sabato 2 marzo 2019

A spasso nel tempo.

Il giorno in cui ho conosciuto Sabrina.

(in foto: Angela White, Zishy.com)


[postato da Stefano]

   Era una mattina come tante; mi ero svegliato alle otto e accanto a me c’erano Giuliano e mia moglie Sabrina che dormivano teneramente abbracciati. Quella notte avevano fatto l’amore, e io come sempre ero rimasto a guardarli mentre lo facevano, godendo della loro passione sfrenata. Sabrina era proprio cotta di lui, lo era sempre stata, e ogni volta che facevano l’amore non faceva che confermarlo ulteriormente. Certe volte mi sentivo addirittura di troppo, perché era sfacciatamente evidente che lei in presenza di Giuliano perdeva proprio la ragione, diventava la sua schiavetta del sesso, perché lui era il maschio dominante, per cui mia moglie era sua di diritto. Era sempre stato così, e io non potevo farci nulla. Sabrina apparteneva a lui.
   Dopo aver fatto la doccia me ne andai. Raggiunsi la macchina che però iniziò a fare i capricci e non ne volle sapere di partire. Era un bel problema, e evidentemente avrei dovuto chiamare un meccanico. Così decisi di andare a piedi. Per raggiungere il ristorante ci voleva circa una mezz’ora, lo avevo già fatto altre volte, per cui l’idea non mi spaventava.
   Così mi misi in cammino, e lungo il tragitto ebbi modo di contemplare la città. Di solito non lo facevo quando ero in auto. E invece quel giorno che ero a piedi iniziai a focalizzare l’attenzione sui piccoli dettagli che da sempre caratterizzavano il nostro grande paese. Sì perché era una città soltanto sulla carta, ma poi in fin dei cotti sembrava un paese. Aveva una provincia incredibilmente estesa, questo sì, però il nucleo centrale della città era davvero limitato.
   Passai davanti al nostro piccolo stadio, dove giocava la nostra squadra che chissà in quale girone era finita. E poi costeggiai il monumento ai caduti, un obbrobrio gigantesco di marmo in stile impero, alle cui pendici la notte si riunivano frotte di adolescenti carichi di birre e superalcolici.   E infine presi il corso, su cui erano disseminati i negozi più esclusivi, i bar storici e alcuni degli alberghi più prestigiosi. Ero quasi arrivato, dovevo soltanto svoltare in una strada secondaria e poi superare il liceo scientifico. E quando me lo ritrovai davanti mi fermai a contemplarlo con una certa nostalgia. I ragazzi erano dentro, e si sentiva un vociare confuso, e nel cortile c’era il custode con un camice nero che stava spazzando via le foglie secche.
   Era la scuola in cui si era diplomata Sabrina, e poi anche nostra figlia Moana. E in tanti anni era sempre rimasta la stessa. Aveva quasi l’aspetto di un edificio abbandonato, e invece no, c’erano i ragazzi dentro, e i professori, e il dirigente scolastico, e nessuno ci pensava alle cattive condizioni della struttura. Era spaventosamente decadente.
   Continuai la mia passeggiata verso il ristorante e passai davanti a Melvin, una rosticceria storica che era lì da sempre, e che quando io e Sabrina eravamo ragazzi era stato un importante luogo di aggregazione.   Quando dovevi vederti con qualcuno era scontato che il luogo d’incontro era lì, davanti a Melvin. E il signor Melvin proprio per questo motivo in quel periodo fece un pacco di soldi. La sera c’era sempre la fila per entrare, e fuori c’era un fiume di adolescenti che appunto si riunivano lì e trascorrevano il tempo insieme. E c’erano alcuni che si portavano dietro gli strumenti musicali, e quindi c’era sempre qualcuno che suonava le canzoni che in quel momento erano più popolari. E qualche volta succedevano anche delle risse per futili motivi, perché magari c’era qualcuno che aveva guardato la ragazza di un altro, oppure perché magari c’era una ragazza che era andata a letto con il fidanzato di un’altra, e allora ci scappavano delle colluttazioni pazzesche. Oppure spesso le risse succedevano senza un’apparente motivo. All’improvviso vedevi un mucchio di gente che se le dava di santa ragione, e quando cercavi di capire il motivo ti accorgevi che il motivo non c’era.
   Ma Melvin per quanto mi riguarda era importante soprattutto per un motivo specifico; era il posto dove avevo conosciuto Sabrina. Sì, lo ricordo come se fosse ieri, io ero in coda per entrare nella rosticceria, quando ad un certo punto la vidi arrivare. Non voglio sembrarvi un uomo grossolano, ma la prima cosa che notai furono le sue tette, che lei esibiva con un maglietta impudicamente scollata. Sembravano sul punto di scivolare fuori da un momento all’altro, e quando camminava cozzavano una contro l’altra, perché sotto non portava il reggiseno. A causa dell’età ero nel pieno di una tempesta ormonale, per cui era naturale che la prima cosa che mi colpì furono proprio le sue tette, tenute a briglia scolta, libere, libere di scatenare le fantasie porche di tutti noi maschietti. E pensai: chissà che spagnole! E infatti non sbagliavo. Sabrina era la regina indiscussa delle spagnole. Tra tutte le ragazze che bazzicavano fuori alla rosticceria Melvin lei era quella che le aveva più grosse. Erano enormi.
   Era in compagnia di Giuliano, che io già conoscevo perché avevamo alcuni amici in comune. E quando lui si accorse di me venne subito a salutarmi, e mi presentò Sabrina, la quale mi sorrise e mi strinse la mano. Sembrava una ragazza molto allegra e spensierata, ma invece io non potevo sapere che in quel momento lei stava affrontando un duro conflitto interiore. In quel periodo infatti Sabrina usciva con Giuliano; non erano fidanzati, non lo sono mai stati, e in quel periodo Giuliano era fidanzato con un’altra ragazza, per cui la relazione che aveva con Sabrina era una relazione clandestina a tutti gli effetti. Si vedevano di nascosto e facevano l’amore (solo anale e orale). E Sabrina iniziava ad essere stanca di questo rapporto senza regole, era stanca di doversi nascondere, avrebbe voluto amare Giuliano alla luce del sole. A lui invece stava bene così, ed era questo il motivo del malumore di Sabri.
   Ricordo che mentre eravamo lì a chiacchierare di tutto e niente ad un certo punto Giuliano si allontanò da noi per andare a salutare un altro amico, per cui io rimasi da solo con Sabrina. Andai letteralmente nel panico, e continuavo a guardare le sue mostruose tette, e quindi ne immaginavo la morbidezza, e sognavo di prenderle con le mani e stringerle, e quindi mungerla come si fa con le vacche, però poi abbassavo lo sguardo per non essere indiscreto, e lei mi sorrideva, e si rigirava tra le mani la bottiglia di Bacardi Breezer all’arancia, e ogni tanto faceva un sorso, e intanto la nostra conversazione era naufragata, e non sapevamo più cosa dire. Ma sapevo che dovevo inventarmi qualcosa, altrimenti l’avrei persa.

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