a strofinarsi su un tizio, e questo ha cominciato a smanacciarla di brutto, prima le tette, afferrandole con entrambe le mani e strizzandole energicamente, poi è sceso e gli ha infilato una mano in mezzo alle cosce e ha iniziato a sgrillettarla senza ritegno. A quel punto è sbucato fuori il suo fidanzato ed è successo un casino. Potete immaginare le botte che si sono dati. Poi sono arrivati quelli della security e hanno sedato gli animi buttando tutti e due fuori dal locale. E fuori dal locale poi hanno continuato a darsene di santa ragione.
   Comunque decisi di chiedere a lei di diventare la mia fidanzata per un giorno. Non so perché. Forse perché mi piaceva. Perché era genuina, appunto. Non era come le altre, che sembravano delle dive del porno. Lei era vera, era così come appariva. Mi sarebbe piaciuto tanto avere una fidanzata come Chiara. Lei comunque mi disse di sì, però ovviamente avrei dovuto pagare. E poi avrei dovuto fare attenzione a non irritare troppo il suo fidanzato ultras.
   “E quanto vuoi?” le chiesi.
   “Na piotta e mezzo e so’ tua” rispose lei.
  

martedì 8 gennaio 2019

sabato 5 gennaio 2019

Il regno del peccato.

Le acrobazie anali di Beatrice.

(in foto: Bruna Butterfly, Shemale-Club.com)


[postato da Erri]

   Era la prima volta che mettevo piede in uno strip bar, e all’ingresso mi fecero pure storie. Il buttafuori non ci credeva che avevo diciotto anni. In effetti me lo dicono tutti che sembro un ragazzino, eppure non lo sono più. E infatti fui costretto a fargli vedere un documento d’identità e lui mi lasciò passare. E dentro le luci erano soffuse e i tavoli erano occupati da uomini di ogni estrazione sociale a cui veniva servito da bere da ragazze porchissime vestite come delle zoccole da statale. E tra di loro c’era pure Beatrice, che si aggirava tra i tavoli con una certa sicurezza, e ogni tanto qualche cliente le palpava il sedere e le lasciava una banconota nel perizoma, e lei sorrideva compiaciuta da tutte quelle attenzioni.
   Quando si accorse di me venne a salutarmi e mi prese per mano e mi accompagnò ad un tavolo. Mi disse che a breve avrebbe fatto una “performance” e che io sarei rimasto senza parole da quello che avrei visto. Dopo un po' mi portò un cocktail con un ombrellino dentro, e poi mi mostrò la palma della mano e mi disse che erano sette euro, e allora io li tirai fuori senza fare storie, anche se in verità io non avevo ordinato proprio niente. E allora lei mi baciò una guancia e poi a quel punto non la vidi per circa venti minuti, fino a quando poi riapparve sul palco dello strip bar e gli uomini che affollavano il locale proruppero in un boato di approvazione, quasi come se non aspettassero altro.
   Beatrice iniziò a fare una specie di danza intorno al palo, e a poco alla volta si sbottonò il corpetto di lattice che indossava e poi lo lasciò scivolare a terra, e allora i suoi ammiratori più accesi cercarono di afferrarlo, come se fosse una specie di reliquia, ma lei glielo impedì mettendoci un piede sopra e spingendolo dietro le quinte, e poi fece di no con la testa, facendo capire ai suoi fans che non potevano farlo, non potevano prendere la sua roba.
   Poi continuò la danza di prima e si tolse anche il perizoma e si divertì a farlo penzolare sulle teste dei clienti dello strip bar, i quali cercarono di afferrarlo ma lei lo tirò via. La sua lingerie, a differenza del suo corpo, non era in vendita. Adesso che era completamente nuda uscì un tizio da dietro il sipario, un tizio grande e grosso che probabilmente era uno della sicurezza, e gli diede i suoi giocattoli. Ne aveva tanti, enormi, di ogni colore e di svariati colori, e a breve avrebbe iniziato a usarli in diretta, davanti agli occhi di noi arrapati cronici. Cominciò con un dildo rosso di una cinquantina di centimetri, cinquanta centimetri di puro piacere anale tutto per lei. E i suoi movimenti erano accompagnati da una musica tamarra con un ritmo ossessivo che i clienti del bar seguivano battendo le mani, incitandola a infilarsi il serpentone di gomma dentro il corpo.
