giovedì 7 giugno 2012

L’Appuntamento del Giovedì

Attendevo quel giorno impaziente, eccitato e avido più che mai. Uscivo con Gemma, la baciavo, me la scopavo, ma non significavano più nulla quelle scialbe scopate. Lei si metteva a pecora, ogni tanto mi faceva un pompino prima di iniziare, e poi scopavamo. Noioso, ripetitivo, inutile. Esiste il sesso senza l’amore, ma il sesso senza il desiderio non l’avevo mai visto. Mi chiedevo perché ci prendevamo ancora quel disturbo. A me non importava e sembrava che nemmeno a lei importasse. Passavo il mio tempo a pensare a giochino che avrei potuto fare con Sabrina. La mia schiava sottomessa. L’oggetto del mio piacere. Una sera, solo in casa, trovai un vibratore in camera dei miei. Lo presi, tanto ce n’erano così tanti che non se ne sarebbe accorto nessuno. Non mi andava di andare a comprarlo al sexy shop, anzi, mi vergognavo troppo in realtà. Meno male averlo trovato, perché mi sarebbe stato molto utile il giovedì successivo.

E finalmente il giovedì venne. Attesi febbrilmente l’arrivo dell’ora giusta, quando sapevo che Stefano fosse ancora immerso nel lavoro al ristorante di mio padre. Mi preparai come per un appuntamento romantico. Intascai il vibratore e inventai un paio di scuse per Gemma e i miei. Quando l’ora fu giunta scesi. Non le avevo mandato nemmeno un sms fino ad allora, nulla. Totale silenzio. Eppure come un ragazzino stavo ogni tanto a controllare il cellulare, per vedere se lei aveva scritto a me. Un’ora prima dell’appuntamento le dettai le mie condizioni con un perentorio sms: “Jeans, slip e top. Nulla di più”.

Quando mi venne ad aprire la porta aveva lo sguardo basso, aveva imparato. Avvicinai la testa ai suoi capelli e annusai il loro profumo. Solo questo me lo fece venire duro.

“Bentornato padrone”

Aveva seguito i miei ordini, ma aveva fatto un piccolo errore. Probabilmente non ci aveva pensato, ma in effetti il mio sms nascondeva il tranello di proposito.

“Hai messo le scarpe”

Silenzio.

“Non avevo parlato di scarpe”

Silenzio.

“Ora dovrò punirti”

“Si padrone”

Entrammo nel salottino dell’altra volta. Mi sedetti sulla poltrona dell’altra volta. Sentì il vibratore darmi fastidio nella tasca, ma ancora non lo tolsi.

“Togliti le scarpe ed eventualmente i calzini”

Parole chiare, semplici, dirette, pronunciate a tono duro e deciso. Mi stavo calando in quella parte che avevo sempre sognato e il mio cazzo spingeva con violenza sulla patta dei jeans, implorandomi di liberarlo. Ma la mia schiava ancora non se lo meritava. Le dissi di avvicinarsi a me. Mi raggiunse a piedi nudi. Lei in piedi, io seduto sulla poltroncina. La feci voltare di spalle e le avvolsi i fianchi con le mie braccia, cercando la fibbia della cinta e i bottoni del jeans. Slacciai tutto e lo tirai giù, lentamente, fino a metà coscia. Osservai il suo culo, protetto ora solo dagli slip. Massaggiai per alcuni attimi le natiche, da sopra la stoffa, quindi afferrai i lembi di tessuto che si tendevano sui fianchi e abbassai anche le mutande fino a metà coscia. A questo punto chiusi nuovamente la cinta, stringendo con forza abbastanza da impedirle movimenti troppo liberi.

Lei non parlava, emetteva solo flebili e indecifrabili mormorii. Era la bambola nelle mie mani. La schiava ai miei voleri. Senza aggiungere altro la presi e me la misi sulle ginocchia come un bimbo che deve essere sculacciato. La poggia in modo da avere il suo culo proprio davanti a me. Il mio cazzo spingeva inesorabile sul suo ventre, ero certo lei potesse sentirlo anche attraverso i jeans.

