martedì 12 febbraio 2019

Il fotografo

del piacere. 

(in foto: Helena Price, FTVMILFs.com)



[postato da Moana]

   Verso mezzanotte iniziarono ad andare tutti via, però il tizio che mi fissava in continuazione era rimasto. Berni era in soggiorno insieme ai miei genitori, i quali avevano tirato fuori da un armadio un vecchio scatolone pieno di fotografie di quando io e mio fratello eravamo bambini, e avevano cominciato una specie di viaggio a ritroso nel tempo. Avrei potuto unirmi anche io, così mi sarei risparmiata un’ulteriore incursione da parte di Eros, l’amico marpione dei miei che ci stava provando con me. Eppure non lo feci proprio per questo motivo, perché in qualche modo le sue attenzioni non mi dispiacevano. E allora restai in terrazzo proprio per questo motivo, perché ero più che certa che Eros avrebbe tentato un altro approccio. Il primo era fallito miseramente, infatti lo avevo snobbato e gli aveva fatto capire che non gli avrei dato proprio niente di quello che voleva lui. Perché era evidente ciò che voleva da me. Ma lui era un duro, era uno che non mollava mai, e allora ritornò alla carica.
   “Scommetto che non indovineresti mai la mia professione” mi disse.
   “Secondo me sei un pornodivo, però di quelli che si vedono nei film amatoriali, quei film di qualità scarsissima realizzati con budget ridicoli”.
   “No no, niente di tutto questo” rispose divertito. “Però! Hai proprio la lingua lunga tu. Chissà se sei altrettanto brava a utilizzarla in un altro modo...”.
   “Oh sì, non immagini neanche quanto!” lo guardai con aria di sfida, come per fargli capire che non ci sarebbe mai riuscito a chiudermi in un angolo.
   “Mi piaci” continuò, “sei sveglia. Proprio come tuo padre. Intendo dire il tuo vero padre, non Stefano”.
   “So chi è il mio vero papà, non c’è bisogno che me lo dici tu. Insomma, si può sapere che cazzo di lavoro fai?”.
   Eros faceva il fotografo. Ma non era un fotografo qualsiasi. Lui amava definirsi il “fotografo del piacere”. I suoi scatti erano famosi in tutto il mondo, e spesso allestiva delle mostre fotografiche in cui le sue opere venivano vendute a cifre esorbitanti. E mi disse che aveva lavorato anche con mia madre. Potevo facilmente immaginare il genere di foto che le aveva scattato. Era scontato che quella gran vacca si era lasciata fotografare nuda, o magari con un bel cazzo piantato in culo. Quando glielo dissi lui scoppiò a ridere, ma non mi rispose, non mi disse né sì né no. Mi invitò soltanto nella sua galleria, quando volevo, e lui mi avrebbe fatto vedere “i ritratti” di mia madre.
   “Ritratti? Ma non avevi detto di essere un fotografo?” devo dire che la mia fu una domanda piuttosto stupida, e lui rise di nuovo, questa volta della mia ignoranza. Ma in effetti ne sapevo così poco di fotografia che quella parola mi era sembrata fuori contesto, ma invece non lo era affatto.
   “Il ritratto è un modo di realizzare le fotografie in cui vengono messi in risalto sia i caratteri fisici che morali della persona che viene fotografata”.
   “Ok, grazie per la lezioncina, ma adesso devo andare. Ho una figlia di un anno che devo mettere a letto, quindi se non ti dispiace” stavo per rientrare in casa ma lui mi propose nuovamente di fare un salto alla sua galleria. Mi disse l’indirizzo, ma io non avevo voglia di farlo, e soprattutto non avevo voglia di vedere delle fotografie di mia madre con la patata di fuori. Perché di certo era di questo che si trattava.
   Eppure nei giorni successivi non feci che pensare ad altro; ero troppo curiosa di vedere quelle fotografie, anche se non ne capivo il motivo. In fondo la galleria era in centro storico, e non mi costava niente farci un salto. Avrei visto le foto e poi me ne sarei andata, tutto qui. E così mi sarei tolta quello sfizio. E allora decisi di farlo, e ci andai a ora di pranzo. Parcheggiai la macchina poco distante dallo studio di Eros e poi feci un piccolo pezzettino di strada. La galleria era in un vicolo buio e stretto, accanto ad una macelleria. Pensai che questo accostamento era molto appropriato; pezzi di carne da una parte e fette di culo dall’altra.
   La galleria di Eros non aveva nessuna insegna, ti accorgevi della sua esistenza soltanto da una porta a vetri dalla quale si riuscivano a vedere delle gigantografie di volti e parti indistinte di corpi. A dire il vero non vidi niente di porco, per cui iniziai a chiedermi il motivo per cui si definiva “il fotografo del piacere”.
   Dalla porta a vetri vidi anche lui, che era seduto dietro ad una scrivania e stava con gli occhi incollati ad un computer portatile. Aveva gli occhiali; alla festa di mia madre non li portava. Probabilmente li usava soltanto per leggere. Comunque spinsi la porta per aprirla ma mi accorsi che era chiusa a chiave, così bussai e lui mi guardò, e quando si accorse che ero io venne subito ad aprirmi. Mi fece entrare e mi diede il benvenuto.
   “Lo sapevo che saresti venuta”.
   “Sì ma ho soltanto un paio di minuti, poi devo rientrare a lavoro”.
   Iniziai a girarmi intorno, e sentivo i suoi occhi incollati al mio corpo, e soprattutto al mio sedere. Quel giorno indossavo dei leggings di pelle che  lo mettevano mirabilmente in risalto, resistergli quindi era impossibile, e infatti lui lo aveva preso di mira e non lo mollava, proprio come un affamato avrebbe fissato un bel pezzo di carne nella macelleria accanto. E poi avevo degli stivali con i tacchi alti, e ad ogni passo facevano un rumore assordate che rimbombava sulle pareti della galleria in cui dominava un silenzio assordante. Sembrava di essere in una caverna, in cui il tempo veniva scandito appunto dal suono dei miei piedi. Clop-clop,  un suono secco che ero certa che Eros trovava molto eccitante.
   Guardando le fotografie esposte non vidi alcuna immagine di mia madre, e nemmeno niente di scabroso o di peccaminoso, come invece avevo immaginato, ma la semplice normalità.
   “Tutto qui?” gli chiesi. “Sono molto delusa. Sono soltanto delle foto, cosa c’è di tanto speciale?”.
   “Questa è soltanto una parte della mia galleria” mi rispose. “Le opere per cui sono davvero famoso sono in un’altra sala”.
   La sala a cui si riferiva si trovava dietro ad una tenda rossa. Oltrepassata quella soglia c’erano i famosi ritratti di mia madre.

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