   E nel frattempo, mentre ballava strofinandosi addosso quell’enorme giocattolo di gomma, il suo batocchio penzolava a destra e a sinistra in un movimento quasi ipnotico. Era una bella bestia, e non riuscivo nemmeno a immaginare le dimensioni effettive che avrebbe raggiunto in erezione.
   Dopo averci fatto attendere il momento che tutti stavamo aspettando finalmente si decise a infilarsi lo spropositato serpente di gomma su per il buco del culo, e quello che vidi fu decisamente sorprendente. Beatrice riuscì a infilarselo tutto dentro. Non credevo che fosse possibile, ma quei cinquanta centimetri di gomma adesso erano dentro di lei, e tutti i suoi ammiratori erano in delirio. Poi dopo alcuni minuti lo risputò fuori e il giocattolo schizzò tra la folla e ci fu una specie di ammucchiata di mani che cercarono di accaparrarsi di quell’oggetto così speciale, perché era stato nel corpo di Beatrice. Poi continuò infilandosi nel condotto anale anche altri attrezzi, alcuni più piccoli, altri enormi. Fui enormemente sorpreso dalla capacità di Bea di fare del suo culo ciò che voleva. Una vera e propria acrobata del sesso anale.
   Dopo lo spettacolo scese dal palco e venne verso di me, nuda, sfilando attraverso quel plotone di maschi arrapati che allungarono le mani verso di lei, anche soltanto per un brevissimo contatto, ma Beatrice non si fece trattenere e venne direttamente verso di me, e si mise coi pugni premuti contro i fianchi e il suo bel cazzone, che adesso era completamente eretto, piantato davanti alla mia faccia, e mi chiese se lo spettacolo mi era piaciuto.
   “Sei stata bravissima” dissi soltanto, e non facevo che guardargli il suo attrezzo così maestoso, così imponente.
   “Che ne dici di uno spettacolo privato?” mi chiese. “Ti va? Ce li hai cinquanta euro? Di solito ne chiedo cento, però tu sei uno di famiglia, per cui ti faccio lo sconto”.
   Cinquanta euro erano davvero tanti, però ce li avevo. E poi a parte quelli non avevo nient’altro. Quindi gli dissi di sì, ma adesso non avevo più niente. Praticamente ero in mutande. E allora mi disse di aspettarla nel privè, lei poi mi avrebbe raggiunto a breve. Nello strip bar infatti c’erano dei privè dove le ragazze si esibivano privatamente. E quindi entrai in quello che mi aveva indicato Beatrice e mi tolsi in fretta e furia tutti i vestiti. Avevo un erezione pazzesca e non vedevo l’ora di fare l’amore anale e orale con lei. Ero così eccitato che mi sembrava di essere già in procinto di sborrare.
   Mi misi a sedere sul divanetto e aspettai, e intanto mi contemplavo l’erezione, che a breve sarebbe entrata nel condotto anale della donna di mio cugino. Non me ne fregava niente se era la sua donna. D’altronde era lei che si stava offrendo a me. E poi Beatrice lo faceva di continuo, con tanti altri uomini, per cui era meglio se lo faceva con me, che ero “uno di famiglia”, come aveva detto lei stessa.
   Finalmente vidi la tenda del privè aprirsi e apparve lei, che quando mi vide completamente nudo spalancò gli occhi dallo stupore e mi gridò che non potevo stare così. Nei privè era vietato fare sesso; se qualcuno ci beccava per Beatrice erano guai, rischiava addirittura il licenziamento.
   “Ma allora cosa ci si va a fare nel privè?” domandai.
   “Ascolta, non puoi stare così qui, mi farai passare dei guai. Se vuoi scopare allora andiamo a casa mia. Ma ti costerà di più di cinquanta euro”.

