sabato 29 ottobre 2016

Ti avevo detto di non cercarmi.


   Ritorniamo al mio tentativo di riconquistare Sabrina che, per chi si fosse perso qualche puntata, stava vivendo una vera e propria vita parallela. Si trovava in Sicilia e soleva intrattenersi con uno stallone nero con una testa piena di rasta, e nel frattempo lavorava in un african bar in una zona portuale. E a vederla dall’esterno sembrava felice così, e la mia presenza a quel punto non aveva alcun senso. Sembrava come se si fosse rifatta una vita, dimenticando il passato, e soprattutto dimenticando il fatto che era già sposata (con me), e che aveva due figli. Era un fatto inspiegabile, e per capirci qualcosa di più provai a seguirla, e mi sono ritrovato a fare il guardone e a spiarla mentre si faceva una gran scopata con il suo aitante stallone e un suo connazionale nonché collega dell’african bar. Dopo averli visti venire dentro i buchi di mia moglie mi sono allontanato, e per la forte eccitazione ho sentito il bisogno di farmi una sega, in macchina, la macchina che avevo noleggiato all’aeroporto.
   Dopo la sega ero ripartito. Avevo affittato una camera d’albergo vicino ad una stazione. I miei vicini di stanza non facevano altro che scopare; sentivo lei gridare come una cagna. Lo facevano dalla mattina fino a notte inoltrata. Dormire era impossibile. Lei urlava davvero tanto. Ma non mi andava di disturbarli mettendomi a bussare alla parete. In parte perché mi eccitava un casino sentire lei godere, e poi perché è una cosa di cattivo gusto dare fastidio ad una coppia che fa l’amore. Dovevano essere una giovane coppia di sposini, o qualcosa del genere. Altrimenti non si spiegava il perché facessero di continuo l’amore. Era un continuo. Poi sentivo spesso lui che le schiaffeggiava il sedere, e lei che gridava: “siiiiiii!” ad ogni sculacciata. Dio mio che porcellini. Che coppia felice. Proprio come me e Sabri quando ci siamo sposati. Infatti mi facevano invidia. Sarei voluto essere una mosca per volare nella loro stanza e assistere alle loro scopate.
   Comunque dovevo decidere come comportarmi con mia moglie. Poi verso le tre del mattino, dopo il quindicesimo orgasmo della coppietta che stava accanto alla mia stanza, ebbi l’illuminazione. Avrei preso mia moglie alla sprovvista e le avrei chiesto delle spiegazioni su quello che stava facendo. Ma avevo tanta paura che mi dicesse: “non ti amo più” o qualcosa del genere. Allora a quel punto sarei dovuto ritornare a casa con la coda tra le gambe. Ma almeno avrei avuto la conferma che tra me e Sabri era tutto finito. Se non avessi fatto quella cosa, sarei rimasto per sempre nel dubbio.
   E così il giorno dopo mi presentai all’african bar dove stava lavorando; mi misi a sedere ad uno dei tavolini e aspettai che Sabrina venisse a prendere le ordinazioni. Aprii una pagina a caso del giornale che portavo con me per non farmi vedere e aspettai. Era mezzogiorno e non c’erano molti clienti. Al bar c’erano i due tori che il giorno prima si erano ingroppati mia moglie, in più una donna, anche lei di colore, con due tette che non finivano mai ma con un viso davvero brutto. Sicuramente aveva una cinquantina d’anni. Lavorava alla cassa e nei tempi morti parlava sempre al telefono.
