giovedì 13 ottobre 2016

Porto Uccello.


   Porto Uccello era una città turistica, con un mare eccezionale e una cinta muraria dentro la quale splendevano palazzi ottocenteschi, alberghi di lusso e locali di tutti i tipi. La vita era concentrata soprattutto sul lungomare, dove spesso Attraccavano gli yacht di personaggi dello spettacolo e dell’alta finanza. Già la vista di quelle barche era uno spettacolo di per se, perché sembravano astronavi spaziali, poi quando ti giravi dall’altra parte avevi lo spettacolo del panorama che formavano le case antiche, una volta appartenute ai nobili del luogo. In fin dei conti Porto Uccello non era una città molto grande, ma mia moglie poteva essere ovunque. Marica mi aveva detto che l’aveva vista bazzicare un bar che stava sul lungo mare, un bar che si chiamava Black Is Better. Quindi non mi restava che percorrere la banchina dove attraccavano le barche, guardando in direzione dei bar. Prima o poi lo avrei trovato. E così non persi tempo e mi misi in cammino. I primi bar erano molto chic; musica jazz di sottofondo, clienti tutti vestiti bene e il personale molto elegante. Non mi sembrava un ambiente adatto a Sabrina. Mia moglie non aveva mai sopportato il lusso sfrenato e soprattutto l’ostentazione del lusso. Ma più camminavo e più i bar mi sembravano tutti uguali. Forse Marica si era sbagliata, forse aveva visto una donna che assomigliava a Sabrina e l’aveva scambiata per lei. Ma come era possibile? Sabrina era unica. Non ce n’erano imitazioni. Eppure quei bar sembravano così diversi da lei.
   Camminai così tanto che alla fine i bar terminarono, e del Black Is Better nemmeno l’ombra. Possibile che Marica avesse mentito? E per quale motivo? Me ne stavo per ritornare indietro sconfortato quando ad un certo punto sentii una musica da lontano, un ritmo reggae coinvolgente che stonava terribilmente con tutto quel jazz dei bar. Mi guardai intorno, ma i locali del lungomare erano terminati. Da dove veniva quella musica? Da qualche yacht? No, non veniva dal mare, piuttosto sembrava venire dalla fine della strada. In effetti vidi qualcosa; i bar non erano ancora finiti. Ce n’era ancora un altro, laggiù, separato da tutti gli altri, diverso, la pecora nera dei bar del lungomare, tutti uguali, stessa musica, stessi colori, tranne lui. Era il Black Is Better. Te ne accorgevi subito che era diverso dagli altri, prima di tutto dalla musica: reggae, ska, dub, raggamuffin. Altra differenza erano le persone che lo frequentavano, non più gente chic con Rolex e vestiti da cerimonia, ma ragazzi di vent’ anni con rasta e abiti trasandati. La struttura stessa era diversa dagli altri bar, con un tetto spiovente fatto di canne di bambù, sedie e tavolini di vimini e bandiere della Jamaica dappertutto. A lavorarci c’erano solo neri, forse perché Black Is Better. Alcuni avevano i rasta, ma tutti avevano dei corpi da far invidia a ogni uomo. Dei veri stalloni da monta. Proprio il genere di uomini che faceva perdere la testa a Sabri, e quindi ero quasi certo che l’avrei trovata lì. Infatti mi avvicinai con passo veloce ma ad un certo punto mi fermai a guardare da lontano. Mia moglie era lì, dietro il bancone che preparava cocktail con una certa scioltezza, come se quello fosse il suo lavoro da sempre, e si intratteneva con i clienti, e sembrava divertirsi un casino. Spensierata, felice, come se avesse trovato la sua dimensione. Una dimensione però in cui non era contemplata la mia presenza. E proprio per questo motivo mi tenni alla larga.
   Sabrina indossava un vestito leggero a fiori, scollato ai limiti della decenza, tanto che le tette le uscivano sempre fuori, ma la sua preoccupazione principale non pareva quella di rimetterle dentro lo scollo. Piuttosto le lasciava fuori, alla mercè di tutti. Poi quando aveva le mani libere, che magari aveva appena finito di preparare un cocktail, allora se le rimetteva a posto. Non la vedevo così da molto tempo, era semplicemente felice di stare lì, di fare quel lavoro. Ma perché? Perché mia moglie si era messa a fare quel lavoro? Che bisogno aveva di mettersi a lavorare in un bar? Non credo che lo facesse per soldi. Non ne avevamo bisogno, d’altronde Sabrina era pur sempre la proprietaria di uno dei negozi di lingerie più conosciuti dalle nostre parti. Quindi cosa l’aveva spinta a mettersi dietro ad un bancone a mescolare alcolici e a vendere birre?