giovedì 3 gennaio 2019

Non c'è cosa più divina

che leccare la cugina.

(in foto: Cherry Kiss, Jealousy 4, SexArt.com)


[postato da Erri]

   Mentre gliela leccavo pensavo che era quello che avevo sempre desiderato. La mia bocca che finalmente incontrava la patata più desiderata della città. Eh sì perché Moana non era soltanto mia cugina, ma era anche la ragazza che chiunque avrebbe desiderato avere almeno per una notte. Era il sogno erotico di molti uomini. E mentre avevo la bocca tra le sue cosce mi chiedevo chissà quanti cazzi avevano avuto il privilegio di entrare dentro quel caldo e accogliente corpo. E il condotto anale? Anche quello era il mio sogno da sempre. Mia cugina aveva il culo più bello che avessi mai visto. Mia zia aveva delle tette da competizione, che sembravano fatte apposta per fare le spagnole, ma Moana invece aveva un culo divino, e quindi pensavo spesso a quant’era fortunato Berni che poteva averlo ogni volta che voleva. Questa è un’altra cosa che di solito caratterizza le cugine di tutto il mondo, e cioè che hanno tutte un gran bel culo da rompere ben bene. Chissà perché. Eppure il culo di Moana era al di sopra di ogni altro culo che avevo visto fino a quel momento. Era “il culo” per eccellenza.
   In ogni modo cercai di fare del mio meglio. Era la prima volta che leccavo una figa, e soprattutto era la prima volta che la leccavo a mia cugina, e forse non sarebbe ricapitata un’altra occasione, per cui cercai di farla godere il più possibile. In verità non sono sicuro di essere riuscito a farla venire, però lei ad un certo punto mi fermò e mi disse che tutto ciò di cui avevo bisogno era fare della pratica.
   “Hai ancora molto da imparare, ma secondo me hai tutte le potenzialità per diventare un discreto stallone da monta”.
   “Aspetta, non te ne andare. Non puoi lasciarmi così” le dissi e mi abbassai i pantaloni del pigiama facendogli vedere la mia pazzesca erezione. Moana spalancò gli occhi.
   “Dio, quanto è grosso!” esclamò. “Ascolta Erri, non vorrai mica penetrarmi con quell’affare?”.
   “No, però...” non sapevo come dirglielo, ma leccandola mi era venuto talmente duro che se adesso non sborravo sarei andato al manicomio. Così cominciai a menarmelo di brutto, tanto c’ero quasi, era così duro che mi sarebbe bastato poco per schizzare.
   “Ma che fai?” mi chiese divertita.
   “Voglio sborrare”.
   “Non vorrai mica sborrarmi addosso?”.
   “Dai, cosa ti costa? Soltanto un paio di schizzi sul viso”.
   “Ok, ma vacci piano. Sono pur sempre tua cugina”.
   Così Moana si mise in ginocchio davanti a me e io procedetti con l’operazione cumshot. La mia sborra schizzò sul suo viso in modo copioso; ero sempre stato molto abbondante in fatto di sborra, ma Moana ovviamente non poteva saperlo, perché non mi aveva mai visto eiaculare, e infatti rimase piacevolmente sorpresa. Anzi, più che sorpresa devo dire che sembrava quasi divertita. Non avrebbe mai immaginato che potessi sborrare così tanto, infatti gli inondai il viso quasi fino a renderla irriconoscibile.
   “Cazzo, avevi detto soltanto un paio di schizzi” disse, “e invece sembra che mi stai pisciando in faccia”.
   “Tranquilla, è quasi finita” ma intanto continuava a zampillare fuori altro sperma, anche se in quantità minore rispetto a quando avevo iniziato. Il viso di Moana ne era così ricoperto che non riusciva neppure ad aprire gli occhi. Ero completamente in estasi nel vedere mia cugina in quello stato, e la cosa bella era che ero stato io a combinarle quel casino.
   A quel punto andò via; mi disse che sarebbe andata a fare una doccia per togliersi via “tutto quello schifo”, così disse, riferendosi ovviamente al mio sperma. E così io rimasi in camera a godermi quel torpore che segue dopo l’eiaculazione.
   Come potevo guarire dalla mia ossessione erotica in casa di zia Sabri? Era impossibile. Era un figaio che mi obbligava a pensare esclusivamente al sesso.
   A tormentarmi era anche la presenza di Beatrice, la moglie transgender di mio cugino Rocco. Quando la vedevo rimanevo senza fiato. Di solito veniva a casa di zia Sabri la domenica, quando tutta la famiglia si riuniva per pranzare insieme. Una volta ricordo che avevamo appena finito di mangiare e lei era uscita sul terrazzo e si era spogliata completamente e si era distesa al sole con il suo corpo divino e con quell’affare di dimensioni considerevoli in mezzo alle gambe. Ero sicuro che Beatrice avrebbe fatto perdere la testa anche a mio padre, il quale come già ho avuto modo di dire aveva un debole per le transgender.
   E ricordo che in quell’occasione sono uscito anche io sul terrazzo e mi sono messo a spiarla; era bellissima, aveva delle cosce che non finivano più, un culo divino che prometteva caldi momenti di piacere. Poi ad un certo punto lei si era accorta di me, e senza guardarmi mi aveva detto che potevo avvicinarmi, se volevo.
   “Non essere timido, puoi avvicinarti”.
   Allora io mi feci coraggio e andai verso di lei. Avevo già un erezione pazzesca e lei se ne accorse dal rigonfiamento che avevo nei jeans, e allora mi sorrise, ma non diede molto peso alla cosa. Piuttosto se ne rimase lì distesa sulla sdraio ai bordi della piscina, e io mi misi accanto a lei, seduto su una sedia di vimini, e iniziai a fissarla con un certo desiderio.
   “Che c’è?” mi chiese. “Non hai mai visto una donna con il cazzo?”.
   “Solo su Internet” risposi.
   “E ti piace?” mi chiese afferrandosi la sua considerevole proboscide e esibendomela con un certo orgoglio. Io feci di sì con la testa. Mi piaceva così tanto quello che stavo vedendo che non avevo neanche la forza di parlare. “Vienimi a trovare allo strip bar qualche volta” continuò, “vedrai che rimarrai molto soddisfatto dalle mie performance. Se poi vuoi uno spettacolino privato allora dovrai pagare un’extra, ma a te ti faccio lo sconto, dal momento che sei il cugino di Rocco”.
   Insomma, mi stava offrendo il suo corpo, e a me sarebbe piaciuto molto averlo. E non dovevo fare altro che andare da lei allo strip bar, e per me si sarebbero spalancate le porte del paradiso.