domenica 27 maggio 2012

Una cena di affari.

(in foto: Linda, legsonshow.com)

Deborah passò a prendermi a lavoro alle sette di sera. Aveva una macchina che sembrava un astronave; un SUV, per intenderci. Enorme, nero. Quando salii a bordo lei mi sorrise e mi baciò le guance. Era molto elegante, perchè chiaramente la cena a cui avrei dovuto accompagnarla era davvero importante. Quindi mi ero organizzato anche io e avevo indossato una camicia bianca e una giacca, che utilizzavo soltanto per i grandi eventi: cerimonie, matrimoni e questo genere di cose. Ebbene, in macchina Deborah continuava ad essere molto tesa. Per rompere il ghiaccio le domandai come si sentiva.
"Bene" mi rispose. "E tu?".
"Non c'è male".
"Sai, ieri non mi hai detto molto di te. Ho parlato tutto il tempo dei miei problemi e mi sono accorta di conoscerti così poco".
"Cosa vuoi sapere?".
"Beh, innanzitutto perchè fai questo lavoro" Deborah non mi guardava mai negli occhi, non so se era troppo attenta alla strada o se era semplicemente timidezza. "Sai, fare quelle cose... con donne che magari non ti piacciono neppure... perchè?".
"In realtà è successo tutto per caso. Susan è stata la mia prima cliente. Ma la storia è troppo lunga da raccontare. Piuttosto, posso avere una domanda di riserva?".
"Ce l'hai la ragazza?".
"Sì, e tra qualche mese ci sposiamo".
"Oddio" sussurrò. "Sto andando con l'uomo di un'altra. Adesso sì che mi sento uno schifo".
"Ma no, non devi preoccuparti. Lei lo sa".
"E non dice niente?".
Anche questa era una lunga storia che non mi andava di raccontarle. Ma le promisi che se voleva, gliel'avrei fatta conoscere. Arrivammo al ristorante alle otto; luci soffuse, musichetta jazz in sottofondo, e tanta gente in abiti da affari. Un ambiente molto raffinato, adatto per aristocratici e grandi manager. Le persone con cui avremmo cenato ci stavano aspettando ad un tavolo lungo. Erano in tutto dieci, sette uomini e tre donne. Deborah mi presentò loro come il suo compagno. Mi misi a sedere tra Deborah e una delle tre donne; una signora molto distinta, piena di gioielli e un tailleur che costava quanto il mio stipendio. Era la moglie di uno dei grandi manager seduti al tavolo. Mi sorrise, poi ritornò ad ascoltare il discorso che sembrava farsi serio. Si parlava di cifre, di somme, di preventivi. Ci capii poco. Si discuteva della costruzione di un edificio, e Deborah, in quanto ingegnere edile, avrebbe dovuto occuparsi della realizzazione. Ci portarono da mangiare. Sapete quei piattini della nouvelle cuisine? Che pare che il cuoco aveva appena sputato nel piatto. Insomma quei piatti che dopo cinque minuti c'hai ancora fame. Beh, vi assicuro che io, essendo cuoco, preferisco di gran lunga la cucina casereccia. Ma purtroppo, in questi ambienti, le meraviglie della tavola non sanno neanche dove stanno di casa. Ogni tanto Deborah mi accarezzava la mano e mi sorrideva. Non so cosa volesse trasmettermi. Forse cercava solo un pò di sostegno. Doveva essere una persona molto sola. Per questo mi aveva chiesto di accompagnarla alla cena. Ad un certo punto sentii una mano accarezzarmi una coscia, lì sotto il tavolo. La mano iniziò a salire lentamente, fino a raggiungere il mio cazzo. Lo tastò bene, per sentirne la consistenza. Era mezzo duro, ma fece presto a raggiungere l'erezione. Mi guardai accanto; era la moglie del grande manager. Mi sorrideva e mi accarezzava il cazzo da sopra i pantaloni. Avvicinò la bocca al mio orecchio e mi sussurrò qualcosa.
"Che gran bel cazzo che c'hai. Quanto vuoi?".
La donna aveva tra i quarantacinque e i cinquant'anni. Aveva i capelli rossicci corti, un naso all'insù che la faceva sembrare una porcella. Non era proprio male. E poi mi eccitano le donne col tailleur.
"Sei arrapata?" le chiesi.
"Da morire" sussurrò. "Dai, quanto vuoi?".
"Seicento" pensai che ad una come lei potevo chiedere qualsiasi cifra.
"Sei un pò caro" mi sorrise. "Ci vediamo al bagno delle signore. Cerca di non dare nell'occhio. Vado prima io, tu mi raggiungerai dopo qualche minuto".
