sabato 9 giugno 2012

Un piccolo premio

Ormai la settimana era diventata un monotono periodo di tempo tra un giovedì ed un altro. Lo occupavo pensando a cosa fare il giovedì successivo, come sottometterla, come farle sentire di essere solo un mio oggetto. In quelle fantasie mi crogiolavo e mi masturbavo. Scopavo con Gemma come un dovere da assolvere, e sembrava lei percepisse le nostre sessioni di sesso allo stesso modo. Che noia questa farsa. Che palle. La routine era stata interrotta da un’inaspettata visita in spiaggia di Sabrina. Ero con tutta la famiglia, Gemma compresa. Era stato un piacere fingere di essere una coppia felice con Gemma. Volevo che Sabrina vedesse quanto lei fosse solo uno svago, un momento ricreativo. Volevo trasformare anche quello in un preludio alle nostre serate di “giochi”. Scherzai e giocai con la mia ragazza, buttando ogni tanto un occhio a Sabrina, per sincerarmi guardasse e capisse che lei era solo un giocattolo sessuale. Mi era venuto durissimo quando la mia schiava si era tolta il pezzo di sopra del bikini, ed ero dovuto rimanere steso a panciasotto per un po’. Però la settimana era passata profiquamente, avevo in mente un paio di idee per il giovedì. Era la volta buona che le avrei concesso il mio cazzo.

“Domani, indossa una minigonna e una magliettina” le scrissi il mercoledì.

Ero curioso di capire se aveva imparato la lezione. Quando arrivai da lei avevo con me una busta di plastica nera, opaca. Avevo preso una cosina prima di andarla a trovare. Bussai il campanello e lei venne ad aprirmi. Aveva obbedito. Magliettina e minigonna, una di quelle larghe e vaporose, che svolazzano per ogni movimento un po’ più brusco. La guardai da capo a piedi. Questi ultimi erano nudi sul pavimento freddo. Perfetto. Mancava di verificare un’ultima cosa. Una volta entrato in casa infilai la mano libera sotto la gonnellina, senza un parola, senza nemmeno averla salutata. Sentii subito la sua pelle nuda, la sua figa al vento. Passai le mie dita sulle grandi labbra, giocherellandovi per alcuni attimi. Lei aveva gli occhi bassi, sussultando appena a quel contatto. Era stata brava questa volta, aveva ubbidito alla lettera. Non avevo menzionato slip nel messaggio e lei non ne aveva messi.

Mi avvicinai al suo orecchio.

“Brava cagna… Finalmente stai imparando” le dissi, con un tono di voce basso, strusciandole le labbra sull’orecchio.

“Ora vai ad indossare questo” e tirai fuori dalla busta un piccolo pacchetto bianco “un piccolo premio”.

Mi incamminai verso il solito salottino e presi posto sulla solita poltroncina. Cercavo di dare una regolarità al nostro rapporto schiava-padrone. Un po’ come a sottolineare che quello era il trono da cui la comandavo, da cui emanavo i miei ordini. Misi accanto a me la bustina nera, non ancora vuota, e attesi.

Ci mise meno di un minuto per tornare. Sabrina sembrava identica a prima. Sembrava non indossare nulla di nuovo. Eppure al primo movimento un po’ più brusco che fece, la gonnella si alzò e intravidi la culotte bianca che le avevo comprato. Sembrava la misura giusta.

“In spiaggia ti sei presa un po’ di liberta cagna…” iniziai, guardandola davanti a me, in piedi, in attesa.

“Come mai ti sei voluta spogliare? Non ti piace stare vestita?”

“Volevo…”

“Secondo me” la interruppi, senza darle il tempo di finire “soffri con i vestiti addosso, perché sei una cagna in calore, che deve sempre stare con le tette al vento. Si, è così”.

Detto ciò mi slacciai la patta del pantalone e tirai fuori il mio cazzo, già duro, già pronto. Era carico di eccitazione e delle aspettative per quella serata. Era eretto verso l’alto, con la nerchia gonfia e lucida. Le feci un cenno che evidentemente capì al volo.