   Ad un certo punto sentii il suono dei tacchi a spillo di Sabrina che si avvicinavano verso di me. Eccola, stava venendo a chiedermi cosa prendevo. Ancora non si era accorta che ero io. Indossava una minigonna di pelle nera così corta da riuscire appena a coprirle il suo bel culone. Sotto credo che non avesse nulla, non avevo visto nessuna traccia di perizoma in mezzo alle natiche. Mi sa che non portava niente. E allora pensai: “che maiala”. Sopra aveva una camicetta di canapa bianca quasi trasparente, che con il sudore (c’era molto caldo) le si era appiccicata addosso, e praticamente le si vedevano le sue belle aureole rosa delle tette. Insomma, era mezza nuda. Non aveva neanche messo il reggiseno. Ma ormai penso che lo sapete meglio di me, Sabri aveva sempre avuto un cattivo rapporto coi reggiseni. Non li metteva mai. Preferiva avere le tette libere di ballonzolare a destra e a sinistra. In parte anche perché gli piaceva tantissimo quando gli uomini gliele guardavano.
   “Buongiorno” esultò. “Benvenuto al Black Is Better. Cosa le porto?”.
   A quel punto abbassai il giornale e mi mostrai e lei dapprima spalancò gli occhi per la sorpresa, poi l’espressione del suo viso divenne subito di insofferenza e fastidio.
   “Che cosa ci fai qui? Ti avevo detto di non cercarmi”.
   “Sabri, ma mi spieghi cos’è questa storia? Perché ti sei messa a lavorare in questo bar?”.
   “Io non devo darti nessuna spiegazione, Stefano. Questa è la mia nuova vita, e tu questa volta non ne fai parte. E ora se non ti dispiace, ho dei clienti da servire…”.
   “Quindi da quello che ho capito non ti importa più niente del nostro matrimonio”.
   “Assolutamente nulla. È acqua passata”.
   “E allora perché porti ancora la fede al dito?” questa non se l’aspettava, forse credeva che non me ne fossi accorto. Sabrina non sapeva cosa rispondere e si toccò la fede con le dita dell’altra mano.
   “Non so” rispose, “forse perché mi piace lì dov’è, ma ormai è un oggetto puramente decorativo”.
   “Ah sì?”.
   “Eh sì. E comunque te l’ho detto, non ti devo alcuna spiegazione”.
   Il suo aitante toro venne verso di noi, forse preoccupato per la discussione che Sabrina stava avendo con me. Giunto di fianco a mia moglie le circondò la vita con un braccio e le chiese se era tutto ok. Sabri gli disse di sì, ma era chiaramente in stato di agitazione, e tremava, era come se dentro di se stesse combattendo una specie di battaglia. Forse non erano chiare neanche a lei quali fossero le sue intenzioni. Era come se una parte di lei volesse rimanere lì, a lavorare nel bar e a fare l’amore con il suo toro. Ma allo stesso tempo c’era una parte che invece voleva tornare a casa, riabbracciare la sua famiglia e ritornare ad essere quella che era prima.
   “Chi è lui?” domandò il toro rastafariano.
   “È mio marito” rispose con un filo di voce e guardando verso il basso, cioè verso la mano su cui indossava la fede. “Ma stava andando via”.
   “La tua donna ha un’altra vita. Capito?” mi domandò lui.
   “Sì sì, ho capito” dissi abbassando gli occhi. “E spero che questa vita la renda più felice di quella precedente”.
   Sabrina a quel punto sollevò gli occhi bruscamente verso di me, guardandomi con occhi supplichevoli e quasi stava per scoppiare a piangere. Poi il toro, tenendola saldamente per la vita, la fece girare e la riportò dietro il bancone. Mi alzai e mi incamminai, ma ogni tanto mi giravo per guardare Sabrina, e lei faceva lo stesso mentre raggiungeva il bancone. Le guardai un’ultima volta quel suo bel culone, che aveva fatto godere e reso felice centinaia di uomini. Mi sarebbe mancato, come mi sarebbero mancate le sue grosse tette, che l’avevano resa famosa per le sue spagnole, le sue labbra, i suoi pompini. La mia bella Sabri ormai apparteneva ad un altro uomo e io non potevo farci nulla. Dovevo farmi solo da parte.

Stefano. 

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