Iniziai a toccarle il culo con una mano. Non dicevo nulla, mi limitavo a manipolarlo con forza e passione. Desideravo quel culo con una forza tale che avrei voluto prenderla lì, anche contro il suo volere. Se lei avesse detto no l’avrei bloccata e stuprata senza pietà, inculandola fino a venirle nel culo. Ma non poteva essere fatto. Non ancora. Mi leccai l’indice e inizia a solleticarle l’ano con piccoli giri. Stuzzicavo col polpastrello il circolo di pelle che circonda quel buco da me tanto desiderato. Giocherellavo senza fretta. Quando ne ebbi abbastanza posi entrambe le mani sulle sue natiche, in modo da aprirle per bene ed avere il suo ano esposto e ben visibile. Mi chinai in avanti. La posizione era un po’ scomoda, mi costringeva a ruotare un po’ il busto, ma lo desideravo troppo. Avvicinai la mia lingua al suo ano e iniziai a leccarla. Non era nei pieni in realtà, ma il desiderio era troppo. La leccai con piccoli cerchi, poi con affondi decisi, cercando di penetrarla. Lasciavo scorrere copiosa saliva sul suo buco, che poi raccoglievo con la lingua prima che colasse troppo nel solco fino alla figa, rispingendola di nuovo nella mia “zona di lavoro”. Quindi torna dritto e ricominciai con le dita. Questa volta mi leccai indice e medio e iniziai a spingere nell’ano con entrambi. Da lei non provenivano altri che sommessi gemiti. Io invece quasi ansimavo, mi leccavo le labbra, sentivo la gola secca. Il desiderio mi distruggeva dentro, ma il mio autocontrollo non doveva abbandonarmi. Spinsi entrambe le dita nel suo culo ed entrarono senza troppa fatica. Quindi le feci uscire. Quindi le feci entrare di nuovo. Un’operazione ripetuta diverse volte, con l’intento di farla abituare a quel ritmo e a quella larghezza. Proseguì per più di un minuto, accellerando tal volto, andando più a fondo qualche altra volta. Evitavo di farlo diventare monotono. Alla fine tolsi la mano e le imposi uno schiaffo su di una natica. Uno schiaffo che forse calibrai con troppa forza, perché la costrinse ad un gemito che mi sembrò di dolore. Tirai fuori il vibratore dalla tasca e lo accesi. Quando lei sentì vibrare si voltò per un attimo a guardare. Non fece intempo a sincerarsi di cosa fosse, che se lo ritrovò piantato nel culo. Infilai il vibratore fino a quasi a metà già al primo affondo. Continuai così, cercando di farlo entrare sempre più affondo. Quando fui soddisfatto della profondità mi concentrai sulla velocità.

Senza mezzi termini, le stavo scopando il culo col vibratore. Avanti e indietro, impietoso e veloce. Con una mano la scopavo mentre l’altra era poggiata a pieno palmo sulla sua schiena, a farle capire che il suo posto era quella e che, anche se lo avesse voluto, non si sarebbe potuta sottrarre. Avrei voluto fotterla così per ore, sentivo che non ne avrei mai potuto avere abbastanza di quella operazione. Ma alla fine il mio cazzo stava per esplodere. Ero troppo eccitato. Troppo desideroso.

“Schiava”
“Si… si padrone?”

La sua voce era incerta, tremante quasi. Ne fui soddisfatto.

“Alzati e succhiamelo”

Non se lo fece ripetere due volte. Il vibratore era ancora nel suo culo, ma nel rialzarsi sfilo via e cadde a terra, rotolando lontano dalla poltroncina, vibrando in un angolo, insalivato e dimenticato. Ebbe difficoltà a giostrarsi per via del jeans che le stringeva le cosce, ma alla fine si inginocchiò davanti a me.

Mi ero immaginato mille volte quella scena, lei in mezzo alle mie gambe a succhiarmelo. Sembrava ripetitivo forse. Eppure volevo che le si stampasse bene in mente che quello era il posto che lei doveva occupare nei miei confronti. Quella era l’angolazione giusta per guardare il suo padrone.

Prima che iniziasse la sua opera le misi un dito sotto il mento, alzandole il volto, guardandola negli occhi. Lei ricambiò. Inevitabilmente ci sorridemmo a vicenda. Uno strappo alle regole che mi ero imposto, ma con una schiava così non riuscivo ad essere del tutto intransigente.

Sabrina finalmente mi slacciò il pantalone e me lo calò un po’ per avere massima manovra. Il pompino che venne dopo fu l’ennesima opera d’arte di quella donna. Passionale, voglioso, desideroso, affamato. Succhiava con foga per poi leccarmi l’asta. Mi insalivava le palle per poi massaggiarmele mentre tornava a baciarmi la cappella. Sembrava adorasse letteralmente il mio cazzo. Che fosse vero o fosse solo un suo modo di fare per farmi godere di più non importava. Lei era perfetta. Dopo essermi goduto il suo culo, anche se indirettamente, quel pompino non sarebbe mai potuto durare troppo. Ci mise diversi minuti, ma troppo pochi, a portarmi al limite. Avrei voluto godermi la bocca della mia schiava per ore. Avrei voluto godermi la bocca di Sabrina per ore. Ma sentivo il mio cazzo pulsare, pronto ad esplodere.

Senza dire una parole misi una mano sulla fronte di Sabrina e la spinsi via. Inizialmente lei si oppose, poi mi fece fare. Quando il mio cazzo uscì dalla sua bocca, lei continuò a segarmi. Io mantenevo il mio dito sulla sua fronte, per impedirle di succhiarmelo ancora. Un attimo dopo venni. Numerosi e copiosi schizzi si sperma le ricoprirono la faccia, colandole lungo il mento, sul collo, ricadendo sulle spalle lasciate nude dal top senza spalline che aveva indossato. Se le aveva fatto schifo, fu bravissima a non dimostrarlo. Il suo leccarsi le labbra sporche di sperma fu la ciliegina sulla torta. Nemmeno nelle mie fantasie più ottimiste avevo immaginato un giovedì così perfetto.

“Prenderemo un altro appuntamento”

Dissi alla fine. Mi alza, mi allacciai il pantalone, e andai via.

Lorenzo

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