martedì 31 gennaio 2017

Ma che razza di uomo sei?

(in foto: Katie Salmon, Brown Leather Leggings, SkinTightGlamour.com)


    Ero ritornata a lavoro, e qualcosa era cambiato. Mettetevi nei miei panni, come potevo lavorare e dover allo stesso tempo incrociare sempre lo sguardo di Chiara? Chiara, per chi si fosse perso qualche puntata precedente, era una delle mie commesse, la quale mi aveva invitata a cena a casa sua, e io mi ero lasciata coinvolgere in un rapporto lesbo con lei e la sua fidanzata. Devo ammettere che era stata un’esperienza davvero piacevole. Come ben sapete a me piace molto il cazzo, ma non mi dispiace assaggiare qualcosa di diverso di tanto in tanto. Che male c’è? L’amore è bello, in ogni sua forma. E assaggiare la patatina della fidanzata di Chiara, mentre Chiara assaggiava la mia, non mi è dispiaciuto affatto. Ma ora era difficile lavorare, e non guardare Chiara in modo diverso da come la guardavo prima. Prima era una commessa come le altre, adesso era diventata una commessa “speciale”, una commessa che mi aveva leccato la fighetta fino a farmi venire.
   E per lei doveva essere lo stesso. Ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano lei mi sorrideva timidamente, quasi come se fosse in imbarazzo. D’altronde lo ero anche io. Ma perché? Cosa avevamo fatto di male? Nulla. Comunque nessuna delle due tirò fuori l’argomento, come se quella cosa non fosse neppure successa. Sarebbe stato il nostro piccolo segreto.
   Nel pomeriggio passò a trovarmi il mio vero papà, cioè Giuliano, che dopo le cose che mi aveva raccontato mia madre sul suo conto non so se avevo la forza di continuarlo a definire tale, cioè papà. Sì, biologicamente lo era, ma come potevo considerarlo tale dal momento che aveva trattato mia madre in quel modo? Voglio dire, vi rendete conto che la offriva ai suoi amici come un giocattolo con cui godere? Non so se meritava il mio rispetto un uomo che aveva fatto cose di quel genere a mia madre. In ogni caso lo salutai, ma freddamente, quasi come se fossi obbligata. In verità non avevo voglia di vederlo. Lui mi chiese se mi andava di andare a prendere un caffè, e allora io gli dissi di sì. Così andammo al bar che stava al piano terra. Lungo il tragitto mi fece notare che mi guardavano tutti, perché ero bellissima, e perché indossavo dei leggings che mettevano in risalto le forme del mio culo, ed era chiaramente visibile la forma del perizoma che indossavo sotto. Tutto questo me lo fece notare lui.
   “Lascia che mi guardino” gli risposi. “Piuttosto è strano che tu abbia notato che sotto i leggings porto il perizoma. Non è strano che un padre guardi il culo di sua figlia?”.
   “Beh, che c’è di male? Hai un bel culo, è naturale se gli occhi di un uomo ne sono attirati”.
   “Sì, ma tu non sei un uomo come gli altri. Tu sei il cazzo che ha fecondato mia madre, non te lo dimenticare” fui brusca appositamente, per fargli capire che ero d’umore nero, e poi perché non riuscivo ad essere carina dopo quella storia che avevo sentito ieri. Che razza di uomo cederebbe una donna ad un amico? Dio, ero incazzata nera, e avrei voluto vomitargli addosso tutta la mia rabbia.
