domenica 11 settembre 2016

L'amica ritrovata. 

(in foto: GrandpasFuckTeens.com)


Mentre mia madre era via, a chissà fare cosa (quella maiala che non è altro), a casa col nonno dovevo starci io, e poi il pomeriggio dovevo andare pure al negozio per mandare avanti la baracca. Ormai era come se mia madre avesse ceduto a me lo scettro del potere. Avevo piena libertà di decisione in merito alla disposizione dei capi d’abbigliamento e ai turni di lavoro delle commesse. Senza rendermene conto ero diventata la titolare del negozio a tutti gli effetti. E se devo essere onesta, ero una titolare abbastanza tiranna col personale. Appena una di loro si allontanava per fumare una sigaretta io contavo i minuti, e se sgarrava di un minuto l’andavo a prendere per le orecchie. In breve tempo cominciarono a odiarmi. Mi chiamavano “la rottainculo”. Ecco, dicevano quando arrivavo, è arrivata la rattainculo.
   Ma se ero arrivata a farmi odiare così è perché avevo notato un certo lassismo quando mia madre era assente. E questa cosa non mi piaceva. E poi in quel periodo ero molto nervosa, lo ammetto. Sentivo molto la mancanza di cazzo. Ma non era una mancanza di cazzo e basta, era qualcosa di più. I cazzi non mi mancavano, potevo rimediarne quanti ne volevo. Era qualcos’altro. Sentivo la mancanza di un cazzo fisso. Rivolevo Berni. Volevo un cazzo dritto da coccolare che mi aspettava a casa, quando rientravo dal lavoro.
   Non vedevo Berni da molto tempo, anche se più volte avevo avuto l’impressione di averlo intravisto lì al centro commerciale, fuori al negozio. Non so se me l’ero soltanto immaginato, ma mi era capitato di vederlo di sfuggita, quasi come se venisse a spiarmi. Ma poi quando uscivo per andargli incontro, lui non c’era più. E allora mi dicevo che mi ero sbagliata. E se invece fosse veramente lui? Dovevo saperlo a tutti i costi, e così un giorno lo telefonai. A casa. Perché al cellulare, quando vedeva il mio numero, non mi rispondeva. Allora lo chiamai direttamente a casa, e mi rispose il padre.  
   “Salve, sono Moana. Si ricorda di me?”.
   “Moana! Che sorpresa. Certo che mi ricordo. Beh, ne è passato di tempo”.
   “In effetti sì. Berni è in casa?”.
   “Sì, adesso lo chiamo. Ciao Moana, vieni a trovarci ogni tanto”.
   “Non mancherò”.
   Ci fu un attimo di esitazione. Poi quando Berni sentì la mia voce riagganciò. Non ne voleva proprio sapere di parlarmi. Dovevo agire in un altro modo. E così presi il toro per le palle, e il giorno dopo andai a casa sua. Lo aspettai sotto il portone. Prima o poi sarebbe dovuto uscire. Aspettai per più di due ore, poi finalmente lo vidi uscire. Quando mi vide diventò di sasso, si irrigidì e non riuscì a dire neanche una parola.
   “Ciao Berni. Come stai?” gli chiesi.
   Lui non mi rispose, se ne rimase lì a fissarmi come uno stupido. Per l’occasione avevo indossato il vestito che piaceva a lui, era un vestitino molto scollato dietro, che metteva completamente a nudo la mia schiena, fino ad arrivare al sedere, da cui faceva capolino il perizoma nero che indossavo sotto. Il vestito era molto corto, per cui dovevo spesso tirare gli orli in giù per evitare che mi si vedesse tutto.
   “Non mi dici niente?”.
   “Cosa dovrei dirti?” mi rispose.
   “Beh, tanto per cominciare potresti dirmi perché mi vieni a spiare al centro commerciale. E non dire che non è vero” ma Berni non disse nulla, e avrebbe continuato a fare scena muta per tutto il tempo, così pensai che non sarei riuscita a concludere molto, e forse era meglio lasciar perdere. Ma prima di andarmene dovevo dirgli qualcosa, e cioè che se voleva poteva riavermi. “Comunque sappi che se ti mancano i miei buchi sarò pronta a darteli. Dipende solo da te”.
   Volevo essere chiara, e penso che lo ero stata abbastanza. E così me ne ritornai a casa dove trovai una sorpresa che non dimenticherò mai. In soggiorno c’era mio nonno che si stava ingroppando una mia amica. Lei era sulla poltrona a quattro zampe, e mio nonno dietro che se la montava e ogni tanto le schiaffeggiava le natiche e lei ansimava di piacere.
   “Ma che cavolo sta succedendo qui?”.
   Forse dovrei spiegarvi qualcosa a riguardo. La ragazza che mio nonno si stava montando si chiamava Valentina, ed era una mia amica di scuola con cui avevo perso i contatti. Poi ultimamente avevamo riallacciato l’amicizia e da un po’ di tempo veniva a trovarmi a casa, e facevamo le nottate a guardare film strappalacrime e a ingozzarci di pop corn. Entrambe single, preferivamo passare così le nostre notti solitarie, piuttosto che uscire e andare in qualche locale a farci rimorchiare inutilmente da aitanti stalloni da monta, che ci avrebbero usate solo come degli sborratoi.  
   Avevo notato in effetti una certa simpatia tra lei e mio nonno, ma non pensavo che sarebbe accaduta una cosa del genere. Insomma, mio nonno era sì uno stallone, ma tra di loro c’erano più di cinquant’anni di differenza. In ogni modo li lasciai terminare. Infatti erano agli sgoccioli. Lui stava per sborrare, lo vidi chiaramente da come aumentava il ritmo delle stantuffate. E infatti tirò fuori il suo enorme cazzo e iniziò a schizzare sul culo di Valentina. Una vera inondazione. A quel punto mi feci avanti e pretesi delle spiegazioni.
   “Cos’è questa storia?”.
   “Moana, ti sembrerà una follia” mi disse la mia amica, “ma io e tuo nonno ci amiamo, e vogliamo sposarci”.
   “Che cosa? Ma sei pazza?”.
   Era una follia. Che cosa avrebbero detto i miei genitori quando lo avrebbero saputo?

Moana.

Nessun commento:

Posta un commento