lunedì 22 agosto 2016

Quel porco del papà di Stefano. 

(nel fumetto: Melkor Mancin, Naughty in Law, MelkorMancin.com)


   Innanzitutto vogliamo chiedere scusa se per qualche tempo questo blog è rimasto in silenzio. Purtroppo siamo stati molto impegnati, e non potete neppure immaginare quanto ci sia mancato raccontarvi le nostre storie. Piacerebbe tanto, sia a me che a Stefano, potervi raccontare quotidianamente le nostre vicissitudini, le nostre avventure, le nostre fantasie, ma purtroppo quando meno te l’aspetti ti piomba addosso un periodo lavorativo molto intenso e molto stressante (troppo per potersi dedicare anche ad un blog). Inoltre abbiamo avuto dei problemi con il padre di Stefano; niente di grave, non mi fraintendete. Pietro, così si chiama il papà di Stefano, sta benissimo. Anzi, è fin troppo arzillo nonostante i suoi settantaquattro anni. 
   Dovete sapere che i genitori di Stefano sono divorziati a causa delle continue avventure extraconiugali di mio suocero, che alla lunga avevano stancato la mamma di Stefano, la quale aveva preteso il divorzio. Lei si era felicemente risposata con un altro uomo, e lui invece non aveva smesso di fare ciò che gli piaceva di più, ovvero scopare a destra e a manca (nonostante l’età). Purtroppo non era del tutto autonomo, e così avevamo provato ad affiancargli numerose badanti, le quali dopo qualche giorno se ne andavano, e quando chiedevamo loro delle spiegazioni ci rispondevano tutte allo stesso modo, e cioè che mio suocero era un gran porco. Allora io e Stefano eravamo giunti alla conclusione che rimaneva soltanto una cosa da fare, cioè portarlo in una casa di riposo.
   Detto fatto; avevamo trovato una casa di riposo gestita dalle suore in modo ferreo. In principio il problema pareva risolto, come se le donne di chiesa fossero riuscite a mettere in riga mio suocero. E invece ci sbagliavamo. Nemmeno un mese che ricevemmo una telefonata dalla madre superiora, la quale ci chiese di andarci a riprendere Pietro, perché il suo comportamento non era consono al decoro dell’istituto. Era stato beccato a fare sesso anale con un’infermiera. L’avevano sorpreso proprio mentre le inondava di sborra il condotto anale. Non c’erano scusanti. L’aveva fatta davvero grossa. Insomma, era fuori dall’istituto per sempre, e avremmo dovuto trovargli un’altra sistemazione. L’unica cosa che potevamo fare era quella di ospitarlo da noi, almeno fino a quando non avremmo trovato una collocazione migliore.
   È stato un periodo davvero faticoso perché ho dovuto fare un po’ da crocerossina e allo stesso tempo mandare avanti il negozio di lingerie. Per fortuna ho potuto contare sull’aiuto di nostra figlia Moana. Senza di lei non sono sicura che ce l’avrei fatta. Stefano in quel periodo in casa non c’era mai, perché il suo lavoro si era enormemente intensificato.
   La prima notte è stata davvero ricca di sorprese. Ero sola in casa, e mio suocero dormiva nella camera degli ospiti, e prima di andare a dormire ebbi la brillante idea di aiutarlo a lavarsi. Così con una bacinella d’acqua e una spugna andai da lui, ma di svegliarsi non ne voleva sapere. Cominciai a spogliarlo e a lavarlo, e quando gli levai i pantaloni spalancai gli occhi dallo stupore: non aveva le mutande, e il suo cazzo era gigantesco ed era in erezione. Mai visto niente di così maestoso. Con la spugna cercai di lavargli le palle e l’asta, ma facendo attenzione a non svegliarlo. Arrapato com’era non volevo che gli venissero strane idee. Dopo un po’ lo afferrai con decisione. Sentii il calore e la sua potenza contro il palmo della mia mano. Non potevo credere che mio suocero avesse un arsenale di quella portata. Pietro non era mai stato un adone; chi l’avrebbe mai detto che nascondeva un attrezzo di quelle dimensioni?
   Notai che sulla punta del glande era comparsa una gocciolina trasparente che poi iniziò a scivolare giù lungo l’asta fino a raggiungere la mia mano. Senza rendermene conto avevo cominciato a segarlo, non so perché lo stavo facendo, forse perché era il mio istinto da zoccola che mi chiedeva di farlo. Forse perché non riuscivo a resistere di fronte ad un palo come quello, perché quando un uomo diventava così duro sentivo il dovere di accontentarlo, semplicemente perché ero fatta così, non per niente tutti mi chiamavano Sabrina Bocca e Culo.
   Ma forse il motivo era un altro; il fatto è che mio suocero aveva sempre avuto una cotta per me, fin dal giorno che Stefano mi aveva portata a conoscere i suoi. Ricordo, quando eravamo fidanzati, tutte le volte che andavo la domenica a pranzo dai suoi, mio suocero mi salutava sempre allo stesso modo, e cioè regalandomi una bella pacca sul sedere, e sussurrandomi cose porche all’orecchio, del tipo: “beato chi te lo rompe questo culo”. Adorava il mio culo. Però non avevo mai detto nulla a Stefano, e lasciavo mio suocero libero di fare ciò che voleva con me, per il semplice fatto che mi piacevano le sue attenzioni.
   Ricordo che ogni volta che andavo a pranzo dai genitori di Stefano indossavo sempre dei vestiti porchissimi, perché mi piaceva stuzzicare mio suocero. Le mie tette lo facevano impazzire, così mettevo sempre delle magliette scollate in modo osceno; i suoi commenti piccanti erano musica per le mie orecchie. Una volta mi sussurrò all’orecchio: “chissà come sei brava a fare le spagnole!”.
   Certo, ovviamente ogni volta che mi palpava il sedere o che faceva qualche apprezzamento spinto, si accertava accuratamente che fossimo soli. Questo è chiaro. Non lo sapeva nessuno. Ma io sapevo che era così, e cioè che lui mi desiderava ardentemente, e lui sapeva che a me piaceva farmi desiderare, e allora ne approfittava allungando le mani e sussurrandomi cose porche e oscene. Una volta, ricordo che era natale, Stefano e sua madre erano in cucina a preparare la cena, mentre io e mio suocero eravamo nel salotto a sorseggiare del vino, lui mi disse una frase che mi fece bagnare in un istante. Mi sussurrò: “mi fai venire voglia di sborrarti dentro”. Era una cosa che mi fece emozionare tantissimo, perché era come se mi stesse dicendo che mi desiderava più di ogni altra cosa. Ma nonostante questo, non gli avevo mai permesso di entrarmi dentro. Era pur sempre il padre del mio fidanzato, nonché mio futuro suocero.
   E chi l’avrebbe mai detto che mi sarei trovata a dover badare alle sue necessità come una badante?
   Intanto, senza accorgermene, la mia sega era arrivata al culmine. Pietro proruppe in una sborrata copiosa e gli schizzi saltarono dappertutto. Per fortuna dormiva ancora. Con la spugna tolsi via la sborra e me ne andai a letto, consapevole che l’indomani mi aspettava un’altra giornata di duro lavoro in negozio, e poi di corsa a casa a badare a quel porco di mio suocero.  

Sabrina.

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