giovedì 10 novembre 2016

Un coinquilino stallone. 


   Dopo l’esperienza con Mercedes la situazione non era poi tanto cambiata, nel senso che continuavo a essere sempre arrapato. Non facevo altro che pensare al sesso. Era diventata un ossessione. Ovunque andassi c’era qualcosa che mi faceva pensare al sesso. E purtroppo Elena, la mia fidanzata, non mi era di grande aiuto. Continuava a dichiararsi fedele alla sua idea di rimanere vergine fino al matrimonio. Per tenermi buono mi faceva delle seghe, e devo dire che con la pratica era diventata anche molto brava, ma le seghe, come già vi ho detto, non mi bastavano più. E allora avevo cominciato a dare di matto. Mercedes mi era stata molto utile, ma non mi era bastato. Ovunque andassi c’era una ragazza con una minigonna molto corta o uno scollo tremendamente osceno che mi facevano venire voglia di sborrare. Neppure a casa ero tranquillo, e adesso vi spiego il motivo. Innanzitutto devo dirvi che non abitavo più con i miei genitori; siccome a lavoro mi avevano trasferito in un’altra sede, ovvero la cucina di un ospedale, avevo sentito il bisogno di trasferirmi per avvicinarmi al posto di lavoro. Se non avessi fatto così mi ci sarebbe voluta un’ora per raggiungere l’ospedale. Invece, in questo modo, mi ci volevano solo cinque minuti per arrivare a lavoro. L’appartamento che avevo preso in affitto infatti era a cinquanta metri dall’ospedale.
   Avevo preso in affitto la casa insieme ad un collega, cioè il magazziniere della cucina, un certo Rocki, il quale anche lui veniva da molto lontano e quindi aveva sentito il bisogno di trovare casa vicino al posto di lavoro. Ci eravamo quindi messi d’accordo e avevamo deciso di prendere un appartamento insieme. Il punto è che, cari lettori, Rocki era un trombatore da competizione, uno stallone da monta di razza, un vero maschio alpha, e ogni volta che rientravo a casa lo trovavo in soggiorno, oppure in cucina, o anche in bagno, che si stava scopando una puledra fresca fresca di rimorchio. Ce ne aveva una diversa ogni giorno, riusciva a rimorchiare con la stessa facilità con cui avrebbe bevuto un bicchiere d’acqua. Rocki non era molto bello; a dirla tutta aveva un viso davvero poco raccomandabile da narcotrafficante, però aveva un corpo che avrebbe fatto perdere la testa ad ogni donna. Era tutto duro, aveva muscoli d’acciaio, e soprattutto aveva un cazzo pauroso. Non era semplicemente lungo, era anche grosso, cioè grosso di diametro. Era una vera bestia, e le donne ci perdevano la brocca quando lo vedevano.
   Ebbene, vedere Rocki montarsi quelle grandissime maiale mi faceva stare male, perché sarebbe piaciuto anche a me averne una, e invece io rimanevo sempre a bocca asciutta. Dovevo sempre accontentarmi delle seghe, mentre lui si montava il meglio del meglio delle maialine in circolazione. Che poi se le scopava senza ritegno, cioè voglio dire non è che se ne andava in camera sua a sbattersele, ma se le ingroppava ovunque, come già ho detto poco fa, nel soggiorno, nel bagno, in cucina, tutti posti dove potevo vederlo. Certe volte pareva che lo faceva apposta, quasi come se ci godesse del fatto che io potessi vederlo mentre si fotteva la puledra di turno. Inoltre Rocki non faceva discriminazioni razziali: indiane, cinesi, bulgare, rumene, russe, francesi, coreane, africane. E non faceva nemmeno discriminazioni di ceto: popolane o benestanti, Rocki appena vedeva una figa la riempiva.
   Le prime volte che rientravo a casa e lo trovavo intento nella sua nobile arte della monta mi imbarazzavo da morire, chiedevo scusa e me ne andavo in camera e mi barricavo dentro. Poi cominciai a prenderci gusto, e allora me ne andavo nella mia stanza ma senza chiudere la porta, ma restando sulla soglia a spiarlo mentre si faceva la maialina di turno, e mi facevo una colossale sega. Una volta però si accorse che lo spiavo, ma la cosa non gli diede particolarmente fastidio, anzi, mi fece l’occhiolino, quasi a dire: “ti sta piacendo lo spettacolo?”. E allora lì capii che la mia presenza lo eccitava; cioè, non è che ero io a eccitarlo, ma il fatto che ci fosse qualcuno a guardare. Le ragazze che si montava invece non facevano neppure caso alla mia presenza; era tanto il piacere che traevano dal grosso cazzo di Rocki che neppure si accorgevano di me. Io per loro, in confronto a Rocki, ero una nullità, ed era come se ai loro occhi neppure esistessi. In principio questa cosa mi stava pure bene, perché avevo modo di godermi lo spettacolo senza che nessuno mi dicesse niente. Ma poi capii che non era proprio una cosa bella che le ragazze mi considerassero in quel modo. Non volevo che mi guardassero come un inutile segaiolo. Anche io c’avevo voglia di scopare, e invece non potevo fare altro che restarmene lì a spiare. Era questo il mio ruolo. Nessuna di loro mi vedeva come un potenziale scopatore, piuttosto come il coinquilino smanettone a cui piace guardare una coppia che fa l’amore.
   Nell’ospedale Rocki praticamente se l’era passate tutte: infermiere, portantine e ragazze delle pulizie. Non importava se erano sposate o fidanzate o quanti anni avevano, Rocki le portava a casa e se le fotteva senza alcun freno, in posizioni spesso anche impensabili, e alla fine ad ognuna lasciava un bel ricordino sulla faccia, cioè una serie di schizzi di sborra calda. Una volta ero ritornato a casa e lo trovai che si stava scopando Romina, una ragazza rumena che faceva le pulizie nei reparti. La cosa mi fece molto male, perché da qualche giorno le andavo dietro, ma lei non mi si inculava di striscio. La vedevo nei corridoi con i suoi pantaloni bianchi che aderivano porcamente alle sue belle chiappone burrose, e il tessuto leggero di quei pantaloni lasciava intravedere il perizoma nero che portava sotto. Quel suo culo mi aveva fatto perdere la testa, e allora tentavo invano di avere un dialogo con lei, nell’intenzione di invitarla a casa e farle quel suo delizioso culetto. Ma lei non sembrava per niente attratta da me. E invece a Rocki era bastato poco e subito era riuscito a portarla a casa. E quando la vidi che si stava facendo montare il culo da lui mi salì il sangue alla testa. A lui il culo glielo dai, però! Pensai. Puttana.
   E come se glielo dava! Vidi Rocki incularsela con decisione, con maestria, in una posizione di sottomissione, lei a novanta gradi sul tavolo del soggiorno e lui dietro che le teneva la coda di cavallo e la strattonava di tanto in tanto per farle tenere la testa verso l’alto. Rocki era un vero stallone da monta a cui le donne non potevano dire di no.
   Ebbene, vederlo ogni giorno ingropparsi una puledra diversa non mi faceva affatto bene. Anzi, peggiorava la mia condizione di eterno arrapato.

Rocco.

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