   Cosa fare? Potevo andare da lei e prenderle un braccio e trascinarla a casa. Ma conoscendo mia moglie mi avrebbe mollato un bello schiaffone, lì davanti a tutti, e c’avrei solo fatto la figura del fesso. No, dovevo andarci piano. Dovevo prima capire cosa stava succedendo. Intanto vidi uno dei barman, un toro da monta con una testa piena di rasta, avvicinarci a Sabrina. Le mise le mani sui fianchi e le avvicinò la bocca al collo
baciandola in modo appassionato. Sabri alzò la testa e chiuse gli occhi, quasi offrendosi completamente al toro, il quale con le mani raggiunse le sue tette palpandogliele energicamente.
   “Ma che fai?” domandò lei divertita. “Proprio qui, davanti a tutti?”.
   “Mi fai venire sempre voglia”.
   “Tesoro mio!” Sabrina si sciolse completamente a quelle parole. Era fatta così, quando un uomo le diceva quella cosa allora lei abbassava tutte le sue difese, e si concedeva completamente. Era come una formula magica in grado di renderla schiava dell’uomo che la pronunciava. Ma in effetti non era proprio il luogo adatto per mettersi a fare porcate, così Sabrina allontanò le mani del toro dalle sue tette. “Cerca di resistere. Dopo potrai avermi per tutto il tempo che vorrai”.
   Dopo? Cosa sarebbe successo dopo? Non mi restava che spiarli. Vidi comunque che Sabrina aveva atteggiamenti ambigui anche con gli altri barman. In tutto erano cinque, e con ognuno di loro sembrava esserci un certo rapporto che andava ben oltre la semplice amicizia. Ero molto confuso, ancora non mi era chiarissimo quello che stava succedendo. In ogni modo rimasi a spiarla per un paio d’ore, armato di santa pazienza e di una morbosa volontà di scoprire che storia c’era sotto. Mi accorsi che spiavo Sabrina non tanto per sapere cosa stava succedendo, ma quasi con un sentimento perverso, come il guardone che spia una coppietta che si appresta a fare qualcosa di porco. Allo stesso modo, proprio come un guardone, ero eccitato all’idea che a breve Sabrina sarebbe andata via con il barman-toro coi rasta, chissà dove, per farsi montare a dovere.
   Il guardone non sente il tempo che passa. La sua eccitazione è così alta che il tempo si annulla e vola via. E così fu per me. Passai delle ore a spiare mia moglie senza accorgermene, e alla fine la vidi andare via insieme al toro-rasta. Raggiunsero una moto, era sua, ci si misero sopra, Sabrina dietro con le braccia strette intorno alla vita di lui, e partirono. Per fortuna all’aeroporto avevo noleggiato una macchina, quindi non fu un problema stargli dietro, sempre mantenendo una certa distanza per non essere scoperto. Non potevo rischiare che si accorgessero che qualcuno li seguiva.
   Il rasta correva così veloce che il vento aveva fatto salire il vestitino di Sabri fino ai fianchi, facendola rimanere con il culo nudo in bella mostra, con le natiche separate soltanto dal sottile lembo di stoffa del perizoma. Io che li seguivo potevo godere di quello spettacolo, il culo di mia moglie era da competizione. Anzi, non c’era donna che poteva competere. Era un culo davvero speciale. Ed ero certo che a breve il rasta gliel’avrebbe montato, quel suo bel culo burroso.
   La strada che stavamo percorrendo era piuttosto isolata. Era una strada di campagna, con delle casette sparse e nient’altro. Ad un certo punto la moto iniziò a rallentare, e di conseguenza anche io. Li vidi entrare in un cancello di una villetta bassa con un giardino a malapena curato. Doveva essere la casa di lui, dove sicuramente a breve sarebbe avvenuta la monta. Fermai la macchina ad una certa distanza e proseguii a piedi per non destare sospetti. Raggiunsi la villetta. Sabri e il toro erano entrati. Non mi restava da fare che cercare il modo per spiarli senza farmi scoprire. Mi addentrai nel giardino incolto e con passo felpato raggiunsi una finestra; guardai dentro e li vidi. Stavano stravaccati su un divano, erano nudi, Sabrina con le gambe oscenamente aperte, lui seduto accanto a lei, con un cazzo non ancora in erezione, ma ragazzi, era enorme da far spavento. Stavano fumando una canna, dall’odore che sentivo sembrava erba, ma erba buona, non di quella allungata con l’ammoniaca. Erba coltivata in casa, di qualità, che stava avendo un certo effetto di piacevole rilassamento su mia moglie, e di grande eccitazione sul toro, il cui cazzo iniziò a ingigantirsi fino a prendere dimensioni inverosimili e spaventose. Ecco, ci siamo, mi dissi, sta per cominciare la monta.

Stefano.

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