Si inginocchiò davanti a me e cominciò uno dei suoi epici pompini. Se fossimo stati nel medioevo credo che qualcuno vi avrebbe scritto su una ballata. Avrebbe cantato della sua lingua, rapida e guizzante, capace di scorrere lungo l’asta, avvolgere il glande, lambire i coglioni e insalivare ogni angolo del mio durissimo cazzo. Della sua bocca, avida e desiderosa, capace di inghiottire più di metà membro, per poi farlo uscire e prendere a succhiare le palle. Oppure delle sue mani, rapide, cordinate, capaci sempre di dare il ritmo giusto alla pompa. Nulla era sbagliato. Ne i tempi. Ne i modi. Perfino l’accenno di rumore di risucchio e lo sciacquettare della saliva che abbondante veniva profusa non faceva altro che aumentare l’eccitazione. Sabrina era una maestra. La guardavo e ripensavo alle pompe di Gemma. Frettolose, insignificanti, forzate e annoiate. Perfino il mio cazzo si tirava indietro a quello spettacolo indegno, offeso dai modi ridicoli della mia fidanzata. Ma con Sabrina si ergeva maestoso, pronto ad esploderle in faccia il suo apprezzamento. Aggrottai la fronte vedendolo così duro affidato alle cure della mia schiava. Sembrava così concentrata da aver dimenticato che c’era qualcuno attaccato al mio membro. Dovetti ricordarglielo spingendole la fronte via con un dito, lentamente. Vidi il disappunto nei suoi occhi.

“Metti a quattro zampe, dandomi le spalle” le ordinai.

Lei prontamente si alzò in piedi. Quindi lentamente si voltò e si inginocchiò, per poi calare sulle mani finalmente. La gonnellina era abbastanza lunga di coprirle il culo. Io mi inginocchiai dietro di lei e gliela sollevai. Toccai il suo culo, coperto dalla culotte. Lo massaggiai per alcuni attimi. Fui tentato di toglierle l’intimo, ma non era quella la lezione che volevo impartire. Afferrai la busta nera ed estrassi un paio di forbici mentre con l’altra mano pizzicavo il tessuto della culotte proprio all’altezza dell’ano di Sabrina.

Senza esitare tagliai il lembo di stoffa tenuto sollevato dalle mie dita in modo da creare un netto buco nella culotte proprio in corrispondenza dell’ano di Sabrina. Guardai il mio capolavoro per un attimo per poi lasciar cadere la stoffa tagliata e le forbici a terra. Mi chinai in avanti e presi a leccarle il buco del culo. Quella carne mi apparteneva ed io morivo dalla voglia di assaggiarla. Indugiai con la lingua sulla pelle che creava quel buchetto, per poi cercare di violarlo proprio. Poi serrai le labbra tutto intorno, come un piccolo bacio. Non era proprio qualcosa adatto ad un padrone, leccare l’ano della sua schiava. Ma era qualcosa di così bello ed appagante che non potetti proprio farne a meno. Continuai così per diversi minuti, sentendo il cazzo sempre durissimo, teso e grosso. Mi eccitava leccarle l’ano, ma ancora di più mi eccitava sapere cosa stavo per fare. Qualcosa che avevo sognato per anni e non avevo mai fatto. Chissà come avevo resistito due settimane prima di farlo. Ma ora finalmente…

Mi alzai su e appoggiai la cappella all’ano di Sabrina. Non spinsi. La appoggiai soltanto. Osservai il mio cazzo totalmente ricoperto dalla saliva della mia schiava. Osservai l’ano di quest’ultima, totalmente ricoperto dalla mia saliva. Al contatto tra i due Sabrina ebbe un sussulto.

“Cosa c’è schiava?”

“Ti supplico padrone… sfondami…”

Ero tentato di non farlo, solo per non darle questa soddisfazione. Ci pensai un attimo, attesi mantenendo la nerchia a contatto con il buchino di Sabrina. Ma il mio autocontrollo non era così forte.

Ero lì, dietro a Sabrina a quattro zampe. La sua gonna alzata e la culotte bucata nel punto giusto per darmi accesso all’ano. Chissà cosa provava lei all’idea di essere inculata praticamente vestita. Mi grattai dietro la nuca, inevitabilmente. Ero un po’ nervoso all’idea di metterlo per la prima volta in un culo, e che culo.