La donna si alzò dal tavolo, spiegando al marito che andava a rifarsi il trucco. Dopo qualche minuto mi alzai anche io e andai verso il bagno delle donne. Entrai e lei era lì. Il bagno era piccolo, c'era uno specchio, un lavandino con la rubinetteria scintillante e una porticina che nascondeva una tazza bianca e pulita. La donna non perse tempo e mi spinse contro il lavandino, inginocchiandosi ai miei piedi e abbassandomi la lampo dei pantaloni. Tirò fuori il mio cazzo eretto e iniziò a leccarlo lungo tutta l'asta, poi infilò in bocca il glande e fece roteare la lingua tutt'intorno. Cazzo, se era brava! Le misi una mano tra i capelli e l'aiutai nei movimenti. Ad un certo punto si alzò e con una certa violenza mi trascinò oltre la porticina, e mi fece sedere sulla tazza del cesso.
"Lo voglio dentro, tutto. Tutto" diceva. "Tutto dentro". Aveva il fiatone.
Si tirò su la gonna e si spostò il lembo delle mutandine bianche, e mi si mise sopra, infilandosi nella vagina il cazzo. Tra le gambe c'aveva un lago e il cazzo venne letteralmente risucchiato dentro. La donna alzò la testa e chiuse gli occhi, e iniziò ad andare su e giù, cavalcandomi selvaggiamente.
"Dio mio, che cazzo che c'hai!" mi diceva.
Con le mani raggiunsi le sue natiche, morbide e con un filo di cellulite. Gliele palpai e poi la colpii con qualche schiaffo. Sembrava piacerle, perchè quando lo facevo ansimava con più intensità. Sarà la posizione scomoda, ma durai molto tempo.
"Dimmi quanto sono zozza" mi chiese.
"Sei una porca" e a quel punto la donna mi colpì con uno schiaffo, ma senza smettere di cavalcarmi.
"Non permetterti di chiamarmi in quel modo" capii che quell'atteggiamento faceva parte del gioco. Poi mi prese per i capelli e mi tenne la testa ferma, e prima che potessi capire cosa stesse per fare mi sputò sul viso. La sua saliva mi finì sullo zigomo. "Pensa a scoparmi, porco".
Mi stava umiliando. Faceva parte del suo gioco. E non credo che potevo protestare, dal momento che avrebbe sborsato seicento euro per quella prestazione. Ad un certo punto mi fece alzare dalla tazza e si andò a mettere con il busto piegato contro il lavello, e mi offrì le natiche. Mi misi dietro di lei e ritornai a scoparle la vagina. Un altro paio di minuti e lei raggiunse l'orgasmo, e qualche secondo dopo toccò a me, così uscii dalle sue labbra e appoggiando il cazzo tra le due natiche iniziai a fiottare. La sborra saltò sul suo culo e scivolò giù, verso le cosce. Dopo essersi ripresa, cercò nella borsetta il denaro. Mi diede i seicento contrattati e mi accarezzò il viso.
"Sei un tesoro. Come ti chiami?".
"Stefano".
"Stefano. Che bel nome. Me lo lasci il tuo numero di telefono?".
Ritornammo al banchetto. Deborah mi sorrise. Fino alla fine della serata, la donna non mi degnò di uno sguardo. Forse non voleva dare nell'occhio. Solo alla fine, quando lasciammo il ristorante, e quindi ci salutammo tutti, lei mi accarezzò il culo fugacemente e mi sussurrò qualcosa nell'orecchio: "alla prossima, stallone".
Stallone? Mi aveva chiamato stallone. Io? Ma possibile? Possibile che mi stavo trasformando in uno stallone, come Giuliano? Bah, io continuai a pensare che fosse stata la posizione scomoda a farmi durare così tanto. Ma chi lo sa. Deborah mi riaccompagnò a casa col suo SUV. Mi disse che la cena era andata alla perfezione. Il lavoro era suo. Mi parlò così tanto di quel progetto, ed era così felice di poterlo realizzare che quasi si mise a piangere. Ero felice per lei. Una donna così fragile aveva bisogno di quelle gratificazioni.
"Non vuoi fare l'amore?" le domandai.
"L'amore?" sembrò distratta, come se non riuscisse a capire quello che le dicevo. "Ah, certo. L'amore. Scusami, non avevo capito".
"Oppure vuoi solo la bocca?".
"Oh no, Stefano. Ti ringrazio, ma quello che volevo era solo che mi accompagnassi a questa cena. Non volevo andarci da sola. Sai, certe volte mi sento molto triste. Ti confesso che non ho molti amici. Oddio, chissà cosa penserai di me" si mise a cercare i soldi nella borsa, ma io le fermai il braccio.
"Non voglio i tuoi soldi" le dissi.
"Come sarebbe a dire?".
"Averti accompagnato alla cena è stato un piacere. Io sono un tuo amico, Deborah. Non devi pagarmi. Non avrebbe senso".
A Deborah gli brillarono gli occhi e qualche lacrima gli rigò il viso. Poi mi abbracciò, stringendomi forte e iniziò a singhiozzare.
"Perchè piangi?".
"Non lo so" e invece io lo sapevo benissimo. Perchè Deborah aveva bisogno di un amico, e ora ne aveva trovato uno.
"Ascolta, domani ti andrebbe di venire a pranzo da noi? Così magari conosci Sabrina. Ti va?".
"Sì, sarebbe molto bello".
"Allora a domani".

Stefano.

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