   Arrivammo al bar e ordinammo due caffè. Papà Giuliano voleva sapere molte cose di me, come andava il lavoro in negozio, come stava il mio Berni, e io rispondevo a tutte le sue domande in monosillabi. Insomma, mi stavo comportando da perfetta stronza. Ma non ce la facevo a fare la parte della figlioletta affettuosa. Mi ritornavano continuamente le parole di mia madre in testa; mi risuonavano come una litania, sentivo la sua voce che diceva: “spesso mi cedeva ai suoi amici”. E questo mantra non faceva che aumentare l’insofferenza che avevo dentro.
   “Sai, mi dispiace di non esserti stato vicino durante le tappe più importanti della tua vita, e di non averti seguito nel corso della tua crescita”.
   “Infatti. Per esempio quando ho perso la verginità anale” gli risposi in modo brusco. “Tu dov’eri, papà? Dov’eri quando l’ho preso in culo per la prima volta? È stata un’esperienza fantastica. Eh sì, perché forse non lo sai, ma a tua figlia piace prenderlo in culo”.
   “Moana, ma perché mi parli in questo modo? Non capisco. Cosa ti ho fatto?”.
   “Non chiedermi cosa hai fatto a me, piuttosto chiediti cosa hai fatto a mia madre”.
   A quel punto bevvi il caffè in tutta fretta e me ne andai, e lui mi venne dietro chiedendomi di fermarmi. Ma io non ne volevo sapere. Poi ad un certo punto mi prese per il braccio e mi fece girare verso di lui.
   “So tutto, cosa credi?” gli dissi. “So cosa facevi con mamma. La davi via ai tuoi amici come se fosse un giocattolo”.
   “Ma chi ti ha detto queste cose?” domandò lui facendo finta di niente.
   “Me l’ha detto lei. Ma che razza di uomo sei? Come hai potuto trattare mia madre in questo modo? Come se fosse solo un buco da riempire”.
   “Io non ho mai obbligato tua madre a fare certe cose. Vedi Moana, potrà sembrarti strano ma mi eccitava molto l’idea di poter condividere tua madre con i miei amici. Ma non l’ho mai obbligata. Lei era libera di scegliere se farlo o meno. E alla fine diceva sempre di sì. Per noi era un gioco”.
   “Per te era un gioco, non certo per lei, che per i tuoi capricci era diventata uno sborratoio pubblico. Tu non capisci. Mia madre era follemente attratta da te, e pur di accontentarti avrebbe fatto qualunque cosa, anche andare a letto con i tuoi amici. Era succube della tua bellezza, della tua personalità da super-maschio alpha, e tu lo sapevi, e te ne sei approfittato!”.
   “Mi dispiace che la pensi così” mi rispose. “Ma credimi, le cose non stanno così. Tua madre non era obbligata a farlo, se lo faceva era perché provava piacere nel concedersi”.
   “Le cose che dici sono cazzate degne di un super-maschio alpha come te. E ora se non ti dispiace dovrei ritornare al negozio. Non ho tempo da perdere”.
   E così me ne ritornai al negozio. Era la prima volta che litigavo con papà Giuliano. Ma sentivo di avere ragione. Ma allo stesso tempo sentivo un gran rimorso. Non ero riuscita proprio a controllarmi. Ero stata terribilmente velenosa. Probabilmente avrei potuto fare di meglio, avrei potuto essere più morbida, senza rinunciare a dirgli ciò che pensavo. Ero stata troppo impulsiva. E se invece era come diceva lui? Chi mi diceva che mia madre non ci provasse gusto a saltare da un letto a un altro e a farsi impalare da un cazzo diverso ogni giorno? Oppure era come dicevo io, e mia madre era davvero schiava della potenza sessuale di zio Giuliano a tal punto da non riuscire a negargli i suoi più indecenti capricci?

