giovedì 14 febbraio 2019

Ventimila...

il valore dei suoi buchi.

(in foto: Helena Price, Atkingdom.com)


[postato da Moana]

   Eros mi portò nella sala di cui parlava, una stanza ancora più grande di quella in cui mi trovavo poco prima, ed era piena di pannelli di cartongesso su cui c’erano delle gigantografie di foto in cui erano immortalate parti del corpo che di solito si trovano nelle mutande. Patate giganti aperte e apparentemente calde, erezioni gigantesche contornate da possenti vene cariche di sangue, orifizi anali in attesa di essere penetrati e poi tette di tutte le forme. 
   La sala era piuttosto buia e c’erano delle luci soffuse che illuminavano le immagini, e io mi soffermavo a guardarle e Eros era dietro di me che mi seguiva in silenzio, aspettandosi da me un commento di qualsiasi genere, ma io non avevo parole. Non avevo mai visto una cosa del genere, cioè una collezione fotografica tutta dedicata agli organi sessuali delle persone. E poi alla fine giunsi ai ritratti che interessavano me, e per cui avevo deciso di fare un salto alla galleria di Eros, ovvero i ritratti di mia madre. Erano due, ed erano messi uno sopra l’altro, sopra c’era il primo piano della sua bocca, con le labbra cariche di rossetto rosso, ed erano appena dischiuse e quindi si vedevano anche i denti. Erano labbra affamate, labbra che sembrava che stessero per aprirsi di fronte al membro di un uomo, per accoglierlo dentro e farlo godere. Avrei riconosciuto quella bocca tra centinaia di altre bocche, era proprio lei.
   Sotto questa fotografia invece c’era il primo piano del suo culo burroso, con le natiche aperte e il buco del condotto anale ben in mostra, leggermente aperto come se fosse stato appena penetrato. Caldo e accogliente, pronto per essere usato. Ero affascinata da quel primo piano così dettagliato, così vivo, quasi come se lei fosse lì di fronte a me.
   “Vedo che sei riuscita a riconoscere tua madre senza il mio aiuto” mi disse Eros. E in effetti era così. Come potevo non riconoscerla? Quelle parti di corpo appartenevano alla donna che mi aveva messa al mondo, per cui non potevo sbagliarmi. Era proprio lei, con la sua accesa passione e la sua irresistibile voglia d’amore. E sotto quelle fotografie c’era una targhetta con tutte le informazioni relative all’opera. Il suo nome era “Sabrina Bocca e Culo, i buchi della passione”. C’era anche il prezzo; costavano ventimila euro. I pezzi non potevano essere venduti separatamente.
   “Ventimila euro!” esclamai. “Chi è che pagherebbe una somma del genere per dei buchi?”.
   “Ci sono soltanto dieci copie di quest’opera, ne ho già vendute nove. Questa è l’ultima” mi rispose con un certo orgoglio, sicuro del fatto che questo dettaglio mi avrebbe sorpresa non poco. E infatti non riuscivo neppure a crederci che qualcuno potesse spendere una somma simile per entrare in possesso delle gigantografie fotografiche della bocca e del buco del culo di mia madre.
   “Quindi, fammi capire bene, i buchi di mia madre ti hanno fatto guadagnare ben centottanta mila euro?”.
   “Esattamente. Le ultime due copie le ho vendute ad uno sceicco del Qatar e ad un imprenditore di New York. Questa è la mia opera di maggior successo, e ultimamente stavo pensando di realizzarne un’altra che abbia una funzione di completamento. Il giorno della festa a casa dei tuoi ho pensato che quest’opera ha bisogno di una specie di appendice, ha bisogno diciamo di essere perfezionata”.
   “Quindi farai a mia madre altre fotografie” conclusi. “E cosa fotograferai questa volta? La sua patata pelosa?”.
   “No no” rispose divertito. “Non era questa la mia idea. Questa volta stavo pensando ad un’opera dal titolo Generazioni, per cui sfrutterò di nuovo la fotografia del suo orifizio anale, però l’immagine sarà sovrapposta ad un altro buco”.
   “Quale?”.
   “Il tuo, Moana”.
   “Ah!” sbottai. “E cosa ti fa pensare che te lo lascerò fotografare?”.
   “Non devi darmi una risposta subito. Pensaci e poi mi farai sapere”.
   “Ma vai al diavolo! Non mi lascerò fotografare il buco del culo. Ho cose ben più importanti a cui pensare, io”.
   E così me ne andai senza neppure salutarlo. Ma perché me l’ero presa così tanto? Forse perché accostare il mio culo a quello di mia madre era un po' come dire che adesso Sabrina Bocca e Culo ero io. Era questo che Eros intendeva, e cioè che lo scettro di reginetta del sesso anale e orale, un tempo appartenuto a mia madre, adesso apparteneva a me. Io ero l’erede legittima di una stirpe di vacche da monta, ecco cosa voleva dire accostare il mio culo a quello di mia madre. E no, non ci stavo. Io non ero soltanto un buco. Probabilmente se mi avesse chiesto di posare per un servizio fotografico di nudo integrale non me la sarei presa così tanto. Ma fotografare soltanto l’ingresso del mio condotto anale, questo sì che era offensivo. Possibile che Eros non riuscisse a vedere altro in me e in mia madre?
   Ero così arrabbiata che quella sera me la presi con Berni, il quale non c’entrava niente però sentivo il bisogno di farlo. E quindi eravamo in camera da letto a fare l’amore, e io ero a quattro zampe e lui mi stava dietro e mi stava penetrando la patatina, e ogni tanto mi sculacciava, perché sapeva che era una cosa che mi piaceva da morire. Eppure quella sera non mi stava piacendo, anzi, lo trovavo insopportabile. Ogni sganassone non faceva che aumentare la mia insofferenza, e avrei voluto dirgli di smetterla, ma non lo feci. Era una cosa che non capivo; mi aveva sempre fatto perdere la testa quando lo faceva, e invece adesso mi stava dando un fastidio terribile.
   Ma la cosa che mi fece perdere la ragione fu quando sfilò il cazzo dalla mia vagina per mettermelo in culo. Il sesso anale era una cosa che facevamo spesso, ma quella sera mi fece andare su tutte le furie. Riuscì a farmi entrare soltanto il glande, dopodiché mi ribellai.
   “Ma che cazzo fai!? Tiralo immediatamente fuori!”.
   “Ma tesoro, lo abbiamo sempre fatto” si giustificò lui.
   “Lo so, ma questa sera non ne ho voglia. Ma è possibile che voi uomini non riuscite a pensare che a questo?”.
   Povero Berni. Me la stavo prendendo con lui che non c’entrava niente. Ma d’altronde non ero mai stata molto brava a contenere la collera.

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