martedì 26 febbraio 2019

Devi andare a caccia

se vuoi prendere un uccello.


[postato da Moana]

   Mentre stavo pranzando con mia cugina Emily le chiesi se in quel periodo usciva con qualcuno, e lei con un po' di imbarazzo mi disse di no. Non “usciva” con un uomo da almeno un paio d’anni, per cui voleva dire che nessuno le “entrava” dentro da tutto quel tempo. Mi chiedevo come fosse possibile che ancora non aveva dato di matto. Forse perché aveva usato i libri come strumento per non pensare a quella mancanza.
   “Ma non senti il bisogno di andare a letto con qualcuno?” le chiesi.
   “Ogni tanto sì” era evidente che Emily era in difficoltà, non si sentiva a suo agio a discutere di quell’argomento, perché quando parlavo di uomini lei abbassava lo sguardo e il tono della voce diventava quasi impercettibile. “Però cosa vuoi farci? Bisogna anche avere la fortuna di incontrare l’uomo giusto”.
   “Se fai affidamento sulla fortuna, stai fresca. Devi andare a caccia se vuoi prendere un uccello”.
   “Sshhhh!” Emily si guardò intorno per assicurarsi che nessuno mi avesse sentita. Ma invece mi avevano sentita eccome, ma la maggior parte fecero finta di niente. “Moana ti prego, abbassa la voce”.
   “Che ho detto di male?”.
   Emily era un caso disperato. Di questo passo non avrebbe scopato per tutto il resto della sua vita.
   Quella sera andammo a cena a casa dei suoi genitori, perché le avevo detto che avevo voglia di salutarli. Era da parecchio che non vedevo gli zii. La sorella di mio padre si chiamava Andrea; da ragazza si era data tanto da fare in fatto di cazzi. Ne aveva presi proprio tanti. Strano che poi Emily era venuta fuori in quel modo, così pudica.
   Mia zia aveva preso cazzi di tutti i tipi: bianchi, neri, enormi, piccoli, e non era certo un segreto, anzi se ne vantava, lo diceva con un certo orgoglio. Poi aveva incontrato mio zio, che era un bel po' avanti con gli anni rispetto a lei. Infatti mia zia aveva quarantacinque anni, e lui ne aveva più di sessanta. Avevo sempre sospettato che fossero stati i soldi a farla innamorare di lui, perché infatti ne aveva un bel po'. Aveva così tanto denaro che vivevano in una villa in periferia con un giardino gigantesco, e avevano anche dei domestici che si occupavano di tutto.
   Durante la cena mia zia mi chiese di mia madre.
   “Come sta quella gran vacca di Sabrina?”.
   “Mamma!” sbottò Emily. “Smettila di parlare in questo modo”.
   “Ma io lo dico con affetto” continuò lei.
   “Beh, mia madre sta molto bene” risposi. “Condivide il suo letto con due uomini, per cui credo che non abbia nulla di cui lamentarsi”.
   “Certo, uno davanti e uno dietro immagino” disse mia zia divertita. “Anzi no, dimenticavo che mio fratello si accontenta soltanto di guardare, quel porco”.
   “In effetti non c’è cosa più divina che guardare la propria donna a letto con un altro uomo” intervenne mio zio.
   “E tu ne sai qualcosa, vero? Quanto sei maiale, anche tu”.
   Emily era molto imbarazzata per il tono della discussione, io invece no, io ero abituata a questi dialoghi così sboccati, perché anche a casa dei miei spesso era così. E poi lo sapete, io non mi vergogno di nulla. Per me il sesso non era una fonte di imbarazzo. È imbarazzante semmai fare le cose di nascosto e quindi reprimere tutto. Perché provare vergogna per una cosa così naturale come il sesso?
   Ma la cosa che maggiormente metteva a disagio Emily era il fatto che sua madre non faceva che ripeterle in continuazione che doveva trovarsi un fidanzato, e che non poteva passare tutta la vita sui libri senza mai provare il piacere di avere un cazzo dentro.
   “Cosa ne sai tu della mia vita?” le rispose Emily. “Ho avuto molte storie, io. È solo che di certo non lo vengo a raccontare a te”.
   “Ah sì? E allora dimmi alcuni nomi degli uomini che ultimamente sono venuti a letto con te”.
   “Charles, Luigi… Abelardo”.
   “Abelardo?” mia zia scoppiò a ridere. “Stai elencando i nomi di scrittori morti e sepolti”.
   “Saranno pure morti e sepolti, ma continuano a farmi provare delle emozioni molto intense”.
   “Tu sei malata, Emily! Devi farti curare”.
   Dopo la cena io ed Emily ci trasferimmo a casa sua, dove avrei dormito per qualche giorno. E lei non fece che parlarmi male di mia zia, disse che avrebbe dovuto imparare a farsi gli affaracci suoi. Io non sapevo chi aveva ragione, però ero dell’idea che Emily doveva fare quello che voleva, senza badare a sua madre. Se con gli uomini non voleva averci niente a che fare non doveva dare spiegazioni a nessuno.
   “Non lasciare che gli altri ti dicano cosa devi fare”.
   Come era prevedibile, la casa di Emily era piena di libri. C’erano libri dappertutto. Libri di ogni forma e genere, di autori che io non avevo mai sentito nominare. Era un’accumulatrice seriale. Mi disse che c’era tanta roba che avrebbe buttato volentieri, ma che poi non ce la faceva. Buttare via i libri era una cosa che la faceva star male. E allora li conservava. Molti di quei libri comunque non li aveva neppure aperti. Mi disse che molto spesso gli venivano regalati, e quindi lei li portava a casa e li metteva insieme agli altri, senza sapere neppure di cosa parlavano.
   Durante la notte mi accorsi che Emily soffriva di qualche strano disturbo del sonno. Ad un certo punto infatti la vidi passeggiare nella sala da pranzo, faceva piccoli passi leggeri senza un apparente meta, e ogni tanto si lamentava e diceva cose senza senso. Era sonnambula, senza dubbio.

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