martedì 7 agosto 2018

La seconda punizione.

La seconda punizione. 

(in foto: Carter Cruise, Rich Girl Gets What She Wants, Tushy.com)


[postato da Moana]

   Come dicevo nel post precedente, in tutta la mia vita mi ero beccata ben due schiaffi da mia madre, ma molti altri me ne sarei presi se durante le nostre frequenti discussioni mi fossi spinta oltre la sua soglia di tolleranza. Il secondo schiaffo riguarda il periodo in cui lavoravo allo strip bar del mio papà biologico. Mia madre non aveva mai potuto digerire il fatto che lavorassi lì, e aveva cercato varie volte di farmi smettere, fino a quando un giorno obbligò mio padre a licenziarmi. Ho raccontato questo episodio qualche anno fa, era il duemilaquindici per l’esattezza.
   Quando venni a sapere cosa aveva fatto feci il diavolo a quattro:
- Mamma, perché mi hai fatto questo?
- Perché sono molto preoccupata per te.
- Se permetti la mia vita me la gestisco io.
   Fu a quel punto che venne verso di me e mi colpì con il secondo schiaffo della mia vita, dritto sulla guancia, così forte che mi tolse la facoltà di parlare. Rimasi semplicemente scioccata per poter reagire, ma senza accorgermene gli occhi mi si arrossarono come se avessi la febbre, come se stessi per scoppiare a piangere.
- Ora basta! Finché sei sotto questo tetto comando io. E ora vattene in camera tua. Se non cambi stile di vita finirai per diventare una escort. È questo che vuoi?
   Non avevo la forza di rispondere dopo quello schiaffo.
- Rispondi! - urlò. - Vuoi diventare una escort?
- No - bofonchiai.
- Molto bene. Ora fila in camera tua.
   Chissà, forse aveva fatto bene a fare quella cosa. Perché altrimenti non sarei arrivata ad essere quello che sono adesso, e cioè la responsabile di florido negozio di intimo, di cui lei continuava ad esserne la proprietaria, ma poi a conti fatti ero io che lo amministravo e lo portavo avanti.
   Comunque anche in questo episodio che vi ho appena raccontato, avevo superato il limite invalicabile e mi ero beccata la seconda punizione corporale della mia vita. Ma ormai erano passati quei tempi; ormai ero adulta e vaccinata, per cui lei non aveva più alcuna autorità su di me. Eppure quando discutevo on mia madre continuavo a percepire la presenza di una soglia oltre la quale non potevo andare. E proprio per questo motivo tutte le nostre discussioni finivano sempre a suo favore, e io ne uscivo sempre sconfitta e amareggiata, perché essenzialmente non ho mai potuto digerire le sconfitte. Ma con mia madre non avevo alcuna speranza. Dovevo piegarmi e basta, perché non avevo e forse non avrei mai avuto il coraggio di superare un’altra volta il punto di non ritorno.
   Con i miei due papà invece il discorso era diverso. Il mio papà biologico non aveva mai alzato neppure un dito su di me, non ne avrebbe mai avuto il coraggio. Io ero la sua bambina. E ci avevo discusso pesantemente molte volte, e gli avevo anche detto cose terribili, e lui non aveva mai reagito, perché lui non era come mia madre lui non aveva un limite invalicabile che dovevo fare attenzione a non oltrepassare.
   Invece l’altro mio papà, con cui ero cresciuta, soltanto una volta mi aveva messo le mani addosso; per la precisione mi aveva sculacciata, perché io gli avevo detto, in seguito ad una lite furiosa, una cosa terribile. Avevo messo in discussione il fatto che lui fosse davvero mio padre. Anche questo episodio ho raccontato in questo blog, ed è legato ad un periodo davvero particolare per la nostra famiglia; mio padre a casa non c’era mai, perché era sempre impegnato con il lavoro, e mia madre aveva pensato bene di cornificarlo scappando via con un altro uomo.
   Quel giorno decisi di affrontarlo e di dirgli ciò che pensavo, e cioè che la nostra famiglia aveva qualche evidente problema da risolvere.
   “Che hai? Sembri nervosa” mi disse.
   “Nervosa? No, sono incazzata nera. Se tu facessi un po’ più il padre, invece di stare via per settimane e settimane, forse questa famiglia ritornerebbe a quote più normali” urlai. 
   “Moana, adesso basta. Ti giuro che certe volte mi fai venir voglia di prenderti a sculacciate”.
   “Ah sì? Ma se probabilmente non sei neppure mio padre”.
   L’avevo detta grossa, e se avessi potuto rimangiarmi quelle parole l’avrei fatto. A quel punto mio padre mi afferrò il braccio e mi fece girare di spalle e mi tirò su il vestitino scoprendomi le natiche, divise l’una dall’altra da un sottile lembo di tessuto del perizoma nero che indossavo. Mi colpì con uno schiaffo e io ebbi un sussulto. Non lo aveva mai fatto e mi sembrò davvero strano.
   “Bravo” dissi. “Spero che tu ti senta orgoglioso di quello che stai facendo”.
   Mio padre mi sculacciò un’altra volta e poi ancora. Poi mi lasciò il braccio, forse rendendosi conto che non era proprio una cosa appropriata sculacciare una figlia di vent’anni. Così me ne andai verso la mia stanza, senza neanche tirarmi giù il vestitino, sentendo per tutto il tragitto gli occhi di mio padre sulle mie natiche arrossate.
   Rimasi chiusa in camera a rimuginare su quanto era appena accaduto, e mi sentivo molto in colpa per quello che avevo detto. Però ero anche molto perplessa. Insomma, essere sculacciata a vent’anni dal proprio papà non aveva alcun senso, sembrava piuttosto una specie di incesto. E infatti così lo interpretai. Non c’era altra spiegazione, era un incesto bello e buono. E infatti mi regolai di conseguenza, e quando andai a chiedergli scusa lo feci in modo davvero poco “ortodosso”.
   Ma a parte questa punizione, se così possiamo definirla, non ho mai più ricevuto alcun tipo di punizione corporale da parte dei miei due papà. Con loro ho sempre avuto un rapporto diverso rispetto a quello che ho avuto con mia madre. Per loro sono stata e continuo ad essere la loro bambina da viziare a coccolare; per mia madre invece sono sempre e stata e sempre resterò la figlia da tenere sempre in riga.  

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