Lentamente e con delicatezza inizia a spingere il mio cazzo nel suo ano di lei. Lento ma inesorabile. La parte più difficile fu la cappella. La spinsi vedendo la pelle di lei stendersi e allargarsi contro la mia nerchia. Spinsi così finché non riuscii ad infilare la parte più larga della stessa. Dopo quella fu tutto più facile. Continuai a spingere, di più… Più a fondo, fino a farlo entrare per metà. Quindi iniziai a tirarlo via. I muscoli del suo ano si contrassero, come se non volessero farmi scappare. Forse temeva finisse tutto lì.

Invece tornai a spingere, questa volta facendolo entrare quasi tutto. Al terzo colpo, il mio cazzo fu dentro di lei fino alle palle. Le sentivò sbattere contro il tessuto della culotte ad ogni colpo inferto. Le strinsi le mani sui fianchi e iniziai a martellarla a colpi di anche. Violenti e rapidi. Passione, desiderio, voglia, quasi disperazione. C’era tutto ciò ogni volta che spingevo il mio cazzo più a fondo nel culo di Sabrina. Lo sentivo stretto attorno al mio membro. Sentivo la pelle e la carne allargarsi al mio passaggio. Scaricai tutta la frustrazione del sesso senza senso con Gemma, in quelle violenta inculata. Ad un certo punto iniziai a desiderare che lei soffrisse. Volevo farla soffrire per non essersi fatta inculare prima. Mi piaceva così tanto che volevo punirla per non avermi dato il culo nell’istante stesso in cui, per la prima volta, aveva messo piede a casa mia con Stefano. Se in quel momento avessi potuto immaginare com’era bello sbatterlo tra le natiche di Sabrina, me la sarei inculata sul tavolo da pranzo, mentre il suo ragazzo, mio padre e mia madre cenavano. Volevo che soffrisse per ogni istante della mia vita passato senza averlo fatto prima. Volevo incularla con tanta violenza da impedirle di camminare bene per un giorno. E con questa passione ferina continuavo spingere le mie anche verso di lei e a tirarla per i fianchi verso di me.

Questa passione così travolgente, però, non poteva durare per sempre. Il piacere che si scaricava in me, attraverso il mio cazzo, era amplificata dai gemiti che Sabrina cercava di soffocare. Improvvisamente fu così pieno di piacere da non poterlo più contenere e lo svuotai nel culo della mia schiava.

Sentii il cazzo gonfiarsi e pulsare, e probabilmente anche lei poté sentirlo. Sentii il cazzo attraversato da fiotti e fiotti di sborra che iniziarono a riempirle il culo. Ad ogni colpo di anca nuovi schizzi si riversavano in lei. Volevo riempirla tutta.

Quando finii di svuotarmi in lei, lentamente tirai fuori il cazzo dal suo ano. La pelle intorno al buchino era arrossata e lentamente iniziò a macchiarsi del bianco del mio sperma che prendeva a fuoriuscire.

“Puliscimi” le ordinai risedendomi sulla poltroncina.

Lei non disse una parola. Si voltò rimanendo sempre a quattro zampe e iniziò a leccarmelo. Non lo succhiò, si limitò a dare rapide leccate per togliere lo sperma che lo ricopriva mentre si smosciava. Sicuramente la sborra le stava iniziando a colare dal culo, sporcando la culotte bucata e scorrendole lungo l’internocoscia.

“Ora vorrei proprio un drink… Versami un bicchiere di vodka. C’è?”

“Si padrone…” disse lei.

Si alzò. Vederla camminare con un po’ di difficoltà dovuta al dolore dell’inculata, mentre il mio sperma prendeva a colarle lungo le cosce era uno spettacolo oltre l’immaginabile. Si chinò verso un mobile e ne aprì un’anta. Così chinata la gonnellina si alzava abbastanza da mostrare la culotte bucata e sporca di sborra che continuava a colare. Sorrisi soddisfatto afferrando il bicchiere che lei mi porse.

Lo bevvi senza fretta, lasciandola lì in piedi, mentre lo sperma continuava a colarle oltre le giunture delle ginocchia, fino ai polpacci. Finii il bicchiere e glielo riconsegnai.

“Spero tu abbia imparato la lezione cagna…”

Detto ciò la lasciai lì, sporca e dolorante.

Lorenzo

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