Moana.

domenica 29 gennaio 2017

venerdì 27 gennaio 2017

mercoledì 25 gennaio 2017

lunedì 23 gennaio 2017

Si aprono le cosce.


   Il giorno dopo tornai al negozio di lingerie. Avevo fatto incazzare mia madre di brutto con la storia del vibratore, e questo era un motivo in più per darci dentro con il negozio, in modo da non deluderla anche sul versante dell’attività di famiglia. Non appena vidi Chiara, a cui avevo regalato un completino intimo affinché lo provasse e mi dicesse che effetto avesse avuto sul suo fidanzato, subito le andai in contro sorridendole di cuore. Per chi si fosse perso le puntate precedenti, stavo cercando di arruffianarmi le commesse del negozio, con le quali in passato mi ero comportata da vera stronza facendo la tiranna, e per questo ero odiata da tutte. Ma avevo capito che in quel modo non sarei mai riuscita a gestire bene l’attività, e allora avevo deciso di cambiare comportamento e di essere più morbida. E quindi avevo regalato un completino intimo molto costoso a Chiara, una delle commesse, per dimostrarle appunto che di me poteva fidarsi.
   “E allora” le dissi. “L ‘hai indossato? Dai, racconta. Voglio sapere tutto. Cosa ha detto il tuo fidanzato?”.
   “È andata bene” mi rispose abbassando la fronte. Era visibilmente in imbarazzo.
   “Non devi sentirti in imbarazzo, Chiara. Con me puoi parlare tranquillamente”.
   “È andata molto bene” mi fece un mezzo sorriso di complicità. “A questo proposito, per ringraziarti, ci piacerebbe invitarti a cena da noi stasera”.
   “Non devi ringraziarmi. Però a cena da voi ci vengo volentieri”.
   Chiara abitava al centro storico, in un edificio nobiliare antico. Non pagava nemmeno tanto. Questa era una cosa bella della nostra città, che potevi prendere in affitto case stupende a prezzi molto accessibili. E la casa di Chiara era davvero bella, anche se piccola, ma con un soppalco di legno che la faceva sembrare ancora più spaziosa. L’appartamento era molto pulito e ordinato, e non appena entrai fui accolta da una musica jazz in sottofondo, una musica calda che mi mise subito a mio agio. Chiara mi fece e accomodare dentro e mi aiutò a togliermi il cappotto. Stavo per chiederle dove fosse il suo fidanzato, ma mi bloccai in tempo quando sentii dei passi che provenivano dal soppalco. Probabilmente lui era sopra. Ma c’era qualcosa di strano, perché era come se stesse camminando sui tacchi. Quale uomo se ne andava in giro per casa sui tacchi? Poi capii quando vidi un paio di cosce da urlo scendere giù dalla scala. Non c’era nessun fidanzato, piuttosto c’era una fidanzata. Chiara era lesbica, e quella grandissima topa che stava scendendo la scala era la sua compagna. Bella da morire, con una ricca testa carica di capelli crespi castani ma tendenti al rosso. Due occhi verdi come una foresta incontaminata. Indossava un vestito da sera color rosso mattone che metteva in risalto le forme del suo corpo da modella. Rimasi senza fiato a vederla. Anche Chiara era molto carina, ma la sua compagna era l’apoteosi dell’erotismo.
   “Ciao!” esultò e mi strinse la mano. “Tu devi essere Moana, da tutti conosciuta come La Zoccola”.
   “Isabella, smettila!” sussurrò Chiara dandole una gran gomitata.
   “No, ha ragione. Sono proprio una zoccola. Ma ci sto mettendo molto impegno a cercare di cambiare atteggiamento”.
   Isabella, la fidanzata di Chiara, mi guardava in modo severo. Forse la sua compagna le aveva raccontato di quella volta che l’avevo costretta a stare chiusa in negozio tutto il giorno per aiutarmi a fare l’inventario, senza nemmeno permetterle di andare a fumare una sigaretta. In effetti mi ero comportata da stronza, nel senso che poi a fine giornata Chiara era visibilmente provata, e sembrava lì lì per svenire dalla stanchezza. Ma avevo avuto così fretta di finire l’inventario che me n’ero fregata della sua salute psico-fisica.
