giovedì 19 gennaio 2017

Natale in bodystocking.


   Adesso che il film era finito iniziavo a chiedermi una cosa. Cosa avrei dovuto fare del mio futuro? Continuare sulla strada del porno oppure ritornare alla normalità. Ma quale normalità? Cioè, cosa avrei dovuto fare? Forse quello che mi chiedeva mia madre, e cioè prendere le redini del negozio, perché un giorno, mi diceva, quando sarebbe stata vecchia e stanca, l’attività sarebbe passata nelle mie mani, e quindi sarei diventata la legittima proprietaria del negozio. Ma era davvero quello che volevo?
   Intanto mentre Berni cercava un distributore per il film io non avevo molto da fare, quindi decisi di accontentare mia madre e ritornare a gestire il negozio. Anche perché lei era molto impegnata, perché stava aiutando mio padre ad aprire un ristorante in cui aveva investito tutti i soldi della liquidazione del suo precedente lavoro. E così le dissi di non preoccuparsi, e che al negozio di intimo ci avrei pensato io. Soltanto che lei aveva avuto modo di parlare con le commesse, le quali sicuramente le avevano detto del mio modo autoritario di governare l’attività. E allora mia madre mi aveva dato un consiglio per superare le divergenze che avevo con il personale. Mi disse semplicemente: “ricordati queste parole: il negozio di intimo non è una caserma”.
   Mentre lei era stata via mi ero comportata come un generale, lo so. Ma se non avessi fatto così probabilmente tra le commesse si sarebbe instaurato un governo di anarchia, e quindi avrebbero cominciato a prendersi troppe libertà, che secondo il mio parere, mia madre non era stata mai in grado di gestire. Mia madre aveva sempre avuto con loro un rapporto amichevole, e loro se ne approfittavano. Si sentiva come una madre, e loro erano come figlie per lei. Le voleva un gran bene. Ma con me era diverso. Io non permettevo certe libertà che invece mia madre gli permetteva. Per esempio certe volte si allontanavano per fumare una sigaretta e si presentavano dopo mezz’ora, e mia madre non gli aveva mai detto niente. Invece io non potevo tollerare queste cose. Vuoi fumare una sigaretta? Perfetto. Hai dieci minuti. E se non rientri entro dieci minuti ti vengo a riprendere con la forza.
   Quando ritornai al negozio e mi videro le commesse subito cominciarono a bofonchiare e ad essere d’umore nero. Sentii qualcuna che diceva sotto voce: “è ritornata la zoccola”. Sorvolai su quelle parole e mi diressi subito in ufficio. C’era un clima davvero ostile e dovevo fare qualcosa per liberarmi di quell’aura da tiranna che mi portavo addosso. Ma da dove cominciare? Beh, tanto per cominciare mi resi conto che non conoscevo neppure le mie commesse. Cioè sì, conoscevo i loro nomi, ma nient’altro. Chi erano? Che vite avevano? Erano tutte molto carine, alcune probabilmente mi superavano in quanto a bellezza, ma quanto sapevo di loro, dei loro sogni e delle loro speranze? Nulla. Una buona direttrice deve conoscerle queste cose, deve sapere di che pasta sono fatte le proprie commesse. E invece io non sapevo niente. Le vedevo come delle semplici lavoratrici, macchine da lavoro e basta. Il problema ero io, non loro.   
   E poi parliamoci chiaro, era natale. Si sa quanto è duro il lavoro di un negozio sotto le feste. Senza la loro collaborazione non sarebbe stato facile affrontare questo problema. Per fortuna mia madre aveva già fatto metà del lavoro, addobbando il negozio a festa, con palle e festoni dappertutto, e un grande albero tutto agghindato al centro. Aveva organizzato anche uno scaffale con tutti i prodotti natalizi, quindi perizomi, giarrettiere e reggiseni rigorosamente rossi. Devo ammettere che il rosso non è il mio colore preferito, però a natale era roba che si vendeva molto.
   In ogni modo più mi guardavo intorno e più percepivo l’ostilità delle mie commesse. Non avrei fatto molta strada in quel modo. Dovevo cercare di essere gentile con loro, ma più le guardavo e più mi rendevo conto che non le conoscevo per niente.
   Chiara, per esempio, che in quel momento stava sistemando lo scaffale dei bodystocking. Davvero carina, con un corpo da modella, i leggins neri che mettevano in risalto le forme delle sue gambe lunghe e del suo culo così morbido e sensuale. Forse potevo iniziare da lei. E infatti mi ci avvicinai e lei scattò come una molla, pensando che in qualche modo volessi rimproverarla per qualche errore che aveva fatto o che pensavo che stesse facendo. Le sorrisi per farle capire che non aveva nulla da temere, e lei allora sembrò così sorpresa di vedermi allegra che fece cadere una confezione di un bodystocking. E allora io la presi e la rimisi a posto.
   “Come stai Chiara?” le chiesi cercando di essere più affettuosa possibile.
   “Bene” rispose. Le tremava la voce. Possibile che facessi questo effetto alle commesse del negozio?
   Ma credetemi, non sapevo cos’altro dirle. Cosa potevo inventarmi, dopo tutto quel tempo passato a fare la tiranna? Così mi guardai intorno e afferrai un completino intimo che c’era su uno scaffale, composto da perizoma, calze autoreggenti e corpetto in lattice.
   “Stavo pensando che mi farebbe piacere se provassi questo nuovo modello” le dissi. “Indossalo, magari in presenza del tuo fidanzato. Ce l’hai il fidanzato, Chiara?”.
   “Sì”.
   “Molto bene. Stasera quando torni a casa indossalo, e poi fammi sapere se al tuo fidanzato piace come ti calza. Prendilo, te lo regalo” glielo porsi e lei un po' titubante lo prese.
   “Ma Moana, questo modello costa ben quarantacinque euro. Sei sicura di volermelo regalare?”.
   “Ma certo Chiara! Te lo meriti. Stai dando molto per il negozio. Vedrai, il tuo fidanzato sarà molto contento di vederti vestita così”.
   Stavo facendo la cosa giusta, in men che non si dica avrei portato tutte le commesse dalla mia parte. Poco dopo una collega di Chiara mi chiese il permesso di allontanarsi per andare a fumare una sigaretta.
   “Non c’è bisogno che me lo chiedi” le risposi e lei spalancò gli occhi dallo stupore. “L’importante è che non vi allontaniate tutte. Cercate di organizzarvi in modo da non lasciare il negozio scoperto”.
   Sentivo che qualcosa stava cambiando e tutto sarebbe andato per il verso giusto. Un’altra cosa a cui dovetti pensare fu il continuo via vai degli ammiratori di mia madre. Erano davvero tanti. Ogni tanto ne arrivava uno e mi chiedeva di lei, e io rispondevo sempre un po' annoiata che mia madre non era in negozio, e allora a quel punto loro strabuzzavano gli occhi increduli e dicevano sempre la stessa cosa: “lei è la figlia? Complimenti, davvero una bella ragazza. Proprio come la mamma”. E io: “grazie” e poi la discussione si concludeva lì, perché non avevo tanta voglia di flirtare con loro, a differenza di mia madre, la quale a giudicare dal numero degli spasimanti, si divertiva molto a farsi corteggiare. Avrei potuto divertirmi anche io con loro, ma erano tutti uomini sulla quarantina, come mia mamma, certe volte anche sui cinquanta. E obiettivamente non me la sentivo di flirtare con uomini che avevano l’età dei miei genitori.

Moana. 

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