sabato 12 settembre 2015

La legge del contrappasso.

(in foto: Bianca, DDFNetwork.com)


   Il giorno dopo ritornai allo strip bar noncurante di quello che era successo. D'altronde lo aveva detto anche mia madre: nessuno poteva dirmi cosa dovevo fare. E in quel periodo, il lavoro allo strip bar, mi andava più che bene. Guadagnavo bene, avevo un gran numero di ammiratori ed ero desideratissima. Cosa potevo volere di più? Magari una relazione più stabile. Con Berni non andava alla grande. Sapevo benissimo di quella strana relazione che aveva con mio fratello e la sua ragazza, ma non gli avevo detto nulla. Ma dentro mi rodeva un po'. Forse me lo meritavo un fidanzato così. Era il prezzo da pagare per le mie continue scappatelle. La legge del contrappasso. Ma questa cosa non mi stava granché bene. Soprattutto non mi stava bene il fatto di avere un fidanzato che si inculava mio fratello alle mie spalle. Se m'avesse messo le corna con un'altra ragazza sarei stata sicuramente capace di perdonarlo. Ma mi metteva le corna con mio fratello, e questo era davvero strano. Avevo la sensazione che fosse una cosa davvero insana e immorale. Voi penserete: ma senti chi parla di immoralità! Avete ragione, ma anche la mia immoralità ha dei limiti. E qui il limite era già stato oltrepassato.
   In ogni modo, come stavo dicendo poc'anzi, ero ritornata allo strip bar, e zio Giuliano mi prese in disparte per farmi un discorsetto. Sapevo benissimo che quello che mi avrebbe detto era legato alla scenata che aveva fatto mia madre il giorno prima, e infatti mi ero preparata a controbattere a quello che mi avrebbe detto.
- Ascolta Moana, ieri quello che mi ha detto tua madre mi ha ferito tantissimo. Io le voglio molto bene, e non le farei mai niente di male. E se il fatto che tu lavori qui non le sta bene, allora preferisco mandarti via.
- Zio, non ti preoccupare. E' tutto risolto. Mamma fa sempre delle sfuriate pazzesche, però poi si calma. Sono abbastanza grande da decidere da sola quello che devo fare.
- Va bene, come non detto. Dopo le telefono e chiarisco direttamente con lei questa storia.
- Bravo, mi sembra la cosa giusta.
   A quel punto andai a cambiarmi e indossai i miei vestiti da lavoro super scollacciati. Dopo il terzo drink che portai ai tavoli, e dopo numerose sculacciate affettuose da parte dei clienti del bar, il barman mi chiamò e mi disse che c'era un cliente che voleva vedermi nel privè. Nel locale c'erano infatti dei privè, cioè dei tavoli nascosti dietro a delle tende, dove i clienti, se lo richiedevano, e sganciando una bella mancia, potevano intrattenersi con alcune di noi. A me non era mai capitato, però alle mie colleghe, che erano lì da più tempo era capitato numerose volte. Alcune coi clienti ci avevano fatto sesso, altre invece ci avevano scambiato solo delle romantiche effusioni. Infatti io, quando il barman mi disse che qualcuno mi voleva nel prive', non avevo la più pallida idea di quello che avrei dovuto fare. Mi sarei anche potuta rifiutare, infatti non ero obbligata a farlo. Nessuna di noi era obbligata a fare cose contro la nostra volontà. Però pensai subito a quello che ci avrei guadagnato. Di solito, a quello che mi raccontavano, i clienti che usavano il privè erano molto generosi. Allora mi feci coraggio e mi preparati ad affrontare quella nuova esperienza. Senz'altro, pensai, ad aspettarmi dietro la tenda del privè ci sarebbe stato un vecchio scorregione, ultrasettantenne, con l'alito cattivo e il cazzo moscissimo. E invece dovetti ricredermi. Quando entrai nel privè mi trovai di fronte ad un ragazzo di una ventina d'anni, un pò stempiato ma con un bel corpo. Pensai subito che sotto quel completo elegante da sera doveva esserci proprio un corpo ben fatto. Allora richiusi la tenda alle mie spalle e mi misi a sedere al tavolo con lui.