   Chiara comunque percepì subito il clima di tensione che c’era tra me e Isabella, lo sapeva benissimo che la sua compagna sembrava aver voglia di strozzarmi. E quella situazione mi metteva seriamente in imbarazzo. Ma cosa potevo fare? Ormai avevo accettato l’invito a cena e non potevo più tirarmi indietro. In ogni caso Chiara cercò di alleggerire quell’aria gelida che c’era tra me e Isabella parlando senza sosta, spesso di cose per nulla interessanti, ad esempio delle condizioni atmosferiche, dei gossip televisivi, cose a cui a nessuno interessava. Intanto la cena si svolse le migliore dei modi, perché Chiara era molto brava ai fornelli, e aveva preparato un risotto con i frutti di mari davvero niente male. E poi c’erano due bottiglie di vino bianco che praticamente, a causa del clima da guerra fredda che c’era, svuotammo nel giro di un’ora. Alla fine ero un po' ubriaca, e forse anche loro, ma Isabella continuava a guardarmi con quell’aria gelida, di sfida direi. Le uniche volte che mi rivolgeva la parola lo faceva per darmi addosso. Per esempio Chiara, molto carinamente devo dire, aveva cominciato a elogiarmi, dicendo che io ero una ragazza molto capace e abile nell’amministrare il negozio. E allora Isabella:
   “Certo. È facile amministrare un negozio se tratti i tuoi dipendenti come degli schiavetti”.
   E poi Chiara cambiò subito discorso senza permettermi di rispondere alle accuse che mi stava rivolgendo la sua fidanzata. Insomma, era davvero una situazione insostenibile. Non vedevo l’ora di andarmene via. Però devo dire che Isabella mi incantava; nonostante ce l’avesse con me a morte aveva un’eleganza e una carica erotica che difficilmente avevo notato in altre donne.
   In ogni modo dopo cena ci accomodammo sul divano. Io ero al centro tra loro due, Isabella mi fissava in modo minaccioso. Mi sembrava una gatta in posizione d’attacco, pronta a partire come una molla con i suoi artigli, pronta a combattere e a salvaguardare il suo territorio. Chiara invece era in imbarazzo. Aveva finito tutti gli argomenti di discussione, e adesso era visibilmente nervosa, e sospirava continuamente. Per me era venuta l’ora di congedarmi e allora pensai ad una balla da raccontare per filare via, ma mentre stavo per aprire bocca Isabella mi chiese cosa ne pensavo del loro appartamento.
   “Beh, non c’è che dire, è davvero un bell’appartamento. In pieno centro, soppalcato, molto caldo” non sapevo proprio cosa dire. “Proprio un bel nido d’amore”.
   “Già!” esultò Chiara, felice di aver finalmente trovato un altro argomento di discussione. “È proprio quello che penso anche io. È proprio un bel nido”.
   “E cosa ne pensi di noi?” domandò Isabella con tono inquisitorio.
   Che razza di domanda era? Io avevo sempre pensato che l’amore gay fosse una cosa naturale, e che non c’era neppure motivo di discuterne. Non c’era niente di male se due persone dello stesso sesso avevano un rapporto d’amore. Per quale motivo mi stava chiedendo quella cosa? Forse per cercare l’ennesimo pretesto per attaccarmi. Ebbene, non lo avrebbe trovato. Con me cascava male. Isabella cominciava a innervosirmi.
   “Cosa ne dovrei pensare? Non capisco perché me lo chiedi”.
   “Hai mai avuto un’esperienza con una ragazza?”.
   “A me veramente piace il cazzo. E mi piace anche tanto” risposi in tono di sfida. “Mi piace prenderlo ovunque, in bocca, in figa e anche in culo”.
   “Su questo non vi erano dubbi, ti si legge in faccia che sei affamata di cazzi. Ma non hai risposto alla mia domanda. Hai mai avuto un’esperienza con una ragazza?” a quel punto Isabella mi mise una mano su una gamba. Indossavo le calze autoreggenti e un vestitino corto e le sue dita salirono su fino a sfiorarmi le labbra della fighetta che premevano contro il tessuto del perizoma che indossavo sotto.
   “Amore, smettila!” l’ammonì Chiara. “Così la metti in imbarazzo”.
   “Non credo” rispose Isabella. “Guarda come ha aperto le cosce, la maiala”.
   In effetti senza rendermene conto, non appena la mano di Isabella era arrivata nelle vicinanze della mia fighetta, avevo inconsciamente spalancato le gambe, offrendomi completamente a lei. Adesso ero nelle sue mani e poteva farmi ciò che voleva. Io non mi sarei opposta.
   Senza rendermene conto mi ero ficcata in un triangolo amoroso. Sentivo il calore della mano di Isabella accarezzarmi nell’interno coscia e sfiorarmi le labbra della fighetta; ci misi poco a bagnarmi. Grondavo. E allora Isabella, nonostante Chiara continuasse a intimarle di smetterla, sollevò un lembo del mio perizoma mettendo a nudo le mie labbra di sotto. Poi con due dita le aprì. Ero completamente incapace di reagire. Le lasciai fare quello che desiderava. Ero sua, poteva fare di me ciò che voleva.
   “Chiara, non ti intriga l’idea di fare l’amore con la tua titolare?” disse Isabella.
   “Dai tesoro, lascia stare. Così metti in imbarazzo sia lei che me” rispose lei.
   “Ma se ti si legge in faccia che muori dalla voglia di farlo!” rispose Isabella sempre tenendomi le labbra della figa spalancate. “Coraggio, metti la bocca qui”.
   A quel punto Chiara si lasciò convincere e si abbassò su di me e iniziò a succhiarmi la figa. Io non capivo più niente, ero completamente priva della capacità di poter fare qualsiasi cosa. Sentivo la bocca calda di Chiara succhiare avidamente il mio clitoride. Poi Isabella si mise in piedi sul divano, si alzò il vestito e si sfilò il perizoma, mettendomi la sua figa davanti alla bocca. A quel punto mi afferrò i capelli e mi spinse la bocca contro il suo sesso. Iniziai a succhiargliela, mentre Chiara continuava a succhiare la mia. Ero completamente in balia di entrambe, un giocattolo nelle loro mani. Notai che Isabella mi trattava con un certo disprezzo, quasi come se le avessi fatto un torto, e ora si stesse vendicando. Infatti ogni tanto mi dava uno schiaffo e mi diceva che ero una puttanella, oppure mi spingeva la figa contro la bocca quasi con l’intento di soffocarmi. Era forse per come avevo trattato la sua fidanzata al negozio? Evidentemente sì. Isabella mi stava facendo pagare per tutte quelle volte che avevo negato alla sua fidanzata di andare a fumare una sigaretta, o per tutte quelle volte che l’avevo costretta a fare doppi turni di lavoro. Per non parlare di quella volta che Chiara mi aveva chiesto un giorno di permesso e io gliel’avevo negato. Ecco perché Isabella mi stava riempiendo di schiaffi e mi stava dicendo tutte quelle cose brutte, e cioè che ero una succhiacazzi, una rottainculo e cose di questo genere. Invece Chiara se ne stava buona senza dire niente a leccarmi la fighetta. In un certo senso sarebbe dovuta essere lei a dirmene di tutti i colori e a riempirmi di schiaffi, e invece no, mi leccava in modo amorevole, quasi come se desiderasse farlo da una vita, e ora finalmente poteva farlo.
   Isabella iniziò a squirtarmi in faccia. Un getto caldo e violento di umori uscì dalle sue labbra di sotto e mi investì in pieno viso, e lei lanciò un urlo di piacere, e mi ordinò di aprire la bocca, e allora io feci come mi diceva, e lasciai che i suoi liquidi mi esplodessero sulla faccia. Era una vera fontana che schizzava fuori acqua calda in modo incontrollato. Quando smise ero completamente zuppa; il mio viso grondava, e il mio vestitino era fradicio. Avevo proprio bisogno di fare una doccia. Avevo ricevuto tantissime cumshot, molti partner che avevo avuto lo avevano fatto, mi erano venuti in faccia (alcuni anche copiosamente), ma questa era la prima volta che a farmi una cumshot era una ragazza.
   Prima di andare via Chiara mi offrì un altro bicchiere di vino. Ne presi solo mezzo, poi mi accompagnò alla porta, e prima che me ne andassi mi disse sotto voce, per non farsi sentire, che le dispiaceva per come Isabella mi aveva trattata.
   “Sai, lei è un po' così” mi disse. “Ha un carattere molto autoritario. Certe volte mi da certi schiaffoni sul sedere che neanche ti immagini”.
   “Beh, in effetti è un po' manesca, ma è stato divertente” le risposi. “È stata una bella serata”.

Moana.    

sabato 21 gennaio 2017

giovedì 19 gennaio 2017

Natale in bodystocking.


   Adesso che il film era finito iniziavo a chiedermi una cosa. Cosa avrei dovuto fare del mio futuro? Continuare sulla strada del porno oppure ritornare alla normalità. Ma quale normalità? Cioè, cosa avrei dovuto fare? Forse quello che mi chiedeva mia madre, e cioè prendere le redini del negozio, perché un giorno, mi diceva, quando sarebbe stata vecchia e stanca, l’attività sarebbe passata nelle mie mani, e quindi sarei diventata la legittima proprietaria del negozio. Ma era davvero quello che volevo?
   Intanto mentre Berni cercava un distributore per il film io non avevo molto da fare, quindi decisi di accontentare mia madre e ritornare a gestire il negozio. Anche perché lei era molto impegnata, perché stava aiutando mio padre ad aprire un ristorante in cui aveva investito tutti i soldi della liquidazione del suo precedente lavoro. E così le dissi di non preoccuparsi, e che al negozio di intimo ci avrei pensato io. Soltanto che lei aveva avuto modo di parlare con le commesse, le quali sicuramente le avevano detto del mio modo autoritario di governare l’attività. E allora mia madre mi aveva dato un consiglio per superare le divergenze che avevo con il personale. Mi disse semplicemente: “ricordati queste parole: il negozio di intimo non è una caserma”.
   Mentre lei era stata via mi ero comportata come un generale, lo so. Ma se non avessi fatto così probabilmente tra le commesse si sarebbe instaurato un governo di anarchia, e quindi avrebbero cominciato a prendersi troppe libertà, che secondo il mio parere, mia madre non era stata mai in grado di gestire. Mia madre aveva sempre avuto con loro un rapporto amichevole, e loro se ne approfittavano. Si sentiva come una madre, e loro erano come figlie per lei. Le voleva un gran bene. Ma con me era diverso. Io non permettevo certe libertà che invece mia madre gli permetteva. Per esempio certe volte si allontanavano per fumare una sigaretta e si presentavano dopo mezz’ora, e mia madre non gli aveva mai detto niente. Invece io non potevo tollerare queste cose. Vuoi fumare una sigaretta? Perfetto. Hai dieci minuti. E se non rientri entro dieci minuti ti vengo a riprendere con la forza.
   Quando ritornai al negozio e mi videro le commesse subito cominciarono a bofonchiare e ad essere d’umore nero. Sentii qualcuna che diceva sotto voce: “è ritornata la zoccola”. Sorvolai su quelle parole e mi diressi subito in ufficio. C’era un clima davvero ostile e dovevo fare qualcosa per liberarmi di quell’aura da tiranna che mi portavo addosso. Ma da dove cominciare? Beh, tanto per cominciare mi resi conto che non conoscevo neppure le mie commesse. Cioè sì, conoscevo i loro nomi, ma nient’altro. Chi erano? Che vite avevano? Erano tutte molto carine, alcune probabilmente mi superavano in quanto a bellezza, ma quanto sapevo di loro, dei loro sogni e delle loro speranze? Nulla. Una buona direttrice deve conoscerle queste cose, deve sapere di che pasta sono fatte le proprie commesse. E invece io non sapevo niente. Le vedevo come delle semplici lavoratrici, macchine da lavoro e basta. Il problema ero io, non loro.   
   E poi parliamoci chiaro, era natale. Si sa quanto è duro il lavoro di un negozio sotto le feste. Senza la loro collaborazione non sarebbe stato facile affrontare questo problema. Per fortuna mia madre aveva già fatto metà del lavoro, addobbando il negozio a festa, con palle e festoni dappertutto, e un grande albero tutto agghindato al centro. Aveva organizzato anche uno scaffale con tutti i prodotti natalizi, quindi perizomi, giarrettiere e reggiseni rigorosamente rossi. Devo ammettere che il rosso non è il mio colore preferito, però a natale era roba che si vendeva molto.
   In ogni modo più mi guardavo intorno e più percepivo l’ostilità delle mie commesse. Non avrei fatto molta strada in quel modo. Dovevo cercare di essere gentile con loro, ma più le guardavo e più mi rendevo conto che non le conoscevo per niente.
   Chiara, per esempio, che in quel momento stava sistemando lo scaffale dei bodystocking. Davvero carina, con un corpo da modella, i leggins neri che mettevano in risalto le forme delle sue gambe lunghe e del suo culo così morbido e sensuale. Forse potevo iniziare da lei. E infatti mi ci avvicinai e lei scattò come una molla, pensando che in qualche modo volessi rimproverarla per qualche errore che aveva fatto o che pensavo che stesse facendo. Le sorrisi per farle capire che non aveva nulla da temere, e lei allora sembrò così sorpresa di vedermi allegra che fece cadere una confezione di un bodystocking. E allora io la presi e la rimisi a posto.
   “Come stai Chiara?” le chiesi cercando di essere più affettuosa possibile.
   “Bene” rispose. Le tremava la voce. Possibile che facessi questo effetto alle commesse del negozio?
   Ma credetemi, non sapevo cos’altro dirle. Cosa potevo inventarmi, dopo tutto quel tempo passato a fare la tiranna? Così mi guardai intorno e afferrai un completino intimo che c’era su uno scaffale, composto da perizoma, calze autoreggenti e corpetto in lattice.
   “Stavo pensando che mi farebbe piacere se provassi questo nuovo modello” le dissi. “Indossalo, magari in presenza del tuo fidanzato. Ce l’hai il fidanzato, Chiara?”.
   “Sì”.
   “Molto bene. Stasera quando torni a casa indossalo, e poi fammi sapere se al tuo fidanzato piace come ti calza. Prendilo, te lo regalo” glielo porsi e lei un po' titubante lo prese.
   “Ma Moana, questo modello costa ben quarantacinque euro. Sei sicura di volermelo regalare?”.
   “Ma certo Chiara! Te lo meriti. Stai dando molto per il negozio. Vedrai, il tuo fidanzato sarà molto contento di vederti vestita così”.
   Stavo facendo la cosa giusta, in men che non si dica avrei portato tutte le commesse dalla mia parte. Poco dopo una collega di Chiara mi chiese il permesso di allontanarsi per andare a fumare una sigaretta.
   “Non c’è bisogno che me lo chiedi” le risposi e lei spalancò gli occhi dallo stupore. “L’importante è che non vi allontaniate tutte. Cercate di organizzarvi in modo da non lasciare il negozio scoperto”.
   Sentivo che qualcosa stava cambiando e tutto sarebbe andato per il verso giusto. Un’altra cosa a cui dovetti pensare fu il continuo via vai degli ammiratori di mia madre. Erano davvero tanti. Ogni tanto ne arrivava uno e mi chiedeva di lei, e io rispondevo sempre un po' annoiata che mia madre non era in negozio, e allora a quel punto loro strabuzzavano gli occhi increduli e dicevano sempre la stessa cosa: “lei è la figlia? Complimenti, davvero una bella ragazza. Proprio come la mamma”. E io: “grazie” e poi la discussione si concludeva lì, perché non avevo tanta voglia di flirtare con loro, a differenza di mia madre, la quale a giudicare dal numero degli spasimanti, si divertiva molto a farsi corteggiare. Avrei potuto divertirmi anche io con loro, ma erano tutti uomini sulla quarantina, come mia mamma, certe volte anche sui cinquanta. E obiettivamente non me la sentivo di flirtare con uomini che avevano l’età dei miei genitori.

Moana.