giovedì 7 febbraio 2019

Una famiglia decisamente

sui generis. 

(in foto: Kalliny Nomura, Let's Play, Trans500.com)


[postato da Rocco]

   Trascorrere quella vacanza in compagnia di mia madre fu una delle esperienze più belle della mia vita, anche se in certi momenti ero stato letteralmente accecato dalla gelosia, per esempio quando era andata a letto con Franco. Ma mia madre era fatta così, le piaceva proprio tanto fare l’amore. Mi preoccupava il fatto che potesse capitare nelle mani di qualche uomo sbagliato. C’erano tanti maiali infatti che avrebbero potuto approfittare di lei e della sua tendenza a concedersi facilmente. Ma in fin dei conti non era anche mio padre un maiale, che godeva nel vederla fare l’amore con altri uomini? A questo punto avrei dovuto proteggerla anche da lui, ma capirete che era una cosa impensabile. Anche perché non aveva senso proteggerla, dal momento che era anche lei a volerlo.
   Anche se facevo fatica ad ammetterlo, mia madre era una donna come tutte le altre, e anche lei aveva le sue fantasie erotiche, e non potevo pensare di impedirle di realizzarle.
   L’ultimo giorno di vacanza lei decise di dedicarlo soltanto a me; mi disse che gli uomini non li avrebbe guardati neanche da lontano, perché la sua attenzione era rivolta soltanto a me. E in effetti fu di parola. Non si fece indurre in tentazione da nessuno, e quindi ci dedicammo a visitare alcune delle città del sud più interessanti a livello artistico, fino poi a risalire verso casa, perché ormai il tempo era scaduto, e io dovevo ritornare a lavoro. E mia madre mi accompagnò a casa di Beatrice, la mia bellissima moglie transgender, di cui nonostante tutto avevo sentito una grande mancanza in quei giorni che ero stato via. E quindi scesi dalla macchina e presi la mia roba dal bagagliaio, e mia madre mi venne a salutare stringendomi in un lunghissimo abbraccio, e poi si mise a piangere perché mi disse che accompagnandola in quel viaggio l’avevo resa una donna felice.
   E poi mi chiese scusa, e io le domandai il motivo, e lei mi rispose che lo stava facendo perché aveva fatto un po' la puttana, ed era ovvio che questo mi aveva fatto un po' soffrire. Ma io avevo riflettuto a lungo su quello che era successo, ed ero arrivato ad una sola conclusione, e cioè che la cosa più importante era sapere che mia madre era felice.
   “Tu sei felice?” le chiesi.
   “Moltissimo, perché ho te, ho tua sorella Moana, i vostri due papà, insomma ho una famiglia bellissima che farebbe invidia a chiunque”.
   “Sì, hai ragione. Anche se bisogna dire che è una famiglia decisamente sui generis”.
   E con questa mia osservazione, che fece molto divertire mia madre, ci salutammo e io andai su da Beatrice. Da quando ci eravamo sposati mi ero trasferito da lei, nel suo appartamento vicino alla stazione ferroviaria.  Ma era una cosa momentanea, perché le nostre intenzioni erano di comprare una casa più grande, e certamente non nella zona della stazione, che era una delle zone più brutte e malfamate della città.
   Entrai nell’appartamento e lei era sdraiata sul divano del soggiorno e stava leggendo una rivista; indossava soltanto il perizoma. A lei a casa le piaceva stare così. Spesso non aveva neanche il perizoma. E vederla mi fece pensare al fatto che mi era mancata tanto, e glielo dissi, e poi iniziai a baciarla dappertutto, e lei mi tirò giù la lampo dei jeans e mi tirò fuori la mia erezione e mi fece un pompino fino a farmi sborrare. Ma io non ne avevo ancora abbastanza, volevo il suo condotto anale, e lei non esitò a darmelo, e quindi si mise a cavalcioni su di me e si fece scivolare il mio cazzo nel buco del culo e iniziò a cavalcarmi.
   Il nostro vicino, un vecchio rompiscatole, iniziò a dare pugni contro la parete. Lo faceva ogni volta che facevamo l’amore, perché diceva che si sentiva tutto e lui non riusciva a sentire la tivù. Una volta mi aveva anche beccato nell’androne del palazzo, dicendomi che quando ero via mia moglie si faceva scopare anche da altri uomini, e io gli avevo risposto che lo sapevo. Poi un’altra volta, sempre nell’androne, mi aveva detto che aveva capito tutto, e cioè aveva capito che lavoro faceva mia moglie, e cioè la prostituta. E allora io gli spiegai che si sbagliava, e che Beatrice in realtà faceva la spogliarellista. E lui a quel punto mi disse: “farà anche la spogliarellista, ma resta il fatto che si fa chiavare da chiunque”.
   E io: “lo so, le piace proprio tanto chiavare”.
   E lui: “io vi denuncio! Siete disgustosi!”.
   E comunque più lui batteva contro il muro e più Bea si scatenava a fare l’amore, gridando e dicendo cose porchissime. Ovviamente glielo faceva apposta, anche se non lo diceva apertamente.
   Dopo essere venuti tutti e due andammo a fare una doccia e poi ce ne andammo a fare una passeggiata al centro a vedere i negozi. Beatrice adorava andare a vedere le vetrine; fosse stato per lei avrebbe comprato tutto quello che vedeva. Soprattutto le scarpe. Aveva una vera e propria passione per le scarpe, infatti ne aveva tantissime, tutte con i tacchi rigorosamente alti. E il fatto era che ci camminava con una padronanza sorprendente. “Io ci sono nata con i tacchi alti” diceva. E aveva ragione.
   Quando andavo in giro con Beatrice non potevo fare a meno di notare che tutti gli uomini si giravano a guardarla; perché obiettivamente era divina, anche se sotto non era fatta come le altre donne, ma aveva un batocchio considerevole. Un batocchio che lei non disdegnava di mettere in mostra; infatti spesso indossava i leggings, per cui la forma del pacco era molto evidente, e c’era chi apprezzava e guardava con desiderio, e poi c’era chi si prendeva gioco di lei, indicandola e facendo battutine stupide. Ma lei ci era abituata. Diceva che chi disprezza vuol comprare. Però qualche volta reagiva, come quel giorno, che un tizio fece un commento omofobo davvero imbarazzante, e allora Bea si girò verso di lui e si afferrò il pacco con decisione.
   “Lo vorresti in bocca, vero? Per questo hai detto quella cosa”.
   A quel punto decisi di farla calmare, non volevo che quell’episodio degenerasse in qualcosa di peggiore di un odioso scontro verbale, e le dissi di non pensarci.
   Il mondo era pieno di persone infelici.
  

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