- E tu chi sei? - gli domandai. - Non ti ho mai visto qui allo strip bar.
- Sono una persona molto discreta - rispose. Mi diede subito l'impressione di un uomo molto sicuro di sé, per niente impacciato con le donne. E poi mi sembrò da subito anche molto elegante nei modi, e molto acculturato anche. Si chiamava Carlo. Versò del vino in due calici e me ne porse uno.
   Ripeto, non sapevo come andavano le cose nel privè, quindi non sapevo esattamente come comportarmi. Cominciai a farmi un'idea e pensai che dopo il vino si sarebbe tirato giù la lampo dei pantaloni e avrebbe tirato fuori il cazzo, e io avrei dovuto lavorarmi il suo palo con la bocca. E invece non andò così. Parlammo, come due vecchi amici. Lui mi domandò se ero fidanzata, e io gli raccontai della mia relazione con Berni e dei relativi problemi legati ad essa. Poi lui mi parlò della sua ragazza, e dei problemi che aveva con lei. Era una ragazza troppo fredda, mi disse. Mai una trasgressione, mai un vestito più scollato del solito o della lingerie più provocante, ma le solite mutandine comprate al mercato con i disegni degli orsetti sopra. Insomma, un disastro. La nostra più che una discussione sembrava uno sfogo, e sembrava proprio che ne avessimo bisogno entrambi. E dopo aver raccontato le nostre difficoltà sentimentali mi venne una voglia di amore accecante, un raptus incontrollabile.
- Povero ciccino - dissi, e mi inginocchiai tra le sue gambe e con una mano raggiunsi il suo pacco, che trovai già bello duro. - Da quanto tempo non te lo prende in bocca?
- Tanto, troppo tempo.
- Amore... adesso ci penso io - gli abbassai la cerniera dei jeans e tirai fuori il suo cazzo duro e spalancai gli occhi. Era un cazzo davvero splendido, bello grosso, con un glande rosso fuoco, enorme, e un'asta che non finiva mai. Me ne innamorati subito e ci strofinai le guance sopra, poi lo tempestai di baci, da sotto a sopra. - Lo sai che hai proprio un gran bel cazzo? - lo presi con una mano e lo tenni dritto, studiandolo in ogni minimo particolare. Era veramente un capolavoro. - La tua donna non sa cosa si perde.
   A quel punto lo misi in bocca e cominciai a lavorarmi la cappella con la lingua, e lui mi guardava con un sorriso di approvazione. Ma la nostra conversazione proseguì. Gli domandai se era un cliente abituale del bar, e lui mi disse di no. Mi disse che era la prima volta che tradiva la sua fidanzata. Intanto io proseguivo nel farlo godere con la bocca, fermandomi di tanto in tanto per domandargli se gli piaceva quello che stavo facendo.
- Da morire. Sei proprio una pompinara.
- Sì, devo riconoscere che ci so fare - dopo un pò mi accorsi che stava per venire. Carlo chiuse gli occhi e sospirò profondamente, a quel punto mi preparai a ricevere la sua sborra in bocca. Lo feci eiaculare tra le mie labbra, ma non ingoiai. Senza farmi vedere sputai in un fazzoletto tutto il suo seme, e lui senza preavviso mi prese per i capelli e mi baciò, e la sua lingua incontrò la mia in un bacio senza respiro. Non mi aspettavo che avrebbe fatto una cosa del genere, ma mi piacque molto il suo modo di baciarmi.
- Promettimi che ci rivedremo ancora - mi disse.
- Io sono qui tutte le sere.
- Non qui, ma fuori.
- Fuori? Ma Carlo, siamo entrambi fidanzati! Come si fa?
   Anche io ne avevo voglia. Parlare con lui mi aveva fatto proprio bene,  e avevo tanta voglia di farlo ancora e di approfondire quella nuova conoscenza. Quello che mi stava chiedendo in fin dei conti non era una cosa assurda. Si poteva fare senz'altro. Anzi, si doveva fare.

Moana.

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