sabato 28 luglio 2018

Ecco a lei

la mia fidanzata shemale.

(in foto: Itzel, Stunning Itzel, Shemale.xxx)


[postato da Rocco]

   Era tutto pronto. Beatrice aveva indossato un vestito da sera porchissimo, con uno scollo osceno da cui le tette sembravano voler uscire fuori da un momento all’altro, e poi era così corto che era costretta a tirarselo continuamente giù, per evitare che le si vedesse il batocchio. Un vestito che certamente metteva in risalto le sue eccitanti forme, e che valorizzava soprattutto le sue splendide cosce, che avrebbero fatto invidia a qualsiasi donna.
   L’accompagnai in macchina dove mi aveva detto lui, un hotel di lusso che stava al centro. Lui era nella hall che stava aspettando, e non appena ci vide venne verso di noi e in modo galante baciò una mano della mia Beatrice. Praticamente gliela stavo consegnando e lui ne avrebbe fatto quello che voleva. Prima però avrebbero cenato insieme, nel ristorante del hotel, e poi dopo cena l’avrebbe portata su, nella camera che aveva prenotato e dove avrebbe trascorso tutta la notte insieme alla mia fidanzata. Avevo pensato bene di mettere nella borsetta di Beatrice una confezione di preservativi, nel caso in cui lui ne fosse sprovvisto. Sapevo che lei nella fase dei preliminari lo faceva senza, quindi praticava il sesso orale senza la protezione, però poi prima di fare entrare il partner di turno  nel suo buco del culo si premurava di fargli indossare il profilattico.
   Io restai fuori all’albergo ad aspettare che tutto fosse finito. Ad un certo punto mi accorsi che da fuori si poteva vedere tramite una parete a vetro l’interno del ristorante, e quindi riuscii a vederli mentre cenavano. Erano seduti l’uno di fronte all’altro, e vedevo che lui parlava in continuazione, e lei invece ascoltava, con un atteggiamento direi quasi di sottomissione. Poi lui si accorse del tatuaggio che Beatrice aveva nella parte inferiore del braccio, era il suo nome scritto in lungo con caratteri stilizzati: Beatrice La Vacca, c’era scritto. E allora lui mi sembrò sorpreso, e lessi tramite il labiale quello che le stava dicendo: “cosa vuol dire?”.
   “È il mio nome” rispose lei.
   “Che coincidenza! Io invece mi chiamo Vito Montalavacca. Quindi sono quasi obbligato a montarti, non credi?” le domandò divertito.
   “Sì” rispose lei sfoggiando uno dei suoi incantevoli sorrisi. “L’importante è che tu dopo conceda al mio fidanzato quella cosa”.
   “Ma certo che lo farò. Puoi stare tranquilla”.
   Come avrei voluto essere lì dentro per ascoltare tutto quello che si stavano dicendo. Perché ovviamente con la lettura del labiale non riuscivo a capire proprio tutto. Certe cose mi sfuggivano. Però devo dire che Beatrice stava facendo proprio un ottimo lavoro; stava fingendo proprio bene nel mostrarsi compiaciuta della presenza di lui, come del resto faceva con tutti i clienti dello strip bar. Aveva un’abilità degna di un’attrice di Hollywood nel fare gli occhietti dolci e nel far intendere agli uomini che aveva davanti di aver perso la testa per loro. Beatrice era una bugiarda patentata, e questa cosa le permetteva di avere tutti gli uomini ai suoi piedi. Aveva un modo di guardarti che ti faceva perdere la ragione. E in quel momento quello sguardo magico e incredibilmente erotico stava ipnotizzando Vito Montalavacca. Ormai lo aveva catturato. Era suo.
   Ad un tratto lui disse che aveva un pensierino per lei, e tirò fuori dalla tasca della giacca un astuccio nero.
   “Cos’è?” chiese Beatrice.
   E lui: “è solo una sciocchezza che mi piacerebbe che tu indossassi”.
   Così vidi la mia fidanzata aprire l’astuccio e dentro c’era un collarino, che lui prontamente l’aiuto ad indossare allacciandoglielo intorno al collo. E c’era una scritta sopra con i caratteri in rilievo, probabilmente le lettere erano d’argento, e c’era scritto: sex toy, cioè giocattolo del sesso. La mia Beatrice era questo che rappresentava per lui, un giocattolo per far godere gli uomini. Ma probabilmente rappresentava un giocattolo per godere anche per la maggior parte degli uomini con cui era andata a letto. Questo era il suo destino. “Questa è l’unica cosa che so fare” mi aveva detto una volta. Ovviamente era una frase che le era stata dettata dalla scarsa fiducia che aveva in se stessa, ma era probabilmente anche quello che le avevano fatto credere gli uomini con cui aveva fatto l’amore, che l’avevano utilizzata a scopo ricreativo e basta. D’altronde Beatrice è una transgender, e si sa che le persone associano alle ragazze come lei esclusivamente il sesso. Come se il pensiero comune fosse che se se una shemale il tuo unico scopo è quello. Ma ovviamente non è così. Spesso il pensiero comune è superficiale o addirittura completamente sbagliato.
   Dopo cena, come era ovvio, decisero di salire su in camera. Quindi vidi lui alzarsi e prendere per mano la mia fidanzata, e insieme andarono verso l’ascensore che li avrebbe condotti verso l’alcova dell’amore. A quel punto non mi sarebbe stato più possibile spiarli. Avrei dovuto attendere fuori dall’hotel, e quindi per il nervosismo iniziai a fumare una sigaretta dopo l’altra. Però ovviamente non facevo che pensare a loro, a quello che stavano facendo, e soprattutto a quello che lui le stava chiedendo di fare. Potevo immaginarlo. Immaginavo lei inginocchiata davanti a lui, mentre praticava il sesso orale, e lui che le teneva una mano tra i capelli aiutandola nei movimenti e affondandole di tanto in tanto il suo attrezzo fino in gola quasi fino a soffocarla. E poi quando sarebbe stato il momento di penetrarla lo avrebbe fatto senza ritegno, facendola mettere sul letto col culo rivolto verso l’alto e le natiche oscenamente aperte, e lui sopra di lei con il suo palo di carne che man mano si faceva strada nel condotto anale.
   Riuscivo quasi a sentire le sculacciate che le avrebbe riservato durante la penetrazione, gli epiteti offensivi che le avrebbe rivolto per tutto il tempo e lei che come suo solito gli sussurrava di essersi innamorata di lui. Lo faceva sempre, anche con i clienti dello strip bar, era il suo modo per farli sborrare in tempi record. Ma era soprattutto un sistema per fargli sborrare il cervello. Lei chiamava questa tecnica “Girlfriend Experience”, praticamente si comportava con loro come una specie di fidanzata. Capirete da soli che questo aveva fatto di lei una delle ragazze più desiderate dello strip bar in cui lavorava. Ecco da dove aveva preso tutti quei soldi che teneva nascosti in casa, nell’incavo sotto la mattonella, e che mi aveva offerto affinché io potessi realizzare il mio progetto. Anche se in realtà io non li avevo presi; o perlomeno non ancora. Sapevo che erano lì, e che lei si era offerta di darmeli. Ma erano soldi che avevano l’odore di tutta la sborra che centinaia di uomini avevano riversato su di lei e dentro di lei. Erano frutto, è proprio il caso di dirlo, del sudore del suo culo. Non me la sentivo di prenderli. Già era tanto quello che stava facendo per me quella sera, dando via il suo corpo in cambio di una concessione che mi avrebbe permesso di avviare la mia attività. 
   

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