lunedì 5 febbraio 2018

Ho sempre voglia.

Ho sempre voglia. 

(in foto: Sable Jones, Horny Sable Jones Fucks The Gardener, HushPass.com)


   Ragazzi, non so cosa mi stava succedendo, ma da quando avevo scoperto di essere incinta avevo sempre voglia di fare l’amore. Ero davvero scatenata, e Berni non riusciva a starmi dietro. Ero indemoniata, non pensavo che a quello. A lavoro, per esempio, non riuscivo neppure a concentrarmi. Era un pensiero fisso. Il giorno dopo la cena a casa dei miei genitori ero al negozio quando ad un certo punto ho perso completamente la ragione, mi sono sentita accecata dal desiderio, avevo così tanta voglia che iniziai a diventare nervosa per via del fatto che non potevo farlo, perché appunto ero a lavoro. E non vedevo l’ora di ritornare a casa per saltare addosso a Berni e prendergli il cazzo in bocca, e poi farmelo sbattere in culo, e poi in figa, e poi di nuovo in culo. Poi ad un certo punto, dopo aver sofferto abbastanza, mi venne in mente che non c’era bisogno di aspettare di ritornare a casa, e quindi telefonai a Berni e gli chiesi di venire subito in negozio.
   “Ti prego, vieni subito. È un’emergenza”.
   “Che tipo di emergenza?” mi chiese lui preoccupato.
   “Sbrigati, non farmi arrabbiare” risposi spazientita. “Se ti ordino di venire qui subito, tu devi venire qui subito. Punto”.
   E devo dire che Berni in una ventina di minuti fu da me. Era piuttosto agitato per come mi ero rivolta a lui per telefono. Non appena entrò nel negozio gli afferrai un polso e lo trascinai letteralmente negli spogliatoi, lo feci entrare in uno di questi e chiusi la porta. Mi sbottonai i jeans e me li tirai giù insieme al perizoma, e poi diedi le spalle a Berni piegandomi leggermente in avanti, in modo da permettere una buona penetrazione anale.
   “Forza, fai il tuo lavoro” gli dissi. “Fammi il culo”.
   “Cosa?!” Berni era confuso, non riusciva a capire cosa stava succedendo. E in verità neppure io lo capivo. “ Proprio qui? Potrebbero scoprirci”.
   Aveva ragione, ma non me ne fregava niente. Ero così accecata dalla voglia di fare l’amore che lo avrei fatto anche di fronte a tutti. Mi sentivo il cuore in fiamme per l’eccitazione. Allora per convincerlo decisi di passare alle minacce.
   “Se non lo fai tu me lo faccio fare da qualcun’altro” sì lo so, stavo facendo proprio la stronza, ma non ero io a parlare, bensì il demone del sesso che al momento si era impossessato di me.
   “Su Moana, sii ragionevole”.
   “Se non mi inculi adesso ti giuro che non mi vedrai più”.
   “Ok ok, come vuoi”.
   A quel punto Berni si tirò giù la lampo dei jeans e mise fuori il suo cazzo, che però ancora non era completamente duro, quindi quando lo indirizzò verso il mio buco del culo non riuscì a farlo entrare. Non era ancora pronto, così decisi di intervenire io, glielo presi in mano e iniziai a segarlo con decisione. Mi bastarono pochi secondi per farglielo diventare di marmo. Allora ritornò all’attacco del mio condotto anale, e questa volta entrò dentro senza problemi, e per me si aprirono le porte del paradiso. Finalmente la mia ossessionante voglia di essere penetrata stava per essere appagata; mi sentivo come quando una persona sta morendo di caldo, e poi all’improvviso viene colpita da una raffica di vento freddo.
   Berni mi afferrò per i fianchi e iniziò a incularmi con decisione; era così bello che mi sentivo quasi di svenire. Ma ci mancava qualcosa, sentivo che volevo di più, perché quello che mi stava facendo non mi bastava. Volevo essere trattata in modo irrispettoso. Per quanto mi sentivo porca non mi sarebbe bastata una semplice penetrazione anale.
   “Afferrami per i capelli” sussurrai. E Berni mi accontentò, mi prese per i capelli e mi strattonò tirandomi la testa leggermente indietro. Ora andava meglio, ma non abbastanza. “Con l’altra mano dammi qualche sculacciata bella forte”.
   “Ma tesoro, qualcuno potrebbe sentirci” protestò lui.
   “Non me ne frega un cazzo di niente se qualcuno ci sente. Lo vuoi capire o no che sono arrapata come una cagna? Forza, cosa aspetti? Sculacciami per bene”.
   Berni mi accontentò di nuovo e mi diede un sonoro sganassone. Per fortuna nel negozio c’era la filodiffusione, quindi le hit del momento coprivano tutti i rumori che provenivano dal nostro camerino. Ma ad un certo punto lui dovette tapparmi la bocca con una mano, perché avevo iniziato a gridare così tanto che c’era il rischio che mi sentissero fin dall’ingresso del centro commerciale. Sì, in quel momento ero completamente incapace di contenermi. Ero praticamente in un’altra dimensione, la dimensione del sesso sfrenato. Non riuscivo a contenermi e nonostante Berni mi teneva una mano sulla bocca io gridavo con tutto il fiato che avevo in gola: “rompimelo, rompimelo! Sfondamelo quel gran culo da troia che mi ritrovo!”.
   Ovviamente non stavo facendo l’amore con uno stallone da monta; Berni non era mai stato uno scopatore da competizione, per cui dopo cinque minuti di penetrazione era arrivato al limite, e a breve avrebbe cominciato a sborrare. Me ne accorgevo subito quando stava per venire, perché in quei cinque secondi prima dell’eiaculazione dava il meglio di se, diventava un treno. Però io non ero ancora venuta, e non poteva lasciarmi in quello stato, dovevo per forza fare venire anche me, altrimenti sarei rimasta incazzata di brutto per tutto il resto della giornata.
   “Aspetta, non sborrare ancora” lo supplicai. “Prima dimmi cosa sono io”.
   Di solito quando volevo venire ricorrevo a quel trucchetto, e cioè mi facevo dire da Berni qualche porcata, e siccome le porcate mi facevano perdere la testa riuscivo a concludere anche io.
   “No Moana, non lo fare” mi disse. Ogni volta che facevo quella cosa, e cioè che chiedevo a Berni di dire cosa ero, finiva sempre che ci mettevamo a urlare; io urlavo che volevo sentire più forte la sua risposta, e poi alla fine lui con un urlo liberatorio mi accontentava e iniziava a sborrare. Però una cosa del genere era fattibile a casa, non certo nel camerino di un negozio. Ma io lo volevo a tutti i costi. Doveva dirmelo. Lo volevo sapere. Volevo sapere cosa ero io.
   “Dai, dimmelo. Cosa sono io?”.
   “Una puttana” rispose lui molto timidamente.
   “Non ho sentito” urlai. “Mi dici cosa cazzo sono io?”.
   “Una puttana” ancora non mi piaceva il suo tono sostenuto.
   “Non sento” urlai ancora. “Dillo più forte”.
   “Sei una grandissima puttana” finalmente ero soddisfatta, e Berni mi inondò il retto col suo sperma. Sentii il mio corpo contorcersi dal piacere. Per il momento il demone del sesso che si era impossessato del mio corpo era stato appagato. Finalmente potevo continuare a lavorare in pace. Ma la quiete sarebbe durata poco. Presto il demone sarebbe ritornato. Ve l’ho detto che da quando avevo scoperto di essere incinta non facevo che pensare al sesso. Ero continuamente arrapata